Cass. Sez. III n. 33790 del 15 ottobre 2025 (UP 10 lug 2025)
Pres. Ramacci Rel. Andronio Ric. Mancini
Urbanistica.Elemento soggettivo dei reati edilizi

In materia urbanistica, il dolo o la colpa sono integrati dall'esecuzione cosciente dell'opera in violazione delle norme edilizie, e non occorre un intento fraudolento né una specifica consapevolezza dell'illiceità, essendo sufficiente la consapevolezza di compiere l'atto materiale costitutivo del reato, ossia l'abuso edilizio

RITENUTO IN FATTO 
1. Con sentenza del 21 maggio 2024, la Corte di appello di L'Aquila ha confermato - con parziale riforma limitata alla concessione del beneficio della non menzione - la decisione del Tribunale di Avezzano del 29 ottobre 2021, con la quale gli imputati erano stati condannati ciascuno alla pena di mesi 5 di arresto ed euro 15.000,00 di ammenda ciascuno, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonché con ordine di demolizione delle opere abusive, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera b) , del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per avere, in concorso tra loro, realizzato opere edilizie consistenti nella costruzione di una soletta in calcestruzzo e nell'installazione di un sovrastante box in metallo, in assenza del prescritto permesso di costruire, e in violazione delle disposizioni del piano regolatore generale del Comune di Cerchio, con riferimento, sia alle distanze minime tra fabbricati, sia alla destinazione urbanistica della zona.
Secondo l'imputazione, Mancini Mario aveva agito nella qualità di proprietario dell'area interessata dai lavori, a lui riconducibili, Mancini Juri era stato committente dei lavori, mentre Tuccieri, nella qualità di geometra progettista, aveva redatto e presentato una SCIA illegittima, proposta in luogo del permesso di costruire, unico titolo abilitativo legittimante l'intervento edilizio secondo la normativa urbanistica vigente.
2. Avverso la sentenza gli imputati, tramite i difensori, hanno proposto ricorsi per cassazione, chiedendone l'annullamento.
3. Il primo ricorso, a firma dell'avv. Pietro Chichiarelli nell'interesse di Tucceri, si compone di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, la difesa si duole della violazione degli artt. 3, lettera m) , delle norme tecniche di attuazione (NTA) del Comune di Cerchio e all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 2 aprile 1968, relativi alle distanze tra pareti finestrate. Nello specifico, la Corte di appello avrebbe fondato il proprio giudizio su una decisione del TAR de L'Aquila, con la quale era stato annullato il permesso in sanatoria per violazione delle distanze tra pareti finestrate che, a differenza di quelle dal confine, non sono derogabili da accordi tra privati. Per la difesa, tale disposizione urbanistica non sarebbe applicabile nel caso di specie, dal momento che non sarebbero presenti pareti finestrate. Inoltre, il permesso a costruire del confinante Cipriani Paolo Mario sarebbe da tempo decaduto, per cui eventuali pareti finestrate previste nel relativo progetto sarebbero da considerarsi ormai definitivamente non realizzate.
3.2. In secondo luogo, la difesa lamenta la violazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. in ordine alla mancanza dell'elemento soggettivo del reato contestato al ricorrente. Più precisamente, partendo dalla considerazione che l'opera era stata interamente realizzata sotto la validità della SCIA, annullata solo successivamente d'ufficio, la particolarità della fattispecie concreta escluderebbe la certezza sull'elemento soggettivo, invece ritenuto sussistente dalla Corte di appello.
3.3. Con una terza doglianza, il ricorrente lamenta vizi della motivazione in ordine alla conferma della statuizione civile, date l'asserita insussistenza del fatto di reato e la mancata lesione dei diritti soggettivi della parte civile. Nello specifico, con riferimento al danno patrimoniale, la difesa lamenta la carenza di elementi probatori e la mancanza di specifica deduzione nell'atto di costituzione di parte civile.
4. La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore e con l'unico atto, anche nell'interesse di Mancini Mario e Mancini Juri.
4.1. In primo luogo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 3, lettera n), delle NTA del piano regolatore comunale, nonché degli artt. 1027 e 1029 cod. civ.
In particolare, la difesa censura la decisione del Tribunale di primo grado nella parte in cui ha attribuito natura meramente obbligatoria, anziché reale, all'accordo stipulato tra Mancini Mario e Pietrolusti Paolo (quest'ultimo nonno della parte civile costituita) da un lato, e Antidormi Concetta e Paneccasio Giacomo Remo dall'altro, accordo con cui le parti convenivano la concessione di reciproche servitù di costruzione a confine. Secondo la prospettazione difensiva, la costruzione realizzata sul confine costituirebbe una legittima deroga alle NTA del Comune di Cerchio, in forza dell'accordo tra le parti; di conseguenza, il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere legittima la sanatoria delle opere, successivamente autorizzate mediante permesso di costruire rilasciato ex post.
4.2. Con un secondo motivo di doglianza, la difesa denuncia la violazione degli artt. 40 e 43 cod. pen., censurando la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del reato. In particolare, si osserva che la presenza di una convenzione per edificare a confine, unitamente al fatto che l'intervento edilizio era stato inizialmente assentito mediante SCIA, poi sostituita da un permesso di costruire successivamente annullato dal TAR, avrebbero dovuto escludere la configurabilità della colpa in capo ai ricorrenti. Secondo la prospettazione difensiva, la complessità delle questioni tecniche in materia edilizia non rientrerebbe nel bagaglio culturale dell'uomo medio, con la conseguenza che l'errore eventualmente commesso non sarebbe rimproverabile.
4.3. Con un terzo motivo di impugnazione, la difesa deduce la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In particolare, si censura la motivazione della Corte territoriale, la quale avrebbe omesso di indicare in modo adeguato le ragioni dell'esclusione, limitandosi a una valutazione generica e senza dare conto dell'eventuale insussistenza di elementi idonei a giustificare il riconoscimento del beneficio.
5. La parte civile ha depositato memorie, conclusioni scritte, nota spese.
6. La trattazione orale del procedimento, inizialmente fissata per il 10 aprile 2025, è stata rinviata all'udienza odierna per legittimo impedimento del difensore.
Le parti private non si sono presentate.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. I ricorsi sono inammissibili.
È necessario evidenziare come, nel caso di specie, ci si trovi dinanzi ad un caso di "doppia conforme", con conseguente possibilità di leggere congiuntamente le motivazioni dei due provvedimenti di merito (ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218). Pertanto, da una lettura unitaria delle due sentenze, emerge come la genesi ricostruttiva e cronologica della vicenda sia il frutto delle deposizioni testimoniali illustrate nella sentenza di primo grado e della loro rilettura in relazione alla deposizione della persona offesa.
Le asserzioni difensive si riducono - a fronte di questo quadro - ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex multis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
2. Tali considerazioni si attagliano pienamente alle doglianze proposte nell'interesse di ricorso di Tuccieri Giuseppe.
2.1. Con riferimento al primo motivo, va rilevato che questo verte sulla presunta inesistenza di pareti finestrate e sulla pretesa decadenza del permesso di costruire del vicino, circostanze, queste, che non scalfiscono in alcun modo la correttezza della decisione impugnata. È, infatti, pacifico in atti che gli imputati abbiano realizzato l'opera edilizia sulla base di una SCIA, pur trattandosi di intervento soggetto a permesso di costruire ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001, e che tale circostanza integra, di per sé, la violazione urbanistica sanzionata penalmente. La natura abusiva dell'opera è dunque acclarata sin dal momento della sua esecuzione e non può essere esclusa sulla base di valutazioni successive o di ipotetiche irregolarità urbanistiche del fondo confinante.
È altrettanto pacifico che i ricorrenti abbiano successivamente presentato istanza di sanatoria, a riprova della loro piena consapevolezza dell'assenza, all'epoca dei fatti, di un titolo edilizio valido. Tuttavia, il relativo permesso in sanatoria è stato annullato dal TAR; e tale annullamento esclude in radice qualsiasi 4 efficacia estintiva del reato. Le ragioni dell'annullamento, fondate sulla violazione delle distanze tra pareti finestrate, non rilevano in questa sede, dal momento che eventuali censure avverso la sentenza del TAR avrebbero dovuto essere proposte nelle forme proprie del giudizio amministrativo. Al momento della pronuncia della sentenza di appello, dunque, non sussisteva alcun titolo abilitativo valido a sanare l'abuso edilizio.
La difesa, nel tentativo di rimettere in discussione l'annullamento del permesso in sanatoria, introduce nel presente giudizio questioni estranee alla cognizione del giudice penale, quali l'effettiva presenza di pareti finestrate o la decadenza dei permesso del confinante, che attengono alla validità e legittimità del provvedimento amministrativo annullato. Si tratta di argomenti che - come già evidenziato - avrebbero dovuto essere dedotti innanzi al giudice amministrativo e che non possono essere surrettiziamente introdotti nel giudizio di legittimità penale.
2.2. Il secondo motivo di doglianza' formulato da Tucceri, relativo all'asserita assenza dell'elemento soggettivo del reato, può essere trattato congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione, al secondo motivo di ricorso proposto dai Mancini, anch'esso incentrato sulla medesima questione.
Si tratta di doglianze manifestamente infondate, perché, dalla semplice lettura della sentenza impugnata, emerge la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, pienamente integrata dalla condotta stessa degli imputati, che hanno pacificamente realizzato un intervento edilizio in assenza del necessario permesso di costruire, ricorrendo a una SCIA non idonea a legittimarlo. E la piena consapevolezza dell'illegittimità originaria dell'intervento è data dalla richiesta di sanatoria, poi annullata; mentre del tutto generiche sono le affermazioni difensive circa pretese difficoltà interpretative di un quadro normativo in realtà assolutamente chiaro. In materia urbanistica, il dolo o la colpa sono integrati dall'esecuzione cosciente dell'opera in violazione delle norme edilizie, e non occorre un intento fraudolento né una specifica consapevolezza dell'illiceità, essendo sufficiente la consapevolezza di compiere l'atto materiale costitutivo del reato, ossia l'abuso edilizio (ex multis, Sez. 3, n. 16802 del 08/04/2015, Rv. 263474).
2.3. Il terzo motivo di ricorso, inerente alla conferma relativa alle statuizioni civili, è inammissibile per genericità. Il ricorrente si limita ad affermare che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sul punto, ma non riporta né il contenuto esatto dell'atto di costituzione di parte civile né il tenore specifico delle doglianze proposte con l'atto di appello, rendendo il motivo carente sotto il profilo della specificità. Deve rilevarsi, in ogni caso, che la condanna al risarcimento del danno è stata pronunciata in via generica, con rinvio al giudice civile per la determinazione dell'ammontare, come consentito dall'art. 539, comma 2, cod. proc. pen.
3. Analogamente, devono ritenersi inammissibili i ricorsi di Mancini Mario e Mancini Juri 
3.1. Il primo motivo di doglianza muove da presupposti giuridici e fattuali irrilevanti rispetto alla fattispecie concreta oggetto di giudizio. In particolare, la questione relativa alla natura reale o obbligatoria dell'accordo intercorso tra le parti in ordine alla concessione di reciproche servitù aventi ad oggetto il diritto di costruire sul confine - e alla sua eventuale efficacia derogatoria rispetto alla normativa urbanistica locale - non assume alcuna incidenza decisiva nel caso in esame, che riguarda non già la distanza dal confine, bensì la violazione delle distanze minime tra pareti finestrate, come prescritto dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 2 aprile 1968 e dall'art. 3 delle NTA del piano regolatore del Comune di Cerchio.
La norma locale richiamata consente deroghe solo in caso di costruzione in aderenza ad edificio esistente, ossia a condizione che l'edificio del vicino sia effettivamente presente e che la nuova costruzione vi si appoggi materialmente.
Nel caso di specie - secondo la corretta ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito - tale requisito non risulta soddisfatto, e dunque il patto tra privati non può derogare validamente alle distanze minime previste dalle norme urbanistiche, che hanno carattere imperativo e non sono suscettibili di modifica convenzionale.
Tutto ciò, a prescindere dalla genericità della prospettazione difensiva quanto alla trascrizione dell'ipotizzata servitù, nonché all'efficacia reale e non obbligatoria di un accordo preso tra parti diverse e alla circostanza che il vicino costituito parte civile non avesse una parete finestrata e non fosse dotato di un valido titolo edilizio; circostanze tutte oggetto di mere asserzioni dei ricorrenti.
A ciò si aggiunge che l'intervento edilizio risulta essere stato realizzato in assenza del necessario permesso di costruire, essendo stato inizialmente assentito mediante SCIA non idonea a legittimare l'opera. Il successivo permesso in sanatoria, che avrebbe potuto, in astratto, estinguere l'illecito edilizio, è stato annullato con sentenza del TAR, che ha accertato la violazione delle norme sulle distanze tra pareti finestrate. E, come visto, le ragioni dell'annullamento operato dal giudice amministrativo, non sono contestabile in questa sede.
3.2. Il terzo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile, in quanto la difesa non indica quali elementi concreti sarebbero stati ignorati o fraintesi dalla Corte territoriale.
Infatti, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, l'incensuratezza dell'imputato non comporta automaticamente il riconoscimento delle attenuanti generiche, trattandosi di un elemento valutabile, ma non decisivo in sé, dovendo essere apprezzato unitamente al complesso delle circostanze del caso concreto (ex multis Sez. 3, n. 23298 del 12/01/2023, non mass.; Sez. 4, n. 32872 del 8/06/2022, Rv. 283489). Nel caso di specie, la Corte d'appello ha esercitato il proprio potere discrezionale in modo coerente con i criteri di legge, anche alla luce della modestia del trattamento sanzionatorio complessivo, che si colloca già su un livello contenuto e pienamente proporzionato alla gravità delle condotte.
4. Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
Nulla è dovuto per le spese di parte civile, non essendo il difensore della parte intervenuto alla discussione, fissata in presenza per l'udienza odierna. Deve infatti ricordarsi che, nel giudizio di cassazione con trattazione orale, non va disposta la condanna dell'imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l'allegazione di nota spese (S.U., n. 27727 del 14/12/2023, dep. 11/07/2024, Rv. 286581).

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/07/2025.