Cass. Sez. III n. 47825 del 17 ottobre 2017 (Ud 21 giu 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Andreazza Imputato: Wachtler
Beni Culturali.Rinvenimento fossili

Allorquando vengano in rilievo beni appartenenti allo Stato (e tali sono infatti, secondo la previsione dell'art. 91 del d. Igs. n. 42 del 2004, tra le altre, le cose indicate nell'art.10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo che fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli artt. 822 e 826 cod. civ.), non è richiesto l'accertamento del cosiddetto "interesse culturale" né che gli stessi siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile dalle caratteristiche del bene. Risulta infatti chiaramente, dallo stesso art.10 cit., che un qualificato interesse archeologico, culturale, storico è richiesto soltanto per i beni appartenenti a privati (tanto che il comma 3 di detta norma prevede la necessità di un formale provvedimento che riconosca l'interesse culturale secondo l'iter di cui all'art. 13), ma non, appunto, per quelli appartenenti allo Stato  restando peraltro salva la possibilità che il detentore fornisca la prova della legittima proprietà dei beni per essere gli stessi stati acquistati in epoca antecedente all'entrata in vigore della I.n. 364 del 1909


RITENUTO IN FATTO

Wachtler Michael ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in data 03/02/2015 che, dichiarando l'improcedibilità per estinzione per prescrizione quanto ai reati di cui ai capi 1), 2), relativamente all'art. 175 lett. a) del d.lgs. n. 42 del 2004, e 3), limitatamente ai reperti non datati e fino al 2007, ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Bolzano di condanna quanto ai reati commessi dal 2007 al 2010 di cui agli artt. 175 lett. b) del d.lgs. n. 42 del 2004 (per non avere denunciato le scoperte casuali di reperti paleontologici preziosi entro il termine indicato dall'art. 90) e di cui all'art. 176, commi 1 e 2, dello stesso decreto (per essersi impossessato di diversi reperti paleontologici e archeologici preziosi ovvero di beni culturali ai sensi dell'art. 10, comma 4, lett. a) del decreto cit. rinvenuti nel parco naturale Fanes-Sennes-Braies al Prà de Vacca, in difformità dalle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni e nonostante il direttore della ripartizione natura e paesaggio nel 2010 avesse rigettato l'autorizzazione da lui richiesta e la Giunta provinciale avesse rigettato il suo ricorso contro il rigetto di detta istanza).

1.1. Con un primo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione di legge nonché vizio di motivazione in ordine alla qualificazione dei fossili in esame come beni culturali ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004; deduce in particolare che l'art.10 si riferisce alle res di proprietà dello Stato e di altri soggetti pubblici e privati (in quanto rinvenuti ex art.91 nel sottosuolo e nei fondali marini) mentre i fossili internazionali sono tutelati, se di provenienza UE, ai sensi degli artt. 65 e ss., e, se di provenienza internazionale extra comunitaria, ai sensi della convenzione Unidroit; gli stessi sarebbero dunque di libero scambio e vendita.
Quanto in particolare ai fossili italiani, precisa come, al fine della loro qualificazione quali beni culturali, sia necessario, ai sensi dell'art. 10, comma 4, cit., il provvedimento amministrativo, emanato ai sensi dell'art. 13, che ne accerti la loro particolare importanza o eccezionalità, o, quantomeno, anche in assenza di un provvedimento formale, il riconoscimento dell' interesse qualificante.  
Nella specie, il carattere di bene culturale dei fossili è stato desunto dalla perizia effettuata dal Prof. Michael Krings sebbene dalla stessa, limitatasi peraltro ad analizzare un campione e non tutti gli elementi della collezione, non emerga né la provenienza del fossile da territorio italiano (lo stesso perito non è stato in grado di accertare la provenienza geografica e stratigrafica dei fossili) né l'interesse culturale; da parte sua la sentenza nulla ha affermato in ordine alla provenienza e ha desunto la culturalità del bene (definita come "rilevanza archeologica" dei fossili) dalla sua "origine paleontologica", così esprimendo una mera petizione di principio.
Aggiunge che la stessa perizia ha poi accertato le corrette modalità di conservazione dei fossili da parte dell'imputato.

1.2. Con un secondo motivo lamenta vizio di motivazione quanto alla dichiarata estinzione per prescrizione del reato di cui all'art. 175 lett. a), cit. essendo state ritenute sussistenti ricerche abusive e non, invece, scoperte fortuite senza che alcun elemento di prova sia emerso nel primo senso, e quanto alla sussistenza della contravvenzione ex art. 175 lett. b) cit., sul presupposto che la messa a disposizione della Soprintendenza dei fossili non costituirebbe avviso regolare e che comunque la messa a conoscenza sarebbe stata parziale pur avendo poi la stessa Soprintendenza ammonito l'imputato a consegnare i beni pubblici di cui era in possesso; né la sentenza ha tenuto conto della ripetuta dichiarata intenzione dell'imputato di conferire, come da comunicazioni inoltrate alla Soprintendenza, la propria collezione alla Soprintendenza stessa e/o al museo di scienze naturali.

1.3. Con un terzo motivo lamenta vizio di motivazione per aver la Corte ritenuto sussistente il reato di impossessamento di beni culturali ex art. 176 cit., trascurando circostanze dalle quali si poteva desumere l'assenza del requisito oggettivo dell'impossessamento, quali il fatto che il Wachtler fosse autorizzato all'esposizione di minerali e di altre rarità nel Museo Dolomythos da lui gestito, che la Provincia fosse al corrente dell'attività di collezione svolta dallo stesso e la pubblicizzasse, implicando ciò una conoscenza ed una approvazione della collezione esposta nel Museo, e che l'Associazione Dolomythos, di cui il Wachtler è fondatore, era ente pienamente riconosciuto dalla Provincia e dunque, ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. cit., persona giuridica privata senza fine di lucro legittimata e detenere beni culturali. Lamenta inoltre vizio di motivazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo dell'impossessamento, desunto dalla Corte dalla volontà del Wachtler di donare i 3 fossili in suo possesso in quanto sintomatica della volontà di comportarsi nei confronti dei beni uti dominus e non, invece, della buona fede dello stesso, unicamente intenzionato solo a devolvere pubblicamente il proprio patrimonio di conoscenza rappresentato dai fossili della collezione.
Lamenta inoltre vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante speciale ex art. 177 del d. Igs. n. 42 del 2004 nonostante l'atteggiamento collaborativo dell'imputato. Lamenta infine incombere sull'accusa la prova dell'illegittimità della provenienza dei beni di interesse culturale e non invece gravare sull'imputato la prova della legittima detenzione degli stessi.

2.Si è costituita in giudizio la Provincia Autonoma di Bolzano, quale parte civile, depositando memoria di costituzione e difesa ed eccependo l'inammissibilità dei motivi di ricorso del Wachtler perlché implicanti una valutazione di fatto preclusa al Giudice di legittimità.

2.1. Quanto al primo motivo di ricorso rileva in particolare che i beni oggetto del ricorso sono beni culturali, non essendo questi né di provenienza internazionale, in quanto già restituiti al Wachtler, né essendo necessaria a tal fine una specifica dichiarazione, richiesta solo per le cose di cui al comma 3 dell'art.10 o l'accertamento dell'interesse culturale, presunto nelle cose appartenenti allo Stato. Rileva inoltre che il particolare pregio dei fossili sarebbe desumibile dalla perizia del dott. Krings, e dalla testimonianza del direttore del Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige.
Rileva infine che la perizia del dott. Krings ha correttamente effettuato un'indagine a campione dei fossili, e che la provenienza dei fossili risulta dalla stessa catalogazione effettuata dall'imputato; contesta inoltre le affermazioni della difesa circa i presunti meriti dell'imputato posto che egli, anzi, non si è conformato a tecniche scientifiche adeguate né al momento dello scavo, spogliando le zone interessate di quasi tutti i fossili ivi presenti, né al momento della catalogazione ed ha manipolato i fossili (in particolare la Voltzia dolomitica) rovinandoli e precludendone uno studio futuro, in contrasto peraltro con le prescrizioni a lui impartite dalla pubblica autorità.

2.2. Sul secondo motivo di ricorso rileva che la Corte ha correttamente escluso la prescrizione del reato di omessa denuncia della scoperta dei fossili ex art. 175 lett. b) d.lgs. 42 del 2004 perché la sua natura permanente impediva il decorso del relativo termine; con riguardo invece al reato di ricerche abusive ex art. 175 lett. a) d.lgs. 42 del 2004 la Corte ha correttamente dichiarato lo stesso estinto per prescrizione valorizzando le limitazioni delle autorizzazioni rilasciate al Wachtler e condizionate a precise prescrizioni nonché i pareri negativi della Provincia sul rinnovo delle autorizzazioni e le stesse ammissioni dell'imputato sul punto.
Rileva infine l'adeguatezza della motivazione sulla sussistenza del reato di cui all'art. 175 lett. b) d.lgs. n. 42 del 2004, avendo la Corte richiamato la circostanza che il Wachtler ha omesso di denunciare nelle 24 ore, come per legge, la scoperta dei fossili e che la consegna di alcuni di essi, alla Provincia e al Museo di Scienze Naturali, non lo esonerava dall'obbligo di denuncia per gli altri; lo stesso desiderio di donare, a determinate condizioni, i fossili in suo possesso alla Provincia non poteva essere certo equiparato alla denuncia a norma di legge.

2.3. Sul terzo motivo di ricorso rileva la correttezza della motivazione circa la sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di impossessamento di beni culturali di cui all'art. 176 del d. Igs. n. 42 del 2004, avendo la Corte a tal fine richiamato numerose e pertinenti circostanze di fatto; in particolare, per quanto riguarda l'elemento oggettivo, è stata richiamata la circostanza della restrizione delle autorizzazioni alla ricerca dei fossili e la successiva revoca per il rifiuto del Wachtler di consegnare parte dei beni rinvenuti, nonché la conoscenza solo parziale delle attività del Wachtler da parte della Provincia, non rilevando ai fini della legittimità del possesso né che la Villa in cui ha sede il museo sia essa stessa un bene culturale né che l'Associazione Dolomythos sia un ente senza fine di lucro; per quanto riguarda l'elemento soggettivo, la consapevolezza del Wachtler della rilevanza culturale e scientifica dei beni era desumibile dalle pubblicazioni da egli fatte, dalle autorizzazioni inoltrate dalla Provincia e dal fatto che egli si comportasse uti dominus come desumibile dalla proposta di donazione dei fossili, lacunosa nell'elencazione di tutti i pezzi, dalla destinazione di questi alla vendita e all'esposizione nel suo museo, dalla manipolazione degli stessi e dalla ricerca senza autorizzazione.
Rileva infine che la prevalente giurisprudenza stabilisce che spetti in capo al detentore del bene culturale provare la legittimità dell'acquisto del bene e non all'accusa l'onere di provare l'illegittimità del possesso. 3. Infine, con memoria del 13/06/2017, il ricorrente ha posto questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 laddove non fornisce criteri oggettivi e vincolanti riguardo l'interesse che possa qualificare come culturale un bene tra quelli elencati in modo disarticolato ai commi da 1 a 5 dello stesso articolo per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 27 Cost..
Premessa la rilevanza della questione giacché la corretta individuazione del bene culturale è presupposto dei reati contestati, deduce che l'interesse qualificante il bene deve essere per legge, come richiesto dal comma 3, "particolarmente importante" od "eccezionale", da un lato necessitando dunque sotto questo profilo una tale definizione della necessaria ricognizione amministrativa e dall'altro generando, una tale indefinita formulazione, dubbi di possibile contrasto con i canoni di legalità e tassatività anche a fronte della impossibilità per il soggetto agente di conoscere preventivamente (tanto che l'interesse qualificante viene normalmente accertato solo a posteriori) la qualitas del bene.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo, con cui si lamenta la mancanza della "culturalità" dei beni quale necessario presupposto dei reati contestati (che, infatti, all'art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 fanno espresso riferimento nel contenuto delle relative norme sanzionatorie), è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto, sulla base della normativa relativa, che i beni di cui l'imputato ha omesso la denuncia di rinvenimento (così integrando il reato di cui all'art. 175 lett. b) cit. per il quale è intervenuta condanna) devono ritenersi beni culturali rientranti nell'art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004. Va infatti ribadito il costante indirizzo di questa Corte, inizialmente formatosi sotto la vigenza del d.lgs. n. 490 del 1999 e proseguito con l'adozione del d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui, allorquando vengano in rilievo, come nella specie, beni appartenenti allo Stato (e tali sono infatti, secondo la previsione dell'art. 91 del d. Igs. n. 42 del 2004, tra le altre, le cose indicate nell'art.10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo che fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli artt. 822 e 826 cod. civ.), non è richiesto l'accertamento del cosiddetto "interesse culturale" né che gli stessi siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile dalle caratteristiche del bene. Risulta infatti chiaramente, dallo stesso art.10 cit., che un qualificato interesse archeologico, culturale, storico è richiesto soltanto per i beni appartenenti a privati (tanto che il comma 3 di detta norma prevede la necessità di un formale provvedimento che riconosca l'interesse culturale secondo l'iter di cui all'art. 13), ma non, appunto, per quelli appartenenti allo Stato (tra le altre, Sez. 2, n. 6 36111 del 18/07/2014, dep. 25/08/2014, Medda, Rv. 260366; Sez. 3, n. 24344 del 15/05/2014, dep. 10/06/2014, Rapisarda, Rv. 259305; Sez. 3, n. 41070 del 07/07/2011, dep. 11/11/2011, Saccone ed altro, Rv. 251295; Sez. 3, n. 39109 del 24/10/2006, dep. 28/11/2006, Palombo, Rv. 235410) restando peraltro salva la possibilità che il detentore fornisca la prova della legittima proprietà dei beni per essere gli stessi stati acquistati in epoca antecedente all'entrata in vigore della I.n. 364 del 1909 (Sez. 3, n. 49439 del 04/11/2009, dep. 23/12/1999, Dafarra, Rv. 245743).
Ora, a fronte di tale consolidato indirizzo,e del fatto, incontroverso anche da parte dello stesso ricorrente, che i fossili (la sentenza ha richiamato le affermazioni dei funzionari provinciali e gli esiti della perizia del dr. Krings secondo cui fossili vegetali del paleozoico recente e del mesozoico della Dolomiti sono importanti per la ricostruzione dello sviluppo della vegetazione in seguito alla estinzione al termine del Permiano) devono ritenersi ricompresi tra i beni di cui al comma 1 dell'art. 10 cit. atteso che il comma 4 indica in tal senso espressamente le cose "che interessano la paleontologia", il ricorrente ha, da un lato, invocato per alcuni dei beni una provenienza extra nazionale che è stata motivatamente contraddetta dalla sentenza impugnata (secondo cui i fossili risultati provenire da area geografica diversa da quella provinciale sono stati infatti restituiti e dunque non sono compresi tra quelli oggetto di addebito) senza che le diverse considerazioni del ricorrente, aventi natura fattuale, possano assumere rilievo in questa sede, e, dall'altro, invocato la necessità di un provvedimento amministrativo attestante la culturalità del bene che si pone, tuttavia, in contrasto appunto con l'indirizzo appena ricordato.
Quanto al contestato rilievo a campione, ritenuto in sentenza idoneo, a fronte di oltre 4.000 fossili sequestrati, ad accertare la natura dei beni, il ricorso non specifica perché, anche a fronte, come si deduce sempre dalla sentenza, della stessa catalogazione dei beni effettuata dall'imputato e di per sé ricognitiva della natura fossile degli stessi, sarebbe invece stata necessaria una disamina capillare rispetto a tutti gli oggetti. Né, infine, si comprende la rilevanza, rispetto agli addebiti per cui è intervenuta condanna, della pretesa diligenza dell'imputato nel recuperare e conservare i fossili.

1.1.Nell'ambito del primo motivo, inoltre, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 sollevata dal ricorrente con memoria e fondamentalmente incentrata sulla individuazione della nozione di bene culturale unicamente attraverso il richiamo a concetti vaghi e indefiniti come quello di interesse culturale, tanto più arbitrario in quanto, come nel caso dell'art. 10, comma 3, cit., unicamente rilevante ove caratterizzato da eccezionalità o particolare importanza. Nessun vulnus, in realtà, ai principi costituzionali posti dagli artt. 3, 24, 25 e 27 Cost. appare seriamente prospettabile laddove la qualifica di bene culturale dipenda, come nella specie, in un bene di proprietà dello Stato (e senza che, dunque, nessuna necessità vi sia di un provvedimento dichiarativo dell'interesse, unicamente richiesto per i beni appartenenti a soggetti diversi), dal collegamento con nozioni, come quelle di "interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico" o, come nel caso di specie, di "interesse paleontologico", tutt'altro che vaghi o indeterminati ed in grado, invece, di identificare in termini idonei la "culturalità" del bene.
Né, se questo, è invece, come pare, il senso vero della questione posta, potrebbe ritenersi incostituzionale la norma per il fatto che, piuttosto, la onnicomprensività di dette definizioni, condurrebbe, senza idonee selezioni di quanto davvero meritevole di tutela statuale, ad una irragionevole indiscriminata attribuzione della culturalità e, in ultima analisi, ad una estensione sostanzialmente illimitata della tutela penale anche a prescindere dal reale valore culturale del bene con lesione, primariamente, degli artt. 3 e 25 Cost.
Non solo va richiamata, in senso esattamente contrario a tale prospettazione, la sentenza della Corte cost. n. 194 del 2013, che, proprio sulla ritenuta esplicita idoneità dell'art. 10 a tutelare, attraverso il meccanismo, anche definitorio, fondato sulla sussistenza dell'interesse culturale, a tutelare, in attuazione dell'art. 9 Cost., il patrimonio culturale della Nazione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 31/07/2012, n. 16 laddove la stessa, violando l'art. 117 Cost., si è sovrapposta al d. Igs. n. 42 del 2004 non limitando la propria sfera d'intervento alle sole cose non riconosciute o non dichiarate, appunto, di "interesse culturale" dalla normativa statale, ma, anche, in un rovesciamento di prospettiva rispetto a quanto argomentato dal ricorrente, va segnalato che proprio la diversa gradazione operata dal legislatore attraverso la differente individuazione di un interesse "semplice" per quanto concerne i beni pubblici di cui al comma 1 dell'art. 10, e di un interesse eccezionale o particolarmente importante per quanto invece riguardante i beni diversi di cui al comma 3, è sintomo della natura ragionevole e mirata, anche sul piano penale, della tutela approntata.

2. Anche il secondo motivo è inammissibile stante la mancata specificazione di un interesse ad invocare, a fronte della dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui all'art. 175 lett. a) cit., la configurabilità di altro reato (quello dell'art. 175 lett. b) sanzionato con la medesima pena, e che, a differenza di quello ascritto, non sarebbe neppure estinto a fronte della natura permanente del medesimo con individuazione del momento consumativo nella data della sentenza di primo grado.
Infatti, trattandosi di reato omissivo permanente caratterizzato dalla mancata denuncia del rinvenimento, deve ritenersi che la consumazione dello stesso coincida, come affermato del resto anche dalla sentenza impugnata con riguardo alle condotte per cui la condanna è stata confermata, con il momento in cui detta denuncia sia finalmente effettuata o, al più tardi, nella specie, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado in quanto accertatrice della omissione stessa (Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, dep. 18/07/2016, Mazzoccoli ed altro, non massimata; Sez. 3, n. 1214 del 28/11/1996, dep. 12/02/1997, Rizzo, Rv. 207070).
Quanto poi alle condotte ritenute dai giudici di merito come integranti appunto il reato di cui all'art. 175 lett. b) cit., appaiono come manifestamente infondate le censure volte a pretendere l'insussistenza del fatto sul presupposto di comportamenti (quali la messa a disposizione della Soprintendenza dei fossili) motivatamente valutati come inidonei dalla sentenza impugnata perché riguardanti unicamente una parte dei ritrovamenti senza che, anche in tal caso, possano avere rilievo le confutazioni meramente fattuali, secondo cui l'imputato avrebbe invece sistematicamente riferito i propri rinvenimenti, svolte in ricorso.

3. E' infine inammissibile, per manifesta infondatezza, anche il terzo motivo concernente la invocata insussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 176 cit..
Al di là di ogni altra considerazione, dalle sentenze di merito, che hanno correttamente contrastato gli assunti sul punto, risulta che i reperti in oggetto sono stati detenuti dall'imputato presso il museo Dolomythos, dallo stesso gestito, presso un magazzino ed anche presso la propria abitazione; risulta altresì che, pur sollecitato a restituire gli oggetti scoperti il 17/04/2012, l'imputato non ebbe ad adempiere a tali richieste.
Non è dato quindi comprendere in quali termini difetterebbe l'elemento oggettivo dell'impossessamento degli stessi nonché, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di detenere uti dominus, correttamente rivelata inoltre, secondo la sentenza impugnata, dalle lettere dell'imputato nelle quali egli faceva riferimento alla intenzione di "mettere a disposizione" della Provincia i beni in oggetto e dal contratto di donazione del 01/11/2009 nonché dalla denominazione di "collezione Wachtler" impressa ai beni nella comunicazione del 14/08/2010.
Quanto all'ultima doglianza relativa ad una pretesa illegittima inversione dell'onere della prova, va richiamato quanto già precisato sub § 1 circa il costante orientamento di questa Corte, derivante dalla presunzione ex lege secondo cui le cose indicate nell'art.10 da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo appartengono allo Stato (art. 91, comma 1, cit.), in ordine al fatto che l'onere di provare un legittimo acquisto incombe sul privato (Sez. 3, n. 49439 del 04/11/2009, dep. 23/12/1999, Dafarra, Rv. 245743; Sez. 3, n. 39109 del 24/10/2006, dep. 28/11/2006, Palombo, Rv. 235410).

4. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale e inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2017