Consiglio di Stato Sez. VI n. 2840 del 14 aprile 2022
Urbanistica.Serre solari

Le c.d. “serre solari” o “serre solari bioclimatiche” sono sistemi solari passivi per il miglioramento dell’efficienza energetica, realizzate in aderenza a edifici e utilizzate per captare la radiazione solare e mitigare il clima interno dei locali. Esse, pertanto, non vengono realizzate con lo scopo di ricavare un’area utilizzabile esterna agli edifici, ma specificamente per realizzare un risparmio energetico, e per tale ragione vengono autorizzate, dal punto di vista edilizio, come impianti che non creano superficie né volumetria utile. Dunque, pur costituendo un manufatto che, fisicamente, racchiude un certo volume ed una certa superficie, le serre solari sono sostanzialmente equiparabili ad impianti tecnici, con superficie e volumetria inesistente, come tali esonerati dall’obbligo di rispettare quei parametri urbanistici per i quali la superficie e la volumetria sono rilevanti; per tale ragione non possono essere attrezzate o arredate in modo da consentire di utilizzarle quali locali nei quali si estende l’attività propria dell’edificio. Neppure possono essere qualificate quali “locali tecnici”, non essendo loro scopo quello di contenere e riparare impianti tecnici: l’atto che ne autorizza la costruzione, pertanto, non implica alcuna autorizzazione all’uso, sia pure per limitati scopi, della superficie e della volumetria in esse racchiuse.

Pubblicato il 14/04/2022

N. 02840/2022REG.PROV.COLL.

N. 06935/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6935 del 2020, proposto da
Marinella Guelfi e Veronica Milani, rappresentate e difese dagli avvocati Marco Cucciatti e Gabriele Ferabecoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gabriele Ferabecoli in Roma, via Trionfale, 5637;

contro

Comune di Trecate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Roberto Cota, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 479/2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Trecate;

Visti tutti gli atti della causa;

Sentiti per le parti gli avvocati Gabriele Ferabecoli e Roberto Cota;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Le odierne appellanti sono proprietarie, in Comune di Trecate, di un fabbricato con annessa area pertinenziale, al cui piano terreno ha sede un ristorante; il fabbricato è situato in zona compresa nel perimetro del Parco naturale della valle del Ticino, ragione per cui risulta assoggettata a vincolo paesaggistico.

2. All’esterno del fabbricato le appellanti hanno realizzato un manufatto in vetro, al quale si accede direttamente dal ristorante: il predetto manufatto è stato autorizzato dal Comune, in sanatoria, come “serra solare” ai sensi della Deliberazione della Giunta Regionale 4 agosto 2009, n. 45-11967 Legge regionale 28 maggio 2007, n. 13, recante "Disposizioni in materia di rendimento energetico nell'edilizia. Disposizioni attuative in materia di impianti solari termici, impianti da fonti rinnovabili e serre solari ai sensi dell'articolo 21, comma 1, lettere g) e p)”; si tratta, quindi, di una struttura che trattiene e recupera il calore prodotto dall’energia solare che filtra attraverso le vetrate, ed è classificata come misura di efficientamento energetico.

3. Tale essendo la natura del manufatto, l’autorizzazione in sanatoria ha richiamato il parere rilasciato dal Servizio di Igiene e Sanità Pubblica il 28 febbraio 2012, in cui si afferma che “la serra solare NON potrà in alcun caso essere destinata alla permanenza di persone e non potrà quindi costituire ampliamento della superficie di somministrazione dell’esercizio pubblico”, e per la medesima ragione il manufatto ha potuto ottenere il parere di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004.

4. Nel marzo 2019 un accertamento di agenti della Polizia locale ha stabilito che l’area interna della serra era stata attrezzata con impianto di riscaldamento e mobilio, e veniva utilizzata quale zona ristorante, integrando una difformità totale dall’autorizzazione di compatibilità paesaggistica e da quella edilizia.

5. Conseguentemente, con ordinanza n. 92 del 14 maggio 2019 del Responsabile del settore urbanistica, il Comune ha disposto il ripristino della precedente destinazione “tecnica”, con rimozione dell’impianto di riscaldamento e degli arredi; con successiva ordinanza del 21 maggio 2019, Servizio Polizia Locale, Viabilità, Trasporti, Protezione Civile e Commercio, le odierne appellanti sono state anche diffidate dal proseguire l’attività di ristorazione nell’area della serra.

6. Ambedue tali provvedimenti sono stati impugnati, innanzi al TAR per il Piemonte, con ricorso n° 610/2019 R.G.

7. In pendenza di tale giudizio le odierne appellanti hanno presentato istanza di sanatoria di conformità, chiedendo che venisse autorizzato il cambio di destinazione d’uso del manufatto, da serra solare a sala ristorante: tale istanza è stata respinta con provvedimento del 27 novembre 2019 sul rilievo che l’intervento sarebbe incompatibile con le previsioni vigenti del Piano.

8. Avverso tale provvedimento, assieme ad altri atti, le signore Guelfi e Milani hanno proposto separato ricorso, rubricato al n. 80/2020.

9. Riuniti i citati ricorsi, il TAR Piemonte li ha respinti con la sentenza in epigrafe indicata.

10. Le signore Guelfi e Milani l’hanno impugnata, per i motivi che in prosieguo saranno esaminati.

11. Il Comune di Trecate si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

12. La causa è stata infine chiamata e trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 24 marzo 2022, in vista della quale parte appellante ha chiesto rinvio della trattazione sul presupposto che sta per entrare in vigore il nuovo Piano d'area del Parco Naturale del Ticino, le cui previsioni dovrebbero rendere possibile il rilascio della sanatoria.

13. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover respingere la richiesta di rinvio presentata dalle appellanti, atteso che le previsioni del nuovo Piano d’Area del Parco Naturale del Ticino, adottato con delibera del Consiglio dell’Ente di gestione del Parco n. 47 del 05/11/2021, ove pure definitivamente approvate, non potrebbero essere considerate ai fini della valutazione della legittimità degli atti impugnati nel presente giudizio; le appellanti, inoltre, per giovarsi delle eventuali nuove previsioni più favorevoli, dovrebbero presentare una nuova istanza di sanatoria edilizia, che dovrebbe essere valutata preliminarmente dal Comune, ragione per cui nella presente sede deve ritenersi preclusa al Collegio qualsiasi valutazione relativa alla portata delle previsioni contenute nel nuovo Piano d’Area del Parco Naturale del Ticino.

14. Con il primo motivo d’appello è contestato il capo della sentenza che ha ritenuto fondata l’affermazione del Comune, secondo cui l’intervento non sarebbe compatibile con le previsioni del Piano d’Area del Parco Naturale della Valle del Ticino del 1985.

14.1. Premettendo che l’area di proprietà delle appellanti è collocata - secondo le previsioni del citato Piano - nella fascia di rispetto del Naviglio Langosco e in Zona di conservazione dell’agricoltura, e che per tale motivo essa è soggetta alle previsioni dell’art. 5 delle N.d.A. del Piano - secondo cui “Per gli edifici esistenti a destinazione residenziale permanente o temporanea sono ammessi i soli interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, nel rispetto delle tipologie edilizie stabilite dal Consorzio di Gestione del Parco al fine di salvaguardare il paesaggio agricolo” - il TAR ha ritenuto che, in ragione della particolare funzione della serra realizzata dalle appellanti, essa non potesse essere in alcun modo utilizzata, e quindi convertita ad una diversa destinazione; inoltre il TAR ha ritenuto che, a prescindere da tale aspetto, l’intervento avrebbe comportato un incremento di superficie e di volumetria utile, e pertanto non potesse essere qualificato alla stregua di un intervento di ordinaria o straordinaria manutenzione.

14.2. Oppongono le appellanti che l’art. 5 delle N.d.A. si applicherebbe solo agli immobili con destinazione residenziale; che il cambiamento di destinazione d’uso non potrebbe considerarsi “rilevante”, ai sensi dell’art. 23 ter del D.P.R. n. 380/2001, non comportando il passaggio dell’immobile ad una diversa categoria funzionale; ed infine che le previsioni restrittive dell’art. 5 delle N.d.A. non potrebbero essere applicate in via analogica a situazioni diverse da quelle specificamente contemplate dalla norma, e quindi anche agli immobili non residenziali.

14.3. Il Collegio ritiene, in primo luogo, condivisibile l’assunto del primo giudice secondo cui “le serre solari mantengono la loro esclusiva precipua funzione di apporto di beneficio energetico e costituiscono “volume” non utilizzabile per finalità “umane”. Una diversa interpretazione, infatti, potrebbe comportare un distorto utilizzo di tali impianti allo scopo di ottenere surrettizi ampliamenti volumetrici non altrimenti autorizzabili.”.

14.4. Le c.d. “serre solari” o “serre solari bioclimatiche” sono sistemi solari passivi per il miglioramento dell’efficienza energetica, realizzate in aderenza a edifici e utilizzate per captare la radiazione solare e mitigare il clima interno dei locali. Esse, pertanto, non vengono realizzate con lo scopo di ricavare un’area utilizzabile esterna agli edifici, ma specificamente per realizzare un risparmio energetico, e per tale ragione vengono autorizzate, dal punto di vista edilizio, come impianti che non creano superficie né volumetria utile.

14.5. In particolare la Regione Piemonte, nell’ambito della D.G.R. 4 Agosto 2009, n. 45-11967, adottata in attuazione della L.R. 28 maggio 2007, n. 13, recante disposizioni attuative in materia di impianti solari termici, impianti da fonti rinnovabili e serre solari, al punto 6 ha indicato le caratteristiche che le serre solari debbono presentare ad evitare che la relativa volumetria sia computata in quella utile: tra esse il divieto di installarvi impianti di riscaldamento, la possibilità di contenere il surriscaldamento solo con sistemi di ombreggiamento, e il non superamento, in volume, del 10% della volumetria esistente ed approvata.

14.6. Dunque, pur costituendo un manufatto che, fisicamente, racchiude un certo volume ed una certa superficie, le serre solari sono sostanzialmente equiparabili ad impianti tecnici, con superficie e volumetria inesistente, come tali esonerati dall’obbligo di rispettare quei parametri urbanistici per i quali la superficie e la volumetria sono rilevanti; per tale ragione non possono essere attrezzate o arredate in modo da consentire di utilizzarle quali locali nei quali si estende l’attività propria dell’edificio. Neppure possono essere qualificate quali “locali tecnici”, non essendo loro scopo quello di contenere e riparare impianti tecnici: l’atto che ne autorizza la costruzione, pertanto, non implica alcuna autorizzazione all’uso, sia pure per limitati scopi, della superficie e della volumetria in esse racchiuse.

14.7. Su questi presupposti, ove – come è accaduto nel caso di specie – la serra venga successivamente attrezzata con dispositivi di riscaldamento o raffreddamento, oltre che di altri arredi necessari per potervi stazionare per lunghi periodi, si perde la funzione di efficientamento energetico e, contestualmente, si realizza un ampliamento dell’edificio, mediante utilizzo di una superficie e di una volumetria giuridicamente inesistenti.

14.8. Ciò precisato, è evidente che: (i) quello che le appellanti qualificano come un semplice cambio di destinazione d’uso, nella specie attuato senza opere, in realtà costituisce un ampliamento del fabbricato esterno alla sagoma, e quindi integra un intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), del D.P.R. n. 380/2001; (ii) è inconferente la prospettazione di un cambiamento di destinazione d’uso, senza opere e senza modifica della sagoma esterna, poiché il concetto di “cambiamento di destinazione d’uso” suppone la preesistenza di un diverso uso – della superficie e della volumetria racchiuse all’interno della serra – precedentemente autorizzato, nella specie invece insussistente, per le ragioni dianzi precisate. Per ragioni simili risulta inappropriato anche l’inquadramento dell’intervento quale “recupero” di volumi tecnici.

14.9. Ciò precisato la sanatoria richiesta dalle appellanti era effettivamente incompatibile con l’art. 5 del D.d..A. Tale norma disciplina, in generale, l’attività edilizia nelle zone agricole, consentendovi la realizzazione di nuove costruzioni solo se finalizzate all’esercizio dell’agricoltura; sugli edifici esistenti aventi destinazione residenziale la norma consente solo interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, mentre su quelli non più utilizzati prevede che possano essere riconvertiti ad uso scientifico, didattico o culturale. La norma nulla prevede quanto agli interventi su edifici esistenti, tuttora in uso, aventi una diversa destinazione: tale constatazione non può però far ritenere che su di essi sia consentito qualsiasi intervento edilizio, poiché una simile interpretazione sarebbe palesemente contraria alla ratio ed alla finalità della previsione urbanistica in esame, che è quella di preservare la vocazione agricola della zona.

14.10. Non constando che il Piano contenga previsioni che impongano, relativamente all’area urbanistica interessata, l’immediata delocalizzazione delle attività non agricole diverse da quelle ammesse (cioè quelle con finalità scientifiche, didattiche e culturali) e/o la immediata riqualificazione degli edifici esistenti destinati ad un uso diverso da quello agricolo o residenziale, né risultando che l’immobile di proprietà delle appellanti sia stato individuato, ai sensi dell’art. 3 bis del D.P.R. n. 380/2001, quale immobile non più compatibile con gli indirizzi di pianificazione, devono allora ritenersi consentiti solo gli interventi funzionali a prevenirne il degrado e ad ammodernarli, cioè gli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, che poi sono gli stessi interventi ammessi sugli edifici a destinazione residenziale.

14.11. Di conseguenza, avendo le appellanti chiesto di sanare un intervento riconducibile alla nuova costruzione, ai sensi dell’art. 3, lett. e.1), del D.P.R. n. 380/2001, il diniego di sanatoria opposto dal Comune di Trecate con il provvedimento del 27 novembre 2019 risulta assolutamente corretto.

14.12. Conclusivamente va respinto il motivo d’appello articolato sub A, che erroneamente parte dal presupposto che la serra solare sia equiparabile ad un locale tecnico, dotato di superficie e volumetria tecnica, suscettibili di essere convertite a differente uso.

15. Va respinto anche il motivo d’appello sub B), con cui le appellanti, nell’attaccare le affermazioni di cui al capo n. 8 dell’appellata sentenza, sostengono che l’intervento edilizio oggetto degli atti impugnati sarebbe stato illegittimamente sanzionato applicando, in malam partem, le previsioni dell’art. 5 delle N.d.A., non direttamente applicabili agli edifici non residenziali.

15.1 La norma sanzionatoria è, nella specie, l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, che punisce gli interventi edilizi commessi in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, con un precetto chiaro e specifico, che va eterointegrato con le norme, di carattere primario pure contenute nel D.P.R. n. 380/2001, che individuano gli interventi edilizi soggetti al rilascio del permesso di costruire.

15.2. L’art. 5 delle N.d.A., come già precisato, non disciplina direttamente gli interventi riguardanti gli edifici esistenti con destinazione diversa da quella agricola, residenziale e dalle altre destinazioni d’uso ammesse, e la necessità di circoscrivere gli interventi ammissibili sui predetti edifici, limitandoli alla manutenzione ordinaria e straordinaria, discende da una interpretazione teleologica della norma stessa, ispirata – come già precisato – all’esigenza di preservare, da un lato, la vocazione agricola del sito, d’altra parte l’interesse del proprietario di edifici già esistenti, aventi una destinazione incompatibile con quella agricola, a mantenerli in buono stato. Peraltro tale norma viene in considerazione, non già ai fini di completare il precetto sanzionatorio di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, ma per stabilire che l’intervento in concreto realizzato non può essere sanato ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; ed il diniego di sanatoria non costituisce, in sé, la sanzione, che è invece rappresentata dall’ordine di demolizione e che consegue unicamente dal fatto che il permesso di costruire precedentemente rilasciato (n. 13/2018) è stato totalmente disatteso, essendo stato realizzato un intervento diverso da quello autorizzato.

15.3. Di conseguenza la violazione del principio di legalità, ribadito per le sanzioni amministrative dall’art. 1, comma 2, L. 689/81, risulta del tutto impropriamente evocato.

16. Con il terzo motivo d’appello (rubricato sub “C”) le appellanti contestano il capo n. 9 della sentenza, con cui il primo giudice ha ritenuto legittimo il diniego di sanatoria, osservando che esso diniego non si fonda sulla ritenuta incompatibilità del manufatto, dal punto di vista paesaggistico, e che l’ingombro di una serra solare non dà luogo ad una volumetria giuridicamente esistente ed utilizzabile, ragione per cui una diversa utilizzazione del manufatto crea nuova volumetria rilevante anche ai fini della compatibilità paesaggistica.

16.1. Riproponendo le censure già articolate in primo grado, le appellanti lamentano che il TAR non avrebbe dato una risposta esauriente al III motivo articolato nell’ambito del ricorso n. 80/2020 R.G., a mezzo del quale si sosteneva che il Comune avrebbe fondato il diniego unicamente sul falso presupposto che l’intervento avrebbe determinato una nuova volumetria, e quindi un nuovo ingombro, per il quale non sarebbe stato possibile ottenere, in sanatoria, un parere di compatibilità paesaggistica: secondo le appellanti, invece, l’intervento non implica la creazione di nuovi volumi e di nuova superficie, oltre a quelli già compresi nell’involucro del manufatto, ragione per cui non era necessaria una nuova valutazione di compatibilità paesaggistica.

16.2. La doglianza è palesemente infondata per le ragioni indicate dal TAR. Nel preavviso di rigetto, richiamato nel diniego di sanatoria definitivo, le previsioni del Piano d’area sono state richiamate unicamente per definire gli interventi ammissibili nell’area, individuati negli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; dopo di ciò il Comune ha argomentato che l’intervento proposto non rientra tra gli interventi ammessi, per il fatto che determina una nuova superficie e nuova volumetria utile. E’ dunque evidente che la ragione del diniego di sanatoria non risiede nella mancanza del parere di compatibilità paesaggistica, ma nel fatto che l’intervento non è compatibile con la disciplina urbanistica relativa alla zona di interesse.

16.3. Nel merito, la valutazione del Comune, circa l’impossibilità di ricondurre l’intervento oggetto di sanatoria tra gli interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, è corretto, per le ragioni spiegate nei paragrafi che precedono. Pertanto il diniego opposto dal Comune è legittimo, rimanendo ininfluente la questione afferente la necessità/possibilità di ottenere, per l’intervento oggetto di sanatoria, un nuovo parere di compatibilità paesaggistica.

17. Il quarto motivo d’appello ha ad oggetto i capi nn. 4 e 5 dell’appellata sentenza. Ivi il primo giudice, pronunciandosi sul ricorso avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione, ha affermato che sussistevano sufficienti prove dell’utilizzo della serra solare quale locale adibito, in modo non occasionale, alla somministrazione di alimenti e bevande; che, comunque, la semplice presenza nella serra di due termosifoni e di due condizionatori costituiva violazione del permesso di costruire n. 13/2018, alterando la funzione della serra medesima; che l’ordine di demolizione non era vago né generico, essendo evidente che l’ordine di ripristinare la precedente destinazione d’uso implicava la necessità di riportare lo stato dei luoghi a quello autorizzato nel permesso a costruire, rimuovendo i sistemi di riscaldamento/raffreddamento nonché l’insieme degli arredi, che comunque non sono compatibili con la impossibilità di svolgere nella serra attività umane.

17.1. Le appellanti ripropongono le censure articolate in primo grado, insistendo sul fatto che i radiatori, i climatizzatori ed il camino presenti nella serra non potrebbero considerarsi quale “impianto di riscaldamento” ai sensi del D. L.vo 192/2005, sul fatto che la posa di arredi non costituisce abuso edilizio, nonché sulla asserita genericità dell’ordine di demolizione.

17.2. Le statuizioni del primo giudice meritano integrale conferma. Come ampiamente spiegato nei paragrafi che precedono, le serre solari costituiscono impianti finalizzati a sfruttare il calore che si crea al loro interno, ai fini di migliorare il riscaldamento dell’edificio cui accedono: l’allocazione di dispositivi che generano calore contraddice alla finalità di tali manufatti, che in ultima analisi è quella di conseguire il miglior riscaldamento dell’edificio senza incrementare il consumo energetico; conseguentemente, il rilievo che i due radiatori collocati nella serra costituirebbero una mera derivazione dell’impianto di riscaldamento preesistente nell’edificio non ha alcun rilievo, essendo chiaro che, ai fini in argomento, costituisce “impianto di riscaldamento”, vietato dalla D.G.R. 45-11967 del 2009, sia un singolo radiatore, o dispositivo di riscaldamento, sia un impianto composto da vari elementi collegati (una caldaia, punti di diffusione del calore e condotte di acqua sanitaria).

17.3. La finalità perseguita mediante le serre solari è contraddetta, con ogni evidenza, anche dalla allocazione di impianti di climatizzazione, che determinano consumo energetico. Infine, trattandosi di manufatti non equiparabili a locali tecnici, senza alcuna possibilità di utilizzazione della superficie e della volumetria in esse racchiuse, è evidente che non ha alcun senso che vi si lascino degli arredi, o anche degli impianti di qualsiasi tipo, e l’ordine di rimozione di simili arredi si giustifica quale misura necessaria per prevenire una non consentita utilizzazione dello spazio interno alla serra.

17.4. Ciò premesso, va detto che l’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi “secondo quanto autorizzato con il Permesso di costruire in sanatoria n. 13 del 9 aprile 2018” ha un significato chiaro ed univoco, che è quello di riportare lo stato dei luoghi a quello autorizzato con l’indicato titolo edilizio, caratterizzato dalla sola presenza della serra solare: l’ordinanza di demolizione impugnata, dunque, impone, senza possibilità di dubbio, la rimozione di tutto quanto è stato collocato all’interno della serra.

18. Con l’ultimo motivo d’appello è stato censurato il capo della sentenza (n. 6) che ha respinto il ricorso proposto contro la diffida alla continuazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nello spazio allestito all’interno della serra.

18.1. Il TAR ha ritenuto che l’utilizzo non conforme, sul piano urbanistico-edilizio, della serra solare all’interno della quale si svolge l’attività di ristorazione, non può che tradursi in una irregolarità (in termini di violazione dei limiti massimi di superficie licenziata a tale scopo) dell’esercizio dell’attività commerciale, che l’amministrazione non avrebbe potuto ignorare; l’assenza dei riferimenti agli impianti di riscaldamento o ai vari elementi di arredo non poteva inficiare la validità della diffida, poiché i riferimenti contenuti, nella parte narrativa, ai sopralluoghi ed ai fatti comunque noti alle ricorrenti, circoscrivevano la portata dell’ordine e la comprensibilità da parte dei destinatari; infine la diffida non costituisce atto sanzionatorio, e non ha richiamato gli artt. 16 e 21 della L.R. Piemonte n. 38/2006 in quanto non ne sussistevano i presupposti.

18.2. Le appellanti ripropongono gli argomenti già posti a fondamento della censura di primo grado, sostenendo che il Comune avrebbe potuto solo contestare la violazione dell’art. 12 della L.R. Piemonte n. 38/2006 - che assoggetta l’ampliamento della superficie dell’attività di ristorazione - a preventiva SCIA o a tutela (nelle zone soggette a tutela), con conseguente possibilità di applicare solo la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 21, comma 2, della legge medesima.

18.3. L’appellata sentenza merita di essere confermata anche su questo punto. La diffida del 21 maggio 2019, notificata alle appellanti il 24 maggio 2019, è limitata all’esercizio dell’attività all’interno della sala e non mette in dubbio la possibilità che l’attività di ristorazione prosegua nella sala interna. E poi vero che l’ampliamento della superficie del ristorante avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 12 della legge citata, essere preceduta da una SCIA o da una autorizzazione, ma tale ampliamento, per essere legittimo, non poteva prescindere dalla agibilità dell’area a ciò destinata: ed è proprio l’impossibilità di utilizzare lo spazio della serra che innesta, dal punto di vista della L.R. n. 38/2006, il potere del Comune di emettere un provvedimento inibitorio, quale misura di ripristino della legalità violata.

18.4. Dunque, qualora – come è avvenuto nel caso di specie – l’ampliamento venga attuato senza il preventivo titolo imposto dall’art. 12 della L.R. n. 38/2006 e su area non agibile, il Comune è legittimato ad emettere sia una diffida a cessare l’attività sull’area non autorizzata e non agibile, sia ad elevare la sanzione prevista dall’art. 21, comma 2, della L.R. n. 38/2006, che punisce, genericamente, ogni violazione alle previsioni della legge.

18.5. Va dunque respinto anche il motivo d’appello in esame.

19. In conclusione l’appello è infondato, dal che consegue la conferma dell’appellata sentenza.

20. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le appellanti al pagamento, in favore del Comune di Trecate, delle spese della presente fase del giudizio, che si liquidano in €. 7.000,00 (euro settemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore