Nuova pagina 1

Il quadro normativo in tema di inquinamento da campi elettromagnetici

Enrico Tartarelli WWF Piemonte e Valle d’Aosta

DECRETO

Sebbene il rischio sanitario che può derivare dall’esposizione a campi elettromagnetici sia noto ormai da tempo, la legislazione vigente in Europa e nel resto del mondo economicamente sviluppato risulta tuttora, salvo poche eccezioni, estremamente carente e lacunosa, in quanto, dove presente, prende per lo più in considerazione i campi a bassa frequenza, ignorando, invece, quelli ad alta frequenza e mira a prevenire esclusivamente gli effetti acuti (in particolare l’effetto termico, vale a dire il riscaldamento dei tessuti umani) conseguenti all’esposizione e non quelli cronici a lungo termine (vedi effetto cancerogeno ovvero “effetto non termico di lunga durata”).

Si tratta, evidentemente, di una situazione che rispecchia l’influenza che l’imponente industria energetica e delle telecomunicazioni è in grado di esercitare sull’operato delle istituzioni pubbliche, che si rivelano spesso incapaci di perseguire l’interesse sanitario ed ambientale dei cittadini quando questo si pone in aperto conflitto con forti interessi del potere economico.

Non mancano invece diversi standard protezionistici internazionali che, in quanto tali, non hanno ovviamente forza di legge nei singoli Stati, ma che costituiscono comunque un significativo punto di riferimento. A questo proposito occorre ricordare i documenti predisposti dal Comitato Internazionale per le Radiazioni Non Ionizzanti dell’Associazione Internazionale per le Protezioni Radiologiche (IRPA/INIRC), che è un organo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostituito nel 1992 dalla Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP). In tempi più recenti (fine ‘94) il CENELEC (Comitato Europeo di Normalizzazione Elettrotecnica) ha varato una norma tecnica sperimentale europea, che copre, attraverso due documenti relativi rispettivamente alle basse e alle alte frequenze, l’intera gamma dei campi elettromagnetici e che è rivolta alla protezione tanto dei lavoratori quanto della popolazione. In Italia, questo elaborato è stato tradotto dal Comitato Tecnico 211 “Esposizione Umana ai Campi Elettromagnetici” facente parte del CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano).

Quanto all’intervento sul tema da parte degli organi dell’UE, si registra una Proposta di direttiva comunitaria - ufficialmente pubblicata nel ‘94, ma non ancora approvata - sulle norme minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da tutti gli agenti fisici, compresi i campi elettromagnetici. Di più ampia portata è invece la Risoluzione “Sulla lotta contro gli inconvenienti provocati dalle radiazioni non ionizzanti” approvata dal Parlamento europeo il 5 maggio 1994, con la quale si chiede alla Commissione e al Consiglio di “definire una strategia basata su cambiamenti tecnologici e strutturali volta ad arginare l’inquinamento elettromagnetico provocato da:

·       il trasporto e la distribuzione dell’elettricità;

·       le apparecchiature elettrodomestiche;

·       le tecnologie utilizzate nell’industria e nei servizi;

·       le telecomunicazioni;”

Nel medesimo documento viene altresì programmato un rapido intervento normativo, dal momento che “le difficoltà di evidenziare una relazione dose-effetto non impediscono di adottare misure legislative volte a creare un sistema di limitazione all’esposizione dei lavoratori e del pubblico, che tenga conto della possibilità offerta dal trattamento del problema alla fonte e dal ricorso alla generazione di energia decentralizzata”. Sebbene non si sia ancora giunti all’approvazione di provvedimenti vincolanti per gli Stati membri dell’Unione, è il caso di ricordare i due principi generali richiamati in questa Risoluzione, vale a dire il principio dell’azione preventiva e quello della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente (di cui all’art. 130 R del Trattato CEE). Più in particolare, durante la seduta dell’11 aprile 1994, nella quale è stata approvata la Proposta di risoluzione in esame, il Parlamento europeo ha fissato due principi direttori:

·       quello della precauzione (c.d. principio cautelativo), per il quale, in caso di dubbio sul livello del rischio, occorre adottare l’impostazione più garantista per la salute del cittadino, consistente nel minimizzare detto rischio, ricorrendo, eventualmente, all’opzione zero;

·       quello dell’esposizione ai campi magnetici As Low Reasonably Achievable (c.d. principio ALARA), secondo cui, una volta fatta la scelta tecnologica, l’esposizione alle radiazioni deve essere la più debole possibile.

Passando all’esame della situazione in Italia, può essere utile, per ragioni di chiarezza espositiva, richiamare la suddivisione delle fonti di inquinamento elettromagnetico delineata nella citata Risoluzione del Consiglio europeo. Ai nostri fini, sarà opportuno distinguere le seguenti cause di esposizione a campi elettromagnetici:

·       l’attività lavorativa svolta;

·       l’utilizzo di apparecchiature elettriche di uso domestico;

·       la vicinanza a elettrodotti o impianti di radiotrasmissione.

Nel caso di esposizione in ambienti di lavoro, vengono in considerazione, oltre ai principi di portata generale come quello di cui all’art. 32 Cost. sul diritto alla salute, le norme in tema di sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento al D. Lgs. n. 626 del 19 settembre 1994, il cui allegato VII, come integrato dal D.Lgs. n. 242 del 19 marzo 1996, prevede, alla lettera f), che “tutte le radiazioni, eccezion fatta per la parte visibile dello spettro elettromagnetico, devono essere ridotte a livelli trascurabili dal punto di vista della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.”.

Per quanto riguarda invece i campi elettromagnetici generati da apparecchiature elettriche di uso domestico, occorre rifarsi in primo luogo alle disposizioni di carattere generale contenenti norme sulla sicurezza dei prodotti posti in commercio. Sul punto, occorre poi segnalare il D. Lgs. n. 476 del 4 dicembre 1992 (Attuazione della direttiva 89/336/CEE del Consiglio del 3 maggio 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica, modificata dalla direttiva 92/31/CEE del Consiglio del 28 aprile 1992), che concerne il livello massimo ammissibile di perturbazioni elettromagnetiche emesse da apparecchi elettrici ed elettronici e la loro protezione contro interferenze esterne dello stesso genere. Detto decreto riguarda però esclusivamente i disturbi di natura tecnica, non prendendo affatto in considerazione i possibili danni a carico dei cittadini. Sarebbe invece auspicabile che venisse predisposta anche in Italia una normativa, sul modello di quella già vigente in altri Paesi europei come la Germania, in tema di etichettatura degli elettrodomestici. Detto obbligo dovrebbe consentire ai consumatori di essere informati sui livelli di emissione (e sui relativi rischi sanitari) attribuibili a vari apparecchi di uso comune, il cui utilizzo comporta esposizioni notevoli: ci si vuol riferire, fra l’altro, a frigoriferi, lavatrici, asciugacapelli, rasoi elettrici, aspirapolvere, forni a microonde, televisori, telefoni cellulari, etc.

Più complesse appaiono invece le questioni connesse a elettrodotti e impianti di radiotrasmissione. Innanzi tutto occorre ricordare che il problema non contempla esclusivamente aspetti di carattere sanitario, dovendosi considerare anche, sotto il profilo ambientale, l’impatto che la costruzione di questa strutture, spesso di rilevanti dimensioni, può determinare sul paesaggio e sull’originario assetto del territorio. Oltre a ciò, è il caso di notare, sul piano sostanziale, che la popolazione civile esposta a queste fonti di “elettrosmog” si trova spesso in situazioni di particolare debolezza, o a causa della non conoscenza dell’esistenza delle predette sorgenti e dei rischi ad esse connessi ovvero per la materiale impossibilità (o estrema difficoltà) a sottrarvisi. La delicatezza della situazione ha determinato negli ultimissimi anni il proliferare di interrogazioni, mozioni, risoluzioni, proposte e disegni di legge sul tema, che sono andati ad incidere su una situazione normativa estremamente frammentaria.

Iniziando dalla disciplina relativa ai campi a bassa frequenza, generati cioè dagli elettrodotti, conviene ricordare preliminarmente che l’art. 4 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) e l’art. 2, comma 14, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’Ambiente) attribuiscono al Ministro dell’Ambiente, di concerto con quello della Sanità, il compito di proporre al Presidente del Consiglio dei Ministri “la fissazione dei limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad inquinanti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore relativamente all’ambiente esterno e abitativo”. Spetta invece al Ministro della Sanità, di concerto con quello dell’Ambiente e con quello del Lavoro e della Previdenza sociale, l’analogo compito per quanto riguarda i lavoratori. Tali limiti, relativamente alla massima “esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”, sono stati fissati dal DPCM 23 aprile 1992 nella misura di:

·    5 KV/m e 0,1 mT, rispettivamente per l’intensità di campo elettrico e di induzione magnetica, in aree o ambienti in cui si possa ragionevolmente attendere che individui della popolazione trascorrano una parte significativa della giornata;

·    10 KV/m e 1 mT, rispettivamente per l’intensità di campo elettrico e di induzione magnetica, nel caso in cui l’esposizione sia ragionevolmente limitata a poche ore del giorno” (art. 4). Si tratta di valori - sostanzialmente coincidenti con quelli raccomandati dall’IRPA/INIRC nell’89 e poi confermati dall’ICNIRP nel ‘93 - che sono di gran lunga meno rigorosi di quelli fissati nell’art. 5 con riferimento alle distanze minime che devono intercorrere tra gli elettrodotti (“linee elettriche aree esterne”) di grande portata (tra i 132.000 e i 380.000 Volt) ed i fabbricati, siano essi adibiti ad abitazione o ad altra attività che comporti tempi di permanenza prolungati. Tali distanze di rispetto variano a seconda della tipologia della linea (10 m per linee a 132 KV - 18 m per linee a 220 KV - 28 m per linee a 380 KV) e non costituiscono una diversa formulazione, ovvero una traduzione in metri lineari, dei limiti di esposizione di cui all’art. 4, corrispondendo a valori più restrittivi in misura variabile da 10 a 50 volte*.

L’art. 7 del decreto in esame prevede poi che per i tratti di linee elettriche esistenti dove non risultino rispettati i limiti di cui all’art. 4 e le condizioni di cui all’art. 5 si debbano individuare azioni di risanamento da completarsi entro il 31 dicembre 2004.

In seguito alle proteste dell’Associazione elettrotecnica italiana (AEI) e del CEI, questo provvedimento è stato integrato e modificato dalle disposizioni del successivo DPCM 28 settembre 1995 (“Norme tecniche procedurali di attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 1992 relativamente agli elettrodotti”), sulla base del quale, per la prima fase di attuazione del DPCM 23 aprile 1992, l’obbligo di procedere alla redazione di progetti di risanamento di cui all’art. 7 di tale ultimo decreto è limitato ai soli impianti che determinano un superamento dei limiti fissati per il campo elettromagnetico (art. 4), escludendo quelli aventi distanze dai fabbricati inferiori a quelle previste dall’art. 5. In altri termini, i limiti predisposti dall’art. 5 sono stati resi operanti solo per la costruzione di nuovi elettrodotti o cabine di trasformazione.

Quanto alle iniziative locali, occorre ricordare che la Regione Veneto ha introdotto disposizioni maggiormente severe rispetto a quelle contemplate dalla normativa statale, stabilendo limiti che, secondo la maggior parte delle ricerche nazionali ed internazionali, vanno considerati di assoluta sicurezza per la salute umana. Infatti, nella L.R. 30 giugno 1993, n. 27 vengono fissate distanze di rispetto dai fabbricati adibiti ad abitazione pari a 150 metri per le linee a 380 KV e, per le altre tensioni, una distanza tale per cui a 1,5 metri da terra vi sia un campo elettrico non superiore a 500 V/m e un campo magnetico non superiore a 0,2 microtesla. L’emanazione di tali limiti, che offrono certamente maggiori garanzie di tutela della pubblica incolumità rispetto a quelli, fino a 500 volte meno restrittivi, previsti dalla normativa statale, non ha mancato di suscitare aspre polemiche: è stato infatti sostenuto che si tratta di valori frutto di un fraintendimento delle indicazioni provenienti dalla letteratura scientifica*. In effetti, l’entrata in vigore della predetta legge regionale è stata rinviata per ben tre volte (per non conformità con le disposizioni nazionali) e la sua applicazione risulta tuttora sospesa. Stessa sorte è toccata ad un analogo provvedimento approvato nel marzo del ‘95 dal Consiglio regionale del Lazio e poi paralizzato dall’intervento del Commissario di Governo. Tale proposta di legge, ripresentata senza successo nel novembre dello stesso anno, aveva l’obiettivo di indurre le aziende che erogano energia a realizzare elettrodotti al di fuori dei centri abitati o, laddove ciò non fosse possibile, ad adottare tecnologie alternative come l’interramento dei cavi.

Veniamo ora alle disposizioni che riguardano i fenomeni di inquinamento elettromagnetico da campi ad alta frequenza, che sono quelli generati, ad esempio, dai ripetitori delle emittenti radio e tv, dalle antenne per telefoni cellulari, dai radar civili e militari. Sul punto, in Italia non esiste ancora una normativa specifica a livello nazionale, in assenza della quale si fa riferimento a raccomandazioni emanate da diversi enti e agenzie protezionistiche internazionali o a quella sperimentale ENV 50166-2 recepita dal CENELEC-CEI nel maggio ‘95. In mancanza di una organica regolamentazione statale del settore, alcune Regioni hanno ritenuto necessario dotarsi di strumenti legislativi propri. In particolare, la Regione Lazio, con l’approvazione della L.R. n. 56 dell’11 settembre 1989, ha disciplinato gli insediamenti di emittenza radiotelevisiva sul proprio territorio, perseguendo lo scopo di “tutelare la salute della popolazione sottoposta all’irradiamento da onde elettromagnetiche e di salvaguardare il patrimonio ambientale e naturale” (art. 1). La predetta legge indica per le frequenze da 3 a 1500 MHz un valore di esposizione al campo elettrico di 20 V/m, mentre la densità di potenza prescritta è di 1 W/m2. Valori sostanzialmente analoghi sono stati adottati dalla Regione Piemonte con la L.R. n. 6 del 23 gennaio 1989 sempre in tema di teleradiocomunicazioni, mentre con la Deliberazione della Giunta Regionale dell’11 aprile 1989, n. 173-27990 sono stati fissati i criteri di tutela sanitaria ed ambientale per il rilascio, da parte del Presidente della Giunta Regionale, dell’autorizzazione prevista dalla predetta legge per l’installazione o la modifica degli impianti. Sulla materia in questione vanno ricordati ancora i provvedimenti della Regione Abruzzo (L.R. 4 giugno 1991, n. 20 successivamente modificata dalla L.R. 11 febbraio 1992, n. 12) e della Regione Veneto che, con la L.R. n. 29 del 9 luglio 1993, ha adottato i medesimi limiti stabiliti dall’IRPA e successivamente proposti dal CENELEC.

La situazione normativa sopra sommariamente esposta va tuttavia considerata suscettibile di modificazioni profonde in tempi brevissimi. Il recente proliferare di ricerche, indagini epidemiologiche e dibattiti sul tema dal punto di vista scientifico non ha mancato di suscitare un rinnovato interesse alla questione nelle pubbliche istituzioni a livello centrale e locale. A testimonianza di questa attenzione, ma anche dell’incapacità di fornire adeguate risposte al problema da parte dei nostri apparati di governo che, troppo spesso pesantemente influenzati da potenti lobby, si nascondono dietro l’alibi della provvisorietà dei risultati raggiunti dagli studi epidemiologici, basti citare, a titolo meramente esemplificativo, i seguenti documenti relativi al triennio 1995-97:

·       P.D.L. Marche 09/11/95 n. 59 Prevenzione dei danni alla salute e all’ambiente derivanti dai campi elettromagnetici;

·       P.D.L. Camera 06/12/95 n. 3531 (Bergamo e a.) Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla pericolosità dei campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti;

·       P.D.L. Camera 29/05/96 n. 1258 (Bergamo e a.) Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla pericolosità dei campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti;

·       P.D.L. Veneto 07/02/97 n. 266 Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio;

·       P.D.L. Camera 11/07/97 n. 3988 (D’iniziativa popolare) Norme in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica;

·       P.D.L. Camera 23/07/97 n. 4036 (Foti e Tosolini) Norme per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico;

·       P.D.L. Toscana 03/10/97 n. 317 Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti.

In particolare, occorre registrare varie proposte di legge in discussione in Parlamento e soprattutto il disegno di legge-quadro (approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo ‘98 e in attesa del parere della Conferenza Stato-Regioni) predisposto dal Governo (e, precisamente, elaborato dai Ministeri dell’Ambiente, della Sanità e delle Comunicazioni), che riassume dette proposte tracciando i principi fondamentali per la tutela della salute nei confronti dell’“elettrosmog” e rinviando a successivi decreti per la disciplina di attuazione.

Il campo di applicazione di questa legge è molto ampio, comprendendo impianti, sistemi ed apparecchiature che possano comportare esposizione dei lavoratori e della popolazione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz. In questo intervallo di frequenza sono tra l’altro comprese sorgenti quali gli elettrodotti, le stazioni radiobase per la telefonia mobile, i radar e gli impianti fissi per emittenza radiotelevisiva (art. 2).

Per quanto riguarda il riparto di competenze delineato dal provvedimento in esame, un ruolo molto importante è riservato alle Regioni, cui spetterà, in primo luogo, la definizione dei piani di risanamento di cui all’art. 7. Questi strumenti dovranno riguardare sia gli impianti radioelettrici sia gli elettrodotti; per questi ultimi è però prevista la presentazione da parte degli esercenti di piani di recupero delle tratte da sottoporre a risanamento, che dovrà essere completato entro dieci anni dall’emanazione di un DPCM che ne dovrà stabilire criteri e priorità. Sarà sempre compito delle Regioni, sulla base dell’art. 5 del DDL, l’adozione di un piano regionale di localizzazione dell’emittenza radiotelevisiva locale, improntato al principio della tutela della salute pubblica, della compatibilità ambientale di ogni progetto di installazione degli impianti, della necessità del trasferimento degli impianti già installati dalle zone di maggiore sensibilità ambientale in aree isolate (riservando ai proprietari delle strutture le spese occorrenti per le delocalizzazioni). A queste competenze andrà aggiunta la definizione di criteri generali per la localizzazione degli impianti fissi di tipologia diversa da quelli di radiodiffusione nonché l’individuazione, negli strumenti urbanistici generali e loro varianti, dei tracciati degli elettrodotti, con previsione di fasce di rispetto all’interno delle quali non si consenta alcuna destinazione urbanistica, residenziale, scolastica e sanitaria (art. 5).

Allo Stato rimarrebbero altre funzioni di rilievo, tra cui, in primo luogo, la determinazione, attraverso l’emanazione di un DPCM, dei valori massimi di esposizione per l’ambiente esterno, abitativo e di lavoro nonché delle politiche di riduzione della esposizione. Quindi, la promozione dell’attività di ricerca e di sperimentazione tecnico-scientifica e dell’attività di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati. Infine, la realizzazione di un catasto delle sorgenti fisse dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e dei territori interessati, con l’obiettivo di stimare i livelli dei campi stessi nell’ambiente (art. 4).

Alle Province e ai Comuni spetteranno invece l’adozione di un regime amministrativo autorizzatorio degli impianti in questione e l’esercizio di funzioni di controllo e di vigilanza (art. 5).

La disciplina in esame è corredata da un apparato sanzionatorio di tipo amministrativo, che contempla (art. 9):

·       il pagamento di una somma da 2 a 200 milioni per il caso di emissioni superiori ai limiti definiti;

·       la disattivazione dell’elettrodotto in caso di mancato risanamento entro i termini previsti;

·       la sospensione dell’autorizzazione prevista per gli impianti radioelettrici in caso di inosservanza delle prescrizioni formulate nell’atto autorizzatorio;

·       la revoca dell’autorizzazione stessa in caso di ulteriore violazione;

·       il pagamento di una somma da 2 a 60 milioni per la violazione delle disposizioni dettate in materia da leggi statali o regionali ovvero da strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica.

Si tratta di un sistema sanzionatorio che, astrattamente, appare adeguatamente articolato e ben congegnato, ma che, nella pratica, potrà palesare pericolose carenze in fatto di incisività e di potere deterrente. Infatti, un regime di controlli e sanzioni che, escludendo l’intervento dell’autorità giudiziaria, punti esclusivamente sull’operato della pubblica amministrazione potrà rivelarsi efficace solo a patto che venga posto rimedio alla cronica debolezza degli organi amministrativi preposti alla vigilanza ed all’irrogazione di sanzioni.

Quanto agli aspetti finanziari, non mancano alcune perplessità, concentrate soprattutto sull’attività di risanamento. Infatti, l’unico riferimento alle risorse da impiegare riguarda l’utilizzo degli introiti delle sanzioni pecuniarie, che per il 70% dovrebbero essere reinvestiti in queste attività. Si tratterebbe però di un contributo presumibilmente insufficiente a coprire gli investimenti necessari, che sono stimabili nell’ordine delle centinaia di migliaia di miliardi.

Nel complesso, a prescindere dai dubbi di cui sopra in merito alla mancata previsione di fattispecie di reato e di relative sanzioni penali nonché in ordine all’insufficiente copertura finanziaria, il provvedimento esaminato va comunque giudicato favorevolmente, in quanto frutto di una scelta d’avanguardia dell’attuale Governo. In particolare, è il caso di evidenziarne due punti qualificanti, che testimoniano una vera e propria maturazione culturale in ordine ai temi in questione. Ci si vuole riferire, in primo luogo, alla esplicita previsione (art. 4, ma vedi anche art. 6, comma 1) per cui la determinazione dei valori massimi di esposizione deve essere basata sull’adozione del principio di cautela e di prevenzione, “anche attraverso l’individuazione di valori di attenzione e di obiettivi di qualità che tengano conto dell’istanza della protezione da possibili effetti a lungo termine”. In secondo luogo, occorre sottolineare che la regolamentazione in oggetto è espressamente funzionalizzata (art. 1) non solo alla riduzione dei rischi sanitari a carico dei lavoratori e della popolazione, ma anche alla tutela dell’ambiente e del paesaggio. Infatti, l’art. 6 comma 2 prevede che nelle aree soggette a vincoli imposti da leggi statali o regionali, nonché da strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica a tutela degli interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici ed ambientali, la costruzione o la modifica di impianti, sistemi e apparecchiature debba essere effettuata adottando tutte le necessarie misure per evitare danni ingiustificati ed irreparabili.

Altro problema è quello relativo alla determinazione dei valori limite di radiofrequenza compatibili con la salute umana, in attuazione della legge n. 249 del ‘97 sull’Authority delle telecomunicazioni. Sul punto, è recentemente intervenuto un Decreto interministeriale (elaborato dai Ministeri dell’Ambiente, della Sanità e delle Comunicazioni e, al momento, in attesa dell’assenso definitivo della Conferenza Stato-Regioni) che definisce nuovi limiti massimi, oscillanti, a seconda dei casi, da 20 a 60 Volt per metro. Vengono poi fissati altri limiti di potenza, intensità di campo magnetico e densità di potenza, mentre, con particolare riguardo alle emissioni nelle vicinanze di asili, scuole, ospedali e case di cura, si stabilisce che il valore di campo elettrico non possa mai superare il tetto massimo di 6 Volt/m.

La disciplina dell’installazione e della modifica delle antenne e dei ripetitori è demandata alle Regioni, che dovranno anche garantire il rispetto dei limiti fissati. Nel caso in cui questi vengano superati, si prevede l’obbligo, a carico dei titolari degli impianti, di attuare misure di risanamento sulla base di tempi e modalità di esecuzione stabiliti dalle amministrazioni locali. In caso di inottemperanza, dovrebbe scattare il meccanismo dell’immediato ritiro delle concessioni.

 

 

 

 

NORMATIVE SULL’INQUINAMENTO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI

NORMATIVA NAZIONALE

 

DM 16 gennaio 1991

Aggiornamento delle norme tecniche per la disciplina della costruzione e dell’esercizio di linee elettriche aeree esterne

(G.U. 16 febbraio 1991, n. 40)

 

DPCM 23 aprile 1992

Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno

(G.U. 6 maggio 1992, n. 104)

 

DPR 27 aprile 1992

Regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale e norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formazione del giudizio di compatibilità di cui all’art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, per gli elettrodotti aerei esterni

(G.U. 22 agosto 1992, n. 197)

 

DPCM 28 settembre 1995

Norme tecniche procedurali di attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 1992 relativamente agli elettrodotti

 

Ministero dell’ambiente: accordo procedimentale interministeriale in ordine alla valutazione dei progetti di risanamento ambientale dall’inquinamento elettromagnetico di cui all’art. 7 del DPCM 23 aprile 1992

(G.U. 18 marzo 1996, n. 65)

 

 

NORMATIVA REGIONALE

 

A) Bassa frequenza

Regione Veneto, legge 30 giugno 1993, n. 27

Prevenzione dei danni alla salute derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti

(B.U. n. 55 del 2 luglio 1993)

 

Regione Veneto, legge 26 gennaio 1994, n. 7

Modifica dei tempi di applicazione della legge regionale 30 giugno 1993, n. 27, come modificata dall’art. 18 della legge regionale 1 settembre 1993, n. 43 “Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti”

(B.U. n. 8 del 28 gennaio 1994)

 

B) Alta frequenza

Regione Piemonte, legge 23 gennaio 1989, n. 6

Nuova disciplina in materia di teleradiocomunicazioni

(G.U. 7 ottobre 1989, n. 40)

 

Regione Piemonte, Deliberazione G.R. 11 aprile 1989, n. 173-27990

Criteri di tutela sanitaria ed ambientale per il rilascio dell’autorizzazione del Presidente della Giunta Regionale per impianti di antenne per telecomunicazione

(B.U. n. 21 del 24 maggio 1989)

 

Regione Lazio, legge 11 settembre 1989, n. 56

Piano regionale degli insediamenti radiotelevisivi

(B.U. n. 27 del 30 settembre 1989 - Suppl. Ord. n. 1)

 

Regione Abruzzo, legge 4 giugno 1991, n. 20

Normativa regionale in materia di prevenzione dell’inquinamento da onde elettromagnetiche

 

Regione Abruzzo, legge 11 febbraio 1992, n. 12

Modifica legge regionale n. 20 del 4 giugno 1991

(G.U. 3a serie speciale 20 giugno 1992, n. 24)

 

Regione Veneto, legge 9 luglio 1993, n. 29

Tutela igienico sanitaria della popolazione dalla esposizione a radiazioni non ionizzanti generate da impianti per teleradiocomunicazioni

(G.U. 3a serie speciale 5 febbraio 1994, n. 5)

 

Regione Veneto, Circolare del Presidente della Giunta regionale 17 maggio 1994, n. 14

(B.U. n. 46 del 3 giugno 1994)

 

Regione Veneto, Delibera G.R. 2 giugno 1995, n. 3161

(B.U. n. 67 del 18 luglio 1995)

 



* Di qui le censure di contraddittorietà intrinseca della normativa in esame e le problematiche giuridiche ad essa connesse, su cui si veda G. GRECO, Disciplina dei limiti di esposizione delle persone ai campi elettromagnetici creati dagli elettrodotti, Rass. giur. energia elett., 1994, 11 ss. e spec. § 3.

* Inoltre, dal punto di vista strettamente giuridico, la legge in esame pone una serie di questioni relative alla competenza, statale o regionale, a legiferare in materia. Di fatto, la disomogeneità tra i due livelli di intervento normativo comporta vari problemi, sia di tipo interpretativo che applicativo. Sul punto, si rimanda a N. LUGARESI, Limiti di esposizione ai campi elettrici e magnetici generati da elettrodotti: profili di competenza normativa, Rass. giur. energia elett., 1994, 595 ss. e G. GRECO, op. cit., spec. § 2.