Consiglio di Stato Sez. VII n. 8572 del 4 novembre 2025
Rifiuti.Autorizzazione unica
L’art. 208, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006 prevede che l’autorizzazione unica per la realizzazione e gestione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”. Tale autorizzazione ha natura di atto di assenso unico e complessivo, idoneo a sostituire tutti i titoli edilizi e urbanistici necessari alla realizzazione delle opere funzionali all’impianto, comprese quelle di accesso e viabilità. Invero, la conferenza di servizi convocata ai sensi della norma citata rappresenta la sede deputata alla valutazione integrata di tutti i profili rilevanti – edilizi, ambientali, urbanistici e paesaggistici – con la conseguenza che l’esito favorevole del procedimento di autorizzazione unica assorbe ogni altro titolo abilitativo comunale.
Pubblicato il 04/11/2025
N. 08572/2025REG.PROV.COLL.
N. 07476/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7476 del 2023, proposto dal Comune di Magliano Romano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Ciaglia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Dora, n. 2 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la società Idea 4 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luca Zerella, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale di Valle Aurelia, n. 73 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 1766/2023, pubblicata in data 1° febbraio 2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Idea 4 S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2025 il Cons. Brunella Bruno e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Ciaglia e Luca Zerella;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune appellante impugna la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il TAR Lazio ha accolto il ricorso proposto dalla società Idea 4 S.r.l. avverso l’ordinanza n. 1/22, prot. n. 3003 del 9 agosto 2022, di demolizione di opere abusive con contestuale ripristino dello stato dei luoghi, nonché avverso gli atti presupposti, riferiti alla realizzazione, in località Monte della Grandine/Arnaricchio, nell’area nella quale detta società gestisce una discarica per rifiuti inerti, in precedenza adibita a cava estrattiva di materiali tufacei, di una “strada privata ed un ponte carrabile” in assenza dei necessari titoli di legittimazione.
Più in particolare, con la sopra indicata ordinanza sono state sanzionate le opere edilizie sostanziatesi nella realizzazione di un “tratto di strada privata che attraversa diverse proprietà, lunga circa 750 metri, larga 6 metri asfaltata, con presenza ai lati di rete metallica di delimitazione, che si congiunge
alla strada denominata Arnaricchio (…) dal km 1 da sud e, proseguendo il suo percorso verso nord, attraversa le proprietà private” riportate in ordinanza, due delle quali congiunte da “ponte carrabile (…) posto al di sopra del fosso demaniale censito al catasto comunale come Fosso della Selva (…), realizzato con un grosso elemento prefabbricato in calcestruzzo non armato, sormontato da blocchetti di tufo (…)”.
2. Il Tribunale ha accolto il ricorso, accertando, in sintesi, l’illegittimità della ordinanza impugnata, in quanto adottata senza considerare la portata dell’autorizzazione unica rilasciata ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, la quale, sostituendo ad ogni effetto i titoli edilizi e urbanistici comunali, comprendeva anche le opere di sistemazione della viabilità di accesso alla discarica. Il primo giudice ha inoltre evidenziato la mancata considerazione da parte dell’amministrazione comunale del certificato di collaudo approvato nel 2010 e delle prescrizioni contenute nel titolo regionale del 2013, che imponevano al gestore di garantire la percorribilità della strada in ogni periodo dell’anno e di adottare misure per limitare la polverosità. Sotto altro profilo, il Tribunale ha rilevato carenze nell’istruttoria espletata, con riferimento all’effettiva consistenza e all’epoca di realizzazione delle opere, avuto riguardo a documenti e rilievi aerofotogrammetrici attestanti l’esistenza del tracciato viario e del ponticello di attraversamento del Fosso della Selva sin dagli anni ’60, nonché alla delibera ARSAL del 2009 che riconosceva la natura di strada pubblicamente fruita del tratto in questione, costituente l’unico accesso all’impianto di discarica, con conseguente carenza di motivazione anche in ordine alle ricadute dell’ordine di demolizione sull’attività autorizzata.
3. L’appellante contesta la sentenza impugnata, riproponendo le deduzioni disattese, articolandole in chiave critica avverso il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice, così in sostanza devolvendo tutta l’originaria materia del contendere.
4. Si è costituita in giudizio la società appellata, concludendo, con articolate argomentazioni, per l’infondatezza delle censure dedotte.
5. Successivamente le parti hanno depositato ulteriori memorie, anche in replica, e documenti a sostegno delle rispettive deduzioni.
6. All’udienza pubblica del 21 ottobre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
8. L’art. 208, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006 prevede che l’autorizzazione unica per la realizzazione e gestione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
8.1. Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, e come correttamente rilevato dal primo giudice, tale autorizzazione ha natura di atto di assenso unico e complessivo, idoneo a sostituire tutti i titoli edilizi e urbanistici necessari alla realizzazione delle opere funzionali all’impianto, comprese quelle di accesso e viabilità (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, n. 2355 del 2025). Invero, la conferenza di servizi convocata ai sensi della norma citata rappresenta la sede deputata alla valutazione integrata di tutti i profili rilevanti – edilizi, ambientali, urbanistici e paesaggistici – con la conseguenza che l’esito favorevole del procedimento di autorizzazione unica assorbe ogni altro titolo abilitativo comunale.
8.2. Nel caso di specie, come puntualmente evidenziato nella sentenza impugnata, le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione risultano espressamente ricomprese tra le prescrizioni e gli interventi accessori previsti dal titolo autorizzatorio rilasciato dapprima dal Comune e, successivamente, dalla Regione Lazio. In particolare, l’autorizzazione regionale n. A06398 del 6 agosto 2013 ha previsto specificamente tra le prescrizioni (sub. art. 11, punto P_5) quanto segue: «il gestore dovrà garantire la percorribilità in ogni periodo dell'anno e dovranno essere adottati tutti gli accorgimenti per limitare la polverosità e le molestie derivanti dal traffico di mezzi in ingresso ed uscita dalla discarica. La viabilità interna della discarica deve garantire un agevole accesso a tutti i punti di monitoraggio dell’impianto, in ogni periodo dell’anno».
A quanto esposto va anche soggiunto che nel certificato di collaudo del 22 febbraio 2010, trasmesso all’amministrazione comunale, sono dettagliatamente indicate le opere migliorative eseguite, inclusa l’asfaltatura per circa 1.000 ml. del tratto della viabilità di collegamento all’impianto; risulta documentato in atti che l’amministrazione comunale con atto del 27 maggio 2010 ha formalmente approvato il certificato di collaudo, previo espletamento, peraltro, di sopralluogo presso la discarica.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune appellante, detta approvazione è riferita a tutte le opere oggetto del collaudo, includendo, dunque, anche quelle migliorative. Non emerge in alcun punto che l’approvazione sia stata parziale, essendo stata, invece, attestata la conformità delle opere, senza distinzione alcuna, rispetto a quanto previsto dalla documentazione progettuale approvata. E, del resto, proprio nel sopra indicato atto dell’amministrazione (determinazione n. 24/UT-U del 27 maggio 2010) si attesta che durante “il …sopralluogo non venivano riscontrate difformità tra quanto riportato nel suddetto Certificato di Collaudo e lo stato dei luoghi”.
8.3. Ne consegue che l’amministrazione comunale non poteva legittimamente qualificare le opere contestate come autonome e abusive, in quanto eseguite nell’ambito e in attuazione di un titolo unico legittimante.
8.4. Correttamente il primo giudice, sulla base delle risultanze documentali agli atti del giudizio, ha rilevato che: “l’autorizzazione di cui all’art. 208 d. lgs. n. 152/2006 includeva, con formulazione ampia, anche le opere di sistemazione della viabilità di accesso alla discarica, finalizzate a ridurre l’impatto delle polveri: come attestato dal certificato di collaudo approvato dal Comune, gli interventi di asfaltatura e recinzione erano stati inquadrati tra le opere “migliorative” satisfattive di tale condizione preliminare”.
9. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, dall’ordinanza impugnata con il ricorso originario non emerge che le opere sanzionate in quanto ritenute abusive siano da individuare nella “realizzazione, su suolo privato, di un tratto di strada asfaltata della lunghezza di 750 metri e della larghezza di 6 metri, e di una recinzione metallica per tutto il percorso”. Ciò che risulta, invece, è che la sanzione è stata irrogata in relazione al tracciato stradale e al ponte di attraversamento, come chiaramente descritto nella medesima ordinanza. Ne deriva la correttezza e coerenza delle statuizioni contenute nella sentenza appellata, che ha rilevato tale discrasia tra il contenuto dell’ordinanza e la successiva ricostruzione offerta dal Comune nel corso del giudizio.
10. La contraddittorietà delle difese dell’amministrazione appellante emerge, peraltro, anche in relazione ad un ulteriore profilo, come dedotto, con condivisibili argomentazioni, dalla società appellata.
10.1. La difesa del Comune ha dapprima sostenuto che non sarebbe stato oggetto di sanzione il tracciato della strada, poiché la contestazione avrebbe riguardato esclusivamente le opere di asfaltatura e la recinzione; successivamente, tuttavia, la medesima amministrazione ha censurato la sentenza appellata assumendo che non sarebbe stata dimostrata la preesistenza, al 1967, della strada asfaltata e del ponticello di attraversamento.
10.2. Tale prospettazione si rivela palesemente incoerente e, comunque, non idonea a superare le argomentazioni del primo giudice circa la collocazione temporale della realizzazione del tracciato stradale. Quest’ultima risulta, infatti, congruamente ancorata all’anno 1966, periodo in cui era entrata in funzione la cava estrattiva ubicata sul terreno ora occupato dall’impianto di discarica, la cui unica via di collegamento verso l’esterno era costituita proprio dal tracciato in contestazione.
In relazione a tale circostanza, peraltro, constano in atti plurime evidenze convergenti con detta collocazione temporale, tra cui: le dichiarazioni rese dai sigg. Luigi Cioci, gestore della cava estrattiva, e Paolino Giardina, i quali hanno espressamente riferito che, nel periodo indicato, il percorso stradale e il ponte di attraversamento del Fosso della Selva costituivano l’unica via d’accesso all’area della cava; la relazione tecnica allegata al progetto esecutivo del luglio 2006, redatta su istanza della ditta Masci A. e Cioci L. s.n.c., nella quale si evidenzia che “la zona, particolarmente stravolta da un’attività estrattiva protrattasi per alcuni decenni (…)”, in tal modo recando chiaro riferimento alla preesistenza dell’attività di cava cui si correla la viabilità di servizio; i documenti progettuali versati in atti dalla stessa difesa comunale, nei quali si dà espressamente atto che “All’impianto si accede direttamente da un bivio della S.P. Campagnanese, verso nord e dopo circa 1.500 metri, attraversato il Fosso della Selva, si raggiunge l’area in esame”, attestando così la presenza, già all’epoca, del tracciato e del manufatto di attraversamento.
11. Va altresì rilevato che neppure l’inclusione del Fosso della Selva nel novero dei corsi d’acqua appartenenti al demanio idrico risulta essere stata oggetto di alcun approfondimento nel corso dell’istruttoria espletata dall’amministrazione comunale. Non consta, infatti, che siano stati svolti accertamenti volti a verificare la sussistenza di un eventuale titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità idraulica competente in relazione all’epoca di edificazione del ponticello, ove tale titolo fosse all’epoca eventualmente necessario. L’istruttoria, pertanto, si appalesa carente anche sotto tali profili.
12. Quanto, poi, all’asserita pericolosità del ponte di attraversamento, prospettata dall’amministrazione appellante, va osservato che – a prescindere dal rilievo che tale affermazione si fonda su un estratto della perizia di idoneità statica prodotta dalla società Idea 4 S.r.l. nel corso del giudizio di primo grado, riferito ad un elemento specifico (capacità resistenziale di un tubo) – dal certificato di collaudo statico dell’infrastruttura risulta, per converso, che “le strutture sono capaci di sostenere un carico conforme alle NTC 2018 come da precedente relazione ed, in particolare, un transito di peso massimo di 650 kN (65 tonnellate)”.
12.1. In ogni caso, l’eventuale sussistenza di profili di pericolosità strutturale non potrebbe fondare un provvedimento repressivo per abusività edilizia, ma semmai legittimare l’adozione, da parte dell’amministrazione, di diversi provvedimenti volti a garantire la sicurezza e la pubblica incolumità, basati su presupposti e finalità del tutto distinti da quelli posti a fondamento dell’ordinanza di demolizione.
13. Va altresì osservato che anche l’eventuale sussistenza di un tracciato stradale alternativo a servizio dell’impianto di discarica non risulta essere stata oggetto di alcuna considerazione nella sede procedimentale propria. Tale profilo, peraltro, costituisce un’inammissibile integrazione postuma della motivazione e, comunque, una circostanza del tutto insufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato, non potendo l’amministrazione fondare ex post la legittimità dell’ordine di demolizione su elementi non valutati in sede istruttoria né menzionati in detta ordinanza.
14. Come in precedenza rilevato e come correttamente evidenziato nella sentenza appellata, la ricostruzione del Comune appellante non trova riscontro negli atti del procedimento, emergendo anche dalla delibera dell’ARSAL n. 1002 del 22 dicembre 2009, con la quale, su istanza del Comune di Magliano Romano (del 17 luglio 2009), si approvava la costituzione a favore dell’Ente di una servitù carrabile (non onerosa) sul tratto stradale “pubblicamente fruito” (che oltretutto la delibera attesta essere “consolidato da molto tempo”) che “consente il collegamento della strada comunale dell’Arnavicchio con i fondi agricoli siti in località Monte Gradini”, espressamente riconoscendo il pubblico interesse del medesimo tratto stradale. Inoltre, quanto al ponticello di attraversamento del Fosso della Selva, come pure rilevato nella sentenza impugnata, la relativa preesistenza risulta attestata anche – come già rilevato - dai documenti allegati al progetto esecutivo della discarica versati in atti dalla stessa difesa comunale.
15. A quanto esposto va, infine, soggiunto che solo nella memoria depositata nel presente giudizio di appello il Comune ha fatto riferimento ad una asserita assenza di autorizzazione paesaggistica a corredo delle opere contestate, elemento che tuttavia non trova alcun riscontro nell’ordinanza di demolizione annullata con la sentenza impugnata, né negli atti del procedimento presupposto che hanno condotto alla sua adozione. Tale rilievo, pertanto, costituisce una deduzione nuova ed inammissibile, introdotta in violazione del divieto di nova in appello sancito dall’art. 104 c.p.a..
15.1. In ogni caso, anche a voler considerare la questione sotto il profilo sostanziale, l’eventuale esistenza di vincoli paesaggistici sopravvenuti rispetto alla realizzazione delle opere risulterebbe del tutto inconferente, dovendo trovare applicazione il principio del tempus regit actum, in forza del quale la legittimità del provvedimento deve essere valutata con riferimento alla normativa e alla situazione di fatto e di diritto, sussistenti al momento della sua adozione.
16. In conclusione, l’appello va respinto in quanto infondato.
17. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 7476 del 2023), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte appellata, quantificate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2025 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Chieppa, Presidente
Daniela Di Carlo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Brunella Bruno, Consigliere, Estensore




