Consiglio di Stato Sez. IV n. 4010 del 20 aprile 2023
Urbanistica.Piano di lottizzazione

Il piano di lottizzazione costituisce –ai sensi dell’art. 28 della legge urbanistica n. 1150 del 1942, come modificato dall’art. 8 della legge ponte n. 765 del 1967 - uno strumento urbanistico equiordinato al piano particolareggiato e ad esso sostanzialmente alternativo. Il piano di lottizzazione assume innanzi tutto la valenza di piano urbanistico di attuazione, ossia di pianificazione di dettaglio, con la finalità di riservare essenzialmente le aree ed i tracciati per la viabilità e per le opere di interesse pubblico del nuovo insediamento non individuate già nello strumento generale. Esso, inoltre, è piano esecutivo di urbanizzazione, costituente cioè, mediante il convenzionamento, un programma di realizzazione concreta delle relative opere per mezzo del pagamento di contributi o dell’esecuzione diretta delle opere stesse, e, altresì, mediante la cessione delle aree in tutto o in parte necessarie all’urbanizzazione. Infine, è pre - concessione edilizia, in quanto nei piani di lottizzazione vengono, di norma, ad essere individuati elementi di maggiore dettaglio di quelli previsti dallo strumento urbanistico generale. L’esigenza della redazione di un piano di lottizzazione per la realizzazione di un insediamento edilizio lascia tuttavia integra la potestà pubblicistica del Comune in materia di disciplina del territorio e di regolamentazione urbanistica.


Pubblicato il 20/04/2023

N. 04010/2023REG.PROV.COLL.

N. 09947/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9947 del 2016, proposto dal signor Alessandro Torlonia e dalla società Enfondo s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Lavitola, Giuseppe Greco, Maria Enrica Cavalli e Fabrizio Zerboni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lavitola in Roma, via Costabella n. 23;

contro

il Comune di Castel Gandolfo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Benedetto Giovanni Carbone ed Enrico Gai, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via degli Scipioni 288;
la Regione Lazio, l’Ente Parco Regionale dei Castelli Romani, non costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione seconda) n. 5641 del 2016, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castel Gandolfo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2023 il consigliere Silvia Martino;

Viste le conclusioni delle parti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor Alessandro Torlonia, con ricorso proposto al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, esponeva di essere proprietario del comprensorio “Pascolare” ubicato nel Comune di Castel Gandolfo, destinato originariamente dal P.R.G. a “zona di espansione per villette con parco privato vincolato”.

1.1. In data 11 febbraio 1970 egli aveva stipulato con l’Amministrazione la Convenzione, rep. 2198, avente ad oggetto l’urbanizzazione di detti terreni.

Essa traeva origine da un precedente Atto di conciliazione sottoscritto tra le medesime parti nel 1955 con il quale le stesse avevano raggiunto un accordo transattivo in ordine alla controversia allora pendente avente ad oggetto la rivendicazione da parte del Comune di Castel Gandolfo del suddetto terreno denominato “Pascolare”.

In base al citato Atto di Conciliazione, il Comune aveva rinunciato a qualunque pretesa di rivendicazione del terreno in questione.

L’Amministrazione si era obbligata, altresì, a predisporre una variante al P.R.G. idonea ad escludere la destinazione agricola e a campo sportivo all’epoca vigente, nonché a stabilire per le aree destinate alla costruzione estensiva una superficie dei lotti non inferiore a mq 1.500.

Dal canto suo, il signor Torlonia si era impegnato a cedere al medesimo Comune una porzione di terreno denominata “Ibernesi” di superficie pari a ha 13.50.00 (oltre alla c.d. Pineta Torlonia).

1.2. La Convenzione del 1970 aveva altresì previsto la cessione gratuita al Comune della porzione destinata a parco pubblico di circa 13.000 mq del comprensorio denominato “Pascolare” nonché la realizzazione delle opere di urbanizzazione nel termine di 10 anni dalla stipula (art. 12).

Il termine di durata della convenzione, ai sensi del successivo art. 16, era stato peraltro fissato in quaranta anni, con scadenza al 2010, salvo proroga o rinnovo.

1.3. Tuttavia, con la variante al P.R.G., di cui alla delibera consiliare n. 50 del 2000, l’area era stata destinata a zona B9 “Parco privato di alto pregio ambientale Pascolare Torlonia”, con edilizia episodica a carattere testimoniale da assoggettarsi a recupero e restauro conservativo.

1.4. Successivamente, con la delibera n. 6 del 7 aprile 2004, la delibera n. 50 del 2000 era stata revocata ed era stata adottata una nuova Variante generale.

Ai sensi dell’art. 48 delle NTA l’area era stata destinata a “Sottozona E5 parchi, riserve naturali ed aree con accertati caratteri di naturalità”.

1.5. Con il ricorso di primo grado, iscritto al n.r.g. 6486 del 2001 del T.a.r. per il Lazio, gli odierni appellanti domandavano l’annullamento della delibera del Consiglio comunale di Castel Gandolfo n. 50 del 28 dicembre 2000.

1.6. Con il ricorso n.r.g. 8448 del 2004 venivano impugnate:

a) la deliberazione consiliare n. 6 del 7 aprile 2004 con la quale il Comune aveva provveduto a revocare la delibera n. 50 del 28 dicembre 2000, con la contestuale adozione della “nuova Variante generale al PRG”;

b) il Piano di assetto e il Regolamento di attuazione del Parco Castelli Romani adottato il 31 marzo 1998, comprensivo di NTA e di elaborati grafici.

1.7. Con il ricorso n. 1294 del 2009 venivano chiesti:

1) l’adempimento in forma specifica della Convenzione del 1970 da parte del Comune convenuto;

2) il risarcimento del danno subito durante il tempo in cui la Convenzione medesima non aveva avuto esecuzione e sino al rilascio dei permessi di costruire, sulla base delle perizie di stima prodotte;

3) in via subordinata, la risoluzione della Convenzione e il risarcimento dei danni.

2. Il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa, previa riunione:

- ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso n. 6486 del 2001,

- ha dichiarato in parte irricevibile e respinto per il resto il ricorso n. 8448/2004;

- ha respinto il ricorso n. 1204 del 2009;

- ha compensato tra le parti le spese di lite.

3. La sentenza è stata appellata dagli originari ricorrenti, rimasti soccombenti.

L’impugnativa riguarda, nello specifico, le statuizioni di rigetto dei ricorsi nn.rr.gg. 8448 del 2004 e 1294 del 2009.

L’appello è affidato ai seguenti motivi:

I. Omessa pronuncia circa un fatto decisivo della controversia. Violazione dei principi in tema di collegamento negoziale – Omesso esame unitario della fattispecie – Violazione dell’art. 28 della l. n. 1150 del 1942 e s.m.i. e dell’art. 11 della l. n. 241/90 e s.m.i. in relazione alla Convenzione inter parte in data 11.2.1970. Violazione dell’art. 1 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Travisamento dei fatti. Contraddittorietà.

Premesso che la Convenzione del 1970 sarebbe stata concepita e voluta dai contraenti come funzionalmente e teleologicamente collegata con il pregresso Atto di conciliazione, non sarebbe corretta, in primo luogo, la statuizione secondo cui la durata della Convenzione non avrebbe potuto superare il termine decennale di esecuzione delle opere di urbanizzazione.

In ragione della fissazione del termine di quaranta anni di durata della Convenzione, il Comune non avrebbe potuto adottare, senza adeguata motivazione, le contestate varianti.

In ogni caso, a dire degli appellanti, per i primi trent’anni sarebbe stata l’Amministrazione ad avere impedito loro di edificare.

Per effetto delle varianti, i diritti edificatori sarebbero stati illegittimamente vanificati, in contrasto con la tutela del diritto di proprietà e con i noti principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

II. Violazione sotto altro profilo dell’art. 28 della l. n. 1150 del 1942 e s.m.i. Violazione degli articoli 1453 e 1455 c.c. in relazione alla Convenzione inter partes dell’11.2.1970. Difetto di motivazione.

Gli appellanti invocano la giurisprudenza secondo cui il rilascio dei titoli edilizi nell’ambito dei singoli lotti è subordinato all’impegno all’esecuzione delle opere di urbanizzazione e non alla loro effettiva e concreta realizzazione.

Ancorché la Convenzione sia scaduta e quindi risulti maturato il termine ultimo prescritto per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste, ove queste ultime risultino incomplete, l’obbligo per i lottizzanti di ultimare le stesse permane.

Il primo giudice non avrebbe adeguatamente considerato che ai sensi dell’art. 15 della Convenzione la parte privata aveva provveduto alla costituzione del Consorzio denominato “Pascolare”, finalizzato alla manutenzione e all’esercizio delle opere di urbanizzazione da realizzare.

Inoltre, era stata immediatamente ceduta a titolo gratuito una porzione del comprensorio destinata a verde pubblico (circa 13.000 mq).

Le strade di progetto nelle loro linee essenziali sarebbero state già esistenti.

La parte privata aveva altresì presentato il progetto esecutivo delle opere idrauliche che aveva ricevuto il parere favorevole dell’Ufficio tecnico comunale.

Sarebbero pertanto rimaste da eseguire, oltre alle opere di urbanizzazione secondaria, solo le infrastrutture relative alla pubblica illuminazione.

In ogni caso, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 17 della l. n. 1150 del 1942, secondo la consolidata esegesi giurisprudenziale.

La tesi del T.a.r, secondo cui il termine di dieci anni per la realizzazione delle opere di urbanizzazione non può essere prorogato e neppure derogato, si porrebbe in contrasto con il tenore testuale dell’art. 28, comma 7, della legge urbanistica secondo cui “Il termine per l’esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario è stabilito in dieci anni [...] salvo che non sia stato stabilito un termine diverso.”

L’appellante soggiunge che la mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione sarebbe da imputarsi esclusivamente a fatto e colpa del Comune che avrebbe dapprima impedito il rilascio delle autorizzazioni necessarie per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, e successivamente precluso ogni edificabilità del comprensorio attraverso le contestate varianti.

III. Illegittimità della variante per difetto di motivazione.

Il T.a.r non avrebbe poi tenuto conto delle specifiche censure formulate nel ricorso n.r.g. 8448/2004 con le quali erano stato evidenziato che i contenuti della Relazione allegata alla delibera n. 6/2004 non erano idonei a soddisfare l’obbligo di motivazione della Variante di cui trattasi.

IV. Illegittimità della variante sotto altro aspetto – Violazione sotto ulteriore profilo dell’art. 28 l. n. 1150 del 1942 e s.m.i. in relazione alla normativa paesistico ambientale di cui all’art. 8 l.r. Lazio n. 2 del 1984, all’art. 27, comma 3, l.r. Lazio n. 24/1998 (di approvazione del PTP Castelli Romani), all’art. 62, comma 6, NTA PTPR Lazio e all’art. 7, comma 3, delibera n. 23 del 2009 di adozione del Piano di assetto del Parco Castelli Romani.

Questo motivo, in ragione dell’asserita perdurante validità della Convenzione del 1970 contesta le statuizioni della sentenza impugnata nella parte in cui:

- a pag. 9 lett. g), il T.a.r non ha ritenuto pertinente il richiamo all’art. 62, comma 6, NTA del PTPR Lazio che dispone che sono fatte salve le previsioni degli strumenti urbanistici attuativi approvati alla data di entrata in vigore della l.r. Lazio n. 24 del 1998 e non ancora decaduti;

- a pag. 9, lett h), i giudici di primo grado non hanno considerato pertinente il richiamo alla delibera del Consiglio Direttivo dell’Ente Parco Regionale dei Castelli Romani n. 23 del 21 maggio 2009, avente ad oggetto “Piano del Parco – Adozione”, il quale prevede che “Sono fatte salve le previsioni di strumenti urbanistici attuativi, già definitivamente approvati alla data di entrata in vigore del Piano, nonché le previsioni di piani di lottizzazione già stipulate alla data di entrata in vigore del Piano”;

- alle pagine 10 – 11, lett. m) il T.a.r. afferma che l’art. 8 della l.r. Lazio n. 2/1984 istitutiva del Parco regionale dei Castelli Romani, si riferirebbe all’edificazione prevista dalle norme di Piano mentre nella specie la Variante non prevederebbe alcuna possibilità di edificazione.

Le convenzioni sono state fatte salve dalla stessa normativa paesistica transitoria.

La Variante avrebbe quindi dovuto rigorosamente e specificamente individuare le ragioni sottese all’azzeramento dell’edificabilità del comprensorio in esame.

Quanto al vincolo boschivo, secondo il T.a.r. sarebbe irrilevante il fatto che lo stesso interessi solo ettari 0.25.50 perché comunque l’area è tutelata ai sensi della ben più ampia zonizzazione di cui al PTP n. 9.

Gli appellanti sottolineano che in effetti il terreno in questione è stato ricompreso nel PTP Ambito territoriale n. 9 approvato con l.r. n. 24 del 1998. Tuttavia, ai sensi dell’art. 8 della delibera di GR n. 4480 del 1999 di approvazione del testo coordinato delle NTA di attuazione del PTP, nonché secondo l’accertamento condotto il 22 luglio 1994 dal Coordinamento provinciale del Corpo Forestale, potrebbero definirsi “bosco” solo ettari 0.25.50 ossia 2.550 mq del compendio e pertanto solo in relazione a tale limitata superficie esisterebbe un vincolo di inedificabilità assoluta.

Il comprensorio Pascolare non rientrerebbe, comunque, nella definizione di bosco di cui alla l.r. n. 39 del 2002.

IV. Violazione dei principi in materia di danno risarcibile.

Sarebbe acclarato il grave inadempimento del Comune.

Pure erronea sarebbe l’affermazione del primo giudice circa l’impossibilità di accordare un risarcimento commisurabile alle utilità edificatorie dell’area.

Nel caso di specie non avrebbe dovuto tenersi conto delle varianti urbanistiche perché illegittime né dei vincoli in quanto non sussistenti per la salvezza disposta dagli strumenti paesistici.

4. Si è costituito, per resistere, il Comune di Castel Gandolfo.

5. In data 26 aprile 2022 gli appellanti hanno confermato il proprio interesse alla definizione dell’appello.

6. Il Comune ha depositato due memorie (in data 31 agosto 2022 e 23 dicembre 2022).

7. Gli appellanti hanno depositato una memoria di replica in data 4 gennaio 2023.

8. L’appello, infine, è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2023.

9. Giova premettere che, come sottolineato dagli stessi ricorrenti, la declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado, n. 6486 del 2001, non è stata impugnata.

Il Collegio rileva, altresì, che non forma oggetto di specifica contestazione in appello nemmeno la declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado n. 4884 del 2004, nella parte in cui era stato domandato l’annullamento del Piano di assetto e del regolamento di attuazione del Parco dei Castelli Romani adottato il 31 marzo 1998.

10. Le restanti statuizioni del T.a.r. sono corrette e devono essere confermate.

11. Il primo ordine di rilievi concerne il contenuto della Convenzione di lottizzazione del 1970, la quale, al momento dell’adozione delle Varianti generali del P.R.G. del Comune di Castel Gandolfo di cui alle delibere del 2000 e del 2004, sarebbe stata ancora efficace.

Secondo la prospettazione dei ricorrenti, l’inadempimento dell’Amministrazione sarebbe integrato proprio dall’adozione di tali delibere le quali, variando la destinazione urbanistica del comprensorio “Pascolare”, hanno “azzerato” l’edificabilità prevista dal Piano di lottizzazione trent’anni prima.

11.1 La Convenzione del 1970 prevede due termini, l’uno, disciplinato dall’art. 12, relativo ai “termini massimi di esecuzione e cessione” delle opere di urbanizzazione, l’altro disciplinato dall’art. 16, relativo al termine di “validità della convenzione”.

L’esegesi letterale e logico -sistematica del testo negoziale consente di apprezzare che l’operatività di questo secondo termine risulta condizionata dal tempestivo adempimento dell’obbligo stabilito dall’art. 12, fissato in dieci anni dalla stipula della Convenzione.

L’art. 16 fa infatti espresso riferimento al completamento dell’edificazione e presuppone che siano state eseguite le opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

In tal senso, l’art. 11 stabilisce che “le autorizzazioni edilizie non potranno comunque essere rilasciate fino a quando le costruzioni cui si riferiscono non siano servite da: regolare strada di accesso, impianto per lo smaltimento delle acque usate, rete idrica potabile e rete di distribuzione di energia elettrica”, declinando poi analiticamente i tempi di attuazione del progetto urbanistico e le quote di edificazione progressivamente realizzabili in rapporto allo stadio di sviluppo delle opere di urbanizzazione, primaria e secondaria.

È pacifico che l’infrastrutturazione del comprensorio “Pascolare” prevista dagli articoli 3 e seguenti della Convenzione non sia stata, nemmeno parzialmente, attuata.

Ne consegue che l’efficacia della Convenzione è venuta meno già a far data dall’11 febbraio 1980 per l’inutile decorso del termine stabilito dall’art. 12.

11.2. Tale conclusione risulta del tutto coerente con la disciplina vigente in materia.

Il piano di lottizzazione costituisce –ai sensi dell’art. 28 della legge urbanistica n. 1150 del 1942, come modificato dall’art. 8 della legge ponte n. 765 del 1967 - uno strumento urbanistico equiordinato al piano particolareggiato e ad esso sostanzialmente alternativo (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 6882 del 15 settembre 2010).

Il piano di lottizzazione assume innanzi tutto la valenza di piano urbanistico di attuazione, ossia di pianificazione di dettaglio, con la finalità di riservare essenzialmente le aree ed i tracciati per la viabilità e per le opere di interesse pubblico del nuovo insediamento non individuate già nello strumento generale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 15 marzo 1999, n. 286, e la giurisprudenza ivi richiamata)

Esso, inoltre, è piano esecutivo di urbanizzazione, costituente cioè, mediante il convenzionamento, un programma di realizzazione concreta delle relative opere per mezzo del pagamento di contributi o dell’esecuzione diretta delle opere stesse, e, altresì, mediante la cessione delle aree in tutto o in parte necessarie all’urbanizzazione.

Infine, è pre - concessione edilizia, in quanto nei piani di lottizzazione vengono, di norma, ad essere individuati elementi di maggiore dettaglio di quelli previsti dallo strumento urbanistico generale. L’esigenza della redazione di un piano di lottizzazione per la realizzazione di un insediamento edilizio lascia tuttavia integra la potestà pubblicistica del Comune in materia di disciplina del territorio e di regolamentazione urbanistica.

Circa la durata massima di efficacia dei piani di lottizzazione, la giurisprudenza è consolidata nel senso che esso vada mutuato dall’articolo 16, comma 5, della legge urbanistica (concernente i piani particolareggiati), rispondendo ad un preminente interesse pubblico non soltanto per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, ma anche per l’edificazione dei lotti.

Il disegno di fissazione di un termine di decadenza per le concessioni edilizie, diretto ad assicurare l’effettività e l’attualità delle nuove previsioni urbanistiche sarebbe infatti incompleto alla fonte se, prima del rilascio della concessione edilizia, le lottizzazioni convenzionate avessero l’efficacia di condizionare a tempo indeterminato, con l’affidamento dei suoi titolari, la pianificazione urbanistica futura.

In tale contesto le nuove scelte urbanistiche, contenute nella variante di P.R.G. con cui il Comune rivede direttive pregresse ed adegua le strutture territoriali esistenti, non sono impedite dall’affidamento riposto dal lottizzante sulla intangibilità della destinazione urbanistica delle aree oggetto di lottizzazione convenzionata (Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2021, n.301).

Esse, inoltre, non richiedono nemmeno una particolare motivazione allorché la perdita di efficacia della lottizzazione per scadenza del termine decennale abbia determinato il venir meno dei presupposti dello ius aedificandi e della posizione qualificata del lottizzante (ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 29 dicembre 2022, n. 11569; id., sez. IV, 19 luglio 2021, n.5385).

Il termine massimo di dieci anni di validità del piano di lottizzazione non è quindi suscettibile di deroga, neppure sull’accordo delle parti (Cons. Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2013, n. 5807).

Eventuali diverse pattuizioni risulterebbero nulle e sarebbero automaticamente sostituite, ex lege, dal termine legale (ex art. 1339, c.c.).

11.2.1. L’art. 28 della legge urbanistica dispone altresì che la convenzione debba necessariamente prevedere, tra l’altro “i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata l'esecuzione delle opere” di urbanizzazione (art. 28, comma 5, n.3).

A tale disposizione risulta pienamente conforme l’art. 12 della Convenzione del 1970, sopra richiamato.

Inconferente risulta invece la disposizione invocata dagli appellanti (“Il termine per l'esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario è stabilito in dieci anni a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, salvo che non sia stato previsto un termine diverso”).

Si tratta infatti di una norma transitoria, contenuta nel comma 9, conseguente alle previsioni recate dai commi 7 e 8 (nella versione vigente ratione temporis), non applicabile alla fattispecie.

11.3. Va precisato che la scadenza della convenzione di lottizzazione riguarda l’efficacia del regime urbanistico introdotto dalla convenzione e non anche gli effetti obbligatori che la stessa convenzione produce tra le parti.

In tal senso, l’art. 17, comma 1, della legge urbanistica stabilisce che “Decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”.

Tuttavia, ciò non significa che l’Amministrazione resti vincolata sine die alle scelte urbanistiche trasfuse nella convenzione, ma soltanto che le parti possono anche oltre il termine di scadenza suindicato esigere l’adempimento degli obblighi (p.es. di corresponsione di somme a titolo di oneri, di realizzazione di opere di urbanizzazione etc.) che la controparte si è assunta con la convenzione stessa.

La ratio della norma è diretta ad evitare che l’assetto urbanistico della zona resti in uno stato di permanente disordine e che la pianificazione resti parzialmente inattuata e l’edificazione incompleta rispetto alle previsioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 2022, n. 3976).

Ovviamente, ciò ha un senso se la convenzione abbia avuto almeno in parte attuazione.

Nella fattispecie ciò non è avvenuto, non potendo attribuirsi alcun rilievo alla cessione gratuita al Comune di un’area pari a 13.000 mq. destinata a verde pubblico.

Si tratta infatti di adempimento del tutto insignificante ove rapportato all’ampiezza e complessità delle opere di urbanizzazione che, ai sensi degli articoli 3 e seguenti della Convenzione, il principe Torlonia si era obbligato a realizzare.

Come ricordato dal T.a.r., è altresì irrilevante (ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione) stabilire se la mancata attuazione sia dovuta alla pubblica amministrazione o al privato lottizzante (Cons. Stato Sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4761).

Rileva esclusivamente il dato oggettivo della mancata attuazione del Piano.

11.4. Va soggiunto che. pur non essendovi la necessità di dotare la variante di una specifica motivazione, stante la scadenza della lottizzazione, la stessa si rinviene comunque nella Relazione allegata alla delibera n. 6 del 2004, che a sua volta richiama e fa propria la Relazione di accompagnamento al Piano adottato con la delibera n. 50 del 28 dicembre 2000, predisposta dall’ing. Passeri.

In tale documento – oltre a darsi atto della profonda evoluzione all’epoca in atto per quanto riguarda la legislazione in materia di ambiente e di paesaggio – si espongono le ragioni che hanno ispirato la ripianificazione delle zone del Pascolare Torlonia e della Villa Santa Caterina le quali “hanno sempre mantenuto, nel tempo, carattere di pascolo arborato” oltre ad essere considerate “sotto il profilo idrogeologico, le più importanti aree di ricarica idrica”.

Esse “costituiscono, insieme ai loro viali ed edifici, un insieme di alto valore paesistico riconosciuto da tutti gli strumenti di tutela. Si prevede di mantenere tale carattere favorendo la possibilità di riutilizzo delle costruzioni esistenti (esclusi gli edifici già restaurati) per un uso che comporti effetti sugli spazi aperti, compatibili e coerenti con l’obiettivo proposto. Il grado di intervento ammissibile (dalla manutenzione al restauro per gli edifici storici di valore superiore) sarà diverso in rapporto al diverso carattere storico – architettonico degli edifici. Si ribadisce il carattere conservativo degli interventi proposti, considerando non ammissibile alcuna alterazione delle volumetrie (soprattutto quelle storiche) con la valorizzazione dello straordinario “sistema del verde” esistente”.

Alle pag. 55 e ss. della delibera si dà poi atto che il PRG vigente “non è più adeguato alle esigenze della città e del territorio di Castelgandolfo”, sia in rapporto alle trasformazioni economiche e sociali, sia, in particolare, alla nuova “pianificazione paesistica elaborata attraverso il Piano territoriale paesistico n. 9 della Regione Lazio”.

11.5. La nuova destinazione impressa al comprensorio “Pascolare” costituisce, altresì, un vincolo conformativo, funzionale all’interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico, del tutto compatibile con la tutela del diritto di proprietà ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Primo Protocollo addizionale, art. 1.).

11.5.1. Al riguardo, va infatti ricordato che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha costantemente affermato che gli Stati hanno un “ampio margine di apprezzamento” nella scelta delle modalità di attuazione delle misure “ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale” (CEDU, 29 aprile 1999, Chassagnou e altri c. Francia [GC], nn. 25088/94, 28331/95 e 28443/95, § 75) ed ha precisato che essa può sempre “verificare che l’equilibrio richiesto sia stato mantenuto in maniera compatibile con il diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni, ai sensi della prima frase dell’articolo 1” (CEDU, 30 giugno 2005, Jahn e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, § 93).

La Corte, ad esempio, ha ritenuto conformi all’interesse generale le restrizioni apportate alla facoltà di costruire previste da uno strumento urbanistico per proteggere immobili aventi un valore storico, archeologico o culturale (cfr. CEDU, 13 maggio 2004, Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl c. Italia; CEDU, 24 gennaio 2006, Galtieri c. Italia; CEDU, 26 giugno 2007, Longobardi c. Italia; CEDU 26 giugno 2007, Perinelli c. Italia; CEDU, 15 gennaio 2013, Campanile c. Italia).

Inoltre, gli Stati contraenti hanno un “ampio margine di apprezzamento per condurre la loro politica urbanistica” e ben possono attribuire alle Amministrazioni il potere di pianificare il territorio, così limitando lo ius aedificandi “per ragioni di utilità pubblica precise e attuali” (CEDU, 17 ottobre 2002, s.r.l. Terazzi c. Italia, § 85; CEDU, 8 novembre 2005, Saliba c. Malta, § 45).

In assenza di una decisione manifestamente arbitraria o irragionevole la Corte europea ritiene altresì di non poter sostituire la propria valutazione a quella delle Autorità nazionali per quanto riguarda la scelta dei mezzi più idonei per ottenere i risultati perseguiti dalla politica urbanistica (CEDU, 3 marzo 2015, Scagliarini e altri c. Italia, § 20).

Essa ha inoltre più volte dichiarato manifestamente infondati i ricorsi proposti da chi abbia lamentato che l’Autorità urbanistica aveva conformato i suoi beni per ragioni di tutela “della natura o dell’ambiente” (Scagliarini c. Italia, cit., § 15) ed ha tenuto conto anche della circostanza che il proprietario abbia potuto continuare ad utilizzare il suo bene, pur se egli non sia stato soddisfatto nella sua pretesa di ottenere una diversa destinazione (CEDU, 17 settembre 2013, Contessa c. Italia, § 30).

12. Il secondo ordine di rilievi, sviluppato nel terzo mezzo dell’appello, riguarda il rapporto tra lo strumento urbanistico e la normativa paesistico – ambientale della Regione Lazio.

Gli appellanti hanno in particolare contestato le statuizioni del primo giudice contenute:

- a pag. 9, lett. g) laddove il T.a.r non ha ritenuto pertinente il richiamo all’art. 62, comma 6, NTA del PTPR Lazio che dispone che sono fatte salve le previsioni degli strumenti urbanistici attuativi approvati alla data di entrata in vigore della l.r. Lazio n. 24 del 1998 e non ancora decaduti;

- a pag. 9 lett. h) laddove il giudice di primo grado non ha considerato pertinente il richiamo alla delibera del Consiglio Direttivo dell’Ente Parco Regionale dei Castelli Romani n. 23 del 21 maggio 2009, avente ad oggetto “Piano del Parco – Adozione”, il quale prevede che “Sono fatte salve le previsioni di strumenti urbanistici attuativi, già definitivamente approvati alla data di entrata in vigore del Piano, nonché le previsioni di piani di lottizzazione già stipulate alla data di entrata in vigore del Piano”;

- alle pagine 10 – 11, lett. m., laddove il T.a.r. afferma che l’art. 8 l.r. Lazio n. 2/1984 istitutiva del Parco regionale dei Castelli Romani fa salva in via transitoria “l’edificazione prevista dalle norme di Piano” mentre nella specie la Variante non prevede alcuna possibilità di edificazione.

12.1. Premesso che, all’epoca dell’entrata in vigore delle suddette leggi regionali, la Convenzione del 1970 era già decaduta e che non vi era alcuna previsione urbanistica attuativa da “salvaguardare”, il Collegio rileva che gli appellanti prospettano in modo non corretto le reciproche interferenze tra le due tipologie di pianificazione.

12.2. La Sezione ha infatti più volte messo in luce (cfr., da ultimo, la sentenza n. 100 del 3 gennaio 2023), che in sede di adozione del P.R.G. il Comune può legittimamente introdurre vincoli o limitazioni di carattere ambientale.

L’art. 1, l. 19 novembre 1968, n. 1187 ha esteso infatti il contenuto del P.R.G. anche all’indicazione dei “vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico”, legittimando l’autorità comunale titolare del potere di pianificazione urbanistica a valutare autonomamente tali interessi e, nel rispetto dei vincoli già esistenti posti dalle Amministrazioni competenti, ad imporre nuove e ulteriori limitazioni.

Ne consegue che la sussistenza di competenze statali e regionali in materia di tutela di determinati ambiti territoriali storicamente qualificati e di pregio naturale non esclude che la tutela di questi stessi beni sia perseguita anche in sede di adozione e approvazione dello strumento urbanistico generale.

In tale caso, infatti, non si realizza alcuna duplicazione rispetto alla sfera di azione della pianificazione superiore o della legislazione di settore, in quanto il pregio del bene, pur se non sufficiente al fine di giustificare l’adozione di un provvedimento impositivo di vincolo paesaggistico in base alla considerazione atomistica delle caratteristiche del bene, viene valutato come elemento di particolare valore urbanistico e può quindi costituire oggetto di salvaguardia in sede di scelta pianificatoria (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 aprile 2013, n. 2265; cfr. anche Corte Costituzionale, sentenza n. 232 del 16 giugno 2005 ).

In tal senso, nella fattispecie, il T.a.r. ha quindi correttamente osservato – con specifico riferimento al Piano di assetto del Parco dei Castelli Romani, adottato in attuazione dell’art. 9 della l.r. n. 2 del 1984 - che “la variante di PRG del 2004 ha operato una scelta protettiva territoriale, con riferimento all’area di cui trattasi, autonoma, per ragioni ambientali discrezionalmente e liberamente apprezzate (come si evince dal citato riferimento al Pascolare Torlonia contenuto nella relazione al Piano, ove, pur condividendosi il valore paesistico riconosciuto da tutti gli strumenti di tutela, le ragioni della scelta pianificatoria conservativa sono autonomamente apprezzate, stante i cenni operati al carattere di “pascolo arborato” e al “valore idrogeologico”).

Non si è trattato, in sostanza, di un mero acritico e obbligato recepimento del Piano di Assetto del Parco ma del libero normale esercizio del potere di pianificazione territoriale da parte del Comune. Nello stesso art. 48 delle NTA lo stesso riferimento al valore delle disposizioni dei piani territoriali costituisce la mera registrazione di un dato obiettivamente valido ma la scelta pianificatoria operata dal Comune è libera e non costituisce affatto surrettizia estensione delle misure di salvaguardia dell’adottato Piano di assetto del Parco”.

12.3. Per la stessa ragione, non trova riscontro la tesi secondo cui il Comune avrebbe fatto discendere automaticamente l’inedificabilità dell’area dal carattere di “pascolo arborato”, che non sussisterebbe ai sensi della normativa regionale di tutela dei boschi (in particolare la l.r. n. 39 del 2002).

Va comunque osservato che, a prescindere dalla ricorrenza dei requisiti previsti dalla legislazione regionale in materia, l’area di cui trattasi risulta classificata nel PTP n.9 - Castelli Romani (approvato con la l.r. n. 24 del 1998), come “zona boscata non compromessa” e quindi sottoposta, per effetto del combinato disposto degli articoli 8 e 24 della NTA del PTP, alla stessa rigorosa disciplina di tutela prevista per i territori boscati.

13. Il terzo e ultimo ordine di questioni riproposto in sede di appello riguarda le domande volte a conseguire l’adempimento ovvero (in via subordinata), la risoluzione della Convenzione, oltre al risarcimento del danno.

13.1. Al riguardo, nessun rilievo può attribuirsi al “collegamento negoziale” che, secondo gli appellanti, avvince la Convenzione di lottizzazione del 1970 e l’Atto di “conciliazione” stipulato tra il principe Torlonia e il Comune di Castelgandolfo nel 1955.

In primo luogo, nessuna specifica domanda, relativamente a tale atto transattivo, è stata articolata dagli appellanti nel presente giudizio.

In secondo luogo, se è vero che la stipula della Convenzione del 1970 era conseguente agli obblighi assunti dal Comune in sede di “conciliazione”, la prima rimane un contratto ad oggetto pubblico, accessivo ad uno strumento urbanistico attuativo, la cui disciplina deve conformarsi alle disposizioni normative vigenti.

Eventuali pattuizioni contra legem sarebbero comunque nulle ovvero destinate ad essere sostituite dalle norme imperative applicabili, tra cui quelle relative al termine di efficacia del piano di lottizzazione e al contenuto necessario della convenzione accessiva.

13.2. Non hanno poi alcun fondamento le domande di adempimento e/o risoluzione, contenute nel terzo ricorso articolato in primo grado.

Esse infatti presuppongono, logicamente, la perdurante efficacia e vincolatività della Convenzione, che deve considerarsi invece decaduta già dal 1980.

13.2. Per quanto riguarda la domanda risarcitoria, la deduzione degli appellanti secondo cui la mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione, e conseguentemente la mancata attuazione del progetto urbanistico, sarebbe da imputarsi esclusivamente al Comune, è priva di idoneo supporto probatorio.

Essi, al riguardo, si sono limitati a richiamare la circostanza che il Sindaco, nel trasmettere la richiesta di autorizzazione presentata dal Consorzio Pascolare all’allora Ispettorato Ripartimentale delle Foreste ai fini del conseguimento del nulla osta sul progetto esecutivo delle opere idrauliche, allegò anche la delibera recante le osservazioni della Giunta del 9 aprile 1975, con cui veniva rappresentato che le opere progettate avrebbero distrutto la pineta ceduta a titolo gratuito dai Torlonia fin dal 1970, laddove il parere dell’Ufficio tecnico sarebbe stato, invece, favorevole.

È tuttavia agevole rilevare che il Comune non aveva alcun potere decisionale in materia e non era quindi in grado di condizionare la volontà delle Amministrazioni all’epoca competenti in ordine alla gestione dei vincoli paesistici e ambientali gravanti sull’area.

Di fatto, non risulta che le autorizzazioni in questione siano state mai rilasciate, né che il Consorzio si sia mai attivato per sollecitare la definizione del relativo procedimento.

L’attuazione della Convenzione si è di fatto arrestata nella fase iniziale e, dalla documentazione in atti, emerge che sono stati i lottizzanti a non adempiere, per fatto proprio, all’obbligo di progettare ed eseguire le opere di urbanizzazione.

È bene ricordare che tale adempimento era configurato dalla Convenzione come essenziale ai fini della realizzazione del progetto urbanistico in quanto condizione per il rilascio dei titoli edilizi (in tale senso cfr. l’art. 11, in precedenza richiamato).

13.3. Va infine ovviamente escluso che possa costituire inadempimento da parte del Comune la legittima adozione delle Varianti del 2000 e del 2004.

Il Comune ha peraltro esercitato i propri poteri di pianificazione urbanistica quando la Convenzione era ormai da tempo decaduta e quindi inidonea a fondare qualsivoglia forma di affidamento qualificato negli odierni appellanti.

14. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, n. 9947 del 2016, di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna gli appellanti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune di Castel Gandolfo, che liquida complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre IVA, CPA e spese generali al 15%, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Michele Conforti, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere

Paolo Marotta, Consigliere