Cass. Sez. III n. 47680 del 29 novembre 2023 (UP 2 nov. 2023)
Pres. Ramacci Est. Di Stasi Ric.Malvaso
Urbanistica.Manutenzione straordinaria

La “manutenzione straordinaria” non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, ne' modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso, in quanto il l’ art. 3, comma 1, - lett. b) del D.P.R. n. 380 del 2001- con definizione già fornita dall’ art. 31, comma 1, - lett. b) l. n.457 del 1978,- ricomprende in tale nozione "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso". La legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 09/09/2022, il Tribunale di Palmi dichiarava Malvaso Antonino responsabile del reato di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 – per aver realizzato lavori in parziale difformità dal permesso di costruire n. 26/2017 e lo condannava alla pena di euro 4.000,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Malvaso Antonino, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 192, comma 3, cod.proc.pen. e 22 d.P.R. n. 380/2001.
Argomenta che il Tribunale aveva escluso che le variazioni rispetto al progetto originario presentato potessero essere qualificate come variazioni essenziali ai sensi dell’art. 31 dpr n. 380/2001, dando così atto che le difformità rilevate costituivano delle varianti leggere o minori, le quali, in base all’art. 22 d.P.R. n. 380/2001, possono essere realizzate con SCIA che può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori; la condanna era, dunque, ingiusta, in quanto l’imputato era ancora in tempo per sanare le difformità rilevate; inoltre, sussisteva anche la violazione del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, lett. b) e 22, comma 1 lett. a) del d.P.R. n. 380/2001, in quanto dopo il rilascio del permesso di costruire n. 26/2017 era stato rilasciato un secondo permesso di costruire, relativo ad un fabbricato adiacente a quello in contestazione, che prevedeva i fabbricati una volta ultimati dovevano apparire come un unicum, che prescriveva che il prospetto finale dovesse risultare unitario; si trattava, quindi, di interventi di manutenzione straordinaria, per i quali l’art. 22 cit richiedeva la sola presentazione della SCIA entro la data di ultimazione dei lavori.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 133 e 163 cod.pen, lamentando che il Tribunale aveva irrogato una sanzione sproporzionata ed inadeguata rispetto al fatto concreto, senza tener conto della complessità della vicenda e del difetto di dolo emergente dalle circostanze che l’imputato era munito delle prescritte autorizzazioni a costruire e delle relative autorizzazioni paesaggistiche e si era affidato ad un professionista che aveva ritenuto di agire nel rispetto della normativa di settore; pertanto, non poteva ritenersi l’obbligo motivazione con mero riferimento all’equità della pena; infine, le circostanze evidenziate avrebbero dovuto indurre il Tribunale a concedere ex officio il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va osservato che l'attività edilizia concretamente realizzata non può certamente ricondursi alla categoria della “manutenzione straordinaria”, che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, ne' modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso, in quanto il l’ art. 3, comma 1, - lett. b) del D.P.R. n. 380 del 2001- con definizione già fornita dall’ art. 31, comma 1, - lett. b) l. n.457 del 1978,- ricomprende in tale nozione "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso". La legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione.
Nella fattispecie in esame, invece, risulta accertato in punto di fatto che è stato posto in essere un intervento comportante un aumento della volumetria dell’immobile ed un mutamento della destinazione d’uso della porzione da adibire ad area parcheggio convertita in area residenziale (Cfr in fattispecie sovrapponibile a quella in esame, Sez.3, n.25017 del 23/03/2011, Rv.250602).
Né, inoltre, coglie nel segno il richiamo alla fattispecie della variante leggera o minore, del tutto avulsa dalla fattispecie in esame.
Va ricordato che le "varianti in senso proprio" - ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione - sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio rispetto a quello originario, mentre le "varianti essenziali" - ovvero quelle caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio iniziale rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001 - necessitano del rilascio di un nuovo permesso a costruire, del tutto autonomo rispetto a quello precedente, per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.
Caratteri peculiari presentano, poi, le c.d. "varianti leggere o minori in corso d'opera".
Le cd. "varianti leggere o minori", tali, cioè, da non incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificative della destinazione d'uso e della categoria edilizia e tali da non alterare la sagoma dell'edificio oltre che rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire, sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell'attività (ora SCIA) da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.  L’art. 22, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, - come modificato dal d.lgs. n. 301 del 2002 - prevede, infatti, che sono sottoposte a denuncia di inizio dell'attività (ora SCIA a seguito delle successive modifiche dell'art. 17, comma 1 lett. m) n. 1 del d.l. 12.9.2014 n. 133 conv., con modificazioni nella legge 11.11.2014 n. 164) le varianti a permessi di costruire che:- non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie;- non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia; -- non alterano la sagoma dell'edificio; non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire (cfr. Sez.3, n. 17516 del 30/10/2018, dep.24/04/2019, Rv.275596 – 01; Sez.3, n.41167 del 17/04/2012; Rv.253599 – 01; Sez. 3 24.3.2010 n.24236, Muoio ed altro, Rv. 247686, nonchè da ultimo Sez.3, n.30287del 2022, non massimata).
Nella specie, pertanto, non è ravvisabile la c.d. variante "leggera" in corso d'opera - assoggettata in base all’art. 22, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 a mera segnalazione certificata di inizio attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, con la conseguente penale irrilevanza rispetto al reato urbanistico - in considerazione degli abusi accertati (intervento comportante un aumento della volumetria dell’immobile ed un mutamento della destinazione d’uso della porzione da adibire ad area parcheggio convertita in area residenziale), posto che non rientrano nella disposizione normativa le difformità che incidono sulle volumetrie e modificano la destinazione d’uso. Queste ultime richiedono il permesso di costruire sicché il mancato previo rilascio del titolo in variante prima della esecuzione delle opere integra certamente gli estremi di reato contestato (cfr. Sez. 3, n. 41752 del 27/10/2010, Rv. 248702, che ha affermato che il permesso di costruire è necessario in caso di varianti in corso d'opera che comportino modifiche volumetriche tanto in aumento quanto in diminuzione, non essendo queste ultime assentibili, al pari delle prime, in base a mera denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22, comma secondo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (Sez.2,n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 del20/03/2013, Rv.256197); nella specie, il richiamo all’equità della pena, irrogata in misura di poco superiore alla media edittale, rende adempiuto l’obbligo motivazionale in ordine alla determinazione della pena base.
Quanto alla doglianza relativa alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, va ricordato che secondo l'orientamento di questa Corte, il giudice non è obbligato a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, né ad esaminare la questione, qualora l'imputato non abbia fatto espressa richiesta di applicazione del beneficio (così Sez. 3, n. 23228 del 12/04/2012, Giovanrosa, Rv. 253057; Sez. 6, n. 4374 del 28/10/2008, Maugliani, Rv. 242785); nella specie, come emerge dalla sentenza impugnata, alcuna richiesta in tal senso era stata avanzata dal difensore dell’imputato, onde alcun obbligo motivazionale s’imponeva al Tribunale.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Così deciso il 02/11/2023