Cass. Sez. III n. 42436 del 30 novembre 2010 (Cc. 10 nov. 2010)
Pres. Ferrua Est. Franco Ric. Bichicchi
Rifiuti. Discarica abusiva
L’interramento, in un’area di circa 12 mq, di pelli ed interiora di cinghiali non configura il reato di discarica abusiva. 
UDIENZA del 21.10.2010
SENTENZA N.1333
REG. GENERALE N. 9871/2010
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.:
 1. Dott.ssa Giuliana Ferrua                       Presidente
 2. Dott. Alfredo Teresi                              Consigliere
 3. Dott. Amedeo Franco                           Consigliere - Est. 
 4. Dott. Silvio Amoresano                         Consigliere
 5. Dott. Giulio Sarno                                Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da Bi. Lu. e Si. At.;
 - avverso l'ordinanza emessa il 15 febbraio 2010 dal tribunale del riesame di  Bologna;
 - udita nella udienza in camera di consiglio del 21 ottobre 2010 la relazione  fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
 - udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale dott.ssa  Ma. Gi. Fo., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
 - udito il difensore avv. Maria Antonietta Lamazza in sostituzione dell'avv.  Antonino Spinzo;
 Svolgimento del processo
 Il Gip del tribunale di Bologna con provvedimento 22.1.2010 respinse la  richiesta di convalida di un sequestro preventivo operato d'urgenza dalla PG di  una porzione di terreno di circa 12 mq, in riferimento al reato di cui all'art.  256, comma 2, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, contestato a Bi. Lu., quale  caposquadra di una squadra di cacciatori di cinghiali, ed a Si. At.,  comproprietario del terreno, per avere realizzato e gestito una discarica  abusiva non autorizzata nella quale erano state immesse pelli ed interiora di  cinghiali.
 Il Gip ritenne che non era possibile configurare una discarica in considerazione  delle dimensioni dell'area di accumulo e della inesistenza di un degrado della  zona.
 A seguito di appello del PM, il tribunale del riesame di Bologna, con  l'ordinanza in epigrafe, dichiarata provvisoriamente esecutiva, dispose il  sequestro preventivo del terreno.
 Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo:
 1) insussistenza del fumus del reato contestato e violazione di legge  perché la speciale tipologia dei materiali interrati (pelli, viscere e scarti di  macellazione di cinghiali) non può essere qualificata come rifiuto e ad essa, in  forza dell'art. 185 d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non si applica il testo unico  ambientale ma la normativa speciale in tema di carogne di animali.
 2) insussistenza del fumus del reato contestato e violazione di legge  perché nella specie mancano i requisiti normativamente richiesti per potersi  parlare di una discarica, invece che di altre ipotesi (come abbandono o deposito  incontrollato di rifiuti).
 3) violazione di legge per insussistenza delle esigenze cautelari e di un  pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, attesa la natura  occasionale del deposito e per la già avvenuta chiusura della stagione di  caccia.
 Motivi della decisione
 Il primo motivo non può essere accolto. E' vero che l'art. 185, comma 1, lett.  b), del d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come sostituito dall'art. 2, comma 22,  del d. Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) dispone che non rientrano nel campo di  applicazione delle disposizioni del decreto stesso in tema di rifiuti «in quanto  regolati da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e  sanitaria ... le carogne». Tuttavia il Collegio ritiene di dover seguire  l'orientamento giurisprudenziale secondo cui «In tema di rifiuti, anche a  seguito delle modifiche introdotte dall'art. 22 D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 al  testo originario dell'art. 185, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 agli  scarti di origine animale si applica la disciplina in materia di rifiuti nei  casi in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento,  mentre si applica la disciplina del Reg. CE 3 ottobre 2002, n. 1774 solo se gli  stessi sono qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell'art. 183, comma  primo, lett. n) D.Lgs. n. 152 del 2006. (In motivazione la Corte ha precisato  che l'esclusione del principio di specialità tra le due discipline trova  riscontro anche nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19  novembre 2008, n. 2008/98/CE)» (Sez. III, 5.2.2009, n. 12844, De Angelis, m.  243114); e «In tema di gestione dei rifiuti, anche dopo le modifiche introdotte  dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, le carogne rientrano nel campo d'applicazione  della disciplina dei rifiuti, salvo che siano classificabili come sottoprodotti  del processo di macellazione, destinati al riutilizzo senza trasformazioni  preliminari e senza pregiudizio dell'ambiente, dovendosi applicare, in  quest'ultimo caso, le norme sanitarie relative ai sottoprodotti d'origine  animale non destinati al consumo umano di cui al Reg. (CE) 3 ottobre 2002, n.  1774» (Sez. III, 4.11.2008, n. 45057, Cinefra, m. 242277; Sez. III, 26.1.2007,  n. 45057, n. 21676, Zanchin, m. 23603). Nella specie si tratta appunto di scarti  di animali che pacificamente erano destinati non al riutilizzo bensì allo  smaltimento.
 E' invece fondato il secondo motivo perché effettivamente l'ordinanza impugnata  si è basata su una erronea nozione di discarica abusiva. Infatti, secondo la  giurisprudenza di questa Suprema Corte, affinché possa parlarsi di discarica  abusiva, occorre che sussistano alcuni requisiti e caratteristiche particolari,  indicativi della presenza di una vera e propria discarica, quali una condotta  (più o meno sistematica, ma comunque ripetuta nel tempo e non occasionale) di  accumulo di rifiuti su un'area, la destinazione dell'area a centro di raccolta  dei rifiuti, lo scarico ripetuto di essi, il degrado (anche solo tendenziale)  dell'area stessa, consistente nell'alterazione permanente dello stato dei  luoghi, una consistente quantità di rifiuti depositati abusivamente, la  definitività del loro abbandono (Sez. III, 8 novembre 2006, Munafò, in una  fattispecie del tutto analoga alla presente; Sez. III, 14 aprile 2005, Colli, m.  231.529; Sez. V, 14 gennaio 2005, Spagnolo, m. 231.704; Sez. III, 12 luglio  2004, Tomasoni, m. 229.484; Sez. III, 12 maggio 2004, Micheletti, m. 229.062;  Sez. III, 10 gennaio 2002, Garzia, m. 221.166).
 Inoltre, tenuto anche conto delle rilevanti differenze fra le sanzioni e gli  altri effetti giuridici previsti per l'ipotesi di cui al comma 3 dell'art. 256  d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e quelli previsti dai precedenti commi 1 e 2, la  giurisprudenza ha anche sottolineato che, in particolare, per potersi  configurare il più grave reato di realizzazione di una discarica senza  autorizzazione occorre l'allestimento di un'area con l'effettuazione di opere,  quali spianamento del terreno, apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione  o recinzione, mentre per potersi configurare la diversa ipotesi di gestione di  una discarica non autorizzata occorre che sussista una organizzazione, anche se  rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della medesima (Sez. F.,  2.8.2007, n. 33252, Setzu, m. 237582; Sez. III, 2 luglio 2004, Pastorino, m.  229.624; Sez. III, 11.4.1997, n. 4013, Vasco, m. 207613).
 Ora, nel caso in esame, dalla ordinanza impugnata non risulta in alcun modo la  presenza di elementi tali per cui possa ritenersi integrata la fattispecie di  realizzazione di una discarica in mancanza di autorizzazione (allestimento di  un'area con l'effettuazione di opere, quali spianamento del terreno, apertura di  accessi, sistemazione, perimetrazione o recinzione) o la fattispecie di gestione  di una discarica non autorizzata (esistenza di una organizzazione, anche se  rudimentale, di persone e cose diretta al suo funzionamento).
 Inoltre, come esattamente aveva rilevato il Gip nella sua ordinanza, bisognava  tener conto delle ridotte dimensioni dell'area di accumulo (10-12 mq), che  invece il tribunale del riesame ha ignorato omettendo di spiegare come le  suddette caratteristiche essenziali per la configurabilità del reato di cui al  terzo comma dell'art. 256 cit. potessero ravvisarsi in relazione alla detta  area.
 Nella ordinanza impugnata, quindi, manca o è meramente apparente la motivazione  sulla esistenza del fumus del reato di cui all'art. 256, comma 3, d. lgs.  3 aprile 2006, n. 152, non avendo tenuto conto il tribunale del riesame degli  elementi occorrenti per potersi parlare di realizzazione o di gestione di una  discarica senza autorizzazione.
 La esatta qualificazione giuridica del fatto rileva anche ai fini della  applicabilità della misura cautelare, dal momento che l'ordinanza impugnata ha  ravvisato il periculum in mora anche nel fatto che il sequestro  preventivo era finalizzato alla futura confisca del terreno, confisca che è  possibile soltanto qualora sia appunto configurabile il reato di cui al comma 3  dell'art. 256, e non anche qualora fosse invece configurabile uno dei reati di  cui ai precedenti commi 1 o 2.
 Quanto al periculum in mora, la motivazione è quindi mancante circa  l'ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca di cui all'art. 321, comma 2,  cod. proc. pen..
 Ma la motivazione è anche meramente apparente in relazione al pericolo di  reiterazione del reato. Secondo la giurisprudenza, invero, è necessario che il  sequestro preventivo, in quanto misura che incide su un diritto  costituzionalmente tutelato, sia disposto solo in vista di un periculum  concreto ed attuale, valutato, cioè in riferimento alla situazione esistente al  momento della adozione del provvedimento di cautela e non già in una prospettiva  astratta ed incerta, nell'an e nel quando, di un evento futuro. Nel caso  di specie è pacifico che la stagione venatoria (durante la quale era stata  tenuta la condotta contestata) si era ormai chiusa e che era cessata quindi  l'attività venatoria e quella di interramento da parte del gruppo di cinghialai  in questione. Il tribunale del riesame non ha spiegato adeguatamente le ragioni  per le quali si doveva ritenere che vi fosse un pericolo concreto che il sito in  questione sarebbe stato usato di nuovo anche nella successiva stagione venatoria  ed anche nell'ipotesi di assegnazione della zona ad una diversa squadra e  comunque il pericolo che il proprietario del terreno Si. avrebbe di nuovo  acconsentito dietro compenso all'utilizzazione del suo terreno per  l'interramento degli scarti animali nonostante l'avvenuta sottoposizione a  procedimento penale e il rischio di subire la confisca del bene.
 In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata sia per erronea  interpretazione dell'art. 256, comma 3, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sia per  mancanza o mera apparenza della motivazione, con rinvio al tribunale di Bologna  per nuovo giudizio,
 Per questi motivi
 La Corte Suprema di Cassazione
 annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Bologna.
 Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre  2010.
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 30 Nov. 2010
                    



