Presidente: Cantillo M. Estensore: Carbone V. P.M. Di Salvo E. (Conf.)
Smithwline Beecham Farm. (Guarino ed altro) contro Com. Senago ed altri (Romanelli ed altro)
(Cassa con rinvio, App. Milano, 20 novembre 1992).
PROVA CIVILE - CONSULENZA TECNICA - OGGETTO - Azione di risarcimento del danno ambientale - Promozione da parte di un Comune a norma dell'art. 18 legge n. 349 del 1986 - Prova del danno - Oggetto - Consulenza tecnica di ufficio - Ammissibilità.
Con riguardo ad azione di risarcimento del danno ambientale, promossa da un Comune a norma dell'art. 18 legge n. 349 del 1986 (nella specie, nei confronti di imprese che si assumono responsabili di produzione, circolazione e sversamento di rifiuti speciali industriali senza l'adozione di idonee cautele), nella prova dell'indicato danno bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente, vale a dire della lesione "in sè" del bene ambientale, la cui sussistenza è valutabile solo attraverso accertamenti, eseguiti da qualificati organismi pubblici, in presenza dei quali non può fondatamente rigettarsi la richiesta del danneggiato di consulenza tecnica di ufficio, non sussistendo in ottemperanza di questi all'onere della prova ed essendo la consulenza finalizzata alla verifica di fatti essenziali per la decisione, rispetto ai quali essa si presenta come strumento tecnicamente più funzionale ed efficace d'indagine.
  REPUBBLICA ITALIANA
  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
  
    
SEZIONE I
    
    
			Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
			  Dott.    Michele           CANTILLO                    Presidente
			   "       Vincenzo          CARBONE                Rel. Consigliere
			   "       Alfio             FINOCCHIARO                      "
			   "       Ugo               VITRONE                          "
			   "       Giulio            GRAZIADEI                        "
			ha pronunciato la seguente
		 
			SENTENZA
			sul ricorso proposto
			da
			SMITHWLINE BEECHAM FARMACEUTICI S.P.A., già Zambeletti in persona 
			dei legali rappresentanti pro tempore elettivamente domiciliata in 
			Roma piazza Borghese 3 c-o gli avvocati Giuseppe Guarino e Paolo 
			Mercuri giusta procura speciale per Notaio Luigi Prinetti di Milano 
			rep. 69960 del 24.9.1993;
			Ricorrente
			contro
			- AUSCHEM S.P.A. (nuova denominazione assunta da Rol S.p.A.);
			- COMUNE DI SENAGO;
			- FALLIMENTO CENTRO ECOLOGICO PADANO;
			- HOECHST ITALIA S.P.A.
			- COEDE S.A.S.;
			Intimati
			e sul secondo ricorso 11476-93 proposto
			da
			COMUNE DI SENAGO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente 
			domiciliato in Roma via Cosseria 5 c-o l'avvocato Enrico Romanelli 
			che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Giovanni 
			Mariotti giusta delega a margine del controricorso e ricorso 
			incidentale;
			Controricorrente e ricorrente incidentale
			contro
			HOECHST ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro 
			tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Alessandria 130 c-o 
			l'avvocato Fabio Lorenzoni che la rappresenta e difende unitamente 
			all'avvocato Francesco Perli giusta delega in calce al controricorso 
			e ricorso incidentale;
			Controricorrente
			contro
			3M ITALIA S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, 
			elettivamente domiciliata in Roma Via Alessandria 130 c-o l'avvocato 
			Fabio Lorenzoni che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato 
			Francesco Perli giusta delega in calce al controricorso e ricorso 
			incidentale;
			Controricorrente
			contro
			SMITHWLINE BEECHAM FARMACEUTICI S.P.A. (già Soc. Zambeletti);
			- AUSCHEM S.P.A. (nuova denominazione assunta dal Rol S.p.A.) 
			- FALLIMENTO CENTRO ECOLOGICO PADANO in persona del curatore Massa 
			Giordano;
			COEDE S.A.S.
			Intimati
			e sul terzo ricorso 11651-93 proposto
			da
			HOECHST ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro 
			tempore, elettivamente domiciliata in Roma via Alessandria 130 c-o 
			l'avvocato Fabio Lorenzoni che la rappresenta e difende unitamente 
			all'avvocato Francesco Perli giusta delega in calce al controricorso 
			e ricorso incidentale;
			Controricorrente e ricorrente incidentale
			contro
			- SMITHWLINE BEECHAM FARMACEUTICI S.P.A. (già società Zambeletti);
			- COMUNE DI SENAGO
			- FALL.TO CENTRO ECOLOGICO PADANO in persona del Curatore Massa 
			Giordano
			- COEDE S.A.S.
			- ROL S.P.A. (ora AUSCHEM S.P.A.);
			- 3M ITALIA S.p.A.
			Intimati
			e sul quarto ricorso 11652-93 proposto
			da
			3M ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, 
			elettivamente domiciliata in Roma Via Alessandria 130 c-o l'avvocato 
			Fabio Lorenzoni che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato 
			Francesco Perli giusta delega in calce al controricorso e ricorso 
			incidentale;
			Controricorrente e ricorrente incidentale
			contro
			- SMITHWLINE BEECHAM FARMACEUTICI S.P.A. (già Società Zambeletti) 
			- COMUNE DI SENAGO
			- FALLIMENTO CENTRO ECOLOGICO PADANO, in persona del curatore Massa 
			Giordano
			- COEDE S.A.S.
			- ROL S.P.A. (già AUSCHEM S.P.A.)
			- HOECHEST ITALIA S.P.A.
			Intimati
			avverso la sentenza 2004-92 della Corte di Appello di Milano 
			depositata l 20.11.1992;
			sono presenti per il ricorrente 10147-93 l'avvocato Panunzio con 
			delega;
			sono presenti per il ric. 11476-93 per il ricorrente l'avvocato 
			Romanelli E.;
			per il resistente gli avvocati Perli per la Hoechst e per la 3M It. 
			Soc. con l'avvocato Lorenzoni;
			per i ricorsi 11651 e 11652-93 gli avvocati Perli e Lorenzoni;
			udita la relazione del Consigliere Rel. Dott. Carbone nella pubblica 
			udienza del 10.3.1995;
			la difesa del ricorso principale (n. 10147-93) l'avvocato Panunzio 
			con delega chiede l'accoglimento del proprio ricorso, rigetto degli 
			altri;
			la difesa del ricorso n. 11476-93 chiede per il ricorrente Comune di 
			Senago l'avvocato Romanelli chiede l'accoglimento del proprio ricorso 
			e rigetto degli altri;
			per i ricorsi 11651-93 e 11652-93 gli avvocati Perli e Lorenzoni per 
			la Hoechst e per la 3M Italia chiedono l'accoglimento del proprio 
			ricorso e rigetto degli altri;
			udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Di Salvo che 
			conclude per l'accoglimento del 1 motivo ricorso principale;
			assorbiti gli altri rigetto degli incidentali.
			SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
			Il Comune di Senago convenne in giudizio innanzi al Tribunale di 
			Milano, con atto del 3.12.1984, la s.p.a. Centro Ecologico Padano, 
			precedentemente dichiarata fallita dal Tribunale di Lodi il 
			27.2.1984, nonché le società Smithkline Beecham Farmaceutici s.p.a. 
			(già Società Zambelletti), Auschem s.p.a. (prima denominata Rol 
			s.p.a.), Hoechst Italia s.p.a., 3M Italia s.p.a., Coede s.a.s., 
			dichiarando che dal febbraio del 1983 era stata rilevata l'esistenza 
			nel proprio territorio di un serbatoio fisso, di proprietà della 
			soc. Coede, ed utilizzato dalla soc. CEP per lo stoccaggio di rifiuti 
			speciali industriali prodotti dalle altre società. 
			Inoltre nel marzo 1983 il deposito, perché sprovvisto della 
			prescritta autorizzazione era stato sottoposto a sequestro. Infine, a 
			seguito di esami effettuati dal laboratorio provinciale di igiene, 
			era stata accertata nell'aprile del 1983 la presenza nel serbatoio di 
			sostanze tossiche, per cui la Giunta regionale aveva vietato ogni 
			ulteriore conferimento di rifiuti.
			Nelle more, la s.p.a. CEP era dichiarata fallita, mentre la Usl 
			competente aveva individuato gravissime perdite di sostanze 
			inquinanti dal predetto serbatoio, sicché il Comune, non essendo in 
			grado il curatore fallimentare di smantellare la struttura del 
			serbatoio, aveva provveduto d'ufficio ad appaltare il lavoro ad altra 
			società, per il costo di lire 124.823.586.
			Tanto premesso, il Comune di Senago chiese nei confronti di tutti 
			i convenuti la condanna in solido per il fatto illecito commesso 
			mediante la produzione e lo scarico abusivo nel serbatoio dei propri 
			rifiuti tossici, con il conseguente rimborso della spesa sostenuta 
			per lo smantellamento dello stesso nonché con la condanna al 
			risarcimento del danno ambientale dovuto alla compromissione 
			dell'ambiente per il diffondersi nel territorio del comune di rifiuti 
			tossici prodotti e sversati senza le dovute cautele imposte dalla 
			legge.
			Sull'eccezione del curatore del fallimento, che rilevò 
			l'improponibilità della domanda proposta in sede diversa da quella 
			concorsuale, il Tribunale, con sentenza del 17.11.1988, accolse 
			l'eccezione della curatela e, ritenuta la responsabilità solidale 
			degli altri convenuti, li condannò al pagamento della somma di lire 
			155.000.000 in favore dell'istante.
			Siffatta decisione ha trovato conferma da parte del giudice del 
			gravame che, con sentenza del 20.11.1992, ha respinto l'appello. 
			Secondo la Corte territoriale: a) l'eccezione di incompetenza del 
			Tribunale ordinario, per essere competente il Tribunale fallimentare 
			di Lodi, è destituita di fondamento, in quanto si tratta di 
			obbligazioni solidali, e quindi di litisconsorzio meramente 
			facoltativo; b) la domanda di risarcimento del danno ambientale va 
			rigetta in quanto sfornita di prova; ne', a tal fine, può essere 
			sufficiente la richiesta consulenza tecnica d'ufficio, che non può 
			avere solo intenti esplorativi e surrogatori; c) la responsabilità 
			delle società convenute va affermata sia sulla base dell'art. 2043 
			c.c., per aver consentito il deposito dei propri rifiuti tossici nel 
			serbatoio, non abilitato a riceverli, e per non essersi accertate del 
			loro definitivo smaltimento, sia ai sensi dell'art. 2050 c.c., 
			poiché l'attività di produzione da cui residuino sostanze tossiche 
			e nocive è certamente attività pericolosa, con la conseguenza che 
			ai produttori dei rifiuti non basta provare di aver contrattualmente 
			demandato a terzi lo smaltimento dei rifiuti stessi per vincere la 
			presunzione legale di responsabilità.
			Avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano ha proposto 
			ricorso per cassazione la s.p.a. Smithkline Beecham Farmaceutici 
			(già s.p.a. Zambelletti). Il Comune di Senago ha presentato 
			controricorso e proposto ricorso incidentale. Le società 3M Italia 
			s.p.a e Hoechst Italia s.p.a. hanno proposto ricorso incidentale e 
			presentato controricorso avverso il ricorso incidentale del Comune di 
			Senago, ai sensi dell'art. 371, co. 4, c.p.c..
			Sono state depositate tempestive memorie sia da parte del 
			ricorrente principale, sia da parte dell'Amministrazione comunale e 
			degli altri ricorrenti incidentali.
			MOTIVI DELLA DECISIONE
			Vanno preliminarmente riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., 
			tutti i ricorsi, trattandosi di impugnazioni autonomamente proposte 
			avverso la stessa decisione.
			Con il primo motivo del ricorso principale, e con il primo motivo 
			dei ricorsi incidentali n. 11651 e n. 11652, da trattare 
			congiuntamente in quanto strettamente connessi, si ripropone in 
			questa sede di legittimità la questione dell'incompetenza del 
			Tribunale ordinario per asserita violazione dell'art. 24 l. fall. 
			267-1942, per essere competente il Tribunale di Lodi, in quanto non 
			si tratterebbe di responsabilità solidale ne di litisconsorzio 
			meramente facoltativo, ma di responsabilità esclusiva della società 
			fallita per il mancato svuotamento del deposito, con la conseguente 
			competenza funzionale esclusiva del giudice fallimentare. 
			L'assunto proposto dal ricorrente principale è infondato, mentre 
			va dichiarato inammissibile l'analogo motivo di ricorso dei 
			ricorrenti incidentali che hanno sollevato la questione per la prima 
			volta in questa sede, non avendola mai avanzata in prime cure. 
			In proposito i giudici di merito hanno accertato una
			responsabilità solidale sia della S.p.a. CEP che degli altri 
			soggetti, questi ultimi per aver prodotto rifiuti speciali 
			industriali senza aver adottato tutte le misure atte ad evitare il 
			danno, limitandosi a trasferirne la detenzione all'altra società che 
			ne consentiva lo sversamento in un serbatoio abusivo, perché privo 
			della prescritta autorizzazione, serbatoio peraltro non a tenuta 
			stagna, mantenuto in funzione nonostante gli ordini di 
			smantellamento, resisi necessari a seguito delle accertate gravissime 
			perdite di sostanze inquinanti.
			La Corte territoriale ha, pertanto, accertato una situazione di 
			corresponsabilità di più soggetti per lo stesso evento dannoso, sia 
			pure a diverso titolo. In particolare, sussiste la responsabilità 
			concorrente del produttore di rifiuti per culpa in vigilando, per 
			avere, cioè, effettuato svernamenti direttamente o a mezzo di terzi 
			a lui legati contrattualmente, in un deposito sprovvisto della 
			prescritta autorizzazione e già sottoposto a sequestro. È vero che 
			all'epoca dello sversamento - come rileva il ricorrente principale - 
			non era ancora entrata in vigore la normativa che impone al 
			produttore di rifiuti il controllo sulla discarica, introdotto con il 
			d.p.r. 10.9.1982 n. 915, ma è altresì vero che, anche prima della 
			normativa di settore, il produttore di rifiuti tossici o nocivi era 
			obbligato, in base ai principi generali, e cioè in base al 
			richiamato art. 2050 c.c., a non cagionare danno nell'esercizio di 
			un'attività indubbiamente pericolosa quale quella che da luogo alla 
			produzione di rifiuti tossici e nocivi a livello industriale, anzi, 
			di adottare tutte le misure idonee ad evitare ogni possibile danno, 
			anche quello ambientale.
			Ed il rapporto processuale con pluralità di condebitori solidali 
			non diventa improcedibile per il fallimento di uno di essi, in quanto 
			l'attrazione della competenza del Tribunale in sede fallimentare si 
			presenta solo per il condebitore solidale dichiarato fallito, mentre 
			per gli altri condebitori solidali, rimasti in bonis, il giudizio 
			deve proseguire davanti al Tribunale ordinario. Non sussiste, 
			pertanto, una vis attrcativa del Tribunale fallimentare nei confronti 
			del presente processo, stante la coesistenza di comportamenti 
			illeciti posti in essere dalle società convenute o un dovere del 
			terzo danneggiato di doversi rivolgere al curatore, potendo egli 
			convenire in giudizio gli altri condebitori.
			Come ha già rilevato questo Collegio (cass. 7 gennaio 1983 n. 
			105), l'improcedibilità del giudizio tra il creditore ed uno dei 
			condebitori solidali, determinata dal fallimento di quest'ultimo, non 
			impedisce che il giudizio stesso prosegua nella sede ordinaria nei 
			confronti degli altri condebitori in bonis, senza essere attratto 
			nella competenza del Tribunale fallimentare, con il quale non ha che 
			un rapporto di mera occasionalità.
			Con il secondo e terzo motivo del ricorso principale, nonché con 
			il secondo e terzo motivo dei ricorsi incidentali della Hoechst e 
			della 3M, si censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa 
			applicazione degli artt. 2043 e 2055 c.c. e 4 l. reg. Lombardia n. 
			94-1980, per non aver tenuto conto che la società ricorrente aveva 
			affidato ad altri lo sversamento dei depositi tossici e, una volta 
			consegnati materialmente, in base a contratto, andava esonerata da 
			ogni responsabilità.
			La censura è infondata, in quanto intende costituire una figura 
			di detentore di rifiuti ex contractu, su cui scaricare l'esclusiva 
			responsabilità del fatto.
			Il soggetto produttore dei rifiuti tossici, infatti, è comunque 
			soggetto agli artt. 2043 e 2050 c.c., e non può esonerarsi da 
			siffatta responsabilità attraverso una fittizia distinzione tra 
			soggetto produttore dei rifiuti, e soggetto tenuto allo smaltimento e 
			stoccaggio degli stessi, in quanto tutti i soggetti coinvolti nel 
			ciclo di produzione e smaltimento dei rifiuti tossici, ed in 
			particolare il soggetto produttore, sono ugualmente responsabili e 
			solidalmente tenuti ad adottare quelle misure di sicurezza, anche 
			nella fase di smaltimento, affinché lo sversamento definitivo e lo 
			stoccaggio dei rifiuti prodotti avvenga senza danni a terzi. 
			Con l unico motivo del ricorso incidentale proposto dal Comune di 
			Senago si censura l'impugnata sentenza per aver respinto la domanda 
			di risarcimento del danno ambientale, sull'assunto che esso non fosse 
			provato, per cui non poteva disporsi consulenza tecnica d'ufficio. 
			Secondo il ricorrente incidentale, l'amministrazione comunale aveva 
			fornito adeguata prova sulla sussistenza del danno ambientale come 
			MOTIVI DELLA DECISIONE
			appare dalla documentazione amministrativa esibita dal Comune e 
			richiamata nello svolgimento del processo. Nel febbraio 1983, 
			infatti, era stata rilevata l'esistenza di un serbatoio per lo 
			stoccaggio di rifiuti speciali industriali, considerati dall'analisi 
			effettuata dal laboratorio provinciale di igiene altamente tossici e 
			nocivi. Inoltre, la predetta struttura, poiché risultava sprovvista 
			della prescritta autorizzazione, era stata sottoposta a sequestro 
			dalla provincia di Milano. Infine, nel marzo del 1983, ad un mese dal 
			rilevamento, la Giunta regionale aveva imposto la cessazione di ogni 
			conferimento di rifiuti, e la USL competente aveva, successivamente, 
			accertato gravissime perdite di sostanze inquinanti dal serbatoio. 
			Di fronte a questa documentazione, non contestato non v'è dubbio 
			sullo sversamento di rifiuti tossici e nocivi in un deposito privo di 
			autorizzazione e non a tenuta stagna, come evidenziato dalla USL, che 
			aveva rilevato, in proposito, "una gravissima perdita" di sostanze 
			altamente inquinanti.
			Appaiono, pertanto, allegati in atti elementi gravi, precisi e 
			concordanti sul dedotto pregiudizio ambientale, che non è valutabile 
			se non attraverso accertamenti disposti da qualificati organismi, 
			atti ad emettere analisi e riscontri tecnici ed a valutare il 
			pregiudizio per il territorio, derivante dalla presenza di sostanze 
			tossiche e nocive, anche in relazione alla loro concentrazione ed al 
			grado di assorbimento del terreno. Di fronte a queste risultanze 
			istruttorie non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte di 
			legittimità (Cass. 30.1.1985 n. 622) il rigetto della domanda per 
			inosservanza dell'onere probatoria in presenza della richiesta 
			consulenza tecnica. Con la ricordata giurisprudenza, infatti, questa 
			Corte aveva già avuto modo di affermare che quando la consulenza 
			tecnica sia richiesta da una parte al fine di accertare fatti 
			essenziali per la decisione, rispetto ai quali si presenta come 
			strumento tecnicamente più funzionale ed efficace di indagine, il 
			giudice di merito non può negarla, senza confutare con adeguata 
			motivazione le ragioni addotte dalla parte e non può rigettare la 
			pretesa sostanziale osservando che con quella richiesta non si è 
			adempiuto all'onere della prova.
			Inoltre, proprio in relazione al danno ambientale, occorre 
			rilevare come le conseguenze pregiudizievoli dovute al progressivo 
			sversamento ed accumulo di rifiuti tossici, si manifestarlo, e sono 
			riscontrabili, solo nel tempo, e non certo coevamente e 
			contestualmente all'illegittimo deposito.
			Il concetto di danno ambientale sviluppatosi solo di recente, 
			rispetto al tronco dell'illecito aquiliano, attraverso l'art. 18 l. 8 
			luglio 1986 n. 349, accoglie il concetto di "compromissione o torto 
			ambientale", consistente nell'alterazione, deterioramento, 
			distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. In altri termini, 
			non basta la violazione puramente formale della normativa in materia 
			di inquinamento, nella specie in materia di rifiuti tossici, ma 
			occorre che lo Stato, o gli enti territoriali, su cui incidono i beni 
			oggetto del fatto lesivo (cfr. Cass. 12 febbraio 1988 n. 1491), ai 
			sensi del comma 3 dell'art. 18, deducano l'avvenuta compromissione 
			dell'ambiente.
			Se è vero, pertanto, che l'onere probatorio grava sul soggetto 
			danneggiato, non è men vero che la prova del danno ambientale non 
			può non consistere nella compromissione dell'ambiente stesso, 
			accertata attraverso rilevazioni ed esami pubblici, o rilevamenti 
			della USL, così come evidenziati dal ricorrente incidentale. 
			Poiché il danno ambientale supera e trascende il danno ai singoli 
			beni che ne fatto parte, quest'ultimo si ancorato alla tradizionale 
			concezione civilistica delle conseguenze patrimoniali, come rilevato 
			dalla giurisprudenza di legittimità nonché degli stessi giudici 
			delle leggi (Cass. sez. un. 25 gennaio 1989 n. 440; 9 aprile 1992 n. 
			4362; Corte cost. 30 dicembre 1987 n. 641), la compromissione 
			dell'ambiente va vista, sotto l'aspetto probatorio, in stretto 
			collegamento con l'art. 18, tenuto conto delle particolarità in esso 
			contenuto, ed in particolare nei commi 6 e 7, che lo diversificano 
			dal genus aquiliano, cui pure appartiene.
			Nella disciplina del danno ambientale, infatti, considerato in 
			senso unitario, l'ordinamento ha voluto tener conto non solo del 
			profilo risarcitorio, ma anche di quello sanzionatorio, che pone in 
			primo piano non solo e non tanto le conseguenze patrimoniali del 
			danno arrecato (i c.d. danni conseguenza), ma anche e soprattutto la 
			stessa produzione dell'evento, e cioè l'alterazione, il 
			deterioramento, la distruzione, in tutto o in parte dell'ambiente, e 
			cioè la lesione in sè del bene ambientale. La particolare rilevanza 
			dell'evento lesivo si riscontra sia nel comma 3 dell'art. 18, dove la 
			legittimazione degli enti territoriali è in funzione 
			dell'appartenenza dei beni oggetto del fatto lesivo, sia nel comma 4, 
			dove si riconosce alle associazioni dei cittadini di sollecitare 
			l'esercizio dell'azione "in presenza di fatti lesivi di beni 
			ambientali". Gli spunti di maggiore interesse sono dati, comunque, 
			dal comma 8, dove si prevede, ove possibile, il ripristino dello 
			stato dei luoghi a spese del responsabile, ma soprattutto nei commi 6 
			e 7, che rappresentano l'aspetto più peculiare del danno ambientale 
			rispetto al genere del danno aquiliano in generale.
			Nel comma 6 si prevede, ove non sia possibile una precisa 
			quantificazione del danno, una determinazione in via equitativa, 
			rapportata non al solito criterio della Differenztheorie, ma 
			parametrato a criteri del tutto inusitati per il vecchio modello del 
			danno risarcibile nella responsabilità civile, in quanto il bene 
			ambiente è fuori commercio, e come tale insuscettibile di una 
			valutazione venale secondo i prezzi di mercato, dovendo essere 
			considerato nel suo valore d'uso. Il giudice, infatti, deve tener 
			comunque conto: a) della gravità della colpa individuale, b) del 
			costo necessario per il ripristino dell'ambiente; c) del profitto 
			conseguito dal trasgressore, in conseguenza del suo comportamento 
			lesivo dei beni ambientali.
			Balza evidente come sotto il riflettore dell'indagine giudiziaria 
			non si trovi la situazione patrimoniale dello Stato o degli altri 
			enti legittimati, come conseguenza del danno ambientale subito, 
			bensì elementi chiaramente sanzionatori, a livello di pene civili, 
			quali la gravità della colpa del trasgressore, il profitto 
			conseguito dallo stesso, ed il costo necessario al ripristino, al 
			posto del pregiudizio patrimoniale subito.
			Infine, il comma 7 dell'art. 18 rappresenta una deroga del 
			principio nell'art. 2055 c.c., perché, nell'ipotesi di concorso di 
			più soggetti, non sussiste la prevista solidarietà, ma ciascuno dei 
			coautori del danno risponde nei limiti della propria responsabilità 
			individuale.
			Il timbro repressivo adoperato dal legislatore conferisce al torto 
			ecologico una sua peculiarità nell'ambito della responsabilità 
			civile, con la conseguenza che anche la prova di siffatto torto non 
			può non risentirne, ispirata, come dev'essere, non a parametri 
			puramente patrimoniali, ma alla compromissione dell'ambiente, 
			strettamente collegata al fatto lesivo del bene ambientale posto in 
			essere, come nella specie, da chi ha concorso nell'utilizzo di un 
			serbatoio non autorizzato, dal quale fuoriuscivano, come accertato 
			dalla USL, i rifiutati tossici e nocivi che vi erano stati sversati. 
			Il giudice del rinvio dovrà tener conto degli esposti principi, 
			ed in particolare che nella prova del danno ambientale bisogna 
			distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o 
			privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela 
			nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato in senso 
			unitario, in cui il profilo sanzionatorio nei confronti del fatto 
			lesivo del bene ambientale comporta un accertamento che non è quello 
			del mero pregiudizio patrimoniale, ma della compromissione 
			dell'ambiente.
			Lo stesso giudice provvederà anche sulle spese di questo giudizio 
			di cassazione.
			P.Q.M.
			La Corte riunisce i ricorsi e rigetta quelli recanti i numeri 
			10147, 11651 e 11652, mentre accoglie il ricorso incidentale del 
			Comune di Senago n. 11476-93.
			Cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte 
			d'appello di Milano.
			Così deciso in Roma addì 10 marzo 1995 nella camera di consiglio 
			della prima sezione civile.
		
 
                    




