 Cons. Stato Sez. VI n. 3556 del 4 giugno 2010
Cons. Stato Sez. VI n. 3556 del 4 giugno 2010
Beni culturali. Vincolo di inedificabilità
In presenza di vincoli di inedificabilità expressis verbis qualificati come di carattere assoluto, non residua alcun margine di apprezzamento discrezionale in capo all’Organo statale, il quale dovrà limitarsi a verificare se la proposta di intervento implichi a qualunque titolo un episodio di carattere edificatorio per farne conseguire – in modo sostanzialmente automatico –la mera riconferma della sussistenza del vincolo (e, quale logico corollario, il diniego della proposta). Né può ritenersi che le prescrizioni vincolistiche poste a tutela dei beni archeologici dispiegherebbero la propria valenza preclusiva solo in presenza di istanze di ampliamento (per così dire – ‘in senso orizzontale’ -) degli immobili preesistenti, e non anche nel caso delle mere istanze di ‘innalzamento’ degli stessi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 N. 03556/2010 REG.DEC.
 N. 03209/2008 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 ha pronunciato la presente
 DECISIONE
 Sul ricorso numero di registro generale 3209 del 2008, proposto:
 dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del  Ministero,  legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato per legge in Roma,  via dei  Portoghesi, n. 12;
 contro
 Piccioni Sabrina, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Ricciardi, con  domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Ricciardi in Roma, viale Tiziano,  n. 80;
 
 nei confronti di
 
 Comune di Tarquinia;
 
 per la riforma
 
 della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sezione II-Quater n. 00887/2008,  resa  tra le parti, concernente DINIEGO AUTORIZZAZIONE REALIZZAZIONE LAVORI  SOPRAELEVAZIONE FABBRICATO.
 
 Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 il consigliere  Claudio  Contessa e uditi per le parti gli avvocati l'avvocato dello Stato Vitale  e  l'avvocato Ricciardi;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Il Ministero per i beni e le attività culturali riferisce che con  decreto  ministeriale in data 4 giugno 1971 fu dichiarato l’interesse  archeologico  particolarmente importante in relazione ad alcune aree site nel  territorio del  Comune di Tarquinia (Vt), località ‘Ripagretta’, censite in catasto al  fg. 75,  p.lle 45, 56, 47, 52 e 118.
 
 Il decreto impositivo del vincolo veniva adottato in quanto “a seguito  di lavori  edilizi, sono venute alla luce tombe a camera ipogea del IV-I secolo  a.C., che  fanno parte di un importante settore della necropoli etrusca di  Tarquinia,  testimonianza della civiltà etrusca in loco”.
 
 Conseguentemente, il competente Ministero riteneva “che è necessario  salvaguardare l’ambiente archeologico in cui si trovano inserite le  tombe,  limitatamente alla parte non ancora compromessa dalle costruzioni già  realizzate, onde garantire la piena visibilità e il decoro dei monumenti  venuti  alla luce”.
 
 Per quanto concerne la portata prescrittiva del vincolo in questione,  veniva  prescritto che nelle aree assoggettate a vincolo “è fatto divieto [di]  edificare  costruzioni di qualsiasi tipo e destinazione, di eseguire scassi del  terreno, di  utilizzare l’area per scarichi e accumulo di rifiuti”.
 
 Risulta agli atti che con atto in data 20 agosto 1997 l’Ufficio centrale  per i  beni archeologici, architettonici, artistici e storici del Ministero  appellante  ebbe ad esprimere nulla-osta al condono del piano interrato realizzato  nell’ambito dell’immobile di proprietà dell’odierna appellata (avente  causa del  sig. Gulino, proprietario del bene al momento dell’imposizione del  vincolo).
 
 Risulta, ancora, agli atti che nel corso del 1998 l’odierna appellata  ebbe a  presentare al Comune di Tarquinia un’istanza finalizzata al  completamento  (sopraelevazione) del seminterrato a suo tempo realizzato dal signor  Gulino,  mediante la costruzione di un piano terra e di un soprastante  vano-lavatoio.
 
 A fronte di tale istanza la competente Soprintendenza archeologica per  l’Etruria  meridionale, dopo aver ripercorso le complesse vicende (sfociate,  peraltro, in  sede giudiziaria) che avevano interessato l’edificazione dell’area per  cui è  causa sin dalla prima iniziativa edificatoria avviata dal dante causa  della  signora Piccioni, concludeva comunque nel senso dell’assentibilità  dell’intervento richiesto.
 
 Nell’occasione, la Soprintendenza osservava che, fra gli elementi i  quali  deponevano nel senso dell’assentibilità del progetto (in deroga al  vincolo  insistente sull’area) militassero le seguenti considerazioni:
 
 “- [che] la costruzione in progetto interessa esclusivamente l’area del  manufatto esistente e che non saranno eseguiti scavi di alcun genere  escludendo  di conseguenza ogni rischio per il Patrimonio Archeologico del  sottosuolo;
 
 - (…) [che] l’edificio in progetto ricade in un’area purtroppo già  intensamente  edificata e che la sua altezza risulterà inferiore alla quasi totalità  delle  costruzioni circostanti”.
 
 Ed ancora, l’atto di assenso veniva rilasciato:
 
 “-considerata la peculiarità delle vicende sopra riportate, legate  all’edificazione del terreno, che non si ripropongono in nessuno dei  lotti del  comprensorio di Ripagretta ancora non edificati [nonché]
 
 - verificato che il progetto [della sig.ra Piccioni] non contrasta con  le linee  di salvaguardia archeologica individuate per la zona di Ripagretta da  questa  Soprintendenza in accordo con il Superiore Ministero”.
 
 Dopo aver realizzato l’edificazione del primo piano dell’immobile  (autorizzato a  seguito del provvedimento soprintendizio da ultimo richiamato), la  signora  Piccioni rivolgeva alle competenti Amministrazioni una nuova istanza  finalizzata  all’ulteriore innalzamento della costruzione, attraverso l’edificazione  di un  altro piano fuori terra.
 
 Con il provvedimento oggetto del primo ricorso (14 settembre 2006) la  Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale ebbe ad  escludere qualunque ulteriore, possibile ampliamento del fabbricato in  questione, osservando – per un verso – che la precedente autorizzazione  rilasciata nel 1998 fosse giunta all’esito di una vicenda da  considerarsi del  tutto eccezionale ed irripetibile e che – per altro verso – “l’immobile  ove  sorge il fabbricato è integralmente soggetto a vincolo archeologico per  la  presenza nel sottosuolo di tombe etrusche e confina ad ovest con un  terreno –  ugualmente soggetto a vincolo – dove gli scavi della Soprintendenza  hanno messo  alla luce ben 17 tombe a camera”.
 
 Il provvedimento da ultimo richiamato veniva impugnato dalla sig.ra  Piccioni  innanzi al T.A.R. del Lazio il quale, con la pronuncia oggetto del  presente  gravame, accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento negativo.
 
 Nell’occasione il T.A.R. osservava che l’impugnato provvedimento  negativo  risultasse affetto da lamentati di vizi di carenza di motivazione e  contraddittorietà con precedenti provvedimenti.
 
 In particolare, il provvedimento reiettivo risulterebbe illegittimo per  non aver  indicato in modo compiuto le ragioni che inducevano l’Organo statale a  conclusioni diverse rispetto a quelle cui lo stesso Organo era giunto  appena  pochi anni prima (1998), allorquando – a fronte di una situazione  complessivamente assimilabile all’attuale – aveva ritenuto di poter  assentire la  realizzazione del primo piano dell’edificio.
 
 In particolare, il T.A.R. osservava che una fra le ragioni che avevano  indotto  nel 1998 la Soprintendenza a concedere il proprio assenso alla  realizzazione  della richiamata sopraelevazione (i.e.:il carattere ormai intensamente  edificato  dell’area ed il fatto che la costruzione in sopraelevazione non avrebbe  comunque  determinato il rischio di compromissione dei reperti archeologici in  loco  esistenti) fossero certamente valide anche in relazione alla nuova  istanza  proposta dalla signora Piccioni.
 
 Ancora, il Tribunale laziale osservava che, avuto riguardo alle  determinazioni  già assunte nel corso del 1998, in tanto l’Organo statale avrebbe potuto  opporre  un diniego a fronte della nuova istanza di sopraelevazione, in quanto si  fossero  indicate in modo compiuto le ragioni per cui “la modesta modifica  proposta possa  avere un impatto negativo in un contesto già saturo di costruzioni di  dimensioni  ben più invasive” (sentenza, cit., p. 9).
 
 Ed ancora, il T.A.R. osservava che il provvedimento di diniego sarebbe  risultato  illegittimo per avere operato una indebita confusione fra la nozione di  ‘ulteriore ampliamento’ dell’edificio preesistente e i caratteri  specifici  dell’intervento richiesto (il quale era limitato al mero ‘innalzamento’  dell’immobile, nozione in alcun modo assimilabile, ai fini della tutela  archeologica, a quella di ‘ampliamento’ dell’immobile).
 
 La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal  Ministero per i  beni e le attività culturali, il quale ne chiedeva l’integrale riforma  articolando un unico, complesso motivo di doglianza.
 
 Si costituiva in giudizio la signora Piccioni la quale concludeva nel  senso  della reiezione del gravame.
 
 Con ordinanza n. 2687/08 (resa all’esito della Camera di consiglio del  20 maggio  2008) questo Consiglio di Stato accoglieva la domanda di sospensione  cautelare  della pronuncia in epigrafe, osservando che “alla luce del vincolo  gravante  sull’area interessata dai provvedimenti impugnati in primo grado,  l’appello  presenta rilevanti profili di fumus”
 
 All’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 i procuratori delle parti  costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva  trattenuto in  decisione.
 DIRITTO
 1. Con il ricorso in epigrafe, il Ministero per i beni e le attività  culturali  chiede la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato  accolto il  ricorso proposto dalla proprietaria di un immobile ubicato nell’ambito  del  territorio comunale di Tarquinia (Vt) e, per l’effetto, è stato  annullato il  provvedimento della competente Soprintendenza con cui si era espresso  parere  sfavorevole all’edificazione in un nuovo piano del fabbricato, in  considerazione  della consistenza del vincolo archeologico esistente sull’area.
 
 2. Con l’unico motivo di gravame il Ministero appellante lamenta che la  pronuncia oggetto di impugnativa risulti erronea per aver assunto ai  fini del  decidere che l’Organi statale disponesse – in relazione all’istanza  proposta  dalla sig.ra Piccioni nel corso del 2006 – di poter decisori quali  quelli  tipicamente esercitabili a fronte di autorizzazioni su beni soggetti a  vincoli  che non comportino vincoli di inedificabilità assoluta.
 
 In tal modo decidendo, tuttavia, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare  che  sull’area per cui è causa insisteva sin dal 1971 un vincolo di  inedificabilità  assoluta, il quale non avrebbe consentito neppure in astratto la  complessiva  ponderazione richiesta dalla signora Piccioni.
 
 Nella tesi del Ministero appellante, quindi, “nessuna particolare  motivazione  [era] necessaria per respingere la richiesta di autorizzazione de qua,  considerato che, se è pur vero che la sopraelevazione dell’edificio  insistente  sull’area vincolata non comporta lavori di scavo, essa determina  comunque un  incremento della volumetria del fabbricato, contrastante con il divieto  di  edificazione imposto dalla normativa di tutela” (ricorso, cit., pag. 5).
 
 Ed ancora,la pronuncia in epigrafe risulterebbe meritevole di riforma  per la  parte in cui ha ritenuto che gravasse sull’Organo statale l’onere di  esporre  puntualmente le motivazioni le quali inducevano a conclusioni affatto  diverse  rispetto a quelle fornite nel 1998 (allorquando era stata autorizzata la   costruzione del primo piano del fabbricato).
 
 Secondo l’Avvocatura, un siffatto onere motivazionale non poteva dirsi  in  concreto esistente se solo si consideri che (in base alla consistenza  del  vincolo insistente sull’area) l’autorizzazione rilasciata nel corso del  1998  aveva un carattere del tutto eccezionale e derogatorio rispetto alla  consistenza  del vincolo, di guisa tale da non poter costituire un valido tertium  comparationis per la valutazione delle successive determinazioni che la  medesima  Amministrazione avrebbe in seguito adottato in relazione alla medesima  area.
 
 Da ultimo, l’appellante osserva che la pronuncia gravata risulti  meritevole di  riforma per la parte in cui ha ritenuto che il carattere ormai quasi  interamente  edificato dell’area avrebbe dovuto indurre l’Organo statale ad una  valutazione  particolarmente attenta in ordine alle eventuali ragioni ostative al  rilascio  dell’atto di assenso. Al contrario –nella tesi dell’Avvocatura – le  pregresse  violazioni dei vincoli di tutela non giustificherebbero in alcun modo  una  qualsiasi forma di attenuazione del rigore nell’attuazione del vincolo e  delle  relative prescrizioni di salvaguardia.
 
 2.1. I motivi di doglianza dinanzi sinteticamente richiamati, che  possono essere  esaminati in modo congiunto sono fondati.
 
 In particolare, il Collegio osserva che risulti fondato il motivo di  gravame con  il quale si sottolinea che, in considerazione della consistenza  obiettiva del  vincolo insistente sull’area (importante l’inedificabilità assoluta), il   provvedimento di diniego impugnato in prime cure rivestisse un carattere  del  tutto vincolato e non avrebbe potuto presentare in concreto un contenuto   diverso, qualunque fosse il grado di approfondimento istruttorio in  concreto  dedicato alla questione da parte dell’Organo decidente.
 
 Ed invero, la pronuncia gravata sembra presupporre che, a fronte di  vincoli di  inedificabilità assoluta imposti ai sensi dell’art. 21, l. 1° giugno  1939, n.  1089, graverebbero in capo all’Amministrazione procedente oneri  valutativi e  motivazionali assimilabili a quelli tipici dei vincoli di  inedificabilità c.d.  ‘relativa’ (in relazione ai quali spetta all’Amministrazione preposta  alla  tutela del vincolo un vaglio discrezionale in ordine al concreto  nocumento che  il rilascio del richiesto titolo abilitativo è idoneo ad arrecare al  valore  storico-archeologico oggetto di tutela, secondo i canoni tipici della  discrezionalità di tipo tecnico).
 
 Al contrario, in presenza di vincoli di inedificabilità expressisverbis  qualificati come di carattere assoluto, non residua alcun margine di  apprezzamento discrezionale in capo all’Organo statale, il quale dovrà  limitarsi  a verificare se la proposta di intervento implichi a qualunque titolo un   episodio di carattere edificatorio per farne conseguire – in modo  sostanzialmente automatico –la mera riconferma della sussistenza del  vincolo (e,  quale logico corollario, il diniego della proposta).
 
 Né può ritenersi (come, pure, ipotizzato dal T.A.R.) che le prescrizioni   vincolistiche poste a tutela dei beni archeologici dispiegherebbero la  propria  valenza preclusiva solo in presenza di istanze di ampliamento (per così  dire –  ‘in senso orizzontale’ -) degli immobili preesistenti, e non anche nel  caso  delle mere istanze di ‘innalzamento’ degli stessi.
 
 Ed infatti, il divieto di edificazione di nuove costruzioni deve  necessariamente  essere inteso alla luce del pertinente quadro normativo, il quale  ascrive alla  nozione di ‘interventi di nuova costruzione’ (inter alia) l’ampliamento  degli  immobili esistenti all’esterno della sagoma esistente (art. 3, co. 1,  lett.  e.1), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), non consentendo – sotto tale  aspetto –  alcuna ontologica differenziazione in relazione agli interventi i quali  comportino unicamente una sopraelevazione di immobili già realizzati.
 
 Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto  appena  osservato, si osserva poi che l’estensione della preclusione  edificatoria anche  agli interventi di sopraelevazione appare un logico corollario delle  esigenze di  tutela trasfuse nel decreto impositivo del vincolo, il quale  espressamente  menzionava (inter alia) l’esigenza di “garantire la piena visibilità e  il  decoro” dei monumenti esistenti nell’area.
 
 Dal carattere di assolutezza del vincolo di inedificabilità esistente  sull’area,  deriva che il competente Organo statale non disponesse in alcun modo del  potere  di valutare discrezionalmente le ragioni che avrebbero potuto indurre ad   ammettere una deroga al vincolo attraverso l’assentimento al proposto  episodio  di nuova edificazione.
 
 Sotto tale aspetto, quindi, non rilevavano in alcun modo (né potevano in  alcun  modo indurre ad un diverso esito della vicenda provvedimentale) le  ragioni che  avevano indotto nel 1998 la Soprintendenza a ritenere – evidentemente,  in modo  erroneo – l’assentibilità di un primo intervento di sopraelevazione.
 
 Né può in alcun modo ritenersi che un siffatto, pregresso errore  nell’individuazione dell’ampiezza del vincolo (e delle conseguenti  prescrizioni)  potesse assurgere a parametro di valutazione per un giudizio comparativo  fra la  vicenda provvedimentale svoltasi nel 1998 e quella del 2006 (anche al  fine di  individuare gli elementi sintomatici della figura dell’eccesso di potere  sotto  la specie della contrarietà con precedenti provvedimenti o della  disparità di  trattamento).
 
 Per ragioni analoghe, si esclude che il medesimo vizio dell’eccesso di  potere  per contraddittorietà e disparità di trattamento con precedenti  provvedimenti  potesse essere invocato in relazione agli atti con cui era stata in  precedenza  assentita la costruzione degli immobili circostanti, ovvero in relazione   all’impatto verosimilmente ridotto che l’intervento proposto avrebbe  presentato  “in un contesto già saturo di costruzioni di dimensioni ben più  invasive”  (sentenza, cit., pag. 9)
 
 Al riguardo si osserva che (fermo restando il dato dirimente relativo  all’assenza di un potere discrezionale in capo all’Amministrazione  nell’apprezzamento dell’ampiezza del vincolo insistente sull’area), i  richiamati  vizi non potrebbero comunque essere ravvisati nel caso che ne occupa.
 
 Ed infatti, nel risolvere la vicenda di causa dovrebbe comunque trovare  puntuale  conferma il consolidato (e qui condiviso) orientamento giurisprudenziale  secondo  cui l’avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado  non  costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di  proteggere i  valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l'imposizione del  vincolo  costituisce il presupposto per l'imposizione al proprietario delle  cautele e  delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione  degli usi  incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso (sul  punto, cfr.  –ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. V, sent. 12 giugno 2009, n. 3770).
 
 3. In base a quanto esposto, l’appello in epigrafe deve essere accolto e   conseguentemente, in riforma della pronuncia in epigrafe, deve essere  disposta  la reiezione del primo ricorso..
 
 Le spese fra appellante e appellata costituita seguono la soccombenza e  vengono  liquidate in dispositivo;ricorrono giusti motivi per compensare le spese  nei  rapporti con il Comune di Tarquinia.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,  definitivamente  pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto, in  riforma  della pronuncia gravata, respinge il ricorso proposto dalla signora  Piccioni  innanzi al T.A.R. del Lazio e recante in n. 3209/08.
 
 Condanna la signora Piccioni alla rifusione delle spese di lite, che  liquida in  complessivi euro 3.000 (tremila), oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali,  come  per legge in favore della Amministrazione appellante; compensa per il  resto.
 
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2010  con  l'intervento dei Signori:
 
 Giuseppe Barbagallo, Presidente
 Roberto Garofoli, Consigliere
 Giancarlo Montedoro, Consigliere
 Roberto Giovagnoli, Consigliere
 Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
Il Segretario
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 04/06/2010
 
                    




