Cass. Sez. III n. 6428 dell’11 febbraio 2008 (Ud. 21 Nov. 2007)
Pres. Postiglione Est. Fiale Ric. Castrovinci
Urbanistica. Costruzione di un muro di contenimento in cemento armato

La costruzione di un muro di contenimento in cemento armato, a fronte della linea di battigia, già nella vigenza della legge n. 47/1985 era assoggettata a concessione edilizia, in quanto "attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale" ai sensi dell'art. l della legge n. 10/1977. Attualmente le categorie di interventi che comportano una "trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio" e che sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire sono definite dall’ art. 10 del T.U. n. 380/2001 e ricomprendono "gli interventi di nuova costruzione". La definizione delle opere di nuova costruzione è data, a sua volta, dall'art. 3, lett, e), dello stesso T.U., con indicazione di carattere residuale comprendente tutti quegli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non rientranti nelle categorie della manutenzione, del restauro o del risanamento conservativo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 28.2.2006, confermava la sentenza 27.4.2005 del Tribunale Monocratico di Patti, che aveva affermato la responsabilità penale di C. B. in ordine ai reati di cui:

- alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), (per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico e a una distanza dalla battigia inferiore a 150 metri, in assenza della prescritta concessione edilizia, la costruzione di un muro di contenimento in cemento armato - acc. in (OMISSIS));

- L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies (per avere eseguito i lavori anzidetti senza l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv.

cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva - condizionalmente sospesa - di giorni 40 di arresto ed Euro 15.000,00 di ammenda, con ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il C., il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:

- la prescrizione dei reati in applicazione delle disposizioni poste dalla L. n. 251 del 2005, poichè l'art. 159 c.p., comma 1, n. 3, come modificato da tale legge, dispone che, in caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento;

- la insussistenza dei reati medesimi, perchè:

- il muro di contenimento realizzato, "per le sue modeste dimensioni ed in quanto adibito a salvaguardia dai marosi" non sarebbe stato assoggettato al regime della concessione edilizia e per esso, infatti, era stata rilasciata l'autorizzazione di cui alla L.R. n. 37 del 1985, art. 5;

- la L.R. n. 78 del 1976, art. 15 prevede inoltre, che, entro i 150 metri dalla battigia, "sono consentiti opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare".


MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. I reati non erano prescritti al momento della pronuncia della sentenza impugnata (28.2.2006).

L'accertamento risale al 15.11.2000, sicchè la scadenza del termine massimo prescrizionale coinciderebbe con il 15.5.2005.

Va computata, però, una sospensione del corso della prescrizione, per complessivi anni 1, mesi 4 e giorni 25, in seguito a rinvii disposti su richiesta dell'imputato e del difensore dal 13.2.2002 all'8.7.2003 non per esigenze di acquisizione della prova nè a causa del riconoscimento di termini a difesa (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese).

Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 10.10.2006.

2. Manifestamente infondata è la doglianza riferita in ricorso al computo della prescrizione secondo i criteri dianzi applicati.

L'art. 159 c.p., comma 1, n. 3, nella nuova formulazione introdotta dalla L. n. 251 del 2005, dispone che "In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni".

La disciplina transitoria posta dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, prevedeva, però, testualmente "Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stessi si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione" e tra le "nuove disposizioni" alle quali si riferisce la norma devono ricomprendersi anche quelle che regolano il trattamento del reato continuato e la sospensione o la interruzione del corso della prescrizione (vedi Cass., Sez. 5^, 20.1.2006, Maggiorili ed altri).

La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 393 del 2006 - ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, anzidetto comma 3, limitatamente alle parole "dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè, eliminando esclusivamente il discrimine temporale riferito all'incombente di cui all'art. 492 c.p.p., ma considerando tuttavia ragionevole l'ancoraggio alla pronuncia di condanna in primo grado dell'eccezione al principio della retroattività della legge penale più mite.

Questa Corte Suprema, inoltre, ha affermato che la scelta legislativa di individuare nell'intervento di una sentenza di condanna il fatto ostativo alla efficacia retroattiva della "lex mitior" deve ritenersi ragionevole, anche alla luce delle statuizioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 393 del 2006, poichè essa salvaguarda il valore dell'efficienza del processo, evitando un sacrificio dell'aspettativa, costituzionalmente tutelata, della ragionevole durata, che implica che il processo, dopo una pronuncia di condanna, debba essere portato a conclusione e tutela i diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatali della funzione giurisdizionale (vedi Cass., Sez. 6^, 27.11.2006, n. 42189, Olivo).

Nella specie dunque ove la condanna di primo grado è stata pronunciata il 27.4.2005, cioè anteriormente alla data di entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251 trova applicazione la disciplina transitoria posta dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, sicchè - ai fini del computo dei termini di prescrizione - non si applicano le nuove disposizioni in tema di sospensione e di interruzione del corso della prescrizione medesima.

3. La costruzione di un muro di contenimento in cemento armato, a fronte della linea di battigia, già nella vigenza della L. n. 47 del 1985 era assoggettata a concessione edilizia, in quanto "attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale" ai sensi della L. n. 10 del 1977, art. 1.

Attualmente le categorie di interventi che comportano una "trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio" e che sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire sono definite dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10 e ricomprendono "gli interventi di nuova costruzione".

La definizione delle opere di nuova costruzione è data, a sua volta, dall'art. 3, lett. e), stesso T.U., con indicazione di carattere residuale comprendente tutti quegli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non rientranti nelle categorie della manutenzione, del restauro o del risanamento conservativo.

La L. 10 agosto 1985, n. 37, art. 5 della Regione Siciliana dispone al 1 comma (come modificato dalla L.R. 15 maggio 1986, n. 26, art. 5) che "l'autorizzazione del sindaco sostituisce la concessione per gli interventi di manutenzione straordinaria e di restauro conservativo, così come definiti dalla L.R. 27 dicembre 1978, n. 71, art. 20, per le opere costituenti pertinenze b impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti, per l'impianto di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo, per le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizioni di merci a cielo libero, per le demolizioni, per l'escavazione di pozzi e per le strutture ad essi connesse, per la costruzione di recinzioni, con esclusione di quelle dei fondi rustici di cui all'art. 6, per la costruzione di strade interpoderali o vicinali, nonchè per i rinterri e gli scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere".

Nella specie, però, il manufatto realizzato, di non irrilevanti dimensioni, ha una essenziale funzione di "salvaguardia dai marosi", secondo quanto enunciato in gravame dallo stesso ricorrente.

La L.R. Sicilia 12 giugno 1976, n. 78, art. 15 dispone, al comma 1, che: "Ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni:

a) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia; entro detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare, nonchè la ristrutturazione degli edifici esistenti senza alterazione dei volumi già realizzati... ".

Nella specie l'opera realizzata non è "destinata alla diretta fruizione del mare", poichè non si pone in alcun collegamento diretto con gli usi tradizionali di esso, ed è invece finalizzata al migliore godimento di una proprietà privata.

Entrambe le normative regionali dianzi citate, in ogni caso, non influiscono sul regime autorizzatorio a tutela del vincolo paesaggistico.

4. La inammissibilità del ricorso, infine, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati venuta a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).

5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte "abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.


P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille/00 Euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2007.