Consiglio di Stato Sez. VII n. 4981 del 9 giugno 2025
Urbanistica.Difformità totali variazioni essenziali e difformità parziali

Si è in presenza di difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera 'diversa' da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera

Pubblicato il 09/06/2025

N. 04981/2025REG.PROV.COLL.

N. 04301/2022 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4301 del 2022, proposto da
Maria Luisa Antoniazzi, Erika Vanessa Silene Barlusconi, rappresentati e difesi dall'avvocato Francesco Basile, con domicilio eletto presso lo studio Nicoletta Mercati in Roma, via Conca D'Oro, 206;

contro

Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Lodovica Bognetti, Paola Cozzi, Giuseppe Lepore, Antonello Mandarano, Alessandra Montagnani Amendolea, Anna Maria Pavin, Maria Giulia Schiavelli, Elena Maria Ferradini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 02419/2021, resa tra le parti, che ha deciso il ricorso per l’annullamento dell'ordinanza di demolizione emessa dal dirigente dell'Area Sportello Unico per l'Edilizia – Unità monitoraggio del Territorio – Ufficio demolizioni d'Ufficio del Comune di Milano in data 28 aprile 2017 PG 198680/2017, notificata a mani in data 15 maggio 2017, avente ad oggetto “Via Schiavoni 2 – struttura abusiva realizzata sulla terrazza di copertura di pertinenza dell'unità abitativa individuata catastalmente al FG 578 part. 46, sub 51” .


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 giugno 2025 il Cons. Maria Grazia Vivarelli e uditi per le parti gli avvocati Francesco Basile; viste le conclusioni di parte appellata come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 30 giugno 1983 fu rilasciata a Barlusconi Pericle, in qualità di proprietario dell’immobile, l’autorizzazione edilizia n. 2309 del 30 giugno 1983 per la realizzazione di una serra/veranda sul terrazzo dello stabile individuato catastalmente al FG 578 part. 46, sub 51, sito in Milano, Via Schiavoni 2, poi realizzata conformemente al titolo edilizio.

2. Riferiscono le ricorrenti che nel 1994, a seguito di crollo della serra, a causa di una forte tempesta di neve provvedevano a ricostruirla con alcune modifiche rispetto al preesistente manufatto.

3. Il Condominio, sostenendo che tali modifiche avessero determinato una sopraelevazione non consentita dal Regolamento di condominio, avviava una causa nei confronti del sig. Pericle Barlusconi con atto di citazione notificato in data 14 giugno 1995. In primo grado, il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 393 del 1998 respingeva la richiesta del Condominio che veniva invece accolta dalla Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 1794 del 1999 la quale prevedeva la condanna del sig. Barlusconi alla demolizione della struttura presente sul terrazzo. La Corte di Cassazione, adita da quest’ultimo per il motivo che l’azione del Condominio era stata avviata e proseguita in violazione del litisconsorzio necessario in quanto non era stata coinvolta la signora Antoniazzi, comproprietaria del bene, annullava con la sentenza n. 12358/2002 la decisione della Corte d’Appello. Dopo l’annullamento, la causa veniva riassunta innanzi al Tribunale di Milano che

emanava la sentenza n. 4482 del 2006 con la quale il giudice ha accolto “la domanda proposta dal Condominio e, per l’effetto, ha condannato le parti Barlusconi ed Antoniazzi, in solido, a rimuovere, senza dilazione, l’opera in muratura realizzata sul terrazzo lastrico solare, ripristinando impermeabilizzazione e pavimentazione preesistenti (1994) e facoltizzando gli stessi a ricreare la

preesistente serra-veranda”. La predetta sentenza non veniva impugnata e diveniva così definitiva acquisendo forza di cosa giudicata.

4. In data 1 marzo 1995 i proprietari presentavano istanza di condono ex legge 724/94 per l’ampliamento della serra e la sua trasformazione ad uso abitativo. La domanda è stata negata con atto del 6 dicembre 1996, che veniva confermato con provvedimento in data 2 gennaio 2006 emesso a seguito di richiesta di riesame presentata in data 5 aprile 2006.

5. In data 12 ottobre 2009 l’ufficio demolizioni ha emesso nei confronti di Barlusconi Pericle ed Antoniazzi Maria l’ordine di demolizione della veranda.

6. L’ordinanza di demolizione non è stata eseguita, come risulta dal sopralluogo degli Uffici comunali svolto in data 27 settembre 2016 in esito al quale risulta confermata l’esistenza, sul terrazzo di pertinenza dell’unità abitativa sita in Via Schiavoni n. 2, di un “manufatto con tre pareti costituite da serramenti in alluminio e vetro di lunghezza di circa 3,55, 7,80 e 4,03 metri (la quarta è costituita dal vano scale condominiale), la copertura è costituita da una struttura in legno con soprastante tegole in laterizio, le altezze interne minima e massima interne sono di circa 2,48 e 2,80 metri. Lo spazio interno è costituito da un unico vano di circa 29,80 mq. di superficie, è dotato di impianto elettrico, di riscaldamento e di condizionamento, è arredato con mobilio vario ed è utilizzato come ampliamento dell’abitazione sottostante, cui è collegato tramite una scala interna”.

7. Considerato che le opere erano prive di titolo edilizio, il Comune con provvedimento in data 28 aprile 2017 (notificato il 15 maggio 2017) ne ordinava nuovamente la demolizione entro il termine di 90 giorni dalla notificazione alle attuali appellanti (essendo nel frattempo deceduto il signor Pericle Barlusconi).

8. Con ricorso al TAR Lombardia, Milano, notificato in data 12 luglio 2017 e depositato il 20 luglio successivo, Marialuisa Antoniazzi ed Erika Vanessa Silene Barlusconi in qualità di proprietarie dell’unità abitativa individuata catastalmente al FG 578 part. 46, sub 51, sita in Milano, Via Schiavoni 2 hanno impugnato l’ordinanza di demolizione della struttura abusiva realizzata sulla terrazza di copertura di pertinenza dell’unità abitativa individuata catastalmente al FG 578, part. 46, sub 51, emessa dal dirigente dell’Area Sportello Unico per l’Edilizia – Unità monitoraggio del Territorio – Ufficio demolizioni d’ufficio del Comune di Milano il 28 aprile 2017, PG 198680/2017, notificata a mani in data 15 maggio 2017.

8. Le ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della menzionata ordinanza di demolizione in primo luogo, per contrasto con gli artt. 31, 33 e 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, per erronea qualificazione della fattispecie sanzionatoria, per eccesso di potere nelle diverse figure sintomatiche del travisamento dei presupposti e dei fatti, per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione. Ulteriormente sono stati dedotti la violazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto le difformità riscontrate rientrerebbero fra le opere soggette a s.c.i.a., e l’eccesso di potere nelle sue diverse figure sintomatiche.

9. Con sentenza n. 2419/2021, il TAR Lombardia, Sez. II, ha rigettato integralmente il ricorso ritenendolo infondato con condanna alle spese di lite liquidate in E. 2.000 oltre accessori a carico del ricorrente.

10. Avverso la suddetta pronuncia, sono insorte le Sig.re Antoniazzi Maria Luisa e Barlusconi Erika Vanessa Silene, con atto d’appello notificato in data 2 maggio 2022 e depositato il 25 maggio 2022, a mezzo del quale hanno chiesto la riforma della pronuncia di prime cure ed il conseguente annullamento dell’ordinanza di demolizione gravata in primo grado articolando all’uopo tre motivi di censura.

11. In data 30 maggio 2022 si è costituito in giudizio il Comune di Milano che ha chiesto la reiezione del gravame. Inoltre, in data 2 maggio 2025, il Comune appellato ha altresì depositato memoria difensiva articolando eccezioni in fatto e in diritto ai motivi d’appello. Hanno replicato in data 13 maggio le appellanti.

12. La causa, chiamata per la discussione all’udienza telematica del 4 giugno 2025, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Avverso la predetta sentenza le odierne appellanti hanno articolato tre motivi di gravame.

2. Con il primo motivo di appello rubricato “Illegittimità della sentenza di primo grado per violazione di legge, erroneità, contraddittorietà, difetto di istruttoria ed insufficienza della motivazione relativamente all’unico capo concernente il rigetto del ricorso”, le appellanti lamentano che la sentenza sarebbe erronea in quanto non avrebbe tenuto in considerazione la situazione originaria rappresentata dalla presenza di un titolo edilizio abilitativo (ossia l’autorizzazione edilizia n. 2309 del 1983) che aveva consentito la realizzazione di una serra e rispetto alla quale sarebbe stato necessario valutare la presenza di difformità realizzative eventualmente da sanzionare - non già con la demolizione totale -, ma secondo la differente disciplina prevista dall’art. 37 del T.U. dell’Edilizia per le parziali difformità. Sarebbe erronea la ricostruzione del TAR laddove ha affermato che, in seguito alla demolizione della serra del 1983, non fosse possibile ripristinarla ritenendo quale unico stato legittimo preesistente il terrazzo. Le appellanti sotto tale profilo evidenziano che non si sia trattato di una demolizione, ma del crollo della struttura conseguente alla forte nevicata del 1994. Tale aspetto sarebbe rilevante ai fini della decisione in quanto costituisce il discrimine rispetto alla valutazione dell’abuso: se, infatti, era possibile ricostruire la serra del 1983, come previsto dalla norma citata, allora le difformità presenti ed accertate devono essere sanzionate come parziali ai sensi dell’art. 37 del T.U. dell’Edilizia, precludendo così l’inflizione delle sanzioni integralmente demolitorie contenute nel provvedimento del comune di Milano, oggetto di gravame.

L’argomento utilizzato nella sentenza di primo grado per escludere la possibilità di ripristinare la serra autorizzata nel 1983 - ossia l’intervenuta demolizione della stessa per essere sostituita con una costruzione abusiva ed il contestuale decorso del termine di tre anni per l’esecuzione dell’opera – risulterebbe smentito, ad avviso delle appellanti, dal diritto positivo che sancisce, in materia urbanistico-edilizia la facoltà di ricostruire immobili eseguiti in conformità, ma successivamente demoliti o crollati. L’art. 3, comma 1, del T.U. dell’edilizia - introdotto dall’articolo 30, comma 1, lettera a), del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98, vigente al momento della realizzazione dell’opera oggetto del provvedimento sanzionatorio emanato dal Comune di Milano e che comprende sia l’ipotesi di crollo che di demolizione – stabilisce che “costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

3. Con il secondo motivo rubricato “Illegittimità per contrasto con gli artt. 31, 33 e 34 del DPR n. 380/2001 per erronea qualificazione della fattispecie sanzionatoria ed eccesso di potere nelle sue diverse figure sintomatiche per travisamento dei presupposti e dei fatti. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione”, le appellanti sostengono l’illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per erronea qualificazione della fattispecie sanzionatoria ed eccesso di potere, in quanto il manufatto costruito in luogo della struttura demolita in forza della sentenza Tribunale Civile di Milano sez. VIII, 11 aprile 2006 n. 4482, poteva essere considerato solo parzialmente difforme dal titolo (l’autorizzazione edilizia n. 2309/83) e non completamente privo di titolo. L’ordinanza del Comune di Milano del 12 ottobre 2009, PG 760700/2009 (emanata a seguito del diniego del condono edilizio presentato dal sig. Pericle Barlusconi), con riferimento al manufatto esistente nel terrazzo/lastrico solare, ha ordinato testualmente di “demolire le predette opere abusivamente realizzate (ossia una veranda ad uso residenziale e costituente aumento di slp di circa 46mq) e ripristinare la situazione preesistente”. La situazione preesistente di cui si fa cenno nell’ordinanza non può che essere considerata la serra/veranda autorizzata in forza del titolo edilizio n. 2309 del 1983 e regolarmente eseguita. Quindi sarebbe errata la ricostruzione effettuata dal Comune di Milano che, nell’ordinanza oggetto di gravame, ha considerato le opere rinvenute sul terrazzo delle appellanti “prive di alcun titolo edilizio abilitativo” e qualificate, pertanto, come “nuova costruzione”. In ogni caso, sottolineano le appellanti, l’intervento di eliminazione del manufatto (abusivo) ed il ripristino della situazione preesistente sarebbe potuto avvenire comunque prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento edilizio che non prevede più la realizzazione di serre sui terrazzi (nel 1994 al posto della serra/veranda la Sig.ra Antoniazzi ha realizzato una costruzione in muratura di locali abitabili come accertato dal Tribunale civile di Milano). Per escludere l’applicazione del Regolamento Edilizio 2014 citano l’art. 151 secondo cui “le varianti, anche essenziali apportate ai titoli già validi ed efficaci alla data di entrata in vigore del presente Regolamento continueranno ad essere disciplinate dal previgente Regolamento edilizio fino alla definitiva conclusione dell’intervento che si avrà con la dichiarazione di fine lavori”.

4. Con il terzo motivo di appello rubricato “Illegittimità per violazione dell’art 37 del DPR n. 380/2001 in quanto le difformità riscontrate rientrano fra le opere soggette a SCIA. Eccesso di potere nelle sue diverse figure sintomatiche”, lamentano il fatto che il Comune abbia considerato il manufatto realizzato privo di titolo quando invece avrebbe dovuto contestare la realizzazione in difformità dal titolo, applicando l’art. 37 TUE. Ad avviso delle appellanti, l’illegittimità del provvedimento impugnato risiede sostanzialmente nell’erronea qualificazione dell’abuso, posto che la struttura di per sé trova la sua legittimazione nell’autorizzazione edilizia n. 2309/1983 in forza della quale è stato eseguito un manufatto il quale ha subito, in seguito, modifiche non autorizzate rispetto alle quali è stata correttamente emanata un’ordinanza di demolizione e riduzione in pristino nel 2009.

5. Le censure sono infondate.

5.1. In relazione al primo motivo d’appello, come correttamente rilevato dai giudici di prime cure “In origine, attraverso l’autorizzazione edilizia n. 2309/83 il Comune aveva assentito la realizzazione di una serra (all. 2 al ricorso), che tuttavia in seguito era stata sostituita da una veranda abusiva ad uso abitativo, oggetto di un provvedimento comunale di diniego di condono e di una successiva ordinanza di demolizione, datata 1° ottobre 2009 (all. 4 al ricorso”), cosicchè è evidente che la costruzione realizzata sul terrazzo non è quella oggetto dell’autorizzazione edilizia del 1983, ma un volume nuovo e diverso utilizzato come spazio abitativo, senza alcun titolo edilizio. Ciò comporta l’impossibilità di dare spazio all’invocata applicazione dall’art. 37 del T.U. dell’Edilizia per le parziali difformità, trattandosi di un’ipotesi diversa da quella contemplata dalla norma citata.

A tal proposito, il Cons. Stato, Sez. VI, 08/10/2024, n. 8072, ha condivisibilmente affermato che “Si è in presenza di difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera 'diversa' da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera”.

Quanto alla pretesa applicazione della facoltà di ricostruire immobili eseguiti in conformità, ma successivamente demoliti o crollati - prevista dall’invocato art. 3, comma 1, del T.U. dell’edilizia - introdotto dall’articolo 30, comma 1, lettera a), del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98, vigente al momento della realizzazione dell’opera e che comprende sia l’ipotesi di crollo che di demolizione -, deve ritenersi che la fattispecie qui in esame non rientra né nella ratio né nella disposizione della norma. Infatti, nel caso in esame, risulta che la serra, originariamente autorizzata e realizzata, sia stata sostituita da un nuovo intervento edilizio, completamente diverso per conformazione, strutturazione e funzione, da quello originario. E pertanto non può parlarsi di ripristino e ricostruzione, come previsto dalla legge (che stabilisce che “costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Inoltre, il Cons. Stato, Sez. VI, 18/01/2023, n. 616, ha stabilito, con orientamento cui il Collegio ritiene di aderire, che “Le previsioni di cui all'art. 30 del D.L. n. 69/2013 si applicano, come esplicitamente stabilito al comma 6 della norma medesima, "dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Di conseguenza, deve ritenersi che solo in relazione ad edifici crollati o demoliti in epoca successiva alla entrata in vigore della legge n. 98/2013, di conversione del D.L. n. 69/2013, è possibile che ne sia assentita la ricostruzione (non contestuale) come ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, come modificato dall'art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n. 69/2013. Quando la demolizione o il crollo di un edificio non sia seguita, nel medesimo contesto temporale, dalla ricostruzione dell'edificio, devono ritenersi opponibili all'interessato le previsioni, entrate in vigore in epoca successiva alla demolizione o al crollo, che precludano la realizzazione, sul relativo fondo, di nuove costruzioni o di nuovi volumi”.

Nella fattispecie qui in esame, la norma non risulta applicabile ratione temporis, essendo stata introdotta dall’articolo 30, comma 1, lettera a), del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98, mentre la ricostruzione sarebbe avvenuta, per diretta affermazione nel ricorso, nel 1994. Del resto, lo stato legittimo precedente era quello di un terrazzo libero da costruzioni poiché la serra è stata sostituita da una nuova costruzione del tutto abusiva. Il manufatto realizzato dalle appellanti non ha le caratteristiche di una serra, ma di un locale realizzato in ampliamento della abitazione sottostante (cui è collegato mediante una scala), senza alcun titolo edilizio.

5.2. Quanto al secondo motivo d’appello, osserva il Collegio che la lettura che l’appellante prospetta dell’ordinanza del Comune di Milano del 12 ottobre 2009, PG 760700/2009 (emanata a seguito del diniego del condono edilizio presentato dalla proprietà), con riferimento al manufatto esistente nel terrazzo/lastrico solare, che imponeva di “demolire le predette opere abusivamente realizzate (ossia una veranda ad uso residenziale e costituente aumento di slp di circa 46mq) e ripristinare la situazione preesistente” è inconferente e sfornita di coerenza logica e giuridica. La situazione preesistente richiamata nell’ordinanza non può che essere considerata quella precedente alla costruzione della serra/veranda autorizzata in forza del titolo edilizio n. 2309 del 1983, la quale, per effetto della nuova opera, non era più esistente.

A seguire la tesi delle appellanti, al più la serra autorizzata nel 1983 era stata demolita ed al suo posto è stato realizzato nel 1994 un manufatto completamente differente (per dimensioni materiali ed uso) e abusivo. Il titolo originario – autorizzazione per la realizzazione di una serra - non poteva legittimare, a distanza di oltre vent’anni, la ricostruzione della serra demolita, trattandosi di titolo ormai decaduto, che aveva esaurito i propri effetti.

Il Cons. Stato, Sez. II, Sentenza, 16/12/2024, n. 10092 ha ritenuto che “Le opere realizzate senza titolo abilitativo o con titolo decaduto, indipendentemente dalla loro natura temporanea o permanente, devono essere demolite in conformità all'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001. La caducazione automatica del titolo giustificativo deriva dalla cessazione dell'attività che ne rappresentava la causa concreta e ogni presunta sanatoria è esclusa in presenza di incompatibilità urbanistico-edilizia”.

Del resto, come correttamente osservato dai giudici di primo grado, la facoltà offerta alle appellanti dalla menzionata pronuncia civile di ripristinare l’opera originaria non poteva prescindere da un nuovo titolo edilizio che l’appellante non ha nemmeno richiesto, trattandosi di due ambiti diversi, l’uno – la causa civile e la connessa sentenza - inerente i rapporti tra privati, l’altro quelli con la pubblica amministrazione.

Né può trovare applicazione l’invocato art. 151 del Regolamento Edilizio 2014 secondo cui “le varianti, anche essenziali, apportate ai titoli già validi ed efficaci alla data di entrata in vigore del presente Regolamento continueranno ad essere disciplinate dal previgente Regolamento edilizio fino alla definitiva conclusione dell’intervento che si avrà con la dichiarazione di fine lavori”, posto che, al di là della categoria nella quale collocare l’intervento abusivo (nuova costruzione o variante essenziale) nessun titolo è stato richiesto, né può ritenersi che l’originaria autorizzazione fosse ancora valida ed efficace per i motivi già esposti.

5.3. Anche il terzo motivo d’appello può essere respinto, essendo reiterativo degli altri due già esaminati.

6. Conclusivamente, l’appello va respinto in quanto infondato. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate in E. 3.000,00 sono poste a carico delle appellanti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna le appellanti al pagamento delle spese di lite liquidate in E. 3.000 omnia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2025, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Giordano Lamberti, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Maria Grazia Vivarelli, Consigliere, Estensore