Cass. Sez. III n. 23189 del 23 maggio 2018 (Ud 29 mar 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Ferrante
Urbanistica.Sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione dell’abuso edilizio

Quando il giudice subordina la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, la sua valutazione, oltre a poter essere implicitamente espressa, può anche ricavarsi aliunde nella complessiva motivazione della sentenza, laddove questi abbia comunque espresso un giudizio di gravità del reato e di capacità a delinquere dell’imputato desunta attraverso i criteri specificati dall’art. 133 cod. pen. che l’art. 164 cod. pen. richiama.




RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 5/10/2017 ha parzialmente riformato la decisione in data 14/4/2016 del Tribunale di quella città, appellata dal Procuratore Generale e dall’imputata, subordinando il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive ed alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, confermando nel resto l’impugnata sentenza, che aveva riconosciuto Maria Domenica FERRANTE responsabile dei reati di cui agli artt. 44, lett. c), 93, 94, 95 d.P.R. 380\01 e 181 d.lgs. 42\2004, per aver eseguito in zona sismica, sottoposta a vincolo paesaggistico, lavori di costruzione di un manufatto, in ampliamento di preesistente, di m 3,30 X 4,40 X 2,70 h; di una tettoia di m. 10 X 4,70 X 2,70 h con battuto cementizio e pavimento piastrellato; copertura dei predetti manufatti con pannelli coibentati e rialzamento del muro di confine in pomice – cemento per m. 18 con altezze variabili da 40 ad 80 cm (in Capaci il 7/11/2013).
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che le risultanze dell’istruzione dibattimentale non avrebbero dimostrato la riconducibilità delle opere abusive alla sua persona, poiché, pur essendo proprietaria dell’area ove sono state eseguiti gli interventi edilizi abusivi, la sua presenza sul posto era meramente occasionale, essendovi stata convocata dal personale di polizia giudiziaria che stava eseguendo i controlli ed essendosi ella occupata dell’area fino alla presentazione di una istanza di condono edilizio.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce l’erronea datazione degli interventi da parte dei giudici del merito, effettuata senza tenere conto delle prove di segno contrario, anche documentali, offerte dalla difesa, che collocavano in epoca antecedente la data di interruzione dell’attività edilizia abusiva e dalle dichiarazioni di un teste (suo figlio) il quale aveva riferito che i lavori erano stati interrotti avendo appreso che non poteva essere conseguito il condono edilizio, che infatti la Regione Sicilia originariamente non ammetteva per le opere eseguite in area soggette a vincolo paesaggistico, tanto è vero che tale orientamento sarebbe stato solo recentemente mutato.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta l’eccessività della pena irrogata.

5. Con un quarto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi, rilevando l’insussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi della statuizione, considerata la scarsa rilevanza delle opere e  l’assenza di precedenti penali e carichi pendenti.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
    
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la Corte d'Appello ha operato una corretta valutazione dei dati fattuali acquisiti, facendo buon uso dei principi più volte affermati da questa Corte.
Occorre ricordare, a tale proposito, che tra i soggetti responsabili ai fini e per gli effetti delle norme sull'attività urbanistico – edilizia contemplati dall’articolo 29 del TU, quelle del titolare del permesso di costruire, del committente e del proprietario dell’area possono, in alcuni casi, essere in tutto o in parte sovrapponibili, nel senso che le diverse qualificazioni di titolare del permesso, committente e proprietario dell’area edificata abusivamente possono riguardare la stessa persona.
La disponibilità di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti è richiesta con riferimento al proprietario (o comproprietario) dell’area non formalmente committente e tali indizi sono stati individuati, ad esempio, nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest");  nei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario, nell'eventuale presenza "in loco" del proprietario dell’area durante l'effettuazione dei lavori; nello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; nella richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; nel particolare regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; nella fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione ed in tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Sez. 3 n. 35907 del 29/05/2008, Calicchia, non massimata, che riporta anche gran parte degli esempi sopra indicati e ampi richiami a precedenti pronunce. Conf. Sez. 3, n. 38492 del 19/5/2016, Avanzato, Rv. 26801401 Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261522; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 25669 del 30/5/2012, Zeno, Rv. 253065).
Si è ulteriormente precisato che ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato urbanistico occorre escludere l'interesse o il suo consenso alla commissione dell'abuso edilizio, ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione (Sez. 3, n. 33540 del 19/6/2012, Grilli, Rv. 253169).

3. Ciò posto, si osserva che i giudici del merito hanno compiutamente dato atto dell’avvenuto accertamento in fatto della sussistenza di alcuni tra gli elementi significativi individuati dalla menzionata giurisprudenza, che assumono decisivo rilievo anche tenendo conto, come ha fatto la Corte territoriale, del fatto che l’imputata non era stata trovata sul cantiere ma vi era stata convocata dai verbalizzanti.
Risulta infatti dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado che la ricorrente, oltre ad avere la disponibilità materiale e giuridica dell’area, essendone, appunto, la proprietaria, beneficiando quindi di quanto costruito in ragione dei principi dell’accessione, aveva personalmente provveduto alla presentazione di una istanza di sanatoria per condono edilizio per i manufatti dei quali le opere per cui è processo costituiscono ampliamento, dimostrando pertanto uno specifico interesse alla realizzazione dell’intervento.
La stessa ricorrente, inoltre, sostiene in ricorso che gli interventi sarebbero stati disposti dal defunto marito, ma una tale evenienza, che non può essere accertata in questa sede attraverso una autonoma valutazione delle emergenze processuali, sarebbe comunque dimostrativa del comune interesse alla realizzazione degli interventi abusivi.

4. Quanto alla datazione degli interventi, di cui tratta il secondo motivo di ricorso, va rilevato che la stessa costituisce accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità se assistito, come nel caso in esame, da motivazione scevra da cedimenti logici o manifeste contraddizioni.
In particolare, i giudici del gravame hanno dato atto del fatto che uno dei verbalizzanti aveva riferito della diretta constatazione, da parte sua, della presenza, sul cantiere, di materiale edile e tracce di recente lavorazione e che il primo giudice aveva valorizzato anche l’assenza di tracce di vetustà sui manufatti, desumibile dalla visione della documentazione fotografica in atti, tanto da ritenere che i lavori, seppure lentamente ed in maniera saltuaria, erano proseguiti fino alla data del sequestro.
La sentenza impugnata, inoltre, pone in evidenza che la presenza di lavori ancora in corso di esecuzione era altresì documentata dal verbale di sequestro, nel quale si dava atto della presenza di materiali e, ancora una volta, dalla diretta valutazione della documentazione fotografica, all’esito della quale i giudici del gravame rilevavano la presenza di muri non ancora definiti, con tracce di cemento fresco, nonché la presenza di materiali da costruzione ed attrezzature.
Alla luce di tali decisivi elementi la Corte di appello ha anche motivatamente escluso ogni rilievo delle dichiarazioni rese dai testi indotti dalla difesa, osservando come le stesse avessero avuto ad oggetto interventi diversi da quelli oggetto di contestazione, commissionati dal coniuge dell’imputata.
Altrettanto aveva fatto, peraltro, il Tribunale, osservando come uno dei testi (VICARI) si era limitato a riferire di aver collaborato con il defunto marito dell’imputata nel 2010, mentre l’altro (RAPPA, figlio dell’imputata, che vive in Sardegna) aveva affermato che le opere, comunque non completate, erano state eseguite in maniera saltuaria, senza tuttavia datarle con esattezza.
Le valutazioni effettuate dai giudici dell’appello appaiono, dunque, giuridicamente corrette ed adeguatamente motivate, perché fondate sulla diretta ed esaustiva disamina di dati fattuali, né possono essere in alcun modo inficiate dalla inammissibile valutazione alternativa prospettata in ricorso anche attraverso una altrettanto inammissibile riproduzione, peraltro parziale, di brani di disposizioni testimoniali.
Tali valutazioni risultano, peraltro, anche errate laddove attribuiscono rilievo alle dichiarazioni di un teste riferite alla pratica di condono edilizio avviata dalla ricorrente richiamando un non meglio precisato diverso orientamento dell’amministrazione regionale circa la condonabilità degli interventi edilizi in zona vincolata che la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente escluso (v. da ultimo, Sez. 3, n. 16471 del 17/02/2010, Giardina, Rv. 246759, nonché ex. pl. Sez. 3, n. 35222 del 11/4/2007, Manfredi e altro, Rv. 237373; Sez. 3, n. 38113 del 3/10/2006, De Giorgi, Rv. 235033; Sez. 4, n. 12577 del 12/1/2005, Ricci, Rv. 231315), confutando anche alcune posizioni dottrinarie divergenti che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle disposizioni menzionate (Sez. 3, n. 6431 del 12/1/2007, Sicignano ed altri, Rv. 237320) e trovando implicito riscontro nella giurisprudenza della Corte costituzionale (ordinanza n.150\2009).

5. Risulta poi infondato anche il terzo motivo di ricorso, avendo i giudici del merito dato conto del fatto che la pena individuata all’esito del giudizio di primo grado appare attestata poco al di sopra del minimo edittale, con applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione ed un minimo aumento per la continuazione, ritenendola pertanto adeguata alla gravità dei fatti accertati.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni del tutto sufficienti a giustificare un corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dall’articolo 133 cod. pen.  

6. Infondato risulta, infine, anche il quarto motivo di ricorso.
Occorre ricordare, a tale proposito, che è ormai pacificamente riconosciuta la possibilità, per il giudice penale, di subordinare l’applicazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
Tale possibilità, secondo un primo orientamento, confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 1 del 10/10/1987 (dep.1988 ), Bruni, Rv. 177318 ), non era originariamente ammessa. Tuttavia una successiva pronuncia delle medesime Sezioni Unite (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep. 1997), Luongo, Rv. 206659) ha fornito un condivisibile indirizzo interpretativo, ammettendo la legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione che appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (cfr.   Sez. 3, n. 32351 del 1/7/2015, Giglia e altro, Rv. 264252; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013 (dep.2014), Russo, Rv. 258517;  Sez. 3, n. 28356 del 21/5/2013, Farina Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/9/2007, Terminiello, Rv. 237825 ; Sez. 3, n. 18304 del 17/1/2003, Guido, Rv. 22471;  Sez. 3,  n. 4086 del 17/12/1999 (dep. 2000), Pagano, Rv. 216444 ).
Inoltre la presenza di un manufatto abusivo sul territorio rappresenta sempre e comunque una conseguenza dannosa e l'ordine di demolizione impartito dal giudice è previsto dalla legge, in quanto l’articolo 31 stabilisce, al nono comma, che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordini la demolizione delle opere se ancora non sia stata altrimenti eseguita. L’ordine giudiziale di demolizione, inoltre, ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell'autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (v. Sez. 3, n. 37120 del 11/5/2005, Morelli, Rv. 232172).
Il discorso non muta con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, cui pure può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 48984 del 21/10/2014, Maresca, Rv. 261164; Sez. 3, n. 38739 del 28/5/2004, Brignone, Rv. 229612; Sez. 3, n. 29667 del 14/6/2002, Arrostuto S, Rv. 222115; Sez. 3, n. 23766 del 23/3/2001, Capraro A, Rv. 219930).
Va peraltro osservato che, in altra occasione, una pronuncia di questa Corte ha ritenuto che il giudice del merito non può limitarsi a prendere atto della astratta possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’intervento abusivo, poiché l'esercizio discrezionale di tale facoltà deve essere effettuato (e necessariamente motivato) alla luce del giudizio prognostico di cui all'art. 164, cod. pen. e coniugarsi con la funzione special – preventiva dell'istituto, spiegando quindi perché si ritenga necessario porre l'esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché, altrimenti, verrebbe meno ogni differenza tra l'ipotesi, facoltativa, di cui all'art. 165 cod. pen., comma 1, e quella, obbligatoria, di cui all'art. 165 cod. pen., comma 2 (Sez. 3, n. 17729 del 10/3/2016, Abbate e altro, Rv. 267027).
Tale ultimo principio è stato seguito, senza ulteriori specificazioni, da successive pronunce (Sez. 3, n. 43576 del 30/09/2014, Principalli; Sez. 3, n. 30123 del 20/12/2016 (dep. 2017), Tuttoilmondo; Sez. 3, Sentenza n. 50767 del  08/11/2016, Schettino, tutte non massimate) mentre in altre occasioni la questione non è stata presa in considerazione, limitandosi a richiamare i principi precedentemente affermati e dei quali si è già dato conto (ex pl. Sez. 3, n. 55515 del 08/11/2017, Alfarano; Sez. 3, n. 52644 del 25/10/2017, Morsello Sez. 3, n. 45968 del 20/7/2017, Caputo; Sez. 3, n. 28712 del 19/04/2017, Imperato; Sez. 7,  n. 24390 del 05/04/2017, Giardina; Sez. 7, n. 20796 del 15/7/2016 (dep 2017), Minolfo; Sez. 3, Sentenza n. 6037 del 24/11/2016, (dep. 2017), Viola, Sez. 7, Ordinanza n. 15367 del 21/10/2016 (dep. 2017), Tranchina, tutte non massimate).
In altra pronuncia, invece, l’obbligo di specifica motivazione è stato espressamente escluso, ricordando come detta motivazione debba ritenersi implicita nella stessa emanazione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza ed in base al presupposto detto ordine ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera nei confronti dell'interesse tutelato (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), con la conseguenza che, quando il giudice del merito subordina la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, egli non fa altro che rafforzare il contenuto della statuizione accessoria, esaltando contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell'articolo 165 del codice penale finalizzata all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all'esecuzione dell'ordine di demolizione, circostanza che rende perciò il condannato immeritevole della sospensione condizionale della pena (così  Sez. 7, n. 9847 del 25/11/2016  (dep.2017), Palma, Rv. 269208. Conf. Sez. 3 n. 7283 del 9/2/2018, Mistretta non ancora massimata).
Il Collegio ritiene di dare continuità al principio appena richiamato, osservando come la sentenza 17729\2016 nell’affermare l’obbligo della motivazione in caso di subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive non tiene conto della possibilità di motivazione implicita quale quella di cui è appena detto e, richiamando la necessità di una giustificazione da effettuarsi “alla luce del giudizio prognostico di cui all'art. 164, cod. pen.” che deve “coniugarsi con la funzione special – preventiva dell'istituto”, non offre ulteriori elementi per individuare entro quale ambito argomentativo possa essere formularsi una esplicita prognosi positiva di non recidività.
Del resto, quando un simile giudizio è stato materialmente espresso, ciò è avvenuto facendo riferimento, ad esempio, alla “particolare spregiudicatezza" ed al "totale spregio per i beni giuridici protetti dalla fattispecie incriminatrice" manifestati dagli imputati, ritenendo quindi che solo con la subordinazione del beneficio si potesse realizzare una presa di coscienza del fatto e di conseguenza un effettivo ravvedimento (lo evidenzia Sez. 4, n.40713 del 19/04/2017, Chirico, non massimata, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto dalla sentenza n. 43576\2014, cit.), oppure riconoscendo soddisfatto l’obbligo di motivazione quando la subordinazione  condizionale della pena è giustificata “con l'esigenza di assicurare una efficace tutela al bene protetto e di incentivare la acquisizione della consapevolezza della illiceità delle condotte, anche allo scopo di dissipare ogni dubbio in ordine alla indispensabile prognosi positiva circa le future condotte dell'imputato” (Sez. 7, n. 14336 del 20/1/2017, Como, non massimata).
Tale valutazione, pertanto, oltre a poter essere implicitamente espressa nei termini di cui si è detto in precedenza, può anche ricavarsi aliunde nella complessiva motivazione effettuata dal giudice del merito, laddove questi abbia comunque espresso un giudizio di gravità del reato e di capacità a delinquere dell’imputato desunta attraverso i criteri specificati dall’art. 133 cod. pen. che l’art. 164 cod. pen. richiama.
Ciò è avvenuto nel caso di specie, ove la Corte di appello ha comunque adeguatamente motivato sul punto, in quanto, dopo aver formulato un giudizio di disvalore della condotta posta in essere dall’imputata, in considerazione della natura vincolata dell’area interessata dall’intervento edilizio abusivo, ha posto in evidenza come, in generale, la condizione apposta alla fruizione del beneficio non soltanto assicuri una efficace tutela del bene protetto, rafforzando la possibilità di rimediare al danno  provocato al regolare sviluppo dell’assetto del territorio, ma incentivi anche la presa di consapevolezza dell’illiceità di condotte peraltro assai diffuse ponendo in rilievo, riguardo ai fatti di causa, la circostanza che le opere abusive erano state realizzate in ampliamento di un preesistente immobile anch’esso abusivo, ancorché oggetto di domanda di sanatoria per condono edilizio.

7. La sentenza impugnata risulta, in definitiva, immune da censure e per tale ragione il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.  

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 29/3/2018