Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4089, del 5 agosto 2013
Urbanistica.Chiusura portico

La chiusura del portico e la sua nuova utilizzazione come vano residenziale determinano indiscutibilmente un aumento di volumetria non riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia, nozione che presuppone comunque la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra vecchio e nuovo edificio (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04089/2013REG.PROV.COLL.

N. 08506/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8506 del 2012, proposto da: 
Michelacci Maria, Monica Michelacci, Luigi Ferretti, rappresentati e difesi dagli avvocati Vittorio Paolucci e Massimo Letizia, con domicilio eletto presso Massimo Letizia in Roma, viale Angelico, 103;

contro

Comune di Bologna in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Stella Richter, Giulia Carestia, Maria Montuoro, con domicilio eletto presso Giorgio Stella Richter in Roma, via Orti della Farnesina, 126; 
Milani Marika;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 461/2012, resa tra le parti, concernente diniego parziale di titolo edilizio in sanatoria.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bologna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Paolucci e Stella Richter;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

I signori Michelacci e Ferretti, proprietari di un immobile ad uso abitativo, sito nel Comune di Bologna, chiedono la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo dell’Emilia Romagna ha respinto il ricorso proposto avverso il diniego parziale di titolo edilizio in sanatoria richiesto, ai sensi dell’art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, per la realizzazione di volumetria non assentita e per l’ampliamento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, e avverso il conseguente ordine di rimessa in pristino.

I) Lamentano innanzitutto i ricorrenti il mancato rinvio dell’udienza di discussione del ricorso davanti al Tribunale amministrativo, richiesta al fine della proposizione di motivi aggiunti avverso la sopravvenuta dichiarazione di inefficacia della Scia a sanatoria, notificata il 26 aprile 2012: la censura non è condivisibile, tenuto conto che tale dichiarazione non costituisce presupposto degli atti impugnati con il ricorso principale e con i motivi ad esso aggiunti (costituendo proprio questi atti il presupposto della inefficacia), e che con autonomo ricorso davanti al medesimo Tribunale amministrativo gli interessati hanno esercitato compiutamente il proprio diritto di difesa, impugnando la contestata dichiarazione.

II) Identica sorte ha la successiva doglianza, diretta ad evidenziare le diverse misurazioni relative alla volumetria realizzata abusivamente e fuori sagoma al primo piano: al riguardo, va osservato che di tali misurazioni solo l’ultima assume valore ufficiale, in quanto eseguita dall’organo tecnico a ciò preposto. Inoltre, solo la misurazione contestata ha considerato, come disposto dal regolamento edilizio comunale vigente nel 2004, sostanzialmente confermativo, sul punto, del precedente regolamento, i muri e gli spessori interpiano. Del conseguente risultato, secondo cui l’ampliamento supera il limite dei 100 metri cubi, emerge non solo la correttezza, sotto il profilo esaminato, ma anche la sostanziale e necessaria omogeneità di calcolo con i criteri utilizzati per il rilascio dei titoli edilizi. Comunque, come si dirà, il fatto che l’aumento di cubatura realizzato senza titolo sia o meno contenuto nel limite di 100 metri cubi è circostanza irrilevante, posto che l’art. 33 comma 7 della legge regionale Emilia Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 esclude la sanabilità degli ampliamenti realizzati su edifici vincolati, qual è quello in esame.

III) La considerazione che le opere escluse dal condono contrastano con le prescrizioni urbanistiche vigenti al 31 marzo 2003, in particolare con il divieto di aumento di superficie utile in zona di rispetto ambientale, che il Comune adduce a motivazione del diniego, è sorretta dalla precisa condizione temporale imposta dall’art. 32 del citato decreto legge n. 269 del 2003, e priva quindi di rilevanza il profilo dell’appello diretto a sostenere l’illegittima applicazione del criterio della cosiddetta doppia conformità: non di questo parametro l’Amministrazione ha fatto applicazione, ma del limite temporale previsto dalla suddetta norma per la condonabilità degli abusi edilizi.

Inoltre, nella stessa domanda di condono l’edificio de quo è stato indicato come “classificato nello strumento urbanistico comunale vigente alla data del 31.3.2003 nella categoria 2b cioè come edificio di valore culturale-ambientale”, come tale vincolato. La zona dove ricade l’edificio, inoltre, è soggetta al vincolo di cui all’art. 136 d.lgs. 22 gennaio 2004, imposto con decreto ministeriale 4 febbraio 1955: come ha ritenuto l’Amministrazione comunale, l’esistenza di specifici vincoli ambientali e paesistici rendono applicabili il comma 27 lett. d) dell’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 e l’art. 33 comma 7 lett. a) della legge regionale n. 23 del 2004, sopra citata, in quanto le opere risultano in contrasto con le prescrizioni urbanistiche vigenti alla data del 31 marzo 2003, in particolare con l’art. 71 delle norme tecniche di attuazione del PRG che non ammette in zona di rispetto ambientale e per gli interventi di categoria 2b l’aumento di superficie utile (indipendentemente se per trasformazione da superficie accessoria ovvero per nuova costruzione), oltre l’incremento una tantum già utilizzato dai proprietari. Sul punto, data la pletora di censure ripetitive svolte con l’appello, giova ribadire che la connotazione dell’edificio come vincolato esclude, comunque e indipendentemente dalla volumetria realizzata, ai sensi dell’art. 33 comma 7 legge reg. citata l’applicazione di ulteriori deroghe, mentre la condonabilità di opere abusive realizzate in zone vincolate è preclusa dall’art. 32, comma 27, lett. d) del decreto legge n. 269 del 2003.

IV) Per quanto riguarda la chiusura del portico al piano seminterrato, non è fondata la pretesa dei ricorrenti volta all’applicazione in via di analogia della deroga prevista dall’art. 33 comma 5 legge regionale sopra citata, che, ai fini della sanatoria, esonera dai limiti dimensionali gli “interventi di chiusura di logge o balconi”. E’ evidente, infatti che, essendo contenuta in una norma eccezionale, e quindi di stretta interpretazione, la deroga non può estendersi oltre ai limiti specificati, e, in particolare, non può essere applicata per la sanatoria della chiusura del portico, manufatto diverso, sia strutturalmente, sia funzionalmente, da quelli esplicitamente contemplati (logge e balconi).

Come ha puntualmente rilevato il Tribunale amministrativo, inoltre, la chiusura del portico e la sua nuova utilizzazione come vano residenziale hanno determinato indiscutibilmente un aumento di volumetria non riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia, nozione che presuppone comunque la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra vecchio e nuovo edificio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2010 n. 3744).

V) E’ del tutto evidente che, nel prendere in esame l’intero volume realizzato abusivamente, l’Amministrazione ha correttamente considerato la (non) condonabilità per il singolo intervento e non, come pretendono i ricorrenti, sino a concorrenza del volume ammissibile: la pretesa è, prima che infondata, illogica, posto che sia la domanda dell’interessato, sia la conseguente attività valutativa del Comune, hanno ad oggetto le opere per come concretamente realizzate. Per analoghi motivi, attinenti alla non consentita considerazione particellare degli interventi, del tutto sfornita di fondamento logico-giuridico è l’affermazione secondo cui la parte realizzata senza titolo non sarebbe gravata dal vincolo, essendo del tutto evidente che il vincolo stesso non può che interessare l’edificio, e non i singoli ampliamenti, tanto più se abusivi.

VI) Nessuna rilevanza, sulla successiva ordinanza di rimessa in pristino oggetto dei motivi aggiunti, ha il comportamento dell’Amministrazione che, secondo gli appellanti, confermerebbe la fondatezza dei motivi di ricorso: i pareri paesaggistici e architettonici richiesti attengono, infatti, al rilascio del condono parziale concesso per le opere realizzate al piano rialzato. E neppure può essere valorizzata la mancanza di specifica motivazione in ordine alle singole osservazioni presentate dagli interessati ai sensi della legge n. 241 del 1990, peraltro richiamate anche nel provvedimento impugnato in via principale: la motivazione complessiva del diniego e del conseguente ordine di ripristino è sufficiente ad integrare una compiuta valutazione circa le ragioni ostative alla regolarizzazione degli abusi, e non è privo di rilevo quanto osservato dal primo giudice, che ai sensi dell’art. 21 octies della suddetta legge eventuali carenze motivazionali o procedimentali non influiscono sulla legittimità di un provvedimento vincolato, qual è quello di specie.

VII) Le censure proposte con l’atto di motivi aggiunti avverso l’ordinanza di rimessa in pristino ripropongono le censure già esaminate, e tutte le altre censure svolte con l’appello non sono che rifrazioni delle medesime doglianze: l’infondatezza delle stesse vale, quindi, alla reiezione di tutti i motivi.

In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna gli appellanti, in solido, a rifondere all’Amministrazione resistente le spese del giudizio, nella misura di 2.000 (duemila) euro, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/08/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)