TAR Umbria Sez. I n. 274 del 4 maggio 2010
Rifiuti. Sottoprodotti mangimi
Appare evidente la inerenza dei sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la produzione di mangimi. E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via preventiva di destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi, ne garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a trattamenti o trasformazioni con finalità di risanamento di una materia originariamente non conforme. Anche la giurisprudenza penale, al fine di delineare l’ambito di operatività della nozione di rifiuto, ha chiarito che occorre distinguere tra “residuo di produzione”, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e sottoprodotto, caratterizzato dal certo riutilizzo del bene. La norma effettua dunque una tipizzazione del materiale di risulta di un processo di produzione, tale da renderlo riconoscibile come rifiuto o come sottoprodotto. Solamente la destinazione del sottoprodotto all’impresa produttrice di mangimi animali (che rientrano nella catena alimentare umana) consente il rigoroso rispetto degli obblighi previsti dalla normativa igienico-sanitaria esistente in materia, fornendo anche le garanzie di tracciabilità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00274/2010 REG.SEN.
 N. 00211/2009 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria
 
 (Sezione Prima)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 Sul ricorso numero di registro generale 211 del 2009, integrato da  motivi  aggiunti, proposto da:
 Splendorini Molini S.n.c., in persona del legale rappresentante pro  tempore  Armando Splendorini, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Giampietro,  con  domicilio eletto presso T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;
 contro
 - Provincia di Perugia, in persona del Presidente pro tempore,  rappresentata e  difesa dagli avv.ti Massimo Minciaroni e Chiara Valentini, con i quali è   elettivamente domiciliata in Perugia, via Palermo, 106;
 - Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio Servizio Gestione e  Controllo  Ambientale, in persona del dirigente pro tempore, non costituita in  giudizio;
 - Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e  difesa  dall’avv. Casimiro Iannotti, con il quale è elettivamente domiciliata in   Perugia, corso Vannucci n. 30;
 - Regione Umbria, Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali-Servizio  VI, in  persona del dirigente pro tempore, non costituita in giudizio;
 - A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle  Produzioni  Zootecniche, in persona del legale rappresentante pro tempore,  rappresentata e  difesa dall’avv. Vincenzo Bioli, presso il quale è elettivamente  domiciliata in  Perugia, via Cesarei n. 8;
 - Ministero Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Ministero  delle  Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona dei rispettivi  Ministri  pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura  distrettuale dello  Stato di Perugia, presso i cui uffici sono pure legalmente domiciliati,  alla via  degli Offici n. 14;
 - Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali -  Dipartimento  per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli  Alimenti,  Direzione Generale Sanità Animale e del Farmaco Veterinario Ufficio VII,  in  persona dei rispettivi dirigenti pro tempore, non costituiti in  giudizio;
 
 nei confronti di
 
 - Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, non costituita  in  giudizio;
 - Federalimentare - Federazione Italiana dell'Industria Alimentare, in  persona  del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
 
 per l'annullamento
 previa sospensione dell'efficacia,
 
 1) della nota della Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio,  Servizio  Gestione e Controllo Ambientale, prot. U- 0204470 del 16 marzo 2009,  avente ad  oggetto: “Notifìca della “nota esplicativa sull‘utilizzo dei  sottoprodotti  originati dal ciclo produttivo dalle industrie agroalimentari destinate  alla  produzione di mangimi” del Ministero del Lavoro, della Salute, e delle  Politiche  Sociali” ; 2) del verbale di ispezione del 12 marzo 2009, della A.S.L.  n. 1  Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni  Zootecniche,  presso la Regione Umbria, Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali,.   Servizio VI (Programmazione e Gestione degli interventi di Emergenza  Sanitaria,  Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare), in persona del dirigente pro   tempore; 3) della nota della A.S.L. n. 1, prot. 0008125 del 23 marzo  2009; 4)  della nota n. 509 - 12 gennaio 2009/DGSA - P, avente ad oggetto:  “trasmissione  “nota esplicativa sull‘utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo  produttivo  delle industrie agroalimentare destinate alla produzione di mangimi “,  del  Ministero del Lavoro e della Salute e delle Politiche Sociali,  Dipartimento per  la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli  Alimenti,  Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario,  Ufficio VII  (ex Ministero della Salute); 5) della “Nota esplicativa sull’utilizzo  dei  sottoprodotti originali dal ciclo produttivo delle industrie  agroalimentare  destinate alla produzione di mangimi”, del Ministero del Lavoro e della  Salute e  delle Politiche Sociali, Dipartimento per la Sanità Pubblica  Veterinaria, la  Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti e del Ministero delle Politiche   Agricole Alimentari e Forestali; Dipartimento delle Politiche Europee e  Internazionali; 6) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso  e  consequenziale.
 
 
 Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
 
 Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Perugia,  della  Regione Umbria, del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche  Sociali  e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, nonchè  della  A.S.L. n.1;
 
 Viste le memorie difensive;
 
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2010 il Cons.  Stefano  Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 La società ricorrente esercita dal 1978 l’attività di produzione di  mangimi per  allevamento di animali e strumentalmente a questa l’attività di raccolta  e  trasporto, stoccaggio, recupero rifiuti-scarti alimentari;  l’autorizzazione  all’impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi le è stata, da  ultimo,  rinnovata con determina provinciale in data 4 aprile 2007.
 
 Per quanto attiene agli aspetti igienico-sanitari, ha presentato, in  data 17  giugno 2008, istanza di registrazione ai sensi del regolamento CE n. 183  del  2005, con cui ha dichiarato di possedere i requisiti di cui agli  allegati II e  III dello stesso regolamento comunitario.
 
 In data 12 marzo 2009 si è svolto il sopralluogo della A.S.L. n. 1,  Settore  Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche,  conclusosi  con verbale di ispezione, in questa sede gravato, recante diffida  dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi origine per la produzione di  mangimi  nell’impianto di sua proprietà. La diffida è motivata mediante il  richiamo alla  nota esplicativa del Ministero del Lavoro, della Salute e delle  Politiche  Sociali del 12 gennaio 2009.
 
 Con tale “nota esplicativa sull’utilizzo dei sottoprodotti originati dal  ciclo  produttivo delle industrie agroalimentari destinate alla produzione di  mangimi”  gli scarti ottenuti nell’ambito di un processo di lavorazione presso  un’impresa  del settore alimentare e destinati alla produzione di mangimi vengono  ricondotti  nell’ambito della categoria dei sottoprodotti, ai sensi dell’art. 183,  comma 1,  lett. p), del d.lgs. n. 152 del 2006; ne consegue l’inapplicabilità  della  disciplina in materia di rifiuti, di cui alla parte IV dello stesso  “codice  dell’ambiente”. La nota esplicativa è anch’essa gravata e così pure la  nota  della Provincia di Perugia del 16 marzo 2009 che ne ha curato la  notificazione  alla ricorrente.
 
 Da tale “nota esplicativa” discende che «nel territorio nazionale non  possono  essere prodotti mangimi, nonché materie prime per mangimi, derivati dai  rifiuti».
 
 Occorre osservare che il comunicato del Ministero della Salute del 2002,  che la  nota esplicativa intende superare e sostituire, è stato dichiarato dalla  Corte  di Giustizia UE, con la sentenza 18 dicembre 2007, nella causa n.  195/05, non  conforme alla normativa comunitaria, proprio in quanto sottraeva  all’applicazione del regime dei rifiuti gli scarti alimentari originati  dall’industria agro-alimentare e destinati alla produzione di mangimi,  sulla  base di una presunzione generale ed astratta.
 
 Deve aggiungersi ancora che la Provincia di Perugia, con la già  richiamata nota  prot. U-0204470 del 16 marzo 2009, nell’esercizio del proprio potere di  autotutela, ha altresì riesaminato, mediante rinvio alla nota  ministeriale,  l’autorizzazione rilasciata alla Splendorini Molini, invitandola a  presentare  una nuova relazione tecnica al fine di ottenere il titolo autorizzativo  per la  parte concernente la gestione dei rifiuti, connessa con l’attività di  produzione  dei mangimi, ed imponendole di tenere distinte le due attività.
 
 Avverso i suindicati provvedimenti viene esperito il presente ricorso.
 
 In particolare, con riguardo alla “nota esplicativa” del Ministero del  Lavoro,  della Salute e delle Politiche Sociali deduce i seguenti motivi di  diritto :
 
 1) Violazione degli artt. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152  del  2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1,  lett.  a), della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5, della  direttiva n.  2008/98/CE; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità  manifesta.
 
 L’assunto del provvedimento ministeriale è dunque quello per cui gli  scarti  delle industrie agro-alimentari destinati alla produzione di mangimi  sono da  considerare, sempre e comunque, come sottoprodotti, e quindi non sono  rifiuti;  di qui la conseguenza che gli scarti alimentari non possono essere  trattati e  recuperati come materia prima per i mangimi.
 
 Dall’art. 183, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume  che il  primo elemento indiziante della definizione di rifiuto è l’inclusione  nelle  categorie elencate nell’All. A; l’elenco, peraltro, non è tassativo, ma  puramente esemplificativo. L’all. A, nella parte IV, del d.lgs. n. 152  del 2006,  alla voce Q1, fa riferimento ai “residui di produzione o di consumo in  appresso  non specificati”.
 
 Alla definizione di rifiuto ai sensi del predetto art. 183 concorre  anche la  considerazione per cui deve trattarsi di sostanza di cui “il detentore  si disfi  od abbia deciso od abbia l’obbligo di disfarsi”; secondo la  giurisprudenza  comunitaria la nozione del “disfarsi” deve essere individuata  dall’Autorità  competente, ovvero dal giudice nazionale, caso per caso, in relazione,  cioè,  alle circostanze del caso concreto.
 
 La stessa giurisprudenza comunitaria ha invece individuato, quali  caratteri  della nozione di sottoprodotto, derogatoria rispetto a quella generale  di  rifiuto, i seguenti requisiti : a) il riutilizzo certo e quindi a tempo  prestabilito della materia/sostanza; b) l’assenza di previo trattamento,   qualificabile come recupero ovvero che ne modifichi le caratteristiche  qualitative originarie; c) il vantaggio economico per chi commercializza  o  sfrutta il materiale; d) l’assenza di danni alla salute o all’ambiente.
 
 Occorre dunque ritenere che i residui di produzione, di regola, sono da  classificare come rifiuti, a meno che non siano riconducibili nella  categoria  dei sottoprodotti, la cui definizione va oggi rinvenuta nell’art. 183,  lett p),  del d.lgs. n. 152 del 2006.
 
 Ne consegue che la riconducibilità di una sostanza nella categoria dei  sottoprodotti deve avvenire caso per caso, e non può esservi alcuna  presunzione  ex lege di esclusione dalla nozione di rifiuto di residui provenienti da   attività produttive.
 
 Al contrario, nel caso di specie, i residui dell’industria alimentare  sarebbero  da individuare comunque come sottoprodotti, difformemente da quanto  affermato  dalla Corte di Giustizia con la sentenza 18 dicembre 2007, in causa  C-195, che  ha dichiarato l’illegittimità comunitaria del comunicato del Ministero  della  Salute del 2002 (sostituito dall’impugnata nota esplicativa) che aveva  escluso  gli scarti alimentari destinati a mangimi dal regime nazionale di  gestione dei  rifiuti, introducendo una deroga troppo generale alla disciplina di cui  alla  direttiva 75/442/CE.
 
 2) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152  del 2006,  dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 3, comma  1,  della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183/05, del  regolamento CE  n. 178/2002; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità  manifesta.
 
 Le conclusioni della nota esplicativa sono dunque in contrasto con le  disposizioni comunitarie e nazionali che definiscono la nozione di  rifiuto e di  sottoprodotto, riferendola ad un giudizio caso per caso, sulla base di  una  verifica dell’Autorità competente sui presupposti della nozione di  sottoprodotto, ma esse contrastano anche con le norme comunitarie in  materia di  igiene dei mangimi.
 
 Ed infatti le norme del regolamento n. 183/05 hanno ad oggetto sostanze  già  utilizzabili come mangimi o divenute mangimi, e pertanto non possono  ritenersi  applicabili anche agli scarti alimentari, da classificare come rifiuti,  destinati alla produzione degli stessi mangimi, se ed in quanto tale  produzione  sia stata “autorizzata” secondo un processo di “recupero” degli  originari  rifiuti-scarti alimentari, nel rispetto dei requisiti igienico sanitari  di  produzione dei mangimi.
 
 Occorre evidenziare che la disciplina in materia di trasporto dei  rifiuti  garantisce, comunque, attraverso il formulario di identificazione, la  rintracciabilità di tali sostanze, vale a dire la provenienza delle  medesime da  un determinato produttore, prevista come principio generale dall’art. 18  del  regolamento CE n. 178/02 e dal regolamento CE n. 183/2005. Ciò comporta  che  l’applicazione delle norme in materia di trasporto dei rifiuti consente  di  perseguire i medesimi obiettivi delle disposizioni igienico-sanitarie  relative  ai mangimi, con conseguente infondatezza delle osservazioni contenute  nella  (pure gravata) nota del Direttore Generale del Ministero n. 509 del  2009, di  accompagnamento della “nota esplicativa”, secondo cui l’applicazione  delle  disposizioni in materia di trasporto di rifiuti agli scarti alimentari  comporterebbe gravi rischi per la salute.
 
 Si aggiunga che gli impianti di recupero dei residui alimentari sono  autorizzati  ai sensi degli artt. 208 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 e nel’ambito  di tale  procedimento sono valutati, oltre all’impatto ambientale dell’impianto,  anche  gli aspetti igienico-sanitari.
 
 Con riferimento, poi, alla nota della Provincia di Perugia prot.  U-0204470 del  16 marzo 2009 ed al verbale di ispezione della A.S.L. n. 1, Settore  Veterinario,  del 12 marzo 2009, la società ricorrente deduce l’illegittimità in via  derivata  dalla illegittimità delle presupposte nota esplicativa ministeriale e  nota di  trasmissione del 12 febbraio 2009, ed inoltre i seguenti ulteriori vizi  propri :
 
 3) Violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, nell’assunto che è   mancata qualsivoglia comunicazione di avvio del procedimento conclusosi  con  l’annullamento dell’autorizzazione al recupero degli scarti alimentari  n. 3015  de 4 aprile 2007, senza che siano stati evidenziati profili di urgenza  qualificata.
 
 4) Violazione dell’art. 21 novies della legge n. 241 del 1990; eccesso  di potere  per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per irragionevolezza  ed  illogicità manifesta.
 
 La nota provinciale gravata costituisce il riesame, non adeguatamente  motivato,  di un atto precedentemente rilasciato, in assenza dei presupposti  indicati dalla  norma di cui all’art. 21 nonies della legge generale sul procedimento  amministrativo, non essendo, in particolare, stato considerato  l’affidamento  della ricorrente, che ha sostenuto, tra l’altro, ingenti spese per  l’adeguamento  del proprio impianto alle disposizioni sanitarie ed ambientali di  settore.
 
 5) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché  per  irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.
 
 Gli atti impugnati determinano inoltre illegittimi vantaggi per le ditte   concorrenti, che godono della presunzione generale e astratta in base  alla quale  i residui alimentari non sono rifiuti, e quindi anche in assenza di una  verifica  del caso concreto, ritenuta, al contrario, necessaria dalla  giurisprudenza  comunitaria.
 
 6) Violazione dell’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 183  comma 1,  lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della  direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva  2006/12/CE,  dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE  n. 183  /05, del regolamento CE n. 178/02; eccesso di potere per illogicità  manifesta.
 
 L’A.S.L. n. 1, con il verbale del 12 marzo 2009, ha prescritto, tra  l’altro,  alla ricorrente di approvigionarsi delle “materie prime introdotte come  prodotti  o sottoprodotti dell’industria alimentare” «esclusivamente da fornitori  registrati ai sensi del regolamento CE n. 183/05 - ricevere tali matere  prime a  mezzo di trasportatori registrati come tali ai sensi del regolamento CE  n.  183/05».
 
 Oltre a richiamare quanto precedentemente osservato circa le nozioni di  rifiuto  e sottoprodotto ed in materia di igiene dei mangimi, che non contemplano   specifiche previsioni in materia di trasporto dei residui alimentari,  occorre  aggiungere che la ricorrente predispone, per ogni lotto di produzione,  una  scheda dove vengono riportati nel dettaglio i componenti di tutte le  materie  utilizzate e dalla quale si può individuare la provenienza delle  forniture che  costituiscono il lotto stesso, e ciò a garanzia della rintracciabilità  dei  materiali utilizzati per la produzione dei mangimi.
 
 7) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152  del 2006,  dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett.  a),  della direttiva 91/156/CE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva  2006/12/CE,  dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE; eccesso di potere  per  difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per illogicità  manifesta.
 
 E’ altresì illegittima la prescrizione, contenuta nel verbale della  A.S.L. n. 1  in data 12 marzo 2009, che impone alla ricorrente di «effettuare  adeguata  separazione della attività di produzione mangimi dalla attività di  stoccaggio e  cernita dei rifiuti per la produzione del prodotto liquido o solido  destinato  alla biodigestione od altri usi industriali ed energetici alternativi  esterni»,  in quanto presuppone, ancora una volta, l’erronea affermazione che, ai  fini  della produzione di mangimi, non possono essere utilizzati rifiuti (i  quali  potrebbero servire solamente per la biodigestione od altre attività di  recupero  energetico).
 
 Si sono costituiti in giudizio la Regione Umbria, il Ministero del  Lavoro e  della Salute, nonché il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e   Forestali, la Provincia di Perugia e la Azienda Sanitaria Locale n. 1  chiedendo  la reiezione del ricorso.
 
 Con i primi motivi aggiunti la Splendorini Molini S.n.c. ha impugnato la  nota  A.S.L. prot. n. 0010877 del 24 aprile 2009, avente ad oggetto  “osservazioni  relative a Manuale del Piano di Autocontrollo della ditta”, deducendone  l’illegittimità derivata dai provvedimenti impugnati con il ricorso  principale,  e richiamando le censure dedotte in quella sede, oltre che i seguenti  vizi-motivi propri :
 
 8) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152  del 2006,  dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett.  a),  della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5, della direttiva n.   2008/98/CE; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità  manifesta.
 
 La nota gravata conferma le conclusioni del verbale ispettivo del 12  marzo 2009,  il quale, nel diffidare la ricorrente dall’utilizzare rifiuti di  qualsiasi  origine per la produzione di mangimi nell’impianto di sua proprietà, ha  acriticamente recepito le note ministeriali contestate con il ricorso  principale, in particolare con il primo motivo, alla cui esposizione,  per  brevità, si fa rinvio.
 
 9) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152  del 2006,  dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 3, comma  1,  della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183/05, del  regolamento CE  n. 178/2002; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità  manifesta.
 
 Le allegazioni sviluppate nel secondo motivo del ricorso principale, e  che si  intendono qui richiamate, valgono ad evidenziare l’illegittimità  dell’impugnata  nota che ha imposto alla Splendorini l’osservanza della prescrizione  secondo cui  «nella stesura del manuale tutte le parti che riguardano  l’approvvigionamento  delle materie prime riconducibili a “rifiuti” devono essere riviste alla  luce  delle prescrizioni fornite con verbale ispettivo del 12 marzo 2009 dallo   scrivente Servizio, con particolare riferimento alle procedure di  selezione dei  fornitori adottate», in quanto sono fondate sull’erroneo presupposto che  i  residui alimentari sono da considerare sottoprodotti e non rifiuti.
 
 10) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione,  nonché per  irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.
 
 Assolutamente generica appare la prescrizione sub 3), atteso che i punti  critici  del processo di fabbricazione sono stati dettagliatamente indicati nel  Manuale  di autocontrollo predisposto dalla ricorrente nel rispetto di quanto  previsto  dall’art. 6 del regolamento CE n. 183/05.
 
 Irragionevole ed illogica è poi la prescrizione sub 5), in quanto  l’attività  dell’impresa ricorrente si svolge nel rispetto delle disposizioni di  settore,  che impongono ai produttori di mangimi di garantire l’obiettivo della  rintracciabilità dei mangimi e delle materie utilizzate per la loro  produzione.  Allo scopo, la ricorrente predispone un elenco dei fornitori e conserva i   documenti di trasporto; gli scarti alimentari vengono poi indicati  nell’apposito  “registro di scarico/carico rifiuti”. Per i mangimi in uscita, poi, la  società  ricorrente predispone, per ogni lotto di produzione, una scheda che  garantisce  la rintracciabilità dei materiali utilizzati per la produzione di  mangimi, in  osservanza delle disposizioni sanitarie di settore.
 
 Mai contestazione alcuna è stata effettuata dalla Azienda sanitaria; ed  anzi, in  sede di controllo, è sempre emersa la regolarità della gestione  dell’impianto,  anche dal punto di vista igienico-sanitario.
 
 11) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione,  nonché per  irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.
 
 L’atto impugnato è inoltre illegittimo determinando illeciti vantaggi  per le  ditte concorrenti, che godono della presunzione generale ed astratta in  base  alla quale i residui alimentari non sono rifiuti, anche in asenza di una   verifica del caso concreto.
 
 Con un secondo atto di motivi aggiunti vengono impugnate la  determinazione  dirigenziale prot. n. 6998 del 28 luglio 2009 della Provincia di  Perugia, avente  ad oggetto la modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto  per il  recupero di rifiuti speciali non pericolosi, nella parte in cui  statuisce «1- di  confermare per quanto non specificato e/o modificato dal presente atto,  tutte le  condizioni e le prescrizioni contenute nella determina dirigenziale n.  3015 del  4 aprile 2007; 2- confermare l’inibizione alla produzione di mangimi da  rifiuti», nonché la determinazione prot. n. 6935 del 24 luglio 2009, di  identico  contenuto ed oggetto, non espressamente revocata dalla successiva  determina prot.  n. 6998 del 28 luglio 2009.
 
 In sintesi, con tali provvedimenti la società esponente è autorizzata  alla  produzione dall’attività di recupero dei rifiuti di materie prime  secondarie per  la produzione di biogas, ma resta confermata l’inibizione alla  produzione di  mangimi da rifiuti.
 
 Deduce l’illegittimità di tali provvedimenti in via derivata  dall’invalidità  degli atti impugnati con il ricorso principale e con i primi motivi  aggiunti,  nonché il seguente ulteriore motivo :
 
 12) Violazione del regolamento CE n. 767/2009 del 13 luglio 2009, nonché  della  decisione della Commissione 2004/217/CE.
 
 L’interpretazione fornita dalle note ministeriali impugnate con il  gravame  principale, e fatta propria dalle determinazioni dirigenziali  provinciali,  oggetto anche dei motivi aggiunti, che ribadiscono il divieto della  produzione  di mangimi dai rifiuti, appare infondata anche alla luce del  sopravvenuto  regolamento n. 767 del 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del  13 luglio  2009 “sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi”, ed il cui  obiettivo è  quello di garantire “un elevato livello di protezione della salute  pubblica”.  Tale regolamento ha proceduto all’abrogazione della decisione della  Commissione  2004/217/CE, che già prevedeva l’elenco dei materiali, la cui immissione  sul  mercato ai fini dell’alimentazione animale è vietata, includendo tale  elenco  nell’allegato III del medesimo regolamento.
 
 In particolare, l’art. 6 del regolamento stabilisce che «i mangimi non  contengono o non sono costituiti da materiali la cui immissione sul  mercato o il  cui uso ai fini dell’alimentazione animale sono soggetti a restrizioni o   vietati. L’elenco di tali materiali figura nell’allegato III».
 
 In tale elenco non sono contemplati i rifiuti alimentari che la  ricorrente  avrebbe intenzione di utilizzare ai fini della produzione di mangimi.
 
 Trova dunque conferma il principio secondo cui non è vietata la  produzione di  mangimi dagli scarti alimentari, intesi come rifiuti alimentari, a patto  che  vengano sottoposti ad attività di recupero, autorizzata ai sensi della  disciplina sui rifiuti.
 
 Giova ancora evidenziare che il punto 7 dell’allegato III del citato  regolamento  esclude solamente la liceità dell’impiego di materiali per la produzione  di  mangimi, costituiti da “imballaggi e parti di imballaggio provenienti  dall’utilizzazione di prodotto dell’industria agroalimentare”; in altri  termini,  il regolamento vieta l’utilizzo dei soli imballaggi provenienti  dall’industria  alimentare, in quanto nocivi per gli animali, ma non vieta l’utilizzo  dei  rifiuti dell’industria alimentare, che vanno separati dai rispettivi  imballaggi.
 
 Ciò significa che lo scarto alimentare può essere riutilizzato come  mangime per  animali previa attività di recupero, diretta a rimuovere in toto gli  imballaggi  (carta, cartone, plastica) che avvolgono imedesimi residui.
 
 All’udienza del 27 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta in  decisione.
 DIRITTO
 1. - La presente controversia concerne la legittimità della riconduzione  degli  scarti ottenuti nel ciclo di lavorazione effettuato presso le industrie  del  settore agro-alimentare, e destinati alla produzione di mangimi,  nell’ambito  della categoria dei sottoprodotti, con conseguente inapplicabilità della   disciplina propria dei rifiuti, e contestuale applicazione dei  regolamenti CE n.  183/2005 e n. 178/2002, concernenti la specifica disciplina  igienico-sanitaria  propria dei mangimi.
 
 In particolare, tale assunto è esplicitato nella “nota esplicativa  sull’utilizzo  dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo dalle industrie  agroalimentari  destinate alla produzione di mangimi” adottata dal Ministero del Lavoro,  della  Salute e delle Politiche Sociali, d’intesa con il Ministero delle  Politiche  Agricole Alimentari e Forestali, e nella nota (di accompagnamento) della   Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco  Veterinario-Ufficio VII  prot. n. 509 del 12 gennaio 2009. Quest’ultima specifica che,  conseguentemente,  «nel territorio nazionale non possono essere prodotti mangimi, nonché  materie  prime per mangimi derivati dai rifiuti, e ciò non solo ovviamente per le   ripercussioni igienico sanitarie fortemente negative a cui andrebbe  incontro il  settore della produzione dei mangimi, ma anche per evitare possibili  comportamenti difformi tra gli operatori del settore dei mangimi, tali  da creare  un’evidente distorsione del mercato connesso alla produzione dei mangimi   stessi».
 
 I principi contenuti in tale nota esplicativa sono stati applicati alla  ricorrente essenzialmente mediante le prescrizioni contenute nel verbale   ispettivo dell’A.S.L. n. 1 in data 12 marzo 2009 con la finale diffida  dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi genere per la produzione di mangimi  nel  proprio impianto, nonché mediante l’atto della Provincia di Perugia,  Area  Ambiente e Territorio, Servizio Gestione e Controllo Ambientale, del 16  marzo  2009, recante notifica della “nota esplicativa” ministeriale, e  contenente,  anch’esso, la specifica indicazione del fatto che a seguito  dell’emanazione  della predetta nota «nel territorio nazionale è vietata la produzione di   mangimi, nonché di materie prime per mangimi, derivati da rifiuti», con  richiesta di tempestivo “adeguamento” alla Splendorini.
 
 2. - Ad avviso di parte ricorrente, la tesi ministeriale, fatta propria  dalle  Amministrazioni locali, secondo cui gli scarti delle industrie  agro-alimentari  destinati alla produzione di mangimi devono essere sempre considerati  “sottoprodotti”, viola l’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. 3  aprile  2006 n. 152, e contrasta con la giurisprudenza comunitaria che richiede  un  accertamento “caso per caso”, senza consentire una sottrazione  generalizzata di  tali sostanze dal regime nazionale di gestione dei rifiuti, che possono  dunque,  a certe condizioni, divenire materia prima per la produzione di mangimi  attraverso l’attività di recupero.
 
 L’argomento, sviluppato specialmente con il primo motivo del ricorso  principale,  non appare meritevole di positiva valutazione.
 
 Anzitutto, sotto il primo profilo, occorre considerare che, ai sensi  dell’art.  183, comma 1, lett. a), del c.d. “codice dell’ambiente”, deve intendersi  per  “rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie  riportate  nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il  detentore si  disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». Atteso che il primo   criterio non svolge un ruolo determinante per l’identificazione del  rifiuto, in  quanto l’elenco contenuto nell’allegato A costituisce una lista aperta,  come  dimostra la categoria Q16, criterio con valore preminente risulta essere  quello  fondato sul concetto del “disfarsi”. Questo indica una condotta rispetto  alla  quale è irrilevante se avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto,  ovvero  tramite il suo recupero.
 
 Simmetricamente, al punto p) della norma in esame, sono definiti come  “sottoprodotti” «le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non  intende  disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), che soddisfino tutti  i  seguenti criteri, requisiti e condizioni : 1) siano originati da un  processo non  direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia  certo, sin  dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso  del  processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e  definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale  idonei a  garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti  ambientali  qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per  l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano  essere  sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per  soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al  punto 3),  ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano  un  valore economico di mercato».
 
 Tale nozione ricorre allorché sussistano contestualmente tutte le  condizioni  individuate dalla norma, e vale ad individuare quel materiale che deriva  da un  processo di fabbricazione o di estrazione non principalmente destinato a   produrlo, e del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”, ma che  intende  sfruttare in un differente processo successivo, senza dover attuare  trasformazioni preliminari.
 
 Si tratta dunque di materiali che, dal punto di vista economico, hanno  valore di  prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e non sono  assoggettati  alla disciplina dei rifiuti proprio perché il loro riutilizzo non è  eventuale,  ma certo.
 
 Dalla disamina delle suesposte norme appare evidente la inerenza dei  sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la  produzione di  mangimi. E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via  preventiva di  destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi,  ne  garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a  trattamenti o  trasformazioni con finalità di risanamento di una materia  originariamente non  conforme.
 
 Anche la giurisprudenza penale, al fine di delineare l’ambito di  operatività  della nozione di rifiuto, ha chiarito che occorre distinguere tra  “residuo di  produzione”, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale  utilizzazione  previa trasformazione, e sottoprodotto, caratterizzato dal certo  riutilizzo del  bene (in termini, tra le tante, Cass.pen., Sez. III, 14 aprile 2005, n.  20499).
 
 La norma effettua dunque una tipizzazione del materiale di risulta di un   processo di produzione, tale da renderlo riconoscibile come rifiuto o  come  sottoprodotto.
 
 Solamente la destinazione del sottoprodotto all’impresa produttrice di  mangimi  animali (che rientrano nella catena alimentare umana) consente il  rigoroso  rispetto degli obblighi previsti dalla normativa igienico-sanitaria  esistente in  materia, fornendo anche le garanzie di tracciabilità.
 
 2.1. - Quanto poi alla portata della sentenza della Corte di Giustizia  18  dicembre 2007, in causa C-195, che ha dichiarato l’illegittimità  comunitaria,  tra l’altro, del comunicato del Ministero della Salute del 2002  (sostituito  dalla nota ministeriale in questa sede gravata), appare condivisibile la  lettura  proposta dalle Amministrazioni resistenti secondo cui il fondamento di  razionalità della decisione (cfr. in particolare i punti 49-52) è quello  di  garantire che l’applicabilità della direttiva rifiuti, a tutela della  salute dei  cittadini, non trovi deroghe automatiche per sottoprodotti della  produzione  alimentare, in assenza dei requisiti imposti dalla norma, e  precedentemente  ricordati.
 
 L’invocato accertamento “caso per caso” opera dunque in senso diverso da  quello  rappresentato da parte ricorrente, non potendosi prescindere dalle  oggettive  caratteristiche tipologiche del bene, ragione per cui i residui  alimentari  trattati sono rifiuti, e dunque non possono essere utilizzati per la  produzione  dei mangimi, in quanto non rispettano i prescritti requisiti di igiene.
 
 3. - Con il secondo motivo viene poi dedotta la erronea applicazione  delle norme  in materia di igiene dei mangimi, assumendosi che la disciplina sul  trasporto  dei rifiuti garantisce la rintracciabilità delle sostanze, costituente  principio  informatore dei regolamenti comunitari n. 178/02 e n. 183/2005, con  conseguente  indifferenza del regime giuridico applicabile.
 
 Anche tale censura deve essere disattesa.
 
 Ed invero, ferma restando l’ineliminabile componente di valutazione  tecnica  della nota ministeriale, ispirata ovviamente al principio di  precauzione, non  può prescindersi dal rilevare che esiste una normativa specifica sul  trasporto  dei mangimi o delle sostanze destinate alla produzione dei medesimi  (applicabile  cioè a tutta la filiera di produzione dei mangimi), che è diversa da  quella sul  trasporto dei rifiuti.
 
 A livello comunitario, si ha il regolamento CE n. 183/2005 del 12  gennaio 2005,  che, in particolare, all’art. 6 (sistema di analisi di rischio e punti  critici  di controllo-HACCP), prescrive che «gli operatori del settore dei  mangimi che  effettuano operazioni diverse da quelle di cui all’articolo 5, paragrafo  1,  pongono in atto, gestiscono e mantengono una procedura scritta  permanente o  procedure basate sui principi HACCP», nel rispetto dei principi fissati  al  secondo comma, ed all’allegato II fornisce dettagliate indicazioni in  ordine al  trasporto ed allo stoccaggio dei mangimi.
 
 Nell’ambito interno vige poi la legge 15 febbraio 1963, n. 281  (disciplina della  preparazione e del commercio dei mangimi), nonché il d.lgs. 17 agosto  1999, n.  360, di recepimento delle direttive comunitarie relative alla  circolazione di  materie prime per mangimi.
 
 Ne deriva un differente, rispetto a quello, pur autorizzato e  controllato, dei  rifiuti, regime di trasporto delle materie prime destinate alla  produzione dei  mangimi registrati ai sensi del regolamento CE n. 183/05.
 
 Sembra inoltre potersi aggiungere che l’ulteriore assunto di parte  ricorrente,  secondo cui sussiste comunque un divieto di trasporto contemporaneo, su  di uno  stesso mezzo, dei rifiuti tossici e nocivi e di altri tipi di rifiuti e  merci,  non garantisce i pertinenti requisiti in materia di igiene, potendo i  rifiuti  presentare cariche batteriche, contaminazioni da muffe o micotossine,  ovvero  ancora chimiche; ciò in quanto i mezzi che trasportano i rifiuti sono  “generici”, a differenza di quelli che contengono materie prime per  mangimi od i  mangimi stessi, che sono destinati esclusivamente a tale fine.
 
 4. - Le considerazioni che precedono impongono la reiezione anche del  quinto,  del sesto e del settimo motivo del ricorso principale, con cui si  censurano le  prescrizioni contenute nel verbale in data 12 marzo 2009 dell’A.S.L. n.  1-Settore Veterinario, le quali risultano pertanto legittime.
 
 Va solo aggiunto, con riguardo alla dedotta disparità di trattamento,  che tale  figura sintomatica dell’eccesso di potere, secondo il costante indirizzo   giurisprudenziale, a fronte di scelte discrezionali  dell’Amministrazione, è  ravvisabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto  e di  assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato (tra le  tante, Cons.  Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 959; Sez. VI, 23 settembre 2009, n.  5671).
 
 La ricorrente non dimostra peraltro la disparità di trattamento, ma la  afferma  genericamente; di contro, dalla memoria di costituzione della Regione  (pag. 4)  sembra desumersi che la ditta Splendorini Molini sia l’unica in Italia a   produrre mangimi destinati ad uso zootecnico a partire dai rifiuti,  anziché da  prodotti o sottoprodotti.
 
 5. - Il terzo ed il quarto motivo di gravame concernono la nota della  Provincia  di Perugia del 16 marzo 2009; con tali motivi viene dedotta la  violazione degli  artt. 7 e 21 novies della legge n. 241 del 1990.
 
 Le censure non appaiono meritevoli di positiva valutazione.
 
 E’ anzitutto opportuno ricostruire la portata del provvedimento, che è  di  partecipazione della nota ministeriale, con invito alla società  ricorrente di  adeguarsi alla medesima per la produzione di mangimi presso il proprio  impianto;  coerentemente con ciò viene richiesto alla medesima di «formulare una  nuova  relazione connessa all’attività di produzione di mangimi da svolgere in  maniera  separata e disgiunta da quella di messa in riserva e trasformazione dei  rifiuti  presso il vostro impianto, relazione da inoltrare … al fine di ottenere  la  legittima autorizzazione relativa alla parte concernente la gestione dei   rifiuti», con l’avvertenza che deve ritenersi superata (inefficace) la  precedente autorizzazione per la parte riguardante la produzione di  mangimi da  rifiuti.
 
 Più che annullamento in senso stretto, la nota in questione costituisce  atto di  comunicazione della “nota esplicativa ministeriale”, con richiesta di  adeguamento, ed adozione di una misura, con valenza precipuamente  cautelare, di  sospensione, o, se si preferisce, di “privazione degli effetti” della  precedente  autorizzazione, in attesa della presentazione, da parte della società,  di una  relazione esplicativa della propria attività produttiva dei mangimi  conforme  all’assetto ordinamentale.
 
 Se così è, non occorreva la comunicazione di avvio del procedimento,  anche in  considerazione del contenuto vincolato della statuizione provinciale, e  del  fatto che non ne risultano, neppure in tale sede, contestati i  presupposti  fattuali; in ogni caso troverebbe applicazione l’art. 21 octies, comma  2, primo  alinea, della legge n. 241 del 1990.
 
 Seppure, per quanto premesso, non sembra applicabile alla fattispecie in  esame  l’art. 21 nonies sull’annullamento d’ufficio, resta la considerazione  della non  irragionevolezza dell’esercizio del potere, che è motivato, in  definitiva,  dall’interesse pubblico a garantire adeguate condizioni di igiene nella  produzione dei mangimi, e quindi un elevato livello di protezione dei  consumatori degli alimenti, oggetto di una ponderazione, a monte, che ha  trovato  proporzionata attuazione nella nota provinciale.
 
 6. - Deriva da quanto esposto che il ricorso principale deve essere  respinto in  quanto infondato.
 
 7. - Procedendo alla disamina dei primi motivi aggiunti, esperiti  avverso la  nota dell’A.S.L. n. 1, Servizio Veterinario di Igiene degli Allevamenti e   Produzioni Zootecniche, del 24 aprile 2009, avente ad oggetto  “osservazioni  relative a Manuale del Piano di Autocontrollo della ditta Splendorini  Molini”,  il corredo motivazionale precedente, posto a fondamento della reiezione  del  ricorso principale, impone di disattendere, oltre che i vizi di  illegittimità  derivata, anche la prima, la seconda e la quarta censura (rubricate sub  nn. 8, 9  e 11), che sono meramente reiterative di motivi già svolti con il  ricorso  principale.
 
 Per quanto concerne, poi, il terzo motivo aggiunto (rubricato sub 10),  che si  indirizza essenzialmente nei confronti della terza e della quinta  “osservazione”, richiedenti rispettivamente un più dettagliato controllo  dei  punti critici del processo di fabbricazione, ed una specificazione  maggiore del  rapporto tra lotto di produzione e lotto assegnato al mangime al momento  del  carico, la ricorrente ne deduce l’illegittimità per difetto di  motivazione e di  istruttoria.
 
 Anche tale motivo deve essere disatteso.
 
 Ed invero le “osservazioni” in questione sono attuative delle “linee  guida”  ministeriali; anche solo dal punto di vista logico, si intende che la  preclusione della produzione di mangimi da rifiuti comporta la necessità  di  adeguare il manuale di autocontrollo, concepito dall’azienda in funzione  di un  differente processo produttivo.
 
 In particolare, l’osservazione n. 3 relativa ad un maggiore controllo  dei punti  critici persegue la verosimile finalità di imporre l’indicazione delle  materie  utilizzate nel processo di produzione, onde escludere un persistente  utilizzo  dei rifiuti.
 
 Con riguardo, poi, all’osservazione n. 5, sembra potersi rilevare che il   rispetto della normativa sulla rintracciabilità dei prodotti in entrata  ed in  uscita dallo stabilimento non consente necessariamente di individuare il   collegamento tra il lotto di produzione e quello assegnato al mangime,  ovvero,  in ultima analisi, di controllare quale sia il lotto di materia prima  con il  quale è stato realizzato un lotto di mangime. Mentre il divieto di  utilizzare  rifiuti nella produzione di mangimi impone inevitabilmente di  “tracciare” la  materia prima utilizzata.
 
 8. - Di conseguenza anche i primi motivi aggiunti devono essere  disattesi, in  quanto infondati.
 
 9.- Con i secondi motivi aggiunti vengono poi impugnate le  determinazioni della  Provincia di Perugia n. 6998 del 28 luglio 2009 e n. 6935 del 24 luglio  2009, di  “modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di recupero  dei  rifiuti speciali non pericolosi”, adottata su istanza della società  ricorrente,  che mantengono la inibizione, per la stessa società, alla produzione di  mangimi  da rifiuti.
 
 Vanno disattesi, alla luce di quanto esposto, i motivi con cui si  deducono vizi  di invalidità derivata dalla illegittimità degli atti presupposti,  mentre deve  essere scrutinato il motivo con cui si deduce la violazione del  regolamento CE  n. 767/2009 del 13 luglio 2009.
 
 9.1. - In particolare, evidenzia la società ricorrente che gli atti  gravati, i  quali precludono la produzione di mangimi da rifiuti, si pongono in  contrasto  anche con il sopravvenuto regolamento del Parlamento europeo e del  Consiglio  n.767 del 13 luglio 2009, dettante norme sull’immissione sul mercato e  sull’uso  dei mangimi, il cui art. 6, letto in relazione all’allegato III,  conferma la  possibilità che i rifiuti alimentari siano componente costitutiva dei  mangimi, e  vieta solamente l’utilizzo degli imballaggi provenienti dall’industria  alimentare.
 
 Premesso che non vi è interesse all’impugnativa della determina  dirigenziale n.  6935 del 24 luglio 2009, che è stata revocata con determina n. 6989 del  successivo 28 luglio 2009, e poi sostituita con la (pure gravata)  delibera n.  6998 dello stesso 28 luglio, ritiene il Collegio che anche tale censura  debba  essere disattesa, e ciò consente di prescindere dalla disamina  dell’eccezione di  inammissibilità svolta dall’A.S.L. n. 1 con riferimento al contenuto  meramente  confermativo del provvedimento gravato.
 
 Anzitutto, occorre considerare che il regolamento in questione è  applicabile  solamente dal primo settembre 2010 (art. 33); sebbene tale elemento sia  risolutivo ai fini del decidere, risultando ogni procedimento  amministrativo  regolato dal principio del tempus regit actum , può aggiungersi che,  rispetto  alla questione oggetto di controversia, è differente la sfera oggettiva  di  applicazione, riguardando (il regolamento) l’armonizzazione delle  condizioni di  immissione sul mercato e di uso dei mangimi.
 
 Deve inoltre ritenersi come non appaia comunque risolutiva la  circostanza per  cui i rifiuti alimentari non sono inclusi dall’allegato III tra i  materiali  vietati, in quanto, a parte il fatto che lo sono gli “imballaggi e parti   d’imballaggio provenienti dall’utilizzazione di prodotti dell’industria  agroalimentare”, chiarisce il decimo considerando che «l’esistenza di un  tale  allegato non dovrebbe, tuttavia, essere interpretata in modo tale che  tutte le  sostanze ivi non comprese possano, in quanto tali, essere considerate  sicure».
 
 In altri termini, è la stessa normativa comunitaria a chiarire la  portata  dell’”elenco di materiali la cui immissione sul mercato o il cui uso ai  fini  dell’alimentazione animale sono soggetti a restrizioni o vietati a norma   dell’art. 6”, precisando che non tutte le sostanze nello stesso non  contemplate  possano ritenersi sicure, e quindi utilizzabili al fine di produrre  mangimi.
 
 Ne consegue che, in linea di principio, può ritenersi che  l’utilizzazione delle  materie non comprese nell’elenco (tra cui i rifiuti agroalimentari),  nella  produzione di mangimi, risulta consentita nel rispetto della disciplina  di  settore, la quale impone che siano vocate a tale utilizzo sin dal  momento della  loro produzione, assumendo dunque la consistenza di prodotto, o di  sottoprodotto.
 
 10. - In conclusione, alla stregua di quanto premesso, il ricorso ed i  motivi  aggiunti devono essere respinti.
 
 La complessità delle questioni trattate, caratterizzate da un elevato  tasso  tecnico, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese  di  giudizio.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria respinge il ricorso ed  i  motivi aggiunti.
 
 Compensa tra le parti le spese di giudizio.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio  2010 con  l'intervento dei Magistrati:
 
 Pier Giorgio Lignani, Presidente
 Carlo Luigi Cardoni, Consigliere
 Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 04/05/2010
                    



