Governare le installazioni d'impianti radioelettrici
di Fulvio ALBANESE


Non vi è alcun dubbio che dopo la sentenza n. 336 del 2005 e l’ordinanza n. 203 del 2006 della Corte Costituzionale il Codice delle Comunicazioni è la norma di riferimento per la procedura di installazione degli impianti radioelettrici.
Queste due autorevoli pronunce tuttavia, non aiutano a delineare un quadro chiaro dello spazio normativo e regolamentare rimasto alle Regioni e ai Comuni, per esercitare le funzioni loro attribuite dall’articolo 8 della Legge 36 del 2001 “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, e a comprendere in particolare quali siano:
a) Le integrazioni che le regioni possono apportare alle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti previste dal D.lgs. n. 259 del 2003;
b) gli strumenti e le azioni che le regioni possono individuare per il raggiungimento degli obiettivi di qualità intesi come criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili;
c) le competenze del Comune nel redigere un regolamento comunale per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Andiamo per ordine rispondendo al quesito punto a):
Il D.lgs. n. 259 del 2003 al comma 3 dell’articolo 87 (Procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici) prevede:
“(…) Nel caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt, fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualita' sopra indicati, e' sufficiente la denuncia di inizio attivita', conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all'allegato n. 13. (…)”; di fatto il Codice per questa specifica tipologia d’impianti dà facoltà agli Enti locali di predisporre modelli per la denuncia inizio attività, sarà pertanto compito delle regioni adottare un modello-tipo della D.I.A. per gli Enti locali.
Passiamo ora ad uno degli aspetti più controversi che ha riguardato la procedura autorizzativa degli impianti radioelettrici, infatti la contemporanea vigenza di due norme, ovvero il DPR 380/2001 e il Codice delle comunicazioni, che disciplinano con procedure diverse (la prima con il Permesso di costruire la seconda con l’autorizzazione) l’installazione della medesima tipologia d’impianti, ha creato molta confusione e incertezza. Questa palese antinomia sollevata anche dal TAR Lazio come già illustrato, non viene risolta dalla Consulta nell’Ordinanza 203/2006, in effetti non viene chiarito perché nel redigere il D.Lgs 2959/2003 non è stata operata l’abrogazione della lettera e) dell’art. 3 del DPR 380/2001: “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”, come impone formalmente che l’art. 41, comma 2, lettera d) della legge delega n. 166/2002 (in base alla quale è stato emanato il D.Lgs 259/2003) che prescrive l’abrogazione di tutte le norme incompatibili.
Oggi rimane il fatto inoppugnabile che due distinte disposizioni legislative tutt’ora in vigore, disciplinano con procedure diverse l’installazione della medesima tipologia d’impianti.
Il decreto legislativo 259/2003 inoltre contiene una grande limitazione: è stato redatto ed è attualmente utilizzato dai comuni, per autorizzare l’installazione di qualsiasi tipologia di impianto radioelettrico, dalla piccola stazione radio base collocata sul lastrico solare di un edificio, al grande traliccio alto centinaia di metri saldamente ancorato al suolo, con annessi centinaia di metri cubi di volume tecnico. Così ha statuito la Consulta con le due suesposte pronunce, e come abbiamo visto si è più volte espressa la giurisprudenza amministrativa (ricordiamo la Sentenza n. 100 del 21 gennaio 2005 del Consiglio di Stato), ma dobbiamo riconoscere che una tale genericità di applicazione, è veramente un punto debole del Codice. E’ pur vero che la giurisprudenza ha più volte ribadito che nell’ambito di un unico procedimento, il Comune deve verificare la compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento, e in questo senso, si potrebbe utilizzare il comma 5 dell’art. 87 del D.lgs. 259/2003 che offre la possibilità al responsabile del procedimento di richiedere per una sola volta ed entro 15 giorni l’integrazione della do*****entazione prodotta, ma in ogni caso rimangono alcune fondamentali questioni da risolvere:
1. i 15 giorni previsti dal comma 5 dell’art. 87, francamente sembrano troppo pochi, specialmente se si tratta di impianti con annessa cubatura di una certa consistenza;
2. i comuni in base all’articolo 87 del D.lgs. 259/2003 non sono obbligati alla verifica di compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento.
Questi argomenti lasciati senza soluzione dal Codice aprono per la Regione uno spazio d’intervento normativo, all’interno del quale è possibile dettare criteri per individuare gli impianti da sottoporre obbligatoriamente da parte dei comuni, a verifica di compatibilità urbanistico-edilizia, e differenziare in tal modo la procedura autorizzativa (in relazione alle caratteristiche e alla tipologia dell’impianto), integrando ragionevolmente con il D.P.R. 380/2001, quanto previsto dall’articolo 87 del D.lgs. 259/2003.
Ragionando concretamente, la Regione nella stesura di una legge che disciplina l’installazione degli impianti radioelettrici potrebbe formulare un articolo sul procedimento autorizzativo così strutturato:
“Nel rispetto dell’unicità del procedimento autorizzativo, per gli impianti radioelettrici che incidono in modo significativo sul territorio circostante nonché sull’assetto urbanistico edilizio, il Comune deve valutare l’incidenza degli impianti stessi sui profili urbanistici, secondo i criteri previsti per il rilascio del permesso di costruire di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). In tale caso il responsabile del procedimento può richiedere entro 45 giorni l’integrazione della do*****entazione prodotta.
Sono considerati idonei ad incidere in modo significativo sull’assetto urbanistico edilizio i seguenti impianti radioelettrici:
a) impianti radioelettrici installati sul terreno, con sistemi radianti o impianti di trasmissione o strutture di sostegno che necessitino di fondazioni o che abbiano altezza non inferiore a 12 metri.
b) impianti radioelettrici installati su edifici con sistemi radianti o impianti di trasmissione o strutture di sostegno che abbiano altezza non inferiore alla metà dell’edificio stesso.”

Questa disposizione obbliga il Comune nell’ambito di un unico procedimento, alla verifica della compatibilità dell’impianto, individuato come idoneo ad incidere in modo significativo sul territorio circostante nonché sull’assetto urbanistico edilizio, con le NTA del PRG e con il regolamento edilizio.
Naturalmente si deve dare un tempo d’intervento ragionevole al responsabile del procedimento, e 45 giorni non dovrebbero essere in contrasto con il carattere di «tempestività delle procedure per la concessione del diritto di installare» previste dalla normativa Comunitaria.
Ricordiamo che i giudici di Palazzo Spada recentemente hanno stabilito con l’Ordinanza n. 3146 del 5 luglio 2005: “Ritenuto, in punto di fumus boni iuris, che, al di là della specialità della disciplina del codice delle comunicazioni elettroniche (di cui al d.lgs. n. 259/2003, su cui CdS n. 100/2005) permane l’obbligo del Comune, nell’unitario procedimento disciplinato dall’art. 87 del d.lgs n. 259/2003 di valutare i profili urbanistici del progetto di centro trasmittente; ritenuto che, nel merito, l’intervento appare di notevole consistenza e dimensioni…”..
Anche l’assimilazione alle opere di urbanizzazione primaria operata dall’articolo 86 del Codice, non preclude in tal senso l’intervento del Comune, come giustamente osserva il T.A.R. Toscana, con la sentenza n. 4572 del 3 Ottobre 2005: “Il regime giuridico delle infrastrutture per stazioni radio base non è completamente identico a quello delle opere di urbanizzazione primaria, la cui localizzazione deve rispondere alla soddisfazione di esigenze proprie dell’insediamento abitativo, in quanto, viceversa, il criterio di localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione deve essere finalizzato a consentire la realizzazione della rete in modo tale che questa assicuri la copertura del servizio pubblico sull’intero territorio comunale, nel rispetto delle esigenze di pianificazione nazionale degli impianti (cfr., in termini, Cons. Stato, VI Sez., n. 3193/2004).
Tesi confermata dal TAR Veneto con la sentenza n. 565 del 8 marzo 2006: “Peraltro, l’intervenuta assimilazione delle opere per stazioni radio base alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3, del D. Lgs. n.259/2003) non preclude al Comune, nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, la localizzabilità di dette opere in determinati ambiti del territorio, sempre che sia, in tal modo, assicurato l’interesse di rilievo nazionale ad una capillare distribuzione del servizio (cfr. Cons. Stato, Ordinanza 6.4.2004 n. 1612; T.A.R. TOSCANA, 3 Ottobre 2005, n. 4572),
Per quanto riguarda la verifica di compatibilità con il regolamento edilizio troviamo conforto nella recente sentenza del T.A.R. Piemonte n. 2005 del 10.05.2006:“Il rilascio dell’autorizzazione all’installazione di impianti di comunicazione elettronica disciplinato dall’art. 87 D.L.vo 1° agosto 2003, n. 259, non esclude la valutazione dell’istanza da parte di tutti i soggetti di Amministrazione preposti alla cura dei diversi interessi pubblici specifici, compresa l’acquisizione del parere della Commissione edilizia”.

Affrontiamo ora il quesito punto b):
Per quanto concerne gli strumenti e le azioni che la Regione può mettere in campo per il raggiungimento degli obiettivi di qualità intesi come criteri localizzativi, prescrizioni e standard urbanistici previsti dalla Legge quadro 36/2001, la stessa sentenza 336 del 2005 della Consulta richiama una precedente pronuncia importante di cui abbiamo già parlato: la 307 del 2003:
“Questa Corte nella sentenza n. 307 del 2003 ha affermato che compete allo Stato, nel complessivo sistema di definizione degli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico di cui alla legge n. 36 del 2001, la fissazione delle soglie di esposizione e, dunque, nel lessico legislativo, la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, limitatamente per quest'ultimi alla definizione dei valori di campo «ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione» (art. 3, comma 1, lettera d, numero 2). La Corte ha, però, riconosciuto, in linea con quanto prescritto dalla menzionata legge quadro, che spetta alla competenza delle Regioni la disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti e quindi la indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in criteri localizzativi degli impianti di comunicazione (art. 3, comma 1, lettera d, numero 1).
Con questa sentenza la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale delle disposizioni regionali che individuano aree sensibili ed introducono divieti (su ospedali, scuole, asili, parchi gioco, aree naturali protette, beni immobili vincolati ai sensi del D.lgs. 42/2004…) di installazione di impianti radioelettrici limitatamente ad alcune tipologie di aree omogenee e ben determinate. Si è riconosciuta alle regioni la possibilità di formulare un criterio di localizzazione anche in negativo, ma articolato in modo da non pregiudicare la possibilità prevista dalla legislazione nazionale di realizzare le reti di infrastrutture per le telecomunicazioni. In sostanza il criterio di localizzazione non deve mai tradursi in irragionevole limitazione o addirittura in impossibilità di localizzazione.
Inoltre in questa pronuncia è stato statutito che la Regione può sottoporre l’installazione di impianti radioelettrici alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), anche a prescindere dalla previsione analoga contenuta nella legge statale (poi abrogata dall'art. 12 del d. lgs. n. 198 del 2002, a sua volta però caducato dalla sentenza n. 303 del 2003), in quanto afferisce alla disciplina dell'uso del territorio, e non contrasta con alcun principio fondamentale della legislazione statale.
Naturalmente questa procedura è ragionevole applicarla solo ai grandi impianti che possono avere un impatto significativo sul territorio.
Infine la Regione deve sottoporre a Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) tutti gli atti e i provvedimenti di pianificazione e programmazione del settore delle telecomunicazioni, ad eccezione degli interventi che riguardano la telefonia mobile (art. 7 commi 2 e 8 del D.Lgs. 152 del 2006 Norme in materia ambientale).

Per quanto riguarda il quesito punto c)
Vediamo ora quali competenze il Comune può esercitare nel redigere un regolamento comunale e assicurare in tal modo il corretto insediamento urbanistico-territoriale degli impianti per minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
Lo sviluppo della rete di comunicazione (in particolare di telefonia mobile), in questi ultimi anni è stato accompagnato da forti tensioni sociali, i comuni in funzione degli interessi della collettività che rappresentano, sono stati impegnati a gestire e risolvere accesi conflitti tra comitati o associazioni e gestori degli impianti di comunicazione, soprattutto perchè lo sviluppo delle infrastrutture non è stato oggetto di confronto e di condivisione con tutti gli attori interessati. Ma anche perché i comuni hanno subito la sovrapposizione di norme contraddittorie e inconciliabili tra loro, che di fatto hanno solo creato confusione, caratterizzando il settore delle comunicazioni con un elevato livello di conflittualità.
Ma nonostante questo disorientamento, la potestà regolamentare dei Comuni attribuita dalla Legge 36/2001, ha retto anche il vaglio dei giudici di palazzo Spada, vediamo la recentissima sentenza del Consiglio di Stato n. 3332 del 5 giugno 2006:
“La potestà assegnata al Comune dall’art. 8, comma sesto, della legge 22.06.2001, n. 36, di regolamentare “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi radioelettrici” può tradursi, a titolo di esemplificazione, nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche…” (cfr. Corte Costituzionale, n. 331 del 15.10/07.11.2003; n. 307 del 07.10.2003)”.
E’ da sottolineare inoltre che nel vasto panorama giurisprudenziale dovuto alle infinite dispute fra comuni e gestori, si è affermato negli ultimi tempi un principio molto importante: il Principio di leale collaborazione tra Comuni e gestori, argomento cardine nella sentenza del T.A.R. Umbria n. 271 del 12 maggio 2005: “L’individuazione dei siti di localizzazione e delle caratteristiche degli impianti di telefonia mobile deve avvenire nel rispetto del principio di leale cooperazione tra Comune e gestori; i gestori, tuttavia, hanno pur sempre l’onere di fornire, nell’ambito del procedimento di elaborazione dei regolamenti, le informazioni sulla funzionalità e sulle esigenze del servizio in loro possesso; tale onere va inteso come onere della prova contraria rispetto all’adeguatezza delle proposte del Comune, ovvero come dimostrazione adeguata della infungibilità funzionale (apprezzabile minor efficacia sotto il profilo tecnico) di un possibile sito, o di un possibile impianto, rispetto alle alternative ipotizzate dal Comune; con la conseguenza che, laddove tali alternative localizzative o realizzative, che consentano di minimizzare i livelli di esposizione sul territorio comunale, presentino un’adeguata efficacia funzionale, quese ultime, ancorché comportino costi diretti o indiretti maggiori (purché si tratti di tecnologie aziendalmente disponibili - argomentando alla luce dei principi della disciplina comunitaria della tutela ambientale, a partire dalla Direttiva 96/61/CEE, I.P.P.C.), possono legittimamente essere imposte dal Comune mediante lo strumento regolamentare”.
Tale concetto viene poi ripreso ed esteso dal T.A.R. Toscana con la sentenza n. 4572 del 3 Ottobre 2005: “La necessità di coinvolgere i gestori interessati (soggetti ben individuati) nel procedimento di localizzazione degli impianti discende, non solo, dalle previsioni e dalla ratio della normativa di settore (art. 9, commi 1 e 2, della L. quadro; art. 41, comma 2, della L. n. 166/2002; art. 4, commi 2 e 3, art. 86, comma 2, del Codice delle comunicazioni elettroniche) ma discende, anche, dai principi generali in tema di partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti, nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti, introdotti nell’ordinamento dalla L. n. 241/1990 nonchè dai canoni che debbono presiedere all’esercizio dell’attività amministrativa, affinché questa si conformi all’art. 97 della Costituzione”.
Nel progetto di costruzione della rete il gestore deve pertanto collaborare con il Comune concretamente, (Principio di leale collaborazione) presentando un piano perlomeno annuale delle installazioni programmate, al fine di non comprimere le funzioni comunali in tema di disciplina dell’uso del territorio, come puntualizza la recente sentenza del T.A.R. Emilia Romagna n. 10 del 12 gennaio 2006:
“Sono legittime le disposizioni comunali che subordinano la installazione degli impianti di telefonia mobile alla previa approvazione da parte dell’Amministrazione locale di un “piano complessivo delle installazioni”, predisposto sulla base delle proposte dei gestori. Tale strumento pianificatorio contempera infatti l’esigenza di copertura del servizio sul territorio comunale con quella di un corretto insediamento degli impianti – per lo più di rilevante impatto urbanistico-ambientale –, oltre che con l’esigenza di minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici, assicurando al contempo ai gestori uniformità di trattamento in sede di vaglio congiunto delle relative richieste. Esso, peraltro, non è in contrasto con il d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (“Codice delle comunicazioni elettroniche”), ed in particolare con le disposizioni che recano modalità procedurali informate alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità (artt. 86 e 87), posto che l’approvazione deve pur sempre intervenire in tempi rapidi e con modalità tali da far salvo il procedimento regolato dal legislatore statale, oltre che nel rispetto dei parametri di valutazione fissati dalla legge n. 36 del 2001, integra rimanendo la competenza delle Regioni sia per il governo del territorio sia per la tutela della salute (v. Corte cost. 27 luglio 2005 n. 336). La circostanza, poi, che gli impianti di telefonia mobile siano oramai classificati come opere di urbanizzazione primaria (v. art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003), lungi dal liberalizzare in toto l’insediamento di simili impianti e dal sacrificare le attribuzioni comunali in tema di disciplina dell’uso del territorio, rivela esclusivamente la volontà normativa di qualificare sotto il profilo urbanistico le relative strutture, e dunque, pur orientando le scelte localizzative rimesse al vaglio delle Autorità locali, non impedisce loro l’esercizio delle ordinarie competenze a tutela del corretto assetto urbanistico-edilizio delle aree interessate”.
E’ indispensabile inoltre avviare un confronto tecnico sulle possibili aree di installazione, specialmente se siamo in presenza di aree sensibili, come chiarisce la recente sentenza del TAR Veneto, n. 565 dell’8 marzo 2006: “In presenza di asili, scuole, ospedali, case di cura, aree per il gioco e lo sport (cosidetti “siti sensibili”), il Comune puo’ chiedere ai gestori di dimostrare che l’installazione dell’antenna sia indispensabile ai fini della copertura del servizio. Spetterà all’operatore, in sede di proposizione delle proprie istanze al fine della predisposizione del piano comunale delle installazioni, dimostrare la necessità di una certa localizzazione, avviandosi un contraddittorio con l’amministrazione comunale mirato al contemperamento delle opposte esigenze”.
Dunque i gestori dovranno presentare un piano almeno annuale delle installazioni e il Comune, riprendendo sensatamente il 15° considerato della direttiva 2001/42/CE (Valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente): “Allo scopo di contribuire ad una maggiore trasparenza dell'iter decisionale nonché allo scopo di garantire la completezza e l'affidabilità delle informazioni su cui poggia la valutazione, occorre stabilire che le autorità responsabili per l'ambiente ed il pubblico siano consultate durante la valutazione dei piani e dei programmi e che vengano fissate scadenze adeguate per consentire un lasso di tempo sufficiente per le consultazioni, compresa la formulazione di pareri”, attiverà un procedimento partecipato con tutti i soggetti aventi titolo, sia a livello di Legge n. 241 del 1990, che a livello tecnico e sanitario.
La Regione nella stesura di una legge che disciplina l’installazione degli impianti radioelettrici potrebbe formulare un articolo specifico che obbliga i comuni a predisporre un regolamento comunale, con queste indicazioni:
“I comuni adottano un regolamento di localizzazione dei nuovi impianti di telefonia mobile, e per la eventuale delocalizzazione di quelli esistenti. Al fine dell’adozione dei regolamenti, i comuni indicono, nel rispetto del principio della leale collaborazione, apposita conferenza istruttoria alla quale partecipano: gli operatori interessati i quali presentano una proposta di piano (almeno annuale) della localizzazione dei nuovi impianti di telefonia mobile e per la eventuale delocalizzazione di quelli esistenti; l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA); le aziende sanitarie locali competenti per territorio; i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati ai sensi dell’articolo 9 della legge 241/90”.

Fulvio Albanese
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