La gestione dei siti inquinati: la responsabilità dell’inquinamento nella sentenza del TAR Lombardia n. 1326/2017

di Francesco ANASTASI

Sommario: 1. Premessa 2. La bonifica dei siti inquinati 3. La giurisprudenza sui criteri di imputazione degli obblighi di bonifica 4. Il problema del soggetto responsabile: la sentenza della Corte di Giustizia 5. La pronuncia del TAR Lombardia - Milano n. 1326/2017

  1. Premessa

La risarcibilità del danno all’ambiente è stato riconosciuta nel nostro ordinamento con la legge 349/1986.

L’introduzione di normativa rappresenta un momento di svolta per il nostro ordinamento che chiude con il passato dando un pieno e autonomo riconoscimento al valore “ambiente” 1.

In particolare, la legge 349/1986, all’art. 18, prevedeva la risarcibilità del danno ambientale indipendentemente dalla violazione di altri diritti individuali come la proprietà privata o la salute. Questa disposizione era emblematica del nuovo atteggiamento che il legislatore aveva assunto nei confronti del bene Ambiente, come bene da tutelare di per sé, in modo da colmare i vuoti e intervenire nelle lacune lasciate dal sistema 2.

In particolare, l’art. 18 L. 349/1986, prevedeva che la condotta idonea a integrare l’illecito fosse costituita da quegli “ atti dolosi o colposi in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base alla legge 3.

La scelta compiuta dal legislatore, presentava, tuttavia, alcuni elementi criticati dalla dottrina la quale, viceversa, spingeva verso un modello di responsabilità oggettiva.

È stato proprio l’intervento della giurisprudenza che, sulla scorta delle istanze provenienti dalla dottrina, ha elaborato un modello di responsabilità oggettiva operando un “innesto” della disciplina speciale sulle norme in materia di fatto illecito ex artt. 2043 e 2050 c.c. 4.

In questo contesto, l’Unione Europea, a partire, dal 1993, cominciò a interrogarsi sulle problematiche del danno ambientale e sui sistemi di tutela ambientale presenti nei vari ordinamenti degli Stati membri. 5

L’esistenza di diversi regimi di responsabilità ambientale diventava momento di ripensamento critico del sistema tenuto conto del fatto che questa eterogeneità poteva gravemente compromettere la tutela del diritto alla concorrenza nei vari paesi dell’Unione.

Pertanto nell’aprile del 2004 veniva adottata la Direttiva 2004/35/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.

La direttiva è stata poi recepita in Italia con il D.Lgs. 152/2006, che nella Parte Sesta si occupa puntualmente di responsabilità per inquinamento ambientale6.

Tuttavia, le principali novità della normativa comunitaria con riferimento regime di responsabilità per attività inquinanti nei confronti dei beni ambientali, non sono state immediatamente riprese in modo adeguato dalla normativa italiana.

Tale assetto ha portato all’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del governo italiano e alla presentazione da parte del TAR Sicilia di una richiesta di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla compatibilità della normativa italiana con la normativa europea7.

Per correre ai ripari, il Governo, in un primo momento, ha introdotto il D.l. 135/2009 introduttivo di nuovi criteri per il ripristino del danno ambientale.

Successivamente il legislatore è intervenuto con L. 97/2013 in materia di misure di risarcimento del danno, e in materia di criteri di imputazione delle responsabilità.

Tuttavia, l’assetto dei criteri di imputazione delle responsabilità è stato più volte oggetto degli interventi interpretativi della giurisprudenza che hanno delineato un quadro molto più rispondente alle istanze di origine comunitaria e ai principi del diritto europeo.

La giurisprudenza, sia italiana che europea, ha tentato di soccorrere i difetti di una normativa approssimativa e generica che ha creato e continua a creare difficoltà agli interpreti e divisioni tra orientamenti contrastanti.

Pare opportuno, dopo una breve disamina del contesto normativo e delle principali pronunce giurisprudenziali analizzare la sentenza n. 1326 del 13 giugno 2016, con cui il Tar Milano sez. III, si è pronunciato in tema di criteri di individuazione dei soggetti obbligati alla rimozione e ripristino dello stato dei luoghi nelle ipotesi di inquinamento ambientale, che rappresenta una sentenza spartiacque nel contesto del riconoscimento della responsabilità del danno ambientale.

  1. Bonifica dei siti inquinati

Il risanamento dei siti contaminati da attività antropiche costituisce una delle attività più importanti ma anche più articolate tra quelle tese a garantire la tutela degli interessi ambientali 8.

Sotto un profilo giuridico essa è complicata dalle numerose e variegate procedure che sono regolate.

La disciplina in tema di bonifica è inserita nel D.lgs. 152/2006 agli artt. 239-257 che formano il titolo V della Parte IV del decreto.

La normativa è stata più volte oggetto di aggiornamenti divenendo sempre più complessa dal punto di vista tecnico ed articolata dal punto di vista amministrativo 9.

L’impostazione dettata dalla disciplina del D.lgs. 152/2006 distingue tra “ sito potenzialmente contaminato”, che necessità di attività conoscitive, e “sito contaminato” per il quale si ritiene necessario adottare interventi di messa in sicurezza e di bonifica idonei a neutralizzare la contaminazione.

Sono stati delineati procedimenti amministrativi da seguire in relazione alle misure dei valori rilevati nel sito contaminato, e sono stati delineati procedimenti amministrativi differenziati in relazione alle attività necessarie al risanamento del suolo e calibrate in relazione alle peculiarità del sito stesso 10.

Il procedimento di bonifica risulta strutturato pertanto secondo una combinazione dell’approccio tabellare (tipico della normativa previgente) e analisi del rischio la cosiddetta “ analisi sito specifica degli effetti sulla salute umana derivanti dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze ” delle matrici ambientali contaminate 11.

Il momento della contaminazione è dato dal verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito o dalla “ individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione ” (art. 242 co. 1, D.lgs. 152/2006).

Il responsabile (o comunque, colui che scopre contaminazioni risalenti nel tempo) attuate le necessarie misure di prevenzione svolge, entro 24 ore, le necessarie misure di prevenzione, ossia e iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia (art. 240, comma 1, lett. i, d.lg. n. 152/2006).

Sempre il responsabile dell'inquinamento ha il compito di una indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento per valutare o meno il superamento del livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC).

In caso negativo, il responsabile provvede al ripristino della zona contaminata, attraverso degli interventi di riqualificazione ambientale paesaggistica volti a recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d'uso conforme agli strumenti urbanistici.

Se, invece, il responsabile dell'inquinamento accerta il superamento delle CSC, lo comunica tempestivamente agli enti locali competenti, indicando le misure intraprese per la prevenzione e la “messa in sicurezza di emergenza” del sito.

Qualora i soggetti tenuti per legge oppure interessati non provvedano agli interventi di tutela ambientale, ai sensi dell’art. 250 D.Lgs. 152/2006 spetta al Comune provvedere d'ufficio, e — in via sostitutiva — alla Regione, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, da individuarsi tramite procedure ad evidenza pubblica.

Per il caso di intervento d’ufficio, è prevista una disciplina gravosa per il proprietario del sito, anche qualora non sia il responsabile dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento.

Infatti, gli interventi effettuati determinano l’insorgere di un onere reale sui siti contaminati e le spese sostenute dall’Amministrazione per lo svolgimento di tali attività sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle stesse aree.

Pertanto, l’amministrazione competente può ripetere le spese nei confronti del proprietario incolpevole in ragione ed esercitare tale privilegio sulla base della semplice impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile o di esercitare azioni di rivalsa nei confronti di quest’ultimo.

Questa disciplina, sostanzialmente crea in capo al proprietario del sito una vera e propria responsabilità oggettiva, in forza della quale egli è sempre tenuto a risarcire (anche se solo in parte) il danno ambientale da lui non cagionato.

Peraltro, questa disposizione, può essere vista anche come una sorta di àncora di salvataggio nei confronti delle amministrazioni più negligenti che non si preoccupano di svolgere delle puntuali attività di ricerca ed individuazione dei soggetti effettivamente responsabili della contaminazione con lesione della certezza del diritto e del principio del “chi inquina paga”.

Quindi, nel caso in cui il responsabile non sia individuabile o non provveda ad adottare gli interventi necessari, la bonifica resta a carico dell’amministrazione competente (articolo 244, comma 4) e le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4).

A garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato da un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).

Inoltre, il proprietario non responsabile è tenuto a rimborsare le attività svolte d'ufficio nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi, salva comunque la possibilità, qualora abbia spontaneamente effettuato la bonifica, di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito (art. 253, commi 1-4, d.lg. n. 152/2006).

  1. La giurisprudenza sui criteri di imputazione degli obblighi di bonifica

La giurisprudenza italiana si è pronunciata in molteplici occasioni sui criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 e ss.

In particolare, la giurisprudenza ha espresso due orientamenti: uno favorevole, di portata minoritaria (cfr. TAR Lazio, Roma , Sez. I, sente. 2263 del 14 marzo 2011); l’altro contrario, di portata maggioritaria (Consiglio di Stato , Sez. VI, sent. n. 56 del 9 gennaio 2013).

L’orientamento minoritario aveva rilevato che il proprietario dell'immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione, essendo in definitiva il soggetto al quale, pur senza una sua responsabilità, vengono poste a carico le obbligazioni risarcitorie conseguenti l'inquinamento (e ciò proprio e solo perché proprietario) 12.

Pertanto, ben può lo stesso essere reso destinatario di un obbligo di attuare i necessari interventi, salva successiva rivalsa nei confronti del responsabile, che l'Amministrazione ha l'obbligo di individuare 13.

In contrasto con il predetto orientamento, si è diversamente rilevato 14 che la disciplina imposta dall’art. 252-253 del d.lgs. 152/2006 è esaustiva della problematica e che non può essere integrata dalla sovrapposizione di principi civilistici, come quello di cui all’art. 2051 c.c., che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a principi ben diversi. In questo senso già era intervenuta precedente giurisprudenza 15 rilevando che l’intervento del proprietario per la bonifica del bene è eseguito con la sola finalità di mantenere libera da pesi l’area e non può essere invocato l’art. 2051 c.c., che non è sovrapponibile alla disciplina speciale dettata in materia dagli art. 240 e ss del d.lgs. 152/2006.

Più di recente, sul punto, è intervenuto il Consiglio di Stato che, con una pronuncia particolarmente significativa e incisiva, ha rilevato come una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, ai sensi degli art. 242, comma 1, e 244, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d'emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla PA esclusivamente ai soggetti responsabili dell’avvenuto inquinamento, quindi ai soggetti che abbiano anche solo in parte prodotto la contaminazione 16.

Difatti, dal combinato disposto degli art. 242, 245 e 250 del d.lgs. n. 152/2006 emerge la fonte dell’obbligo a provvedere alla messa in sicurezza e all'eventuale bonifica del sito inquinato, dal punto di vista soggettivo, nella responsabilità dell'autore dell'inquinamento, a titolo di dolo o di colpa17.

Pertanto, a parere della giurisprudenza maggioritaria non si può configurare una responsabilità oggettiva in capo al proprietario o al possessore dell’immobile per tale sua qualità 18.

Né allo stesso modo, da una lettura degli artt. 244, 245 e 253, d.lgs. n. 152 del 2006 si può desumere che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile o di impossibilità di ottenere da quest'ultimo interventi di riparazione, il Ministero dell'Ambiente possa imporre al proprietario non responsabile l'esecuzione delle misure di sicurezza d'emergenza e di bonifica. Difatti, il proprietario ha solo una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica 19.

Peraltro, rientra tra i compiti dell’Amministrazione l’individuazione del responsabile dell'inquinamento e se questo non sia individuabile e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, scatta l'obbligo della P.A. di provvedere alla bonifica20 21.

  1. Il problema del soggetto responsabile: la sentenza della Corte di Giustizia

Come visto le previsioni di cui all’art. 253 D.lgs. 152/2006 sono state oggetto di molteplici interventi chiarificatori della giurisprudenza.

La questione dell’attribuzione della responsabilità per l’esecuzione di interventi di bonifica è sorta soprattutto in relazione alla possibilità e ai limiti entro cui il proprietario incolpevole sia destinatario di obblighi di bonifica e messa in sicurezza per un inquinamento causato dai terzi.

La giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate sulla natura della responsabilità e degli obblighi che gravano sul proprietario incolpevole, seppur nei limiti del valore del bene «bonificato», e la compatibilità con il principio comunitario del chi inquina paga 22.

A seguito di rinvio pregiudiziale da parte dell’Adunanza Plenaria (ordinanza 21/2013), sul punto si è pronunciata la Corte di giustizia delle Comunità europee con sent. 4 marzo 2015 — causa C-534/13 23, nella quale, ha risolto la questione pregiudiziale.

I giudici di Palazzo Spada hanno operato una ricostruzione del panorama legislativo (articoli da 239 a 253 del d.lgs. 152/2006) 24 nella quale si delineava una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione.

Intervenendo sul punto, la Corte di Giustizia ha reso una sentenza fondamentale per l’individuazione dei criteri della responsabilità dell’inquinamento.

Preliminarmente, la Corte di Giustizia ha precisato che il principio “ chi inquina paga” nell’ambito delle controversie nazionali è correlato alle modalità in cui la direttiva 2004/35/CE è stata recepita negli Stati membri.

Rilevato ciò ha affermato che deve essere sempre accertata l’esistenza di un nesso causale tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale e che pertanto è da escludersi a priori un riferimento alla responsabilità oggettiva.

Difatti, l’art. 8 paragrafo 3 e il considerando 20 della direttiva escludono l’esigibilità dell’adozione di misure di prevenzione o riparazione da parte di chi non abbia determinato il danno.

Ed ancora, il considerando 13 indica i limiti del principio “chi inquina paga” nella necessità che vi siano uno o più inquinatori individuabili e un danno concreto e quantificabile, generato da tali soggetti.

Allorché il nesso causale non possa essere dimostrato, la situazione rientra pertanto nell’alveo dell’ordinamento giuridico dei singoli Stati, che peraltro possono mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno (cfr. art. 16 della direttiva 2004/35/CE), compresa l’individuazione di altri soggetti responsabili.

Tale facoltà è tuttavia limitata della necessità che siano rispettati gli obiettivi della direttiva medesima, e quindi non sarebbe ammesso agli Stati membri chiamare in ipotesi soggetti terzi come responsabili al posto degli autori del danno, ma tutt’al più prevedere una loro responsabilità in via sussidiaria.

La Corte di Giustizia ha concluso nel senso che la direttiva 2004/35/CE “ deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale ”, normativa che – come sopra sintetizzato – nel caso di impossibilità di individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento non consente l’imposizione di misure al proprietario incolpevole facendo gravare su quest’ultimo esclusivamente l’obbligo di rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi.

A parere dei giudici di Lussemburgo, si deve, pertanto, escludere la sussistenza di una responsabilità oggettiva, svincolata dalla causazione del danno.

È evidente come la pronuncia della Corte di giustizia sia di importanza fondamentale nel quadro di ricostruzione della responsabilità ambientale, della rilevanza del nesso di causalità e dei limiti di attribuzione dell’onere della riparazione del danno.

L’orientamento di parte della giurisprudenza nazionale che fa gravare sul proprietario non responsabile l’obbligo di porre in essere le misure di sicurezza d’emergenza, comporta invece un’attenuazione della responsabilità del soggetto effettivamente responsabile e risulta contrario al contenuto della direttiva comunitaria che esprime chiaramente (si vedano in particolare i considerando 1, 2, 13, 18 e 20) lo scopo di incentivare gli operatori ad attivarsi per prevenire i danni all’ambiente, adottando misure e pratiche atte a ridurli al minimo.

Una ulteriore finalità emerge da una lettura della disciplina in esame, strettamente connessa al concetto dello sviluppo sostenibile (di cui all’art. 11 TFUE): l’obiettivo di indirizzare le politiche dell’Unione e dei Paesi membri verso un uso razionale delle risorse, al fine di realizzare un “elevato livello di protezione ambientale”.

  1. La pronuncia del TAR Lombardia – Milano n. 1326/2017

Con la pronuncia TAR Lombardia n. 1326/2017, i giudici milanesi hanno avuto modo di intervenire nuovamente sulla questione della responsabilità del dell’inquinamento.

In particolare, è stato rilevato che la fonte dell'obbligo di procedere alla messa in sicurezza e all'eventuale bonifica del sito inquinato si identifica nella responsabilità dell'autore dell'inquinamento, che quindi va puntualmente e precisamente individuato da parte dell’Autorità amministrativa, sulla base di un rigoroso accertamento anche in caso di vicende societarie complesse.

Difatti, come noto, la Direttiva 2004/35/CE all’art. 2 definisce come operatore, cui si connette la responsabilità per danno ambientale (cfr. 2°25 e 18° 26 Considerando) “ qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un'attività professionale ”.

Pur volendo far riferimento – in via teorica ed astratta – ad una nozione ampia di operatore economico (rilevante ai fini dell’internalizzazione dei costi ambientali) – nel caso all’esame del Tribunale sono del tutto assenti un’analisi e un accertamento in concreto del ruolo effettivamente svolto dalla ricorrente con specifico riferimento al ramo industriale interessato e ritenuto ‘responsabile’ della condotta inquinante (Tar Lazio, sez. II bis, 21 marzo 2016, n. 3441), tenuto conto della complessa articolazione, anche nel tempo, della società ricorrente.

Come rilevato dalla precedente giurisprudenza, nell'ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte sua – e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati –, le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dall'Amministrazione competente (art. 250, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), che potrà poi rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253, d.lgs. n. 152 del 2006) 27.

La sentenza pur muovendosi nel solco della precedente giurisprudenza, inauguratasi all’indomani della pronuncia della Corte di Giustizia, compie un ulteriore passo in avanti verso la responsabilizzazione dell’inquinamento ambientale.

Difatti, nel caso di contaminazione come situazione permanente, cui fa riferimento il Comune nel provvedimenti impugnato, non esime dall’individuazione del soggetto responsabile, rilevando quel concetto ai fini dell’applicazione delle procedure amministrative di bonifica più recentemente introdotte nel nostro ordinamento anche a contaminazioni storiche con conseguente applicazione dei relativi limiti tabellari.

Pertanto, le norme di cui agli artt. 242 e ss. del D.Lgs. 152/2006, nella lettura datane dai giudici di Milano, devono essere interpretate nel senso che, se da un lato, l’obbligo di adottare le misure dirette a fronteggiare la situazione di inquinamento incombe su colui che a tale situazione ha dato causa, dall’altro lato, la Autorità amministrativa è tenuta, sulla base di un rigoroso accertamento, a puntualmente e precisamente individuare il soggetto responsabile della contaminazione.

La sentenza del TAR Lombardia sembra pertanto tratteggiare un obbligo in capo alla PA di procedere, anche mediante indagini, a rintracciare puntualmente il soggetto autore dell’inquinamento, superando tutte le situazioni di incertezza o di impossibilità di individuazione del soggetto effettivamente responsabile.

La soluzione rappresentata sembra, evidentemente, quella che più risponde alle esigenze di tutela dei principi ambientali europei, rispetto ai quali gli Stati membri sono, da un lato, tenuti a conformarsi e, dall’altro, obbligati a garantirne il rispetto, affinché si possa finalmente raggiungere la certezza del diritto e obbligare chi inquina a pagarne il prezzo.

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1 Rossi G. Diritto dell’Ambiente, Giappichelli, Torino, 2015. Prati L., Il danno ambientale e la bonifica dei siti inquinati. La nuova disciplina dopo il d. lgs. 152/2006 e la sua riforma , Assago, 2008

2 E. Briganti, Considerazioni in tema di danno ambientale e responsabilità oggettiva , in riv. Dir. Civ., A Gambaro, Il danno ecologico nella recente elaborazione legislativa letta alla luce del diritto comparata, in Studi parlamentari e di politica costituzionale ; A. Costanzo, C. Verardo, La responsabilità per danno ambientale, in riv. Trim. dir. Pubbl. 1988, B. Pozzo, Danno Ambientale ed imputazione della responsabilità, esperienze giuridiche a confronto , Milano, 1996.

3 Rossi G. Diritto dell’Ambiente, Giappichelli, Torino, 201; Prati L., Il danno ambientale e la bonifica dei siti inquinati. La nuova disciplina dopo il d. lgs. 152/2006 e la sua riforma , Assago, 2008

4 Ibidem

5 B. Pozzo, Verso una responsabilità civile per danni all’ambiente in Europa: il nuovo libro bianco della Commissione delle comunità europee , in riv. Giur. Ambiente, 2000, B. Pozzo , la direttiva 2004/35 e il su recepimento in Italia, in Riv. Giur. Ambiente, 2010,

6 B. Pozzo, la direttiva 2004/35 e il su recepimento in Italia, in Riv. Giur. Ambiente, 2010.

7 A.L. De Cesaris, La corte di giustizia tra imputazione e accertamento delle responsabilità per danni all’ambiente e i poteri dell’Autorità competente per ottenere le misure di riparazione , in Riv. Giur. Ambiente, 2010.

8 Leotta F., La natura giuridica delle attività di bonifica dei siti inquinati, Rivista trimestrale di diritto pubblico, fasc.1, 2017.

9 Con sent. 24 luglio 2009, n. 247, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata, in riferimento agli art. 76 e 117 Cost., una questione di legittimità costituzionale, prospettata da alcune regioni, avente ad oggetto gli articoli da 239 a 253 del d.lg. 3 aprile 2006 n. 152. La Consulta ha ribadito l'inquadramento della «disciplina della bonifica dei siti contaminati nell'ambito della materia tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s)», come già rilevato nella precedente sent. 18 giugno 2008, n. 214.

10 Sul punto si cfr. F. Fonderico, «Rischio» e «precauzione» nel nuovo procedimento di bonifica dei siti inquinati , in Riv. giur. amb., 2006, n. 3-4, 419 ss.

11 Corte Costituzionale sent. n. 214/2008.

12 TAR Lazio, Roma , Sez. I, sentenza. 2263 del 14 marzo 2011.

13 TAR Lazio, Roma , Sez. I, sentenza. 2263 del 14 marzo 2011. Cfr. Vanetti F., Bonifica da parte del proprietario incolpevole: è un obbligo o una facoltà?, Rivista Giuridica dell'Ambiente , fasc.5, 2011; Vanetti F., Obbligo di vigilanza del proprietario in caso di abbandono di rifiuti sulla sua area, quando la stessa sia funzionale all'attività del proprietario medesimo , Rivista Giuridica dell'Ambiente, fasc.5, 2011.

14 TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 5 maggio 2014, n. 183.

15 TAR Toscana, Firenze, Sez. II, 19 ottobre 2012, n. 1664.

16 Consiglio di Stato, sez. VI, 05.10.2016, n. 4099

17 T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. IV, 08.07.2014, n. 1768, in Redazione Giuffrè amministrativo 2014

18 Consiglio di Stato, sez. VI, 05.10.2016, n. 4099, in Guida al diritto 2016, 43, 82 (nota di: PONTE)

19 T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia), sez. I, 24.02.2016, n. 54, in Foro Amministrativo (Il) 2016, 2, 387 (s.m)

20 T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. III, 29.06.2016, n. 1297, in Foro Amministrativo (Il) 2016, 6, 1546 (s.m)

21 T.A.R. Trento, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 13.04.2016, n. 202, in Foro Amministrativo (Il) 2016, 4, 965 (s.m)

22 Sul punto cfr. P. Dell'Anno, Diritto dell'ambiente, CEDAM, 2011; W. Giulietti, Danno ambientale e azione amministrativa, Napoli, Editoriale scientifica, 2012; V. Corriero, La «responsabilità» del proprietario del sito inquinato, in Resp. civ. prev., 2011.; R. Leonardi, La responsabilità in tema di bonifica dei siti inquinati: dal criterio soggettivo del «chi inquina paga» al criterio oggettivo del «chi è proprietario paga»? , in Riv. giur. ed., 2015.

23 M. Antonioli, Il principio «chi inquina paga» all'esame della Corte di giustizia: proprietario «incolpevole» e obblighi di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza dei siti contaminati , in Riv. it. dir. pubbl. com., 2015.

24 Cfr. Punti 25 e ss. dell’ordinanza n. 21/2013.

25 La prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il principio «chi inquina paga», quale stabilito nel trattato e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile. Il principio fondamentale della presente direttiva dovrebbe essere quindi che l'operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.

26 Secondo il principio «chi inquina paga», l'operatore che provoca un danno ambientale o è all'origine di una minaccia imminente di tale danno dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l'autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far si che il costo da essa sostenuto sia a carico dell'operatore. È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.

27 Consiglio di Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3449.