Fanghi da depurazione  in agricoltura. il consiglio di stato conferma la cassazione

di Gianfranco AMENDOLA

Nota a
Consiglio di Stato Sez.IV n. 5920 del 28 agosto 2019
Rifiuti.Spandimento fanghi

Per il rilascio dell'autorizzazione all'utilizzo dei fanghi non è sufficiente la verifica dell'assenza nel suolo destinato alle operazioni di spandimento o nei fanghi delle sole sostanze e limiti di concentrazione indicati nel Dlgs 99/1992 (anche dopo il Dl 119/2018 convertito nella legge 130/2018) poiché occorre anche il  riferimento ai limiti indicati nel Dlgs 152/2006 alla Tabella 1, colonna A, Allegato 5 alla Parte IV

Leggibile qui: Rifiuti.Spandimento fanghi

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La sentenza che si annota si segnala non solo perché, per la prima volta, il Consiglio di Stato affronta la vexata quaestio relativa all’utilizzazione di fanghi da depurazione in agricoltura dopo le modifiche introdotte con l'art. 41 del cd. decreto Genova (decreto legge 28 settembre 2018, n. 109 convertito con legge 16 novembre 2018, n. 130); ma anche perché conferma con chiarezza, a questo proposito, l’indirizzo della Cassazione, oggetto di pesanti critiche anche da parte del Ministero dell’ambiente.

Ma andiamo con ordine. La materia in discussione fa parte di una problematica complessa e di non facile comprensione, più volte oggetto di contrastanti interventi in dottrina e giurisprudenza.

Rinviando ad altri scritti per approfondimenti e per richiami relativi alla intricata vicenda 1 , sembra sufficiente, in questa sede, ricordare, in estrema sintesi, che la questione della utilizzazione di fanghi da depurazione in agricoltura è esplosa, negli ultimi anni, dopo una sentenza della Cassazione del 2017 2 , la quale, occupandosi di fanghi toscani contaminati da idrocarburi, ritenuti dalla difesa irrilevanti in quanto non normati dalla legge speciale italiana (d.lgs. n. 99/92), rilevava che «è impensabile che una regolamentazione ad hoc (...) avente lo scopo di disciplinare lutilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo, incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione, possa ammettere un uso indiscriminato di sostanze tossiche e nocive (...)»; che, peraltro, dovrebbero essere assenti visto che la legge speciale si riferisce solo a fanghi di depurazione derivati da scarichi «civili» o ad essi assimilati; e precisava che, trattandosi di rifiuti, la normativa speciale deve essere coordinata con quella generale sui rifiuti; e pertanto sono, comunque, applicabili i limiti previsti dal testo unico ambientale (allegato 5 alla Parte IV del d.lgs. 152/2006) in tema di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati in funzione della specifica destinazione duso del sito; in quanto, se così non fosse, «un rifiuto può essere impiegabile nello spandimento su un terreno agricolo sebbene abbia valori di contaminazione ben superiori ai limiti di accettabilità per aree industriali». Di conseguenza, secondo la Cassazione, pur se la normativa speciale non prevede alcun limite per gli idrocarburi presenti nei fanghi da depurazione per l’agricoltura, tale limite deve essere desunto dalla citata normativa generale sui rifiuti che lo indica in 50mg/Kg.

Proprio per superare questa sentenza e questo limite, veniva, quindi, inserito nel decreto Genova l’art. 41, il quale, in attesa di una riforma organica, «al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione», stabiliva per il loro utilizzo in agricoltura, in 1.000 mg/kg (sul tal quale), il limite per idrocarburi, ampliando altresì notevolmente i limiti previsti nella normativa sui rifiuti indicata dalla Cassazione anche per diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico (inquinanti tipicamente industriali).

Torneremo tra poco su questo art. 41. Ma quello che preme evidenziare subito è che la questione di fondo sfociata (per ora) nell’art. 41 riguarda, come si è accennato, i rapporti tra normativa speciale sui fanghi (d.lgs. n. 99/92), che alcuni -con l’avallo del Ministero dell’ambiente- ritengono essere l’unica applicabile, e normativa generale sui rifiuti (d.lgs 152/06) che altri, invece -con l’avallo della Cassazione- ritengono essere la “cornice” in cui inserire ed armonizzare la normativa speciale.

Peraltro, in questo quadro, il Ministro dell'ambiente sostiene, con l’avallo dell’ISPRA, che i limiti previsti dal d.lgs 152/06 per le bonifiche non possono essere utilizzati per i fanghi da depurazione in quanto " è come mischiare le pere con le mele. Stiamo parlando di due cose diverse! Da una parte c’è il fango, dall’altra il campo . E il fango non va sparso così com’è nel terreno quindi quel valore riscontrato nei rifiuti trasformato in fertilizzante non si ritroverà mai una volta sparso, nei campi " 3 .

E’ proprio su questa delicata problematica che interviene, oggi, il Consiglio di Stato nella sentenza che si annota, la quale doveva decidere sul ricorso presentato da una ditta toscana per lo spandimento di fanghi su terreni agricoli contro la richiesta della Regione di presentare “ documentazione integrativa in merito alla qualità dei fanghi destinati allo spandimento, per verificare l’assenza di sostanze contaminanti di natura industriale o antropica tali da renderli non assimilabili a quelli provenienti da impianti di trattamento di scarichi di esclusivo tipo civile, nonché la loro rispondenza, oltre che ai valori limite indicati nel d.lgs. n. 99/1992, altresì ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (csc) di cui alla tabella 1, colonna A, dell’allegato 5 alla Parte IV del d.lgs. 152/2006 .” In sostanza, cioè, il ricorso contestava l’applicabilità ai fanghi delle disposizioni del d.lgs. n. 152/2006 in materia di rifiuti, e in specie dei valori soglia di contaminazione (csc) che si riferiscono non ai fanghi ma ai suoli da assoggettare a bonifica.

Sul ricorso il TAR Toscana, con sentenza del 25 luglio 2018, da un lato confermava l’indirizzo della Regione circa l’applicabilità di entrambe le normative ma dall’altro riteneva che “ l’applicazione pura e semplice ai fanghi delle CSC stabilite per il suolo costituisce misura sproporzionata rispetto al fine da conseguire, ed irrazionale in quanto i fanghi, presentando normalmente concentrazioni medie di sostanze superiori rispetto al suolo, se valutati sulla base dei parametri previsti quest’ultimo non sarebbero mai utilizzabili in agricoltura. ”. E pertanto “ al fine del controllo di quelle sostanze potenzialmente inquinanti e/o contaminanti che non vengono espressamente disciplinate nel d.lgs. 99/1992 il potere precauzionale, reso necessario dall’evidenziata lacuna normativa può essere correttamente esercitato dall’Amministrazione regionale prendendo a riferimento, per le sostanze non considerate da quest’ultimo, i valori indicati dalla Tab. 1, colonna A dell'allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. 152/2006, che dovranno però essere riparametrati in aumento , sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti ”. Creando, in sostanza, per l’amministrazione un obbligo nuovo, non previsto direttamente da alcuna legge, di applicare ai fanghi i limiti della legge generale, ma ampliandoli perché considerati troppo restrittivi 4 .

Contro questo nuovo obbligo ricorreva al Consiglio di Stato la Regione, sostenendo che l’applicabilità della normativa generale sui rifiuti comporta anche l’applicabilità dell’art. 5, comma 2, lett. d bis), del d.m. 5 febbraio 1998, il quale, quanto alle attività di recupero ambientale che prevedono l’utilizzo sul o nel suolo di un rifiuto classificate in R10 (in cui è ricompreso anche lo spandimento di fanghi in agricoltura), dispone che “…il contenuto dei contaminanti sia conforme a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, in funzione della specifica destinazione d'uso del sito”, con trasparente rinvio, quindi, ai parametri di cui alla Tabella 1 dell'Allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006 n. 152 del 2006 . E pertanto, quelli sono i limiti da applicare senza bisogno di alcuna parametrazione discrezionale della Regione.

Dal canto suo, l’azienda di spandimento fanghi, con appello incidentale, riproponeva la questione principale della esclusiva applicabilità della normativa speciale (d. lgs 99/92)

In sostanza, quindi, si trattava di due questioni collegate: l’applicabilità ai fanghi da depurazione anche della normativa sui rifiuti; e, in caso affermativo, l’applicabilità agli stessi dei limiti previsti dalla normativa generale in tema di recupero di rifiuti per la bonifica dei suoli inquinati.

Questioni su cui, come già detto, la Cassazione si era espressa affermativamente nel 2017.

Il Consiglio di Stato si poneva nello stesso solco della Suprema Corte, peraltro con le stesse motivazioni.

Da un lato, infatti, respingeva l’appello incidentale della ditta confermando che “ le disposizioni del d.lgs. n. 99/1992 non esauriscono la disciplina applicabile ai fanghi derivanti dagli impianti di depurazione, sia di reflui civili che di reflui agro-alimentari o addirittura industriali.
In altri termini, non può essere sufficiente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’utilizzazione dei fanghi, la sola verifica dell’assenza, nel suolo destinato alle operazioni di spandimento o nei fanghi, delle sole sostanze e nei limiti di concentrazione indicati, rispettivamente, nelle tabelle IA e IB allegate al suddetto testo normativo. Infatti, la espressa classificazione dei fanghi come rifiuti implica anche la consentanea applicazione della disciplina propria dei rifiuti, come originariamente contenuta nel d.P.R. n. 915/1982, quindi nel d.lgs. n. 22/1997 e ora nel d.lgs. n. 152/2006
.

E dall’altro accoglieva l’appello principale della Regione, aggiungendo che “ risulta quindi razionale e affatto corretto il riferimento ai valori soglia di concentrazione di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5, alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, perché essi individuano le sostanze e le soglie massime di concentrazione in funzione delle quali la matrice ambientale non può considerarsi idonea a ricevere ulteriori sostanze contaminanti e semmai deve essere assoggettata a bonifica; e ciò a prescindere dall’applicabilità del d.m. 5 febbraio 1998, invocata dall’appellante principale e contestata dall’appellante incidentale ”.

Insomma, ai fanghi di depurazione si applica, oltre alla disciplina speciale, anche la normativa generale sui rifiuti, inclusi i limiti in essa previsti per i terreni da bonificare.

Qualche perplessità può derivare dalla affermazione che si “ prescinde dall’applicabilità del d.m. 5 febbraio 1998” citato espressamente a sostegno dalla Regione appellante. Ad esso, infatti, fa evidente riferimento la Suprema Corte quando, nella sentenza del 2017, evidenzia che “l 'uso agronomico presuppone infatti che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1, colonna A dell'allegato 5, al titolo V, parte IV, D.Igs. n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi, siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del 1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati ”. E, quindi, si potrebbe essere indotti a ritenere che il Consiglio di Stato ritiene i predetti limiti validi per il terreno ricevente ma non per i fanghi da depositarvi.

In realtà, tuttavia, perviene alla conclusione opposta. E proprio prescindendo dal citato d.m. sul recupero rifiuti ma basandosi sul (nuovo) disposto normativo dell’art. 41 decreto Genova.

Aggiunge, infatti, il Consiglio di Stato che “ proprio l’art. 41 del d.l. 28 settembre 2018, n. 119, convertito nella legge 16 novembre 2018, n. 130 (c.d. decreto Genova) in effetti conferma l’applicabilità di quei valori, posto che se esso tiene fermi “…ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi…i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto…”, nondimeno, nell’indicare nuovi specifici limiti per talune sostanze elencate nella tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, evidentemente ribadisce e conferma l’applicabilità della suddetta tabella.

In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, l’art. 41- il quale si occupa certamente di limiti per i fanghi (e non per i terreni)- conferma espressamente da un lato che nei fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura “continuano a valere” i limiti imposti dalla legge speciale; ma dall’altro, stabilendo (nuovi) limiti appositi per sostanze non normate dal d. lgs 99/92 bensì dalla tabella del d.lgs. 152/06 per le bonifiche, conferma implicitamente l’applicabilità ai fanghi (e non solo ai terreni) anche della citata tabella.

Così come affermato dalla Cassazione nel 2017, prima dell’art. 41.

Peraltro, a questo proposito, va ricordato che la Cassazione si è occupata nuovamente dei fanghi per agricoltura (con riproposizione dei soliti argomenti su fango e terreni) anche nel 2019, dopo l’art. 41, ed ha confermato di “condividere le argomentazioni” della sentenza del 2017. Anzi aggiungeva che i nuovi limiti dell’art. 41 valgono solo al momento della utilizzazione di questi fanghi perché, prima, si deve verificare che, come dice la legge, essi abbiano caratteristiche e provenienza “civili” e non “industriali”. Insomma, prima dell’art. 41, è essenziale verificare se questi fanghi possedevano “sin dall’origine” i requisiti per poter essere recuperati come fertilizzante. Minimizzando (se non annullando), quindi, l’effetto dell’art. 41 che, in sostanza, consente la presenza di sostanze pericolose certamente “anomale” per un fango “civile”. 5

Per completezza, sempre a proposito di fanghi da depurazione per l’agricoltura, va segnalata anche una novità “europea”. Ci riferiamo alla recente sentenza della CGCE in cui la Corte europea era chiamata a decidere sulle condizioni necessarie per escludere dalla normativa sui rifiuti (EoW) un fango da depurazione oggetto di operazioni di recupero per l’agricoltura 6 .

In proposito, come riferisce l’Avvocato generale nelle sue conclusioni 7 , l’Austria aveva “giustamente rilevato” che questi fanghi “ sono collegati a determinati rischi per l’ambiente e la salute umana, anzitutto, al rischio di contaminazione con sostanze inquinanti”. L’osservazione viene condivisa dalla Corte europea, la quale conferma che “ dagli elementi del fascicolo sottoposto alla Corte risulta che il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, in particolare quelli connessi con la presenza di sostanze pericolose”; e pertanto- conclude la Corte- uno Stato membro può decidere che un fango da depurazione resti per sempre un rifiuto anche se ha subito operazioni di recupero. In tal modo, infatti, esso sarà per sempre soggetto alla disciplina cautelativa stabilita per i rifiuti “dalla culla alla tomba” 8 .

A questo punto, non resta che sperare che il Ministro Costa mantenga presto la sua promessa (peraltro, già esplicitata nell’art. 41) di rivedere l’art. 41 onde eliminare qualsiasi problema per l’ambiente e per la salute. Alla luce di queste ultime risultanze, basterebbe ribadire una volta per tutte che nei fanghi di depurazione per l’agricoltura non ci devono essere sostanze tipicamente industriali; salvo che non siano “tracce” del tutto insignificanti.

Ma è già passato un anno e non è cambiato niente.

1 AMENDOLA, Art. 41 del decreto Genova. Quel pasticciaccio brutto dei fanghi contaminati ad uso agricolo, in Questione Giustizia, 21 dicembre 2018 e in www.lexambiente.it, 4 gennaio 2019

2 Cass. Pen, sez. 3, 6 giugno 2017, n. 27958, Pagnin in questa Riv., 2018, 1, con nota di AMENDOLA, Utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura e Cassazione. Nello stesso senso cfr. T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III 20 luglio 2018, n. 1782, in www.osservatorioagromafie.it.

3 in www.blog delle stelle, 24 ottobre 2018

4 in sostanza, quello che farà, pochi mesi dopo il TAR, il decreto Genova con l’art. 41.

5 La sentenza (n. 4238 del 29 gennaio 2019), è riportata in questa Rivista, 2019, n.1, con nostra nota adesiva Fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura e art. 41 decreto Genova. La Cassazione risponde alle critiche e consolida la sua giurisprudenza .

6 CGCE, seconda sezione, 28 marzo 2019, in www.lexambiente.it, 9 aprile 2019. Per un commento generale, cfr. AMENDOLA, Rifiuti con codici a specchio, fanghi di depurazione contaminati e cessazione della qualità di rifiuto (eow). La corte europea si schiera con la Cassazione e con il Consiglio di Stato , inwww.lexambiente. it, 19 aprile 2019.

7 inwww.lexambiente .it , 11 dicembre 2018

8 Peraltro, mentre l’Italia con l’art. 41 ne ammette l’utilizzo in agricoltura anche se pesantemente contaminati da sostanze tipicamente industriali, in altri Stati europei (fra cui la Svizzera, la Germania e l’Austria) “ l’uso dei fanghi in agricoltura è molto limitato, se non inesistente ” proprio per il rischio connesso con la possibile presenza di sostanze pericolose, come si legge nella relazione della Commissione europea del 27 febbraio 2017 sull’attuazione della normativa dell’EU in materia di rifiuti. Si noti, in proposito che l’on. Alessandro BRATTI, già presidente della Commissione parlamentare ecomafia ed attualmente direttore generale dell’ISPRA, in una intervista a La Stampa (17 maggio 2019), afferma:

Sui fanghi di depurazione in agricoltura è il momento di fare una scelta. Io sono molto critico sul loro utilizzo. Soprattutto nel momento in cui parliamo di fanghi di origine mista, prodotti da impianti di depurazione in cui confluiscono reflui urbani e industriali. Per quanto trattati, c’è il rischio che finiscano nel terreno sostanze non idonee………... Il punto è che questo rischia di non essere più un modo per apportare benefici in agricoltura, ma un sistema di smaltimento dei fanghi.

pubblicato su rivista dga, diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, n. 5, settembre-ottobre 2019