Cass. Sez. III n. 12517 del 1 aprile 2025 (CC 18 dic 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Fontana
Urbanistica.Piscina quale nuova costruzione
L'opera del tipo piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, poiché comporta una durevole trasformazione del territorio e, sul piano funzionale, non è preordinata ad un'esclusiva, oggettiva, esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed obiettivamente e indissolubilmente posta al servizio dello stesso; di peculiare rilievo è l'osservazione per cui essa, invero, non serve - necessariamente - a migliorare (contribuendo a rafforzare o confermare) le caratteristiche dell'immobile principale ma, piuttosto, assicura utilità ultronee che nulla hanno a che fare con le caratteristiche funzionali dell'immobile di riferimento: piuttosto, essa risulta funzionale alle persone (favorendone anche il relax o l'attività sportiva e dunque il personale benessere), piuttosto che al miglior uso dell'immobile. La strumentalità dell'opera del tipo piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata, rispetto ad usi e funzioni suscettibili di propria separata valutazione rispetto all'immobile principale, peraltro, pure si evince dal suo evidente autonomo valore di mercato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 02.07.2024, il Tribunale di Lecce – Sezione del Riesame rigettava l’istanza di riesame formulata nell’interesse di Fontana Andrea, indagato in ordine ai reati di cui all’art. 81 cod. pen., art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/01, art. 81 D.Lvo n. 42/2004 (per aver egli realizzato, in qualità di proprietario del terreno sito in agro di Corsano, in zona sottoposta a vincoli ed all’osservanza delle norme di tutela del PPTR Puglia ricadente nel Parco Regionale “Costa Otranto-Santa Maria di Leuca” ed in assenza dei necessari permessi di costruire e dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla tutela dei vincoli, una struttura di muratura di circa 140 mq costituita da
piscina di forma rettangolare, pavimentazione esterna e mura rivestiti di pietra); quindi, confermava il sequestro preventivo delle opere edilizie disposto dal G.I.P. del medesimo Tribunale con ordinanza del 31.05.2024.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso Andrea Fontana mediante il suo difensore, proponendo un unico motivo.
3. Il ricorrente contesta, innanzitutto, le argomentazioni addotte dal Tribunale del Riesame quanto al periculum in mora ed al fumus commissi delicti.
Si duole, inoltre, dell’uso in motivazione di termini asseritamente suggestivi ed impropri.
3.1. Quanto al periculum in mora lamenta come quella utilizzata dal Tribunale sarebbe una mera formula di stile, che non andrebbe oltre una motivazione meramente apparente. In ordine alla ritenuta sussistenza in concreto del pericolo di aggravamento delle conseguenze dannose del reato sotteso al sequestro preventivo (di natura impeditiva) delle opere edilizie, il ricorrente rileva che non ogni “esigenza”, sia pure astrattamente possibile, consenta una restrizione in vinculis dei beni. Afferma come le conseguenze del reato non siano identificabili in quelle e/o in tutte quelle che rechino vantaggio all’autore del reato medesimo, sul rilievo tale per cui la misura cautelare è diretta ad evitare conseguenze ulteriori – e diverse – dagli elementi costituitivi e propri del reato già perfezionata. Evidenzia, quindi, come la lesione eventualmente inferta al regolare assetto del territorio e/o al passaggio non possa essere ricompresa tra le conseguenze dell’uso e/o della disponibilità del manufatto abusivo dacché la sopradetta lesione è conseguenza connaturata alla realizzazione dell’evento e permane anche allorquando il bene sia sottoposto a sequestro.
3.2. Ribadisce l’assenza degli elementi concreti che facciano apparire verosimile la commissione dei reati addebitategli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le censure addotte dal ricorrente sono manifestamente infondate.
2. Il Tribunale del Riesame ha innanzitutto dato una congrua giustificazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus dei reati urbanistici – avvinti dal nesso della continuazione – contestati a norma degli artt. 44, lett. c), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181 D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42/2004.
In particolare, ha accertato che il manufatto – realizzato senza alcuna autorizzazione – ricada in area protetta destinata a parco naturale regionale-sito d’importanza comunitaria “Costa Otranto-Santa Maria di Leuca”, sottoposta a vincolo paesaggistico ed ha rilevato come il medesimo manufatto non possa certo considerarsi pertinenza di una privata costruzione sottratta, in quanto tale, al regime del permesso di costruire: correttamente ha concluso che debba essere qualificato alla stregua di intervento di nuova costruzione; dunque, ha ritenuto provata la sussistenza di elementi concreti che facciano apparire verosimile l’avvenuta abusiva realizzazione di interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
2.1. La correttezza di tale impostazione si evince dalle seguenti considerazioni. Il T.U.E. definisce Ide tipologie di interventi edilizi: tra questi, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e., in via residuale, sono "interventi di nuova costruzione" (e, pertanto, soggetti al regime del permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10 T.U.E.) "quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio", non rientranti nelle categorie di interventi di manutenzione ordinaria ovvero straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, o di ristrutturazione edilizia, così come definiti alle precedenti lettere a-d.
2.1.1. Tanto precisato dunque, vale rilevare, altresì, che la giurisprudenza di legittimità ed amministrativa ha chiarito che, in materia edilizia, la nozione di nuova costruzione implica innanzitutto una permanente e stabile alterazione del territorio..
Infatti, questa Suprema Corte, con sentenza del 10 luglio 2009, n. 28457 ha affermato che il T.U.E., art. 3, comma 1, lett. e), "assoggetta attualmente a permesso di costruire non soltanto le attività di edificazione, ma anche altre attività che, pur non integrando interventi edilizi in senso stretto, comportano comunque una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica". (più recentemente, nei medesimi termini: Cass. sez. III, Cass. 10 luglio 2018 n. 31399, Spica) In senso analogo si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa (ex multis: Consiglio di Stato, sez. V, sentenza. del 31 gennaio 2001 n. 343).
Secondo giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, la normativa in esame, nel prevedere la necessità di un titolo abilitativo per ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ha inteso assicurare un effettivo controllo pubblico preventivo dell'intero territorio, inteso come autonomo bene giuridico, mediante un assetto razionale
complessivo ed una equilibrata coesistenza di valori materiali, culturali e sociali così come recepiti negli strumenti edilizi.
2.1.2. Sono comunque da considerarsi interventi di nuova costruzione, per espressa indicazione normativa (ma, comunque, a mero titolo esemplificativo), gli interventi di cui alle successive lett. e.1)-e.7) del citato articolo 10.
2.2. Orbene, posta con chiarezza la regola dell'assoggettamento a permesso di costruire di ogni attività comportante una trasformazione durevole del territorio, il legislatore, con particolare riguardo al tema delle pertinenze ha inteso operare un distinguo quanto alla loro rilevanza penale; pertanto, ha circoscritto la necessità del permesso di costruire agli interventi pertinenziali che "le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualificano come interventi di nuova costruzione ovvero, che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale" (art. 10 cit. lett. e.6). Al di fuori di tali ambiti, l'intervento pertinenziale che abbia le caratteristiche di seguito indicate, non assume rilievo penale sul piano edilizio.
Come risulta dall'art. 3, comma 1, lett. e), l'intervento pertinenziale che fuoriesce dalla predette caratteristiche fissate per legge e come tale è sottratto al preventivo rilascio del permesso di costruire, è ritenuto di scarsa rilevanza sotto il profilo qualitativo e, parimenti, sotto il profilo quantitativo (perché la relativa volumetria non supera al quinto dell'edifizio principale cui accede).
Tali interventi si connotano per essere di minimo rilievo e per essere funzionali al migliore utilizzo dell'immobile principale secondo le sue caratteristiche funzionali e di destinazione di uso.
2.3. L'esatta individuazione della portata della nozione di pertinenza nella materia urbanistica è stata chiarita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza amministrativa.
Il concetto di pertinenza urbanistica, elaborato dalla giurisprudenza, è ancorato a specifici elementi che devono sussistere cumulativamente: ai sensi dell'art. 3 T.U.E., per aversi pertinenza si richiede: "a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale, b) che non sia consentita, per natura e struttura, una pluralità di destinazioni, c) un carattere durevole, d) la non utilizzabilità economica in modo diverso, e) una ridotta dimensione, f) una individualità fisica e strutturale propria, g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente, h) l'assenza di un autonomo valore di mercato" (così Cass., sez. III, 18 novembre 2008 (ud. 24 ottobre 2008), n. 42897, Arena, richiamando Cass., sez. III, 9 gennaio 2003 (ud. 5 novembre
2002), Cipolla). Si è specificato anche più di recente che in materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti. (Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064 - 01) Si tratta di una impostazione che trova riscontro in consolidate pronunzie giurisprudenziali (così, da ultimo, Cass., Sez. III, 14 luglio 2016, n. 52835, Fahrni, Rv. 268552; parimenti: Cass., Sez. III, 30 maggio 2012, n. 25669, Zeno, Rv. 253064; Cass., Sez. III, 24 novembre 2011, n. 6593, Chiri, Rv. 252442; Cass., Sez. III, 21 maggio 2007, n. 39067, Vitti, Rv. 244903; Cass., Sez. III, 11 giugno 2008, n. 37257, Alexander, Rv. 241278).
Sul piano penale, quindi, si ribadisce, è l'elemento oggettivo della strumentalità funzionale del nuovo immobile rispetto a quello esistente che rileva – cumulativamente agli altri requisiti elaborati dalla sopracitata giurisprudenza – per stabilire il concetto di pertinenza valido ai fini urbanistici.
E’ stato altresì precisato che il carattere di strumentalità funzionale dell’opera pertinenziale rispetto all’immobile principale debba essere connaturale alla sua struttura e, dunque, oggettivo: di tal ché non assume rilievo alcuno la destinazione datane dal proprietario (Cass., sez. III, 11 maggio 2005, n. 36941, Bufano). Sempre in giurisprudenza si è altresì evidenziato, prendendo spunto dal carattere non pertinenziale di una tettoia in quanto strutturalmente connessa ad un edificio, che in urbanistica il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal cod. civ., riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l'edificio principale, mentre la parte dell'edificio appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n. 17083 del 07/04/2006, Miranda, Rv. 234193 - 01). Si è altresì circoscritta la nozione di pertinenza anche sottolineando che in materia edilizia, anche dopo l'entrata in vigore del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che ha individuato una categoria di interventi pertinenziali comunque soggetti a permesso di costruire (art. 3, comma primo, lett. e.6), modificando la precedente disciplina dettata dall'abrogato art. 7, comma secondo, lett. a) D.L. 23 gennaio 1982, n. 9 (conv. con modd. in L. 25 marzo 1982, n. 94), non è configurabile una pertinenza in relazione ad un fondo agricolo o un'area, in quanto non può prescindersi dal collegamento tra la pertinenza ed un edificio, quantunque non
necessariamente residenziale. (Fattispecie nella quale era stato realizzato senza permesso di costruire, su terreno vincolato paesaggisticamente, un invaso irriguo a servizio di un vivaio, invaso di cui la difesa sosteneva la natura pertinenziale) (Sez. 3, n. 6109 del 08/01/2008 Rv. 238994 - 01; cfr. anche sez. 3, n. 5456 del 28/11/2013 Ud. (dep. 04/02/2014 ) Rv. 258973 - 01).
2.5. In materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza urbanistica ha dunque peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica. È consolidato, infatti, in giurisprudenza l’orientamento secondo cui il concetto di “pertinenza” urbanistica vada interpretato in termini meno ampi rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c.
2.5.1. Le pertinenze di cui all'art. 817 del codice civile sono dei beni giuridici dotati proprio di una propria autonomia funzionale che, in conseguenza di un atto di destinazione compiuto dal proprietario, vengono destinati in modo durevole a servizio od ornamento di un altro bene (sì da accrescerne l’utilità o il pregio, senza costituirne parte integrante e senza rappresentarne elemento indispensabile per la sua esistenza.
2.5.2. Ai fini dell’art. 3 T.U.E. deve trattarsi, diversamente, di un'opera – che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato – preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (così, ex multis: Cass., sez. III, 19 settembre 2005 (ud. 28 aprile 2005), n. 33289, Brigida; Cass., sez. III, 8 ottobre 2009 (ud. 21 maggio 2009), n. 39065, Tavilla).
Recentemente anche il Consiglio di Stato (Sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 8) ha ribadito “che ai fini urbanistici ed edilizi il concetto di pertinenza ha un significato del tutto diverso rispetto alla nozione civilistica che si fonda sulla assenza di: a) autonoma destinazione del manufatto pertinenziale; b) incidenza sul carico urbanistico; c) modifica all’assetto del territorio” (così anche: Cons. di Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4636; Cons. di Stato, sez.
IV, 16 maggio 2013, n. 2678; Cons. di Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221).
Parimenti il T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 26 aprile 2021, n. 4824, ha distinto il concetto di pertinenza delineato dal codice civile dal più ristretto concetto di pertinenza in senso urbanistico, sul rilievo per cui sono pertinenze “solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico”, dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell’opera, “che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio”, essendo il vincolo pertinenziale “caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (cfr. anche T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 26.04.2021, n. 4824)” (così ad es. T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 12.07.2022, n. 9594).
2.6. Ciò premesso, consegue che la struttura edilizia di tipo piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001 (così, ex multis, v. Cass., sez. III, sentenza del 16 gennaio 2019, n. 1913).
L'opera del tipo piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze (come sostenuto dal ricorrente), poiché comporta una durevole trasformazione del territorio e, sul piano funzionale, non è preordinata ad un'esclusiva, oggettiva, esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed obiettivamente e indissolubilmente posta al servizio dello stesso; di peculiare rilievo è l'osservazione per cui essa, invero, non serve - necessariamente - a migliorare (contribuendo a rafforzare o confermare) le caratteristiche dell'immobile principale ma, piuttosto, assicura utilità ultronee che nulla hanno a che fare con le caratteristiche funzionali dell'immobile di riferimento: piuttosto, essa risulta funzionale alle persone (favorendone anche il relax o l'attività sportiva e dunque il personale benessere), piuttosto che al miglior uso dell'immobile.
La strumentalità dell'opera del tipo piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata, rispetto ad usi e funzioni suscettibili di propria separata valutazione rispetto all'immobile principale, peraltro, pure si evince dal suo evidente autonomo valore di mercato.
L'orientamento - qualificante la realizzazione di piscina interrata (ma anche seminterrata) come nuova costruzione - è poi avallato anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, ex multis: Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza del 2 gennaio 2024, n. 44; parimenti, vd. Anche TAR Lazio, sez. Il Stralcio, sentenza del 21 giugno 2022, n. 8325; TAR Lecce, sez. I, sentenze del 26 maggio 2022, n. 845, del 18 gennaio 2022, n. 76, e del 20 settembre 2016, n. 1446; TAR Lecce, sez. II. sentenza del 19 maggio 2022, n. 795; TAR Reggio Calabria, sentenza del 15 aprile 2022, n. 282; TAR Lazio, sez. Il quater, sentenza del 26 luglio 2021, n. 8921; TAR Napoli, sez. VII, sentenze del 17 settembre 2020, n. 3874, del 19 febbraio 2018 n. 1087 e del 5 gennaio 2018, n. 97; TAR Salerno, sez. II, sentenza del 24 luglio 2019, n. 1416).
2.7. Nel caso in esame, dalla sola descrizione delle opere contenuta nella imputazione emerge l'idoneità a un utilizzo tipico ed autonomo della piscina, anche in considerazione delle sue dimensioni, come pure dei manufatti a essa accessori, trattandosi di una piscina interrata di forma rettangolare, nonché relativa pavimentazione esterna e mura rivestiti di pietra, per una superficie complessiva di circa 140 mq.
Può e deve dirsi dunque, che una piscina, rispetto ad un immobile abitativo ovvero con altra destinazione non denota una sua destinazione strumentale ad una oggettiva esigenza funzionale dell'edificio principale, dato in sé dirimente per escludere ogni connnotazione quale pertinenza ( a prescindere poi dalla sussistenza o meno dei requisiti di cui al citato art. 10 lett. e. 6), e riguardo al quale il ricorrente non ha prospettato nulla di specifico (se non la generica qualificabilità di una piscina come pertinenza). Vale altresì evidenziare come la realizzazione della piscina, essendo stata effettuata in correlazione con un complesso turistico/ricettivo, è idonea potenzialmente ad aumentare l'aggravio del carico urbanistico nell'area e, comunque, denota una sua autonomia economica.
2.8. Per tutte le sopradette ragioni, il Tribunale ha correttamente escluso la natura pertinenziale delle opere edilizie descritte in epigrafe, di non modeste dimensioni, eseguite in violazione della normativa urbanistica e prive di relazione funzionale con l'edificio principale.
3. Parimenti corrette risultano, inoltre, le argomentazioni con le quali il Tribunale del Riesame ha ravvisato il periculum in mora sotteso al sequestro
preventivo (dunque, la concretezza del pericolo di aggravamento delle conseguenze ulteriori del reato) anche nello sfruttamento delle opere abusive tramite l'attività commerciale svolta nell'ambito della struttura ricettiva "Villa Mediternaéè Luxury SeaView" come tale idonea a incidere nel senso di un
chiaro aggravio urbanistico per l'accesso di persone e la necessità di strutture e servizi di raccordo.
Si tratta, anche in questo caso, di considerazioni che appaiono perfettamente in linea con consolidati principi che questa Corte ha da tempo affermato.
3.1. Quanto al periculum in relazione al reato paesaggistico si osserva che, con riferimento agli interventi eseguiti in zona sottoposta a vincoli, come nella vicenda in esame, questa Corte ha avuto modo di evidenziare, in passato, che in tali ipotesi, ai fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, rileva la sola esistenza di una struttura abusiva che integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente all'essere l'edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione all'utilizzazione della costruzione ultimata (Cass., sez. III, sentenza del 15 gennaio 2015, n. 5954, Chiacchiaro, Rv.
.264370; sez. III, sentenza del 18 settembre 2013, n. 42363, Colicchio, Rv. 257526; sez. III, sentenza del 20 marzo 2013, n. 24539, Chiantone, Rv. 255560; sez. III, sentenza del 19 maggio 2009, n. 30932, Tortora, Rv. 245207; sez. II, sentenza del 14 maggio 2008, n. 23681, Cristallo, Rv. 240621; sez. III, sentenza del 30 settembre 2004, n. 43880, Macino, Rv. 230184; sez. III, sentenza del 12 giugno 2003, n. 32247, Berardi, Rv. 226158).
3.2. Successivamente tale orientamento è stato rivisto, osservando che nel sequestro preventivo di manufatti abusivi realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, il periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza ed entità delle opere ultimate, essendo invece necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica delle stesse, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente pregiudicare il bene protetto dal vincolo, sulla base di un accertamento da parte del giudice circa l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (Cass., sez. III, sentenza del 5 luglio 2016, n. 50336, Del Gaizo, Rv. 268331; sez. III, sentenza del 23 giugno 2016, n. 40677, La Sala e altro, Rv. 2e8049; sez. III, sentenza del 14 aprile 2016, n. 28388, Bondanini, Rv. 267412; sez. III, sentenza del 3 marzo 2016, n. 28233, Menti, Rv. 267410; sez. III, sentenza del 13 novembre 2015, n. 48958, Giordano, Rv. 266011).
3.3. Il più recente orientamento ha dunque escluso ogni automatismo tra semplice utilizzo del manufatto abusivo in zona vincolata e compromissione degli interessi tutelati dal vincolo, pur precisando che l'accertamento del
giudice deve essere finalizzato a verificare se "l'uso della cosa, realizzata in violazione dei vincoli paesaggistici, sia idoneo o meno, nell'ipotesi di condotta del tutto esaurita, ad incidere sulle conseguenze dannose prodotte dall'intervento abusivo sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, con la conseguenza che l'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto, in tale caso, di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, il quale deve ritenere o escludere l'ulteriore lesione del bene protetto a seconda che accerti, in concreto, l'incompatibilità o la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera" (Cass., sez. III, sent. 40677/2016, La Sala, cit.). Tale accertamento sulla compatibilità dell'uso dell'opera rispetto agli interessi tutelati dal vincolo, si è pure affermato, va effettuato in maniera più penetrante proprio in ragione del peculiare bene giuridico tutelato (Cass., sez. III, sentenza del 14 aprile 2016, n. 28388, Bondanini, Rv. 267412 che a sua volta richiama sez. III, sentenza del 27 novembre 2010, n. 40486, P.M. in proc. Petrina ed altro, Rv. 248701). Nel valutare la sussistenza del presupposto del periculum in mora ai fini del sequestro preventivo di un immobile abusivo sito in zona paesaggisticamente vincolata conseguente all'uso dello stesso in quanto produttivo di conseguenze dannose sull'area oggetto di speciale protezione, il giudice del merito deve procedere ad una accurata disamina, verificando se possano escludersi ulteriori lesioni del bene protetto sulla base della assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, tenendo conto della natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera. In altri termini, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, il presupposto del periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza delle opere ultimate, ma è necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (sez. III, sentenza del 24 novembre 2017, n. 2001 P.M. in c. Dessi, Rv. 272071).
3.4. Tanto osservato, deve comunque rilevarsi l'irrilevanza nel caso in esame delle deduzioni formulate in ordine al periculum rapportato al reato paesaggistico posto che la sussistenza di tale requisito già in ordine al reato urbanistico assicura la persistenza della misura cautelare reale sulle opere in questione.
4. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 cod. proc. pen. e della somma, inoltre, di euro tremila di ammenda in favore della Cassa delle ammende, posto che non vi è ragione per ritenere che il ricorrente non versi in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024