Consiglio di Stato Sez. IV n. 9928 del 20 novembre 2023
Rifiuti.Obbligo di rimozione e fallimento

L’obbligo di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente, sussiste nei confronti del curatore fallimentare in quanto, dopo la dichiarazione di fallimento, esso diviene detentore dei beni oggetto del fallimento sin dal momento di predisposizione dell’inventario degli stessi, ai sensi degli artt. 87 e ss della Legge Fallimentare. Nello specifico la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare “beni negativi”), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti). Proprio in considerazione dei principi di prevenzione e di responsabilità, affermati dalla normativa eurounitaria nonché dall’art. 178, la disposizione codicistica deve essere interpretata nel senso di attribuire all’Amministrazione la facoltà di adottare provvedimenti affinchè i curatori fallimentari adottino adeguate misure per la rimozione dei rifiuti. Infatti, secondo il diritto eurounitario, i rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. In quest’ultima ipotesi non viene richiesta un’analisi del titolo sottostante al soggetto responsabile degli obblighi di rimozione, in quanto i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore inziale, che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti. L’esimente prevista all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152/2006 può essere riconosciuta unicamente a favore di chi non sia detentore dei rifiuti, pertanto ad esempio nei confronti del proprietario incolpevole del terreno.Dunque il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui sono abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita, in conformità del principio di “chi inquina paga”.

Pubblicato il 20/11/2023

N. 09928/2023REG.PROV.COLL.

N. 00751/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 751 del 2018, proposto dal Comune di Marcianise, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Santonastaso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Pola, n.9;

contro

Fallimento Società Leghe Leggere S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luciano Imparato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gennaro Terracciano in Roma, piazza S. Bernardo 101;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. 03544/2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Fallimento Società Leghe Leggere S.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La curatela del Fallimento della società Leghe Leggere s.p.a. ha impugnato l’ordinanza sindacale n. 7 adottata in data 21 marzo 2017, con la quale il Sindaco del Comune di Marcianise ha ordinato alla curatela fallimentare, unitamente al custode giudiziario, di: “provvedere, entro e non oltre sessanta giorni dalla notifica del provvedimento, a ripristinare lo stato dei luoghi liberando le aree ispezionate da tutti i rifiuti presenti ed avviarli al recupero e/o allo smaltimento secondo la loro tipologia ed in rispetto alle leggi previste in materia ed a comunicare alle autorità il crono programma dei lavori di caratterizzazione dei rifiuti e di rimozione degli stessi”, nonché di: “attuare quanto previsto dall’art. 242 del D.lgs. 152 del 2006 e ss.mm.ii.”.

In relazione alla proposta impugnativa, la curatela fallimentare fa rilevare che:

- la società Leghe Leggere s.p.a., con sede in Marcianise, alla via Area Industriale - Marcianise Sud, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione Fallimentare, con sentenza n. 70 del 04 luglio 2006;

- dopo alterne vicende, nel febbraio del 2012, la curatela fallimentare è rientrata in possesso del compendio aziendale, che era stato affittato dalla società Leghe Leggere s.p.a. (quando era ancora in bonis) alla società Metalpoint s.r.l.;

- parte del compendio immobiliare è stato sottoposto a sequestro per la presenza di scorie di fusione ed è stato designato quale custode giudiziario l’Ing. -OMISSIS- (destinatario anch’esso dell’impugnata ordinanza sindacale);

- la curatela fallimentare ha provveduto, su autorizzazione del giudice delegato, alla vendita di alcuni impianti e macchinari (al fine di soddisfare i creditori) e alla stipula di un contratto di locazione, in data 25 luglio 2016, con la società S.I.A. s.r.l., avente ad oggetto il compendio aziendale con esclusione dei beni sottoposti a sequestro penale; nel contratto di locazione commerciale, la società S.I.A. s.r.l., in qualità di parte affittuaria, si obbligava a: “smaltire, i rifiuti presenti nel compendio oggetto di affitto (e dunque non quelli oggetto del sequestro penale richiamati al punto IV della premessa), rifiuti che sono, solo orientativamente, riportati nell’inventario rifiuti allegato”;

- nell’ultimo verbale di sopralluogo eseguito dall’A.r.p.a.c. e dal Comune di Marcianise in data 9 gennaio 2017 si sarebbe accertato che l’opera di smaltimento dei rifiuti è stata intrapresa da parte dell’affittuaria; a detta della parte ricorrente, l’attività di smaltimento dei rifiuti sarebbe proseguita anche successivamente.

Tanto premesso, la parte ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento impugnato con tre articolati motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di procedure concorsuali. Carenza di legittimazione passiva della curatela fallimentare ad eseguire l’ordinanza sindacale di rimozione e messa in sicurezza dei rifiuti;

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 247 del d. lgs. n. 152/06. Violazione e falsa applicazione dell’art. 349 del Codice penale. Carenza di legittimazione passiva. Eccesso di potere. Contraddittorietà. Sviamento;

3. Violazione degli artt. 50 e 54 del d. lgs. n. 267/2000. Assenza dei presupposti di contingibiltà e urgenza. Violazione degli artt. 244 e 250 del T.U.A. in ordine all’esercizio del potere sostitutivo dell’ente comunale. Erroneità dei presupposti. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Violazione del principio di buon andamento della p.a. ex art. 97 Cost..

Il T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, con la sentenza impugnata ha accolto il primo motivo di ricorso ritenendo fondata la dedotta carenza di legittimazione passiva del curatore fallimentare, evidenziando che: “… la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito, in quanto il potere di disporre di beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti”.

Ha dichiarato assorbiti i restanti motivi e condannato il Comune al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale sentenza ha interposto appello il Comune di Marcianise per chiederne la riforma in quanto errata in diritto.

Si è costituito in giudizio il Fallimento Società Leghe Leggere s.p.a. per resistere all’appello, concludendo per la sua reiezione nel merito, con conferma integrale della sentenza appellata.

Ha anche riproposto il terzo motivo di ricorso, assorbito dal T.a.r., con il quale ha dedotto la insussistenza dei presupposti di legge per l’adozione di una ordinanza sindacale contingibile ed urgente.

Disposti una serie di rinvii per verificare lo stato dei luoghi e l’eventuale rimozione dei rifiuti da parte della società Macao s.r.l., acquirente, in sede fallimentare, del compendio aziendale della Società Leghe Leggere s.p.a., la causa è stata infine trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 13 luglio 2023, previo deposito di memorie con le quali le parti hanno precisato le rispettive tesi difensive.

L’appello è fondato.

Con il primo motivo, il Comune deduce “error in iudicando: insussistenza di violazione e di falsa applicazione dei princìpi generali in materia di procedure concorsuali e sussistenza della legittimazione passiva della curatela fallimentare ad eseguire l’ordinanza sindacale in questione. Difetto di istruttoria e anche travisamento dei fatti. Violazione e mancata applicazione dell’art. 192, comma 3, del d. lgs. n.152/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, del d. lgs. n.152/2006. Omessa e/o carente motivazione e consequenziale omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia”.

Lamenta che il T.a.r. avrebbe erroneamente ritenuto che, per il tramite della ordinanza impugnata, sarebbe stata attribuita alla curatela una responsabilità quale soggetto subentrante negli obblighi propri della società fallita, mentre in realtà la contestazione riguarda una responsabilità per fatto proprio, consistita nell’avere aggravato la situazione di abbandono di rifiuti pregressa, stante l’omessa vigilanza e inosservanza del regolamento comunale. In particolare il curatore, quale amministratore del compendio fallimentare, avrebbe omesso dal 2006, per lungo tempo, di assumere ogni iniziativa per lo smaltimento dei rifiuti depositati, in tal modo contribuendo ad aggravare la pregressa situazione di abbandono e di inquinamento, non potendo egli opporre l’esistenza su una porzione dell’area di un sequestro penale in quanto l’intervento di bonifica poteva comunque essere attuato previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria e con le cautele e le eventuali limitazioni dalla stessa indicate.

Con il secondo motivo il Comune ha dedotto “error in iudicando: applicabilità alla fattispecie del principio di conservazione degli atti. Ancora difetto di istruttoria e anche travisamento dei fatti. Violazione e mancata applicazione dell’art. 192, comma 3, del d. lgs. n.152/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, d. lgs. n.152/2006. Omissione e/o contraddittorietà della motivazione e consequenziale omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia”.

Lamenta che il mancato riferimento espresso all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152 del 2006 nel provvedimento impugnato, censurato dal T.a.r., sarebbe irrilevante in quanto lo stesso era comunque desumibile dalla comunicazione di avvio del procedimento, in applicazione dei principi generali sulla interpretazione degli atti amministrativi e del principio di conservazione degli atti.

Inoltre il T.a.r. avrebbe omesso di considerare che il fallimento, a prescindere dai profili di imputazione a titolo di dolo o di colpa, che riguardano l’autore dell’inquinamento, sarebbe comunque responsabile in quanto detentore dell’area ed aveva l’obbligo di chiedere l’autorizzazione all’autorità giudiziaria per rimuovere i rifiuti nonostante il vincolo reale discendente dal sequestro penale di parte dell’area.

I motivi in quanto logicamente connessi possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.

Come noto con ordinanza del 15 settembre 2020 n. 5454 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha chiesto all’Adunanza plenaria di chiarire se “a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita ai sensi dell’art. 192 – D. lgs. n. 152/2006 - pur se il curatore fallimentare - in un’ottica di continuità - “gestisce” proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne ha la disponibilità materiale”.

Con la sentenza del 26 gennaio 2021, n, 3 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha accolto la tesi sostenuta dalla Quinta Sezione, ed affermato il seguente principio di diritto: “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d. lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”.

La pronuncia ha chiarito come nel caso in esame non si verifichi un fenomeno successorio fra i soggetti, pertanto il curatore non va considerato quale “avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti”.

Tuttavia, l’obbligo di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente, sussiste nei confronti del curatore fallimentare in quanto, dopo la dichiarazione di fallimento, esso diviene detentore dei beni oggetto del fallimento sin dal momento di predisposizione dell’inventario degli stessi, ai sensi degli artt. 87 e ss della Legge Fallimentare.

Nello specifico “la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare “beni negativi”), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti)”.

Proprio in considerazione dei principi di prevenzione e di responsabilità, affermati dalla normativa eurounitaria nonché dall’art. 178, la disposizione codicistica deve essere interpretata nel senso di attribuire all’Amministrazione la facoltà di adottare provvedimenti affinchè i curatori fallimentari adottino adeguate misure per la rimozione dei rifiuti.

Infatti, secondo il diritto eurounitario, i rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. In quest’ultima ipotesi non viene richiesta un’analisi del titolo sottostante al soggetto responsabile degli obblighi di rimozione, in quanto i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore inziale, che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti.

L’esimente prevista all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152/2006 può essere riconosciuta unicamente a favore di chi non sia detentore dei rifiuti, pertanto ad esempio nei confronti del proprietario incolpevole del terreno.

Dunque il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui sono abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita, in conformità del principio di “chi inquina paga”.

Al contempo va ribadito che l’obbligo della rimozione non viene meno in presenza di un sequestro penale dell’area poiché in tal caso il curatore è tenuto a chiedere l’autorizzazione all’autorità giudiziaria che indicherà se sussistono le condizioni per intervenire e imporrà le necessarie prescrizioni del caso. Ciò analogamente a quanto espressamente previsto dall’art. 247 del d. lgs. 152 del 2006 nel caso di interventi messa in sicurezza, bonifica o ripristino da eseguire su siti inquinati sottoposti a sequestro. La predetta autorizzazione non è dunque condizione di legittimità dell’ordine di rimozione ma rileva ai fini della sua materiale esecuzione.

Il fatto poi che, nella pendenza del presente giudizio, sia intervenuto il provvedimento di dissequestro dell’area che consentiva di alienare, con atto del 9 aprile 2021, il compendio aziendale di proprietà della Leghe Leggere s.p.a., alla Macao Immobiliare s.r.l., in esito a regolare procedura competitiva, non incide sulla legittimità del provvedimento impugnato: trattandosi di una ordinaria ipotesi di successione nel diritto controverso, disciplinata dall’art. 111, comma 1, c.p.c., secondo cui “Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie”, troverà applicazione anche il successivo comma 4 a mente del quale “La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione”, con l’effetto che l’ordine di ripristino, superato il vaglio giurisdizionale, produrrà i propri effetti anche in capo alla Macao s.r.l., come del resto espressamente previsto nel contratto di compravendita.

Accertata la fondatezza dei motivi di appello, deve passarsi all’esame del terzo motivo di ricorso, assorbito dal T.a.r., e riproposto dalla curatela fallimentare con la memoria di costituzione in giudizio; con tale motivo la curatela ha dedotto il difetto dei presupposti di legge per l’adozione di una ordinanza sindacale contingibile ed urgente e, segnatamente, la insussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivata a seguito di approfondita istruttoria.

Il motivo è infondato.

La curatela fallimentare infatti muove dal presupposto che il provvedimento impugnato sia una ordinanza contingibile ed urgente adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 ma tale affermazione non trova riscontro negli atti di causa.

Il provvedimento impugnato non richiamata mai nella parte giustificativa i predetti articoli e soprattutto, dal punto di vista sostanziale, ha natura di ordine di rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del d. lgs. n. 152 del 2006: in tal senso depone chiaramente il dispositivo ma anche il richiamo agli accertamenti istruttori esperiti che concernono, tutti, sopralluoghi e verifiche che danno conto della esistenza dei rifiuti, senza mai fare riferimento a situazioni di pericolo incombente per la sanità o per la pubblica incolumità.

Il fatto che il provvedimento impugnato non richiami espressamente l’art. 192 del d. lgs. 152 del 2006 non è dirimente poiché la circostanza che l’ordine sia stato intimato ai sensi della predetta disposizione di legge è chiaramente evincibile dalla comunicazione di avvio del procedimento n. prot. 20459 del 11 settembre 2014 che ha preceduto la adozione dell’ordine dove non solo è ripetutamente richiamata tale disposizione di legge ma l’oggetto del procedimento è chiaramente individuato nella rimozione dei rifiuti depositati. La stessa comunicazione di avvio del procedimento è incompatibile con l’urgenza propria di una ordinanza ex artt. 50 e 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 (cfr. in termini Cons. Stato, IV, 9 febbraio 2021, n. 1192).

Non trattandosi di una ordinanza contingibile ed urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 bensì di un ordine di rimozione, non devono ricorrere i presupposti enucleati dalla giurisprudenza ai fini della legittima adozione di siffatte tipologie di ordinanze, sulla cui assenza si incentra il motivo di ricorso che, pertanto, dev’essere respinto.

Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere accolto sicchè, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere respinto.

Poiché il chiarimento della Adunanza plenaria è successivo alla proposizione del ricorso, sussistono eccezionali motivi per disporre la compensazione integrale delle spese del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del doppio grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

Riccardo Carpino, Consigliere