Consiglio di Stato Sez.VII n. 9538 del 3 novembre 2023
Beni Culturali.Dichiarazione di interesse culturale ed interessi del privato proprietario del bene

Dagli artt. 2 e 13  e dalla sistematica del Titolo I del D. lgs. 42/2004, non emerge alcuno spazio all'interno del quale, ai fini della dichiarazione del pregio culturale di un bene, affiorino anche gli interessi secondari del privato proprietario. Nella logica seguita dal legislatore, trattasi infatti di un procedimento volto all'accertamento (e si noti come il legislatore utilizzi proprio tale termine) di una qualità che il bene possiede e che non può certo venire meno in considerazione di eventuali interessi secondari riconducibili all'utilizzazione e agli oneri di conservazione del bene.


Pubblicato il 03/11/2023

N. 09538/2023REG.PROV.COLL.

N. 07698/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7698 del 2019, proposto da
Fondazione Jangl Privatstiftung, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Manlio Frigo, Alberto Saravalle e Luisa Torchia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luisa Torchia in Roma, viale Bruno Buozzi N 47;

contro

Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Lombardia, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Silvana Norsa, Giulia Pesaro, Laura Pesaro, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 3402/2019


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Lombardia e di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 13 settembre 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti gli avvocati Francesco Giovanni Albisinni in sostituzione dell'avvocato Luisa Torchia per parte appellante e l'Avvocatura Generale dello Stato per parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.L’appellante, originaria ricorrente, premetteva che “La Guida dei perplessi” è un antico manoscritto miniato di epoca medievale (d’ora in avanti anche il “Manoscritto”), realizzato da un rabbino austriaco in Austria, nel XIV secolo, acquistato nel 1516 dalla famiglia Norsa di Mantova e rimasto nella proprietà della famiglia per oltre 500 anni, senza essere esposto in alcun museo o biblioteca. Riferiva che i discendenti della famiglia, intenzionati ad alienarlo, visto l’interesse manifestato da un potenziale acquirente statunitense, nel 2014 avevano formulato istanza ai competenti uffici del Ministero per il rilascio di apposita licenza di esportazione, come previsto dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”). A seguito di tale istanza, il Ministero aveva avviato la procedura per la dichiarazione dell’interesse culturale, ai sensi dell’art. 13, del d.lgs. n. 42/2004.

Con decreto del Direttore generale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia del 14 febbraio 2014 il manoscritto veniva dichiarato bene di interesse culturale ai sensi dell’art. 10 comma 3 lett. a) e d) e dell’art. 13 comma 1, d.lgs. n. 42/2004.

Il 23 maggio 2017 la Fondazione Jangl Privatstiftung (di seguito: la Fondazione) aveva stipulato un contratto di compravendita per l’acquisto del manoscritto citato, denunciando il trasferimento della proprietà all’amministrazione ai sensi dell’art. 59, d.lgs. n. 42/2004.

Nello stesso giorno, la Fondazione aveva sottoscritto un accordo-quadro ex art. 11, l. n. 241/1990 con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (di seguito: MiBACT), con il quale si era assunta l’impegno di restaurare il manoscritto a proprie spese e di assicurarne l’accessibilità in Italia e all’estero, a fronte della rinuncia del Ministero al diritto di prelazione artistica e la predeterminazione delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione all’esportazione temporanea dell’opera.

A seguito di ispezione sul bene culturale svolta il giorno 8 giugno 2017, la Direzione generale Archivi del MiBACT, rilevato il cattivo stato di conservazione del bene, con nota del 6 settembre 2017, disponeva il trasferimento coattivo del bene in via d’urgenza e contestualmente comunicava l’avvio del procedimento amministrativo diretto all’imposizione di un vincolo storico-archivistico sull’atto di compravendita del manoscritto del 1516 – contenuto nelle prime pagine del volume - in considerazione dell’interesse culturale ex art. 10 comma 2 lett. b), d.lgs. n. 42/2004.

All’esito del procedimento, con decreto del 29 agosto 2017, il Soprintendente archivistico e bibliografico della Lombardia dichiarava la particolare importanza storica del bene culturale, rappresentato dal manoscritto e dal relativo atto di compravendita, considerati come un unicum inscindibile.

Con successivo decreto del 27 settembre 2017 la Direzione generale Archivi del MiBACT esercitava il diritto di prelazione artistica sul manoscritto.

Parallelamente, il 16 ottobre 2017 il Segretario generale del MiBACT comunicava il recesso dall’accordo-quadro sopra citato.

2. Avverso i sopra menzionati provvedimenti la Fondazione ha proposto ricorso per l’annullamento avanti al Tar per la Lombardia.

3. Con sentenza n. 3402 del 14 marzo 2019 il Tar ha respinto tutte le censure, fatta eccezione per la richiesta di liquidazione dell’indennizzo ex art. 11 comma 4, l. n. 241/1990 a seguito del recesso dall’accordo-quadro operato dall’Amministrazione.

In particolare il Tar ha affermato essere irrilevante la circostanza che l’atto di compravendita del 1516 fosse già noto all’amministrazione nel 2014, atteso che il potere di dichiarazione dell’interesse culturale del bene non è soggetto a decadenza o perenzione, e non occorre alcuna sopravvenienza fattuale per l’imposizione di un nuovo vincolo.

In secondo luogo, il Giudice ha confermato l’inscindibilità fisica e simbolica del manoscritto dall’atto di compravendita, vista la relazione allegata al provvedimento nella quale si attestava che l’estrazione del secondo avrebbe comportato un danneggiamento del primo sotto entrambi i profili.

In terzo luogo, con riguardo alla natura giuridica dell’atto di compravendita, il giudice territoriale ha statuito che trattasi di questione giuridica inconferente con la dichiarazione di interesse storico-archivistico del bene culturale, come tale non suscettibile di determinare alcun vizio del provvedimento impugnato.

3.1. Con riguardo al decreto del 27 settembre 2017 con cui la Direzione generale Archivi del MiBACT ha esercitato il diritto di prelazione artistica e rivendicato il possesso sul manoscritto in quanto bene demaniale, la difesa della ricorrente aveva articolato le seguenti censure: illegittimità derivata, per effetto dell’illegittimità del decreto di apposizione del vincolo del 29 agosto 2017; incompetenza dell’autorità emanante, giacché l’art. 76 r.d. n. 1163/1911 riserva l’atto ai “Prefetti, Soprintendenti e Direttori degli Archivi di Stato”; l’illegittimità della rivendicazione del possesso operata tramite provvedimento amministrativo, dal momento che la stessa doveva essere eseguita “in via giudiziaria”, come prescritto dall’art. 76 r.d. n. 1163/1911; tardività del provvedimento, in quanto emesso oltre il termine perentorio di 60 giorni decorrente dalla denuncia di trasferimento della proprietà ex art. 59, d.lgs. n. 42/2004;carenza di motivazione del provvedimento in relazione all’interesse pubblico perseguito.

3.2. Il Tar ha respinto anche tali doglianze.

In primo luogo, quanto alla competenza ad emanare il provvedimento, il giudice territoriale ha rilevato come il r.d. n. 1163/1911 si basava sulla struttura organizzativa vigente all’epoca. Una interpretazione evolutiva della disposizione suggerisce invece di ritenere che, a seguito del passaggio degli archivi di Stato dal Ministero dell’Interno al MiBACT, le relative competenze devono essere attribuite ai corrispondenti organi tecnici della predetta amministrazione. Inoltre, non è censurabile l’emanazione del provvedimento da parte della Direzione generale Archivi, atteso che il Regolamento di Organizzazione del MiBACT (artt. 21 e 22) sancisce la competenza di tale ufficio all’esercizio della prelazione artistica laddove si tratti di beni di interesse archivistico.

In secondo luogo, in merito al motivo di impugnazione relativo alla rivendicazione in via amministrativa del possesso dell’opera, il Tar ha ravvisato anzitutto il difetto di interesse della ricorrente, considerato che essa non ha ancora acquisito la proprietà del bene culturale, stante la pendenza della condizione sospensiva fino al termine di scadenza per l’esercizio della prelazione. In disparte il profilo di inammissibilità, il primo giudice ha dichiarato altresì infondata la doglianza, essendosi il provvedimento limitato ad affermare la necessità che l’atto di compravendita non fuoriuscisse dalla mano pubblica.

In terzo luogo, sulla asserita tardività dell’esercizio del diritto di prelazione, il giudice di prime cure ha rilevato come la denuncia di trasferimento della proprietà presentata dalla Fondazione il 23 maggio 2017 non era idonea a far decorrere il termine di 60 giorni, considerata l’assenza di firma digitale sul documento, l’invio della stessa da una casella Pec non riconducibile ai proprietari del bene, e l’incompletezza della denuncia dovuta alla mancata menzione dell’atto di compravendita del 1516.

In quarto luogo, il Tar ha escluso il lamentato vizio di carenza di motivazione, alla luce delle puntuali e diffuse considerazioni svolte nel provvedimento impugnato in merito alle criticità sul contenuto dell’accordo-quadro stipulato dalla Fondazione e il MiBACT, tanto con riguardo alle modalità di conservazione dell’opera, quanto con riguardo alle modalità di fruizione e valorizzazione del bene culturale.

3.3. Il Tar, in relazione al provvedimento del 16 ottobre 2017 con cui il Segretario generale del MiBACT ha receduto dall’accordo-quadro, ha parzialmente accolto il secondo motivo, osservando come l’accordo-quadro configurasse certamente un accordo sostitutivo del contenuto discrezionale del provvedimento di cui all’art. 11, l. n. 241/1990, come tale soggetto alla relativa disciplina.

Il Giudice ha tuttavia limitato il quantum dell’indennizzo al solo danno emergente - ossia alle spese sostenute dalla Fondazione in vista della conclusione dell’accordo – giacché non sono stati né allegati né dimostrati ulteriori danni patiti per effetto del recesso.

4. La Fondazione ha impugnato la sentenza con appello ritualmente notificato il 10 settembre 2019 e depositato il successivo 20 settembre.

Con atto del 30 novembre 2019 il MiBACT e la Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia (di seguito: la Soprintendenza) si sono costituiti in giudizio.

Con successiva memoria del 13 luglio 2023 la Soprintendenza ha resistito in giudizio, insistendo per il rigetto del gravame.

All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 13 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.Deve essere preliminarmente accolta l’eccezione di tardività, con conseguente inutilizzabilità della memoria depositata dalla Soprintendenza in data 13 luglio 2023 alle ore 13.20.

Il deposito è, infatti, avvenuto in violazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, c.p.a. e 4, comma 4, disp. att. c.p.a., oltre le ore 12 dell'ultimo giorno utile

Da tali disposizioni si evince che il deposito con il processo amministrativo telematico (PAT) è possibile fino alle ore 24.00 ma, se effettuato l'ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell'art. 73 c.p.a., ove avvenga oltre le ore 12 (id est, l'orario previsto per i depositi prima dell'entrata in vigore del PAT), si considera - ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche - effettuato il giorno successivo, ed è quindi tardivo.

In sostanza, il termine ultimo di deposito alle ore 12 permane, anche all'indomani dell'entrata in vigore del PAT, come termine di garanzia del contraddittorio tra le parti e della corretta organizzazione del lavoro del collegio giudicante (cfr. Cons. Stato, n. 5767/2021; n. 1841/2021; n. 8418/2022).

2. Con il primo motivo di appello l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il provvedimento di vincolo del 2017 fosse legittimo in quanto espressione di una nuova valutazione dell’interesse culturale del manoscritto.

A tal riguardo evidenzia la contraddittorietà tra il provvedimento di vincolo del 2014 - il quale pur esaminando il manoscritto nella sua interezza non aveva ravvisato alcun interesse di carattere storico-archivistico - con il provvedimento del 2017, che sulla base degli stessi elementi ha invece apposto un ulteriore vincolo al bene.

Ancora, lamenta la contraddittorietà dell’operato dell’Amministrazione nella parte in cui dapprima ha operato una valutazione atomistica del manoscritto e dell’atto di compravendita del 1516, al fine di giustificare l’interesse archivistico e successivamente, ha compiuto una valutazione globale dell’opera al fine di giustificare la competenza all’esercizio del diritto di prelazione sull’intero bene.

Parte appellante ritiene che l’atto di compravendita avrebbe dovuto essere valutato e considerato autonomamente dall’amministrazione, giacché dalle risultanze documentali emerge come esso fosse già “staccato” dalla restante parte del volume.

Evidenzia, quindi, che l’Amministrazione, al fine di radicare la competenza dell’atto in capo alla Direzione Generale Archivi, abbia elaborato una nozione di interesse culturale “storico-archivistico” sconosciuta al codice dei beni culturali, e comunque non contemplata dall’art. 10 comma 3, d.lgs. n. 42/2004.

La difesa contesta, infine, la natura demaniale del bene, dal momento che “non sussiste alcuna disciplina attualmente vigente che configuri o consenta l’assimilabilità di un contratto di vendita, stipulato nel 1516, ad un atto pubblico”.

Le censure non sono fondate.

2.1.La questione sottesa alla tematica proposta impone la necessità di indagare la natura giuridica del potere esercitato dall'Amministrazione in sede di imposizione del vincolo di tutela.

Invero, se questo si considera vincolato, o connotata solo da una discrezionalità tecnica, si riducono sensibilmente i margini per l'applicazione del principio di proporzionalità quale misura del potere esercitato dall'amministrazione e, parimenti, non è possibile introdurre elementi di valutazione esterni rispetto a quello prettamente collegato al pregio culturale dell'immobile.

La sistematica delle disposizioni normative del codice dei Beni culturali paiono orientate in tale direzione. In base all'art. 2 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42: "sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà".

L'art. 13 - rubricato "Dichiarazione dell'interesse culturale" - prevede, tra l'altro, che: "La dichiarazione accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell'interesse richiesto dall'articolo 10, comma 3".

In forza di quest'ultima disposizione: "Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante; c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; d-bis) le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione; e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse".

Da tali disposizione, e dalla sistematica del Titolo I del D. lgs. 42/2004, non emerge alcuno spazio all'interno del quale, ai fini della dichiarazione del pregio culturale di un bene, affiorino anche gli interessi secondari del privato proprietario. Nella logica seguita dal legislatore, trattasi infatti di un procedimento volto all'accertamento (e si noti come il legislatore utilizzi proprio tale termine) di una qualità che il bene possiede e che non può certo venire meno in considerazione di eventuali interessi secondari riconducibili all'utilizzazione e agli oneri di conservazione del bene.

L'art. 14, relativo al procedimento di dichiarazione, pur contemplando un'ampia partecipazione del privato, conferma tale assunto.

In sintonia con tale conclusione, l'orientamento della giurisprudenza dominante ritiene che, in questo ambito, l'attività dell'amministrazione assume sostanzialmente "carattere ricognitivo e conoscitivo e non volitivo e decisionale, non implicando una scelta tra diverse soluzioni possibili per il perseguimento di un determinato interesse pubblico"; in altri termini, come già chiarito, va qualificata "non come esercizio di discrezionalità amministrativa, ma invece, come esercizio di discrezionalità tecnica in senso proprio...caratterizzata dal fatto che la scelta circa il comportamento da tenere o la linea da seguire per il raggiungimento degli interessi affidati all'amministrazione è stata a priori posta in essere direttamente dal legislatore in modo ovviamente vincolante, sicché all'amministrazione è rimessa esclusivamente la valutazione dei fatti posti dalla legge o presupposto dell'operare, alla stregua di regole tecniche tratte da settori specifici di conoscenza" (Cons. St., sez. VI, 22 gennaio 2004, n. 161; Cons. St., 24 marzo 2003, n. 1496).

2.2.Deve anche rilevarsi come gli assunti che precedono risultino coerenti con il principio desumibile dalla stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui l'atto che impone il vincolo (sia esso archeologico, artistico, storico, ambientale, paesistico) è rivolto a salvaguardare un'intera categoria di beni, sottoposti dalla legge ad un peculiare regime giuridico, per le loro predeterminate caratteristiche oggettive. L'imposizione di vincoli alla proprietà privata di tali beni è connaturata ai beni stessi, i quali vengono ad esistenza, per così dire, già limitati sul piano della loro possibile utilizzazione, tanto è vero che non si pone neppure un problema di indennizzo (cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179; cfr. anche parere del Cons. St., Adunanza generale 26 maggio 2011, n. 2102: "quella di bene culturale costituisce una caratteristica intrinseca del bene stesso").

Ne consegue che se il potere di individuazione dei beni di interesse storico-artistico è espressione di una mera discrezionalità tecnica, il relativo margine di apprezzamento è integralmente governato dalla sola applicazione di regole di giudizio tecnico, senza alcuno spazio entro il quale effettuare una ponderazione degli interessi confliggenti, tra cui quelli esterni riconducibili al proprietario del bene.

Posto che l'attività "riconoscitiva" e "ricognitiva" è espressione di discrezionalità tecnica, l'amministrazione non è quindi tenuta in sede di motivazione ad esternare i criteri di ponderazione degli interessi secondari coinvolti, i quali, per il modo in cui il legislatore ha regolato la fattispecie, risultano necessariamente soccombenti dinnanzi all'interesse pubblico-culturale perseguito (cfr. Cons. St., sez. VI, 21 ottobre 2005, n. 5939).

In armonia con tale impostazione, come già ricordato, la giurisprudenza - che riconosce nell'imposizione di un vincolo storico-artistico l'esercizio di un potere di discrezionalità tecnica - ritiene per lo più insindacabile il giudizio operato dall'amministrazione, se non sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione ed in particolare per difetto o manifesta illogicità della motivazione o errore di fatto (cfr. Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2005, n. 3305; Cons. St., sez. VI, 22 agosto 2006, n. 4923; Cons. St., sez. IV, 9 febbraio 2006, n. 659).

La stessa giurisprudenza ha altresì precisato che la natura tecnico-discrezionale delle valutazioni effettuate in questo ambito dall'amministrazione impone che le stesse siano vagliate con riguardo alla loro specifica attendibilità tecnico-scientifica. Il presupposto normativo per la dichiarazione dell'interesse culturale non è infatti l'accertamento di un "fatto storico" (sempre verificabile in via diretta dal giudice anche con l'applicazione di scienze non esatte), bensì l'accertamento di un fatto "mediato" dalla valutazione affidata all'amministrazione, con la conseguenza che lo stesso giudice e la parte privata non possono sostituire le proprie valutazioni a quelle compiute dall'autorità amministrativa, potendosi tutt'al più verificare se la scelta compiuta da quest'ultima rientri o meno nella gamma di quelle plausibili alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto.

2.3.Nella manifestazione della sua ampia discrezionalità l'amministrazione impiega non solo concetti giuridici ma anche di natura tecnica sussunti dalle scienze di settore, che implicano l'utilizzo di definizioni spesso non univoche e che quindi necessitano della applicazione di criteri interpretativi e applicativi polimorfi. Nel caso di specie, viene in rilievo il ricorso sia alla disciplina archivistica (con le definizioni di "archivio", "soggetto produttore" e "vincolo archivistico", che, non essendo positivamente normati, devono essere recuperati dalla prassi e dalla letteratura in materia) che alla più comune valutazione dell'interesse culturale e storico dei beni di cui si controverte.

La giurisprudenza ha altresì evidenziato che la nozione di documenti archivistici, accolta dall'art. 10, comma 3, lett. b), d.lg. n. 42/2004, prescinde dalla natura e dal vincolo archivistico inteso nella sua dimensione esclusivamente oggettiva.

La presenza del vincolo archivistico può essere, dunque, desunta sia da elementi oggettivi, che cioè connettono le componenti di una raccolta in senso "orizzontale” sotto il profilo fisico, che soggettivi, che invece insistono sulla unitarietà del bene sotto il profilo storico culturale.

2.4.L'interessato, se vuole contestare il merito della scelta, non può quindi limitarsi ad affermare che questa non è corretta, ma ha l'onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall'amministrazione è scientificamente inaccettabile (cfr. Cons. St., sez. VI, 24 marzo 2020, n. 2061; id., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3360).

Dunque, è ben possibile per il privato contestare ab intrinseco il nucleo dell'apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l'onere di metterne seriamente in discussione l'attendibilità tecnico-scientifica, mentre se questo onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall'organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell'interessato. (Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).

In presenza di tale livello di discrezionalità, l'illegittimità delle valutazioni è predicabile solo in presenza di palesi travisamenti dei fatti, manifesta irragionevolezza o illogicità immediatamente percepibili, non potendo trovare spazio i tentativi di sostituire valutazioni di parte a quelle compiute, in nome dell'interesse pubblico, dall'amministrazione.

2.5. Nel caso a mano tali vizi-limite non sono ravvisabili.

Nella relazione allegata al vincolo si legge: L'atto di compravendita, facente parte del manoscritto, riveste dunque uno speciale interesse, sia perché, redatto nelle forme di un instrumentum vero e proprio, testimonia la prassi documentaria nel mondo ebraico italiano, sia perché offre una ulteriore, importante, testimonianza sulla circolazione dei libri ebraici e sul mercato librario degli stessi nell'Italia cinquecentesca, oltre che sulle fasi di raccolta dei manoscritti della biblioteca Nona e sugli interessi culturali di questa famiglia di banchieri rinascimentali. ... Esso, redatto su un foglio del manoscritto stesso, secondo un costume diffuso nel mondo ebraico italiano, ... è inscindibile dal manoscritto, del quale il foglio utilizzato fa parte integrante, connotandolo anche di un indubbio valore archivistico. L'atto di vendita ha, inoltre, un suo preciso significato dal punto di vista storico. In modo particolare, documentando l'acquisto, da parte di uno degli esponenti di spicco della famiglia Norsa, di questa specifica opera di Maimonide, la riconduce all'ambiente culturale ebraico mantovano degli anni fra l'ultimo trentennio del XV secolo e il primo trentennio del XVI. E', infatti, in questo arco temporale che la colta comunità mantovana (nella quale si conta, oltre a quella dei Norsa, almeno un'altra importante biblioteca di famiglia, quella dei Finzi) manifesta un particolare interesse per la controversa opera filosofica di Maimonide, oggetto di ben tre commentari mantovani, nel periodo dato....La datazione all'inizio del 1516 contestualizza, inoltre, l'acquisto in un momento particolare della storia ebraica. In quello stesso anno, infatti, le crescenti discussioni circa la sorte dei profughi dell 'entroterra veneto”) ed a pag. 6 ove si chiarisce che “La presenza dell'atto di compravendita, redatto secondo precise formule, rende il compendio archivistico-bibliografico formato dal documento archivistico e dal manoscritto, un insieme complesso, con molteplici valenze culturali e natura giuridica composita (un atto di pertinenza pubblica e un manoscritto librario di proprietà privata, inscindibilmente connessi, dal punto di vista materiale e materico), come già evidenziato nella nota della Direzione generale Archivi sopra menzionata. Per quanto riguarda il valore della legatura (il menzionato nesso materiale e materico fra instrumentum e manoscritto) dei compendio archivistico-bibliografico in questione, si rimanda al saggio di Thérèse Metzger già citato e a quanto riferito nella relazione allegata al decreto di vincolo del 2014. Detta legatura presenta uno stato di degrado, secondo la studiosa, non giustificabile con un normale uso del codice. Testimonierebbe, piuttosto, di un "trattamento brutale e di una volontà di distruzione" (Metzger, Le manuscrit Norsa, cit. p. 34) che la ricercatrice, sulla base di una parziale riparazione antica, data al sacco di Mantova del 1630, durante il quale le case degli ebrei mantovani furono devastate per prime e ripetutamente e, in particolare, i libri distrutti o danneggiati. Di tali circostanze, che condussero a perdite irreparabili e alla successiva, temporanea espulsione degli ebrei dalla città, dà ampio conto la cronaca contemporanea di Abraham ben 'sane Masqnrano”.

Il provvedimento impugnato individua, dunque, le ragioni del  vincolo nella capacità del manoscritto, unitamente all’atto di compravendita, di testimoniare gli eventi storici connessi ai passaggi di proprietà, a ridosso del periodo delle persecuzioni, dell’accoglienza di profughi dopo la creazione del Ghetto di Venezia, dell’apporto di ebrei profughi dell’Est, della significatività del passaggio di proprietà come testimonianza della stabilizzazione della famiglia e dell’importanza del radicamento nel territorio.

2.6. Il Tar ha correttamente evidenziato che l’esercizio del potere di vincolo della Soprintendenza non incontra alcun termine di perenzione, non essendo necessario, al fine di rinnovare le relative valutazioni. “una nuova sopravvenienza fattuale”, essendo sufficiente una nuova considerazione del valore culturale degli elementi già noti. Come, appunto, accaduto nel caso in esame, in cui l’atto di compravendita è stato di recente ritenuto di particolare interesse storico-archivistico, anche in considerazione della integrazione (fisica e culturale) nel manoscritto, di cui è stato considerato parte inscindibile, in base ad un diverso criterio, che fa riferimento ad una valutazione globale dei beni in questione - differente rispetto alla prospettiva atomistica adottata in precedenza - per cui ciascun bene risulta significativo proprio in relazione all’altro, risultando collegati da un rapporto di reciproca valorizzandone che ne determina la specifica “significatività” dal punto di vista storico-culturale-archivistico.

2.7. In definitiva, ricordato che ai sensi del testo della lett. d) non è richiesta una valutazione sui singoli beni, l'apposizione del vincolo in esame è giustificata da una valutazione globale dei legami che li caratterizzano, anche in rapporto al luogo nel quale sono collocati, e che trova adeguato riscontro nell'analisi storico-culturale posta a base della scelta dell'amministrazione, la quale, pertanto, non pare aver esorbitato dall'ambito riservato che le è proprio.

In altri termini, il rapporto di connessione trae giustificazione nella finalità pubblicistica di tutela dei beni in questione, che può ben estendersi a ritenere non scindibile la relazione fra beni, ove essi, come nel caso in esame, concorrano unitariamente ad esprimere il valore culturale di cui è espressione il vincolo, indipendentemente da ogni aspetto proprietario.

2.8. Il regime di proprietà pubblica indefettibile (che il R.D. n. 1163/1911 qualifica formalmente come regime demaniale) non riguarda solo gli atti amministrativi o gli atti giurisdizionali conclusivi dei vari procedimenti, amministrativi o giudiziari, ma anche tutti i documenti prodotti nel corso delle relative attività istruttorie o dibattimentali, ivi compresi gli eventuali atti prodotti dai privati ed indirizzati alle varie amministrazioni per dare avvio ai diversi procedimenti, se questi ultimi sono stati posti in essere a seguito di istanza o di esposto/denuncia da parte dei privati. Al medesimo regime giuridico sono sottoposti, oltre agli atti delle varie amministrazioni pubbliche, non solo gli atti notarili in senso proprio, ma pure tutti gli atti, comunque redatti, anche per ufficio di privati, che facciano pubblica fede della sorte dei diritti che per loro mezzo sono oggetto di specifica regolazione fra privati.

Si osservi, anche in relazione alla correttezza della valutazione dell’interesse storico-archivistico dell’atto di vendita che, per la peculiare condizione giuridica degli ebrei, i quali, fuori da Roma, non avevano notai propri cui rivolgersi per rogare i propri atti, e non sempre decidevano di rivolgersi a notai cristiani.

La regolarizzazione degli affari avveniva mediante scritture private, redatte con tutte le formalità richieste per gli atti pubblici, che erano considerate ed avevano valenza di atti pubblici a tutti gli effetti, con riflessi anche sul loro regime giuridico. Pertanto l’emersione, al di fuori delle loro sedi istituzionali (gli archivi di Stato), di atti ascrivibili alle tipologie testé descritte, autorizza il soprintendente archivistico competente per territorio, ad attivare l'azione di rivendica, a termini dell'articolo 76 del RD. n. 1163/1911.

2.9. A margine la questione della natura demaniale dell’atto, correttamente il Tar ha rilevato il difetto di interesse della ricorrente a censurare il contrasto con l’art. 76 del r.d. n. 1163 del 1911 - che impone l’azione in via giurisdizionale in considerazione del fatto che l’appellante non ha ancora acquisito la proprietà del bene, dato che l’art. 61 co.4 D.Lgs. 22/01/2004, n. 42 prevede che il contratto di compravendita è sottoposto a condizione sospensiva fino al termine di scadenza dell’esercizio del diritto di prelazione. Rispetto all’interesse della ricorrente, il titolo dell’acquisto alla mano pubblica è indifferente, subendo la stessa identica conseguenza lesiva sia che il trasferimento della proprietà avvenga in via di prelazione sia in via di rivendica della pubblicità del bene ab origine, dato che queste operano la medesima caducazione ex tunc del negozio di alienazione. Nella specie, peraltro, l Direttore Generale Archivi non ha avanzato alcuna pretesa in via amministrativa (nel qual caso sarebbe stata configurabile la violazione dell’invocata disposizione normativa di cui all’art. 76 cit.), ma si è limitato ad affermare la necessità che l’atto di compravendita non fuoriuscisse dalla mano pubblica.

3. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha ritenuto incompetente il Direttore generale Archivi a disporre la rivendicazione dell’atto di vendita del 1516”.

In primo luogo, la difesa reitera il vizio di illegittimità derivata del provvedimento, essendo quest’ultimo fondato sull’erroneo presupposto che l’atto di compravendita sia qualificabile alla stregua di atto pubblico.

In secondo luogo, si contesta l’interpretazione evolutiva fornita da Tar in relazione all’art. 76 r.d. n. 1163/1911, essendo la stessa in contrasto con il tenore letterale della disposizione, e considerato anche che l’art. 21 d.P.C.M. n. 171/2014 – che definisce le funzioni del Direttore generale Archivi – non attribuisce specificamente il potere di rivendica.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’esercizio in via amministrativa dell’azione di rivendicazione da parte del Direttore generale Archivi”.

In particolare la difesa lamenta la violazione dell’art. 76, r.d. n. 1163/1911, il quale prevede che la rivendicazione vada esercitata necessariamente con domanda giudiziale.

Si afferma inoltre che non sussiste la carenza di interesse invocata dal Tar, giacché è proprio il provvedimento impugnato - e del quale si afferma l’illegittimità - che impedisce alla Fondazione di divenire proprietaria del manoscritto. Infine, non corrisponderebbe al vero l’affermazione del Tribunale secondo cui il Direttore generale si sarebbe limitato a ribadire la necessità che l’atto di compravendita non fuoriuscisse dalla mano pubblica, considerato che la parte dispositiva del provvedimento prevede la “rivendica del possesso dell’atto di vendita del Moreh Nevukhim, ai sensi dell’articolo 76, primo comma, del r.d. 1163/1991”.

4.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha ritenuto incompetente il Direttore generale Archivi ad emanare un decreto di acquisizione coattiva a titolo di prelazione del Manoscritto, non costituente un bene archivistico, in violazione del Regolamento di organizzazione del Ministero”.

Evidenzia che, in base a quanto previsto dal Regolamento di organizzazione del MiBACT, la competenza all’esercizio della prelazione in capo alla Direzione generale Archivi sussiste solamente in relazione ai beni archivistici.

Di contro, l’amministrazione aveva esercitato la prelazione solamente con riferimento al manoscritto – in relazione al quale non sussiste alcun interesse archivistico - e non anche con riferimento all’atto di vendita del 1516, che era stato invece oggetto di rivendicazione ai sensi dell’art. 76, r.d. n. 1163/1911.

Le censura non sono fondate.

4.1.Per quanto affermato nell’esame del primo motivo di impugnazione, è priva di rilievo la censura relativa alla legittimità della qualificazione dell’atto di compravendita stipulato tra privati all’inizio del 1500 come “atto facente pubblica fede”, che non è determinate ai fini della valutazione dell’interesse storico-archivistico.

Come già evidenziato, l’art. 61 co.4 D.Lgs. 22/01/2004, n. 42 prevede che il contratto di compravendita è sottoposto a condizione sospensiva fino al termine di scadenza dell’esercizio del diritto di prelazione, sicchè rispetto all’interesse della ricorrente, il titolo dell’acquisto alla mano pubblica è indifferente, subendo la stessa identica conseguenza lesiva sia che il trasferimento della proprietà avvenga in via di prelazione sia in via di rivendica della pubblicità del bene ab origine, dato che queste operano la medesima caducazione ex tunc del negozio di alienazione.

4.2. Quanto alla competenza, il d.l. 14 dicembre 1974, n. 657 (recante “Istituzione del Ministero per i beni culturali e per l’ambiente”), come convertito, con modificazioni, dalla L. 29 gennaio 1975, n. 5, alla lettera c) del secondo comma dell’articolo 2, devolve al Ministero per i beni culturali e ambientali… c) le attribuzioni spettanti al Ministero dell’Interno in materia di archivi di Stato, salvo quelle relative agli atti considerati come eccezione alla consultabilità dall’articolo 21 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409”. Il successivo d.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, nel regolamentare l’assetto organizzativo del nuovo Ministero, istituisce l’Ufficio centrale per i beni archivistici, diretto da un dirigente generale e sovraordinato gerarchicamente agli organi periferici che da esso dipendono (Soprintendenze archivistiche e Archivi di Stato) e di cui coordina l’attività. Appare pertanto evidente che le funzioni una volta ascritte al Prefetto in materia sono oggi svolte dal Direttore generale degli Archivi di Stato ed alle Soprintendenze archivistiche.

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha considerato tardivo il decreto del Direttore generale Archivi con cui è stato disposto l’acquisto coattivo a titolo di prelazione del Manoscritto”.

Il mezzo evidenzia che sin dal ricorso introduttivo l’appellante aveva contestato l’applicabilità al caso di specie, del comma 2 dell’ art. 61, comma 1, del D.Lgs. 42/2004 richiamato nella nota in data 23.5.2017 della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia nella quale si era rilevato che il termine di sessanta giorni previsto dal comma 1 dell’art, 61 doveva considerarsi prolungato a centottanta giorni, in ragione dell’incompletezza della denuncia.

La censura deve essere disattesa.

Il Tar ha correttamente evidenziato che la denuncia presentata menzionava esclusivamente il manoscritto, ma non anche l’atto di compravendita ad esso unito. Legittimamente, pertanto, l’Amministrazione, una volta rilevato che l’oggetto della denuncia era più ampio e complesso di quello in essa indicato, ha ritenuto la denuncia incompleta, in quanto difettava di un elemento essenziale per la sua validità, non risultando pertanto atta a consentire all’Autorità procedente di valutare l'opportunità di acquisire al patrimonio pubblico di determinati beni, in considerazione del loro peculiare interesse storico o artistico.

A tal riguardo, l’art. 59, comma 4 D.Lgs. n. 42/04, prescrive di dare immediata comunicazione dell’atto di compravendita, indicando gli elementi della denuncia, sancendo all’ultimo comma che si considera non avvenuta non solo la denuncia priva delle indicazioni espressamente previste dal comma 4, ma anche, con formula più ampia, quelle contenenti “indicazioni incomplete o imprecise”; prevedendo, in quest’ultima evenienza, il termine più lungo indicato dall’art. 61 co. 2 di centottanta giorni dal momento in cui viene acquisita la denuncia completa di tutti gli elementi costitutivi sopraindicati.

In conclusione vanno respinte le doglianze con cui si lamenta la tardività dell’esercizio della prelazione, dato che il provvedimento con cui è stata esercitata la prelazione è stato adottato in data 27 settembre 2017, entro il termine di 180 giorni dal momento del completamento della pratica (avvenuto in data 1.6.2017 con la consegna dell’originale cartaceo debitamente sottoscritto dai dichiaranti), previsto dall’art. 61 co.2 Cod. BBCC. (che, nel caso in esame, veniva a scadere il 28 novembre 2017).

6. Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha rilevato la contraddittorietà e l’irragionevolezza del decreto del Direttore generale Archivi di acquisto coattivo del Manoscritto in relazione alle prescrizioni negoziali dell’Accordo-quadro”.

In particolare l’appellante lamenta il difetto di motivazione in relazione all’interesse pubblico sotteso all’acquisizione coattiva, dal momento che la Fondazione avrebbe provveduto a proprie spese al restauro dell’opera e alla sua successiva valorizzazione, di concerto e alle condizioni stabilite dal MiBACT.

7. Con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha accertato la perdurante validità dell’Accordo-quadro stipulato dalla Fondazione ed il Ministero ai sensi dell’art. 11, n. n. 241 del 1990”.

Parte appellante lamenta che il provvedimento di recesso non reca menzione dei sopravvenuti motivi di interesse pubblico che lo avrebbero legittimato, vista anche l’inesistenza di sopravvenuti profili di novità rispetto al momento della stipula.

Le censure non sono fondate.

7.1. L’Amministrazione, nello stabilire di dovere procedere autonomamente a restaurare il bene in questione a proprie cura e spese, “rinunciando alla prestazione gratuita offerta dalla Fondazione ricorrente”, ha valutato l’interesse pubblico sotteso all’acquisizione coattiva considerato tale benefìcio 'non proporzionato’ rispetto alla contropartita, consistente nella sostanziale perdita di controllo sulla circolazione dell'opera ed al sacrificio del suo spossessamento, dato che, in cambio, la Fondazione avrebbe conseguito il dislocamento all'estero dell'opera 'per metà del tempo' rispetto al periodo di permanenza di Italia (per 40 anni), al 'prezzo' di aggravare il deterioramento della pergamena a causa di spostamenti (oltre che alla possibilità di conservazione dell'opera in cassetta di sicurezza riconosciuta alla Fondazione dallo stesso Accordo)”.

La scelta dell'Amministrazione di acquistare l'intero compendio e di effettuare nei propri laboratori l’ intervento di restauro rinunciando ad avvalersi delle prestazioni gratuite messe a disposizione dalla ricorrente con l'accordo quadro in questione, è stata operata sulla base di un 'operazione di ponderazione e contemperamento dei vari interessi in gioco, che non tiene conto esclusivamente dell’aspetto economico dell’operazione, ma anche, e soprattutto, del costo della 'controprestazione’ in termini di 'periodico e ricorrente estraniamento’ dal patrimonio culturale nazionale del bene in questione - che non potrebbe essere esportato all’estero in quanto soggetto al triplice vincolo di tutela ai sensi dell’art 10 co. 3 lett a) b) c) - 'per un tempo pari’ a quello della sua presenza in Italia.

8.Con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha dichiarato l’illegittimità della nota del Direttore generale Archivi del 6 settembre 2017, che ha disposto la custodia coattiva del Ministero”.

L’appellante rappresenta che nella sopra citata nota si era affermato che “a scopo di tutela e di conservazione si ritiene irrinunciabile il fermo dell’opera per almeno due anni”, e ciò nonostante l’amministrazione aveva esposto l’opera nel 2018 ad una mostra curata dalla stessa Direzione generale Archivi, in questo modo cadendo in contraddizione rispetto alle sue stesse determinazioni.

Dunque – prosegue l’atto di appello – o non vi erano ragioni di urgenza per provvedere alla custodia coattiva, ovvero il provvedimento è affetto da sviamento di potere, in quanto posto in essere al solo fine di acquisire e mantenere il possesso del manoscritto.

La censura è inammissibile in quanto formulata per la prima volta in appello (e nelle memorie conclusionali di primo grado).

In ogni caso, l’esposizione del manoscritto è avvenuta dopo la realizzazione del necessario intervento conservativo eseguito dal personale tecnico-scientifico dell’ICRCPAL, che ha rilasciato parere favorevole alla richiesta di prestito per la mostra.

9. Con il nono e ultimo motivo di appello si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha accolto la richiesta di risarcimento di danni”.

Sul punto l’appellante ritiene che il primo giudice avrebbe potuto disporre una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., anche in considerazione del rilevante importo della compravendita del manoscritto, pari a 2 milioni di euro.

Correttamente il Tar ha evidenziato che la ricorrente non aveva ancora acquisito la proprietà del bene, dato che il contratto traslativo della proprietà non produce alcune effetto, essendo sottoposto a condizione sospensiva ai sensi di legge (art. 61 co.4) fino al termine di scadenza dell’esercizio del diritto di prelazione, che opera una caducazione ex tunc del negozio di alienazione.

L’appello deve essere, conseguentemente, respinto.

In considerazione della novità e della particolarità della questionte trattata, le spese processuali devono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere, Estensore