Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
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Sui principi del do not significant harm e della neutralità climatica: alcune riflessioni a margine del Green Deal europeo
di Gianluigi DELLE CAVE
Consiglio di Stato Sez. IV n. 2173 del 17 marzo 2025
Urbanistica.Condono edilizio e limiti di cubatura
Il limite di 750 m³ previsto dalla legge per le nuove costruzioni non può essere eluso attraverso la ripartizione delle stesse in tante autonome unità. L’articolo 39 l. n. 724 del 1994, laddove ha previsto che il limite di 750 m³ di volumetria condonabile debba essere computato per le nuove costruzioni “per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria”, deve essere interpretato nel senso che nei casi in cui all’interno di un unico compendio immobiliare sia possibile individuare abusi ontologicamente diversi è possibile per essi presentare distinte richieste di condono (ciascuna delle quali soggiace al ridetto limite volumetrico), mentre in tutti gli altri casi resta fermo che dovranno essere le plurime istanze, sommate assieme, a non eccedere la volumetria di 750 m³. In definitiva, non può essere messa in discussione la ratio della legge, volta a impedire la sanatoria di nuove costruzioni oltre un certo limite di volumetria; volumetria quindi che non può che essere calcolata sull’intero immobile, a meno che le ripartizioni di esso non presentino caratteristiche particolari tali da giustificare una valutazione autonoma in sede di condono. Tutta la legislazione urbanistica e la giurisprudenza formatasi in materia di condono edilizio escludono la possibilità di una sanatoria parziale, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate. Pertanto, non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 2808 del 2 aprile 2025
Beni ambientali.Installazione pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici
Il passaggio alla produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce un obiettivo di interesse nazionale. Deve ritenersi, pertanto, non più possibile applicare ai pannelli fotovoltaici categorie estetiche tradizionali, le quali condurrebbero inevitabilmente alla qualificazione di questi elementi come intrusioni. La presenza del fotovoltaico sul tetto, alla luce delle sopravvenute esigenze energetiche, non può essere più percepita in assoluto come fattore di disturbo visivo. L’attenzione deve quindi essere focalizzata sulle modalità con cui i pannelli fotovoltaici sul tetto sono inseriti negli edifici che li ospitano e nel paesaggio circostante.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 2186 del 17 marzo 2025
Rifiuti.Bonifica e principi comunitari
La natura meramente ripristinatoria e non punitiva-sanzionatoria della bonifica esclude l’applicabilità dell’art. 7 CEDU, mentre la tutela della proprietà di cui all’art 1 prot. 1 CEDU non esime dall’obbligo di riparazione del danno ambientale cagionato nello svolgimento dell’attività economica, secondo l’ordinario criterio di imputazione previsto dagli artt. 2043 e 2050 c.c.; il principio “chi inquina paga” impone di addossare a chi esercita un’attività economica inquinante le esternalità negative della medesima, trasformando il danno ambientale cagionato in un costo per l’impresa (non immediatamente traslabile sul prezzo finale) e incentivandone, per tale via, il contenimento o l’eliminazione. La ratio del principio verrebbe, all’evidenza, frustrata se l’esternalità negativa rimanesse a carico della collettività in contrasto con l’art. 191 TFUE e con la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia richiamata dall’appellante; i principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto - da valutarsi alla luce del criterio dell’operatore prudente e accorto - non possono esimere l’operatore professionale che svolge un’attività ad alto rischio di contaminazione, quale la trivellazione per la ricerca di idrocarburi, di porre rimedio alla contaminazione ambientale cagionata dall’omessa adozione delle necessarie cautele.
Cass. Sez. III n. 13576 del 8 aprile 2025 (CC 13 feb 2025)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Magni
Ambiente in genere.Concessioni demaniali
In tema di concessioni demaniali: ricorre il reato di «occupazione arbitraria» di suolo demaniale nel caso di «variazioni sostanziali» rispetto al contenuto della concessione (ossia che riguardano l’estensione della zona concessa, le opere concesse, o le modalità di esercizio), per le quali è necessaria una concessione «suppletiva» (arg. ex art. 24 reg. esec. cod. nav.), mentre nel caso di variazioni «non sostanziali» (ossia che non apportano «alterazione sostanziale» al complesso della concessione e non comportano modifiche nell’estensione della zona demaniale concessa) ricorrerà il reato di realizzazione di «innovazioni arbitrarie», non vertendosi nel caso di attività svolta “sine titulo”, potendo l’irregolarità essere sanata con una mera variante al titolo già esistente; la valutazione circa la natura «sostanziale» o meno della innovazione è questione di fatto che, ove sorretta da motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, è insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità e, certamente, sfugge al perimetro di valutazione imposto dall’articolo 325 cod. proc. pen. in materia di misure cautelari reali; la realizzazione di innovazioni non autorizzate può integrare gli estremi dell’occupazione arbitraria nel caso in cui le opere realizzate sottraggano una porzione di area al godimento della collettività; il reato di innovazione arbitraria di cui all’articolo 1161 cod. nav., normalmente istantaneo, assume i caratteri dell’illecito permanente nel caso in cui le innovazioni comportino variazioni essenziali alla concessione ovvero sottraggano una porzione di area al godimento della collettività.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 2232 del 18 marzo 2025
Ambiente in genere.Assenza di potestà regolamentare del Comune
La materia della tutela dell’ambiente e quella dei materiali esplosivi sono riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che, per il principio del parallelismo, la potestà regolamentare spetta allo Stato, salva la facoltà di delega alle Regioni, ma – in ogni caso – non spetta ai Comuni, i quali, secondo l’art. 117, comma 6, Cost., “hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. L’art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, non delinea alcuna potestà regolamentare del Comune, ma si limita a stabilire che “La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private” (fattispecie relativa al Regolamento per la qualità dell’aria adottato dal Comune di Milano)
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