Cass. Civ.  SS.UU. n. 2481 del 26 gennaio 2024
Pres. D'Ascola  Est. Scoditti Ric. Urbs srl
Beni culturali.Accertamento diritto di proprietà della PA e giurisdizione

Sull'accertamento del diritto di proprietà nei confronti della P.A. la giurisdizione spetta del giudice amministrativo, se il fatto estintivo di quello costitutivo del diritto dominicale è un provvedimento amministrativo di esercizio della prelazione artistica, asseritamente illegittimo, benché emanato in base a una norma attributiva del relativo potere e non in carenza assoluta di questo. (Principio affermato dalla S.C. in relazione alla dichiarazione di nullità - di cui all'art. 29 della l. n. 364 del 1909 - delle alienazioni effettuate contro i divieti contenuti nella legge stessa, individuata quale condizione di legittimità dell'esercizio del potere di prelazione previsto dall'art. 6 della citata disciplina legislativa). 

Rilevato che:
URBS s.r.l. propose ricorso innanzi al T.A.R. Lazio nei confronti di Senato della Repubblica Italiana, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, domandando, in via principale, l'accertamento dell'occupazione abusiva di Palazzo Giustiniani in Roma alla via de.Do. n. 29 da parte del Senato della Repubblica Italiana (d'ora in avanti soltanto "Senato") e la condanna del Senato alla restituzione dell'edificio in favore della società, oltre al risarcimento del danno per l'occupazione abusiva, ed in via subordinata l'accertamento dell'inadempimento della transazione, di data 14 novembre 1991, stipulata tra il Senato, il Ministero delle finanze (poi Ministero dell'Economia e delle Finanze) e la società ricorrente, con la condanna del Senato all'adempimento dell'obbligo scaturente dall'art. 5 della transazione ovvero a consentire l'uso di una limitata porzione dei locali per ospitare il museo storico della massoneria italiana. La ricorrente espose quanto segue.

Con atto di compravendita, rogato in data 16 febbraio 1911, la società ricorrente aveva acquistato, dai germani Ri. ed Qu.EM., la proprietà dell'immobile di cui sopra, adibito fin dal 1901 a sede legale dell'associazione massonica del Grande Oriente d'Italia -Massoneria Universale (G.O.I.) -, senza che nell'ambito della predetta compravendita fosse stata dichiarata l'esistenza del vincolo storico-artistico gravante sul bene ai sensi dell'art. 6 della legge n. 364 del 20 giugno 1909. Il 5 novembre 1925 Palazzo Giustiniani era stato con violenza occupato da truppe squadriste armate. Con regio decreto-legge n. 2192 del 22 novembre 1925 era stata prevista la facoltà del Governo di dichiarare la nullità degli atti di compravendita degli immobili di valore storico e artistico nazionale oggetto di tutela ai sensi della legge n. 364 del 1909. Con il decreto del 20 gennaio 1926 del Ministro della Pubblica Istruzione (come previsto dall'art. 1 del citato regio decreto-legge) era stato esercitato il diritto di prelazione sull'immobile e con atto del 13 giugno 1927, intercorso fra il Ministero delle finanze, il Ministero della pubblica istruzione e la società ricorrente, erano stati transatti i due giudizi nel frattempo intrapresi innanzi al Consiglio di Stato e al Tribunale di Roma, per far dichiarare privo di efficacia il diritto di prelazione. Con atto di citazione del 26 settembre 1947, la società aveva instaurato un giudizio civile per far dichiarare nullo, per vizio di consenso a causa di violenza, l'atto di transazione e ottenere la restituzione del bene immobile. La Corte di Cassazione, adita con il ricorso preventivo di giurisdizione proposto dai ministeri convenuti (Ministero delle Finanze e Ministero della Pubblica Istruzione), aveva dichiarato, con sentenza a sezioni unite di data 6 giugno 1950, la sussistenza della giurisdizione ordinaria a conoscere delle questioni concernenti la validità della transazione del 13 giugno 1927 e la sussistenza della giurisdizione amministrativa a conoscere delle questioni di legittimità del decreto ministeriale del 20 gennaio 1926, dichiarando per l'effetto l'improponibilità innanzi al giudice ordinario della domanda di restituzione dell'immobile, fondata sia sull'occupazione violenta del 5 novembre 1925 che sull'illegittimità del decreto ministeriale del 20 gennaio 1926, della domanda di intervenuta usucapione dell'immobile oggetto della prelazione e, in subordine, di quella di risarcimento del danno per il caso di non consentita restituzione materiale dell'immobile.
Con sentenza irrevocabile del 9 aprile 1953, la Corte d'appello di Roma aveva rigettato la domanda proposta avverso la transazione del 13 giugno 1927, mentre il giudizio amministrativo proposto davanti al Consiglio di Stato sull'illegittimità del decreto ministeriale del 20 gennaio 1926 era stato dichiarato perento. In data 10 novembre 1961 era stato stipulato un atto con cui era stato riconosciuto l'uso ventennale di una porzione dell'edificio in favore della società e, con successivo atto del 1977, il Ministero delle Finanze aveva concesso l'uso di altri 25 locali, con scadenza coincidente con quella dell'atto del 1961. In data 1 luglio 1981 il Ministero delle Finanze aveva intimato alla società il rilascio dei locali e in data 14 novembre 1991 era stata stipulata un'ulteriore transazione.
Con riferimento alla domanda proposta in via principale, la ricorrente dedusse che l'atto di compravendita del 1911 in favore di URBS era esistente, valido ed efficace per due ragioni: il decreto-legge del 1925, quale normativa successiva all'atto del 1911, era privo di efficacia retroattiva, sicché non poteva porre nel nulla gli effetti della compravendita; in ogni caso, il "Governo del Re" non aveva mai dichiarato la nullità del predetto atto di trasferimento ("la nullità di pieno diritto comminata dall'art. 29 della legge 20 giugno 1909 n. 364, per le alienazioni effettuate contro i divieti contenuti nella legge stessa, è dichiarata dal Governo del Re in confronto dei privati tanto alienanti quanto acquirenti, quando intende esercitare il diritto di prelazione riservatogli dall'art. 6 della legge medesima", prevede l'art. 1 del regio decreto-legge n. 2192 del 22 novembre 1925), con la conseguenza che, permanendo in vita l'atto di proprietà in capo alla società, il decreto di prelazione emesso dal Governo non poteva costituire atto di trasferimento in favore di quest'ultimo.
Quanto alla domanda proposta in via subordinata, la ricorrente osservò che l'atto di transazione del 1991, di carattere trilaterale, scaturiva dal rapporto concessorio avente ad oggetto l'immobile in questione, già in essere tra il Ministero delle Finanze e il Senato della Repubblica, e che tale atto era da inquadrare nella categoria degli accordi ex art. 11 della l. n. 241 del 1990. Precisò che l'art. 4 prevedeva quanto segue: "'l'Amministrazione del Senato, che interviene al presente atto in quanto interessata alla consegna in uso a favore dei locali rilasciati dalla società U.R.B.S. all'Amministrazione delle finanze, prende atto di quanto sopra esposto ed in particolare della risoluzione al rilascio immediato da parte della società U.R.B.S. e della relativa condizione da questa voluta di ottenere la concessione dei locali già occupati dal Rito scozzese per la destinazione a museo storico". In base all'art. 5, "l'Amministrazione delle Finanze prende atto della determinazione del Senato a consentire, con apposita convenzione, alla società U.R.B.S., l'uso di una limitata porzione dei locali dell'immobile rilasciati, ubicati al piano terreno ed al piano ammezzato, e relativi accessori e pertinenze con accesso da piazza de.Ro. nn. 10 e 11 e da via Gi. nn. 1 e 2 per destinarli a sede del Museo storico della Massoneria italiana, tenendo conto anche dell'interesse storico cui la finalità da realizzare si ispira, della complessità e della delicatezza della vicenda cui si pone fine con il presente atto, della compatibilità di tale utilizzazione delle esigenze del Senato e delle ragioni di pubblico interesse". Allegò quindi che il Senato era rimasto inadempiente all'accordo, non avendo provveduto a stipulare la convenzione per la regolazione delle condizioni d'uso da parte di U.R.B.S. di una porzione limitata dei locali di Palazzo Giustiniani, e propose, a fronte di tale mancato adempimento, domanda di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 cod. civ.
Il T.A.R. dichiarò inammissibile la domanda per difetto di giurisdizione. La società propose appello. Con sentenza n. 9171 di data 27 ottobre 2022 il Consiglio di Stato, sez. IV, rigettò l'appello.
Il giudice amministrativo di appello osservò che la società aveva agito in giudizio affermando la sussistenza del suo diritto di proprietà su Palazzo Giustiniani e disconoscendo qualsivoglia valore giuridico agli atti normativi, amministrativi e negoziali che, tra il 1925 e il 1927, ne avrebbero sancito - almeno, formalmente - il passaggio di proprietà allo Stato. Aggiunse che, nelle controversie aventi ad oggetto l'esercizio del diritto di prelazione da parte di un affittuario di un fondo agricolo a fronte del provvedimento di aggiudicazione del fondo a terzi emesso dalla mano pubblica, pur in presenza dell'impugnazione di atti amministrativi di aggiudicazione del fondo, il giudizio spettava alla cognizione del giudice ordinario (Cass. n. 11582 del 2019).
Passando alla domanda proposta in via subordinata, il Collegio rilevò l'insussistenza di qualsiasi procedimento al cui interno collocare, in funzione sostitutiva del provvedimento o integrativa del suo contenuto, così come richiesto dall'art. 11 legge n. 241/1990, l'accordo transattivo del 14 novembre 1991, il quale doveva essere qualificato come vera e propria transazione, stipulata dopo le questioni insorte inerenti la titolarità della proprietà e, successivamente, la concessione in uso di parte dell'edificio. Precisò che le clausole non perfezionavano l'insorgere di un rapporto concessorio riguardante l'uso dei locali da adibire a museo storico della massoneria, ma si limitavano a prevedere una sorta di dichiarazione d'intenti tra le parti del contratto di transazione da finalizzare, successivamente, con l'emanazione del provvedimento di concessione e la stipulazione del relativo accordo accessivo. Aggiunse che, anche ad accogliere la qualificazione in termini di art. 11 legge n. 241 del 1990, erano attribuite alla giurisdizione del giudice civile le controversie che, pur se correlate ad accordi pubblicistici, stipulati ai sensi dell'articolo 11 o 15 della legge n. 241/1990, avevano ad oggetto vicende meramente patrimoniali o questioni prettamente proprietarie (Cass. Sez. U. n. 21770 del 2021, n. 26921 del 2021, n. 21650 del 2021 e n. 8049 del 2018).
URBS s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi e resistono con unico controricorso Senato della Repubblica Italiana, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.
E' stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis.1 cod. proc. civ. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
E' stata presentata memoria.

Considerato che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 386 cod. proc. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Con riferimento alla domanda proposta in via principale la parte ricorrente deduce che la decisione impugnata ha violato la statuizione sulla giurisdizione del giudice amministrativo di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite di data 6 giugno 1950. Aggiunge che la prelazione non si è perfezionata, per avere omesso il Governo di dichiarare la nullità della compravendita e che la giurisdizione è comunque del giudice amministrativo per essere la prelazione di cose d'interesse storico e artistico espressione di potestà autoritativa di carattere ablatorio, in grado di degradare le posizioni soggettive ad interessi legittimi.
Il motivo è fondato. Con riferimento al rapporto processuale fra la ricorrente, da una parte, ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze e il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dall'altra, vi è l'effetto vincolante della pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza di data 6 giugno 1950. Ricorre, con riferimento a tale rapporto processuale, l'identità del processo non solo sul piano soggettivo, ma anche oggettivo.
Le domande di condanna alla restituzione dell'immobile, avuto riguardo alla dedotta illegittimità del decreto ministeriale del 20 gennaio 1926, di accertamento di intervenuta usucapione dell'immobile oggetto della prelazione e di risarcimento del danno, per il caso di mancata restituzione dell'immobile, furono dichiarate improponibili, vigendo la giurisdizione del giudice amministrativo perché il diritto allegato dalla società U.R.B.S. era stato affievolito dal decreto ministeriale di prelazione di cui la stessa società negava la legittimità. L'odierno fatto costitutivo della domanda restitutoria e risarcitoria è la validità ed efficacia dell'atto di compravendita del 1911 in favore di URBS, sia perché il decreto-legge del 1925, quale disciplina successiva all'atto del 1911, sarebbe privo di efficacia retroattiva, sia perché il "Governo del Re" non avrebbe mai dichiarato la nullità del predetto atto di trasferimento, come previsto dalla norma, per cui, permanendo in vita l'atto di proprietà in capo alla società, il decreto di prelazione emesso dal Governo non poteva costituire atto di trasferimento in favore di quest'ultimo. La circostanza che nel ricorso di cui alla precedente pronuncia di queste Sezioni Unite fossero indicati, quali fatti costitutivi della domanda restitutoria, la illegittimità del decreto ministeriale con cui era stata esercitata la prelazione e l'usucapione non incide al livello dell'oggetto della domanda, che è identico a quello dell'odierno giudizio. Entrambi i giudizi hanno infatti ad oggetto l'accertamento del diritto di proprietà, il quale, avendo carattere autodeterminato, è individuato in base alla sola indicazione del suo contenuto - cioè del bene che ne costituisce l'oggetto -, per cui nelle azioni ad esso relative la deduzione del fatto costitutivo rileva ai fini non della sua individuazione, ma soltanto della prova del diritto (al punto che, qualora proposta una domanda di accertamento o di condanna, relativa al diritto di proprietà, sulla base di un determinato fatto costitutivo, questa venga rigettata per ragioni inerenti al fatto costitutivo dedotto, l'accertamento con efficacia di giudicato dell'inesistenza del diritto stesso preclude la possibilità di far valere "ex novo" il medesimo diritto sulla base di un diverso titolo di acquisto - fra le tante, da ultimo, Cass. n. 22591 del 2020). Secondo la pronuncia di queste Sezioni Unite di data 6 giugno 1950 quel diritto di proprietà soggiace ad un interesse legittimo oppositivo stante la presenza del decreto ministeriale di prelazione. Il mutamento del fatto costitutivo dedotto non cambia la pretesa sostanziale fatta valere, che è sempre la medesima, poiché si tratta di interesse oppositivo correlativo al diritto di proprietà, per il quale vale la regola dell'autodeterminazione.
Ricorrendo l'identità soggettiva ed oggettiva dei giudizi vi è il vincolo della precedente pronuncia sulla giurisdizione del giudice amministrativo, per cui è quest'ultimo il giudice cui va devoluto il processo.
Anche con riferimento al rapporto processuale fra la ricorrente ed il Senato deve essere statuita la giurisdizione del giudice amministrativo, la quale va accertata in modo indipendente dalla precedente statuizione, vigendo nell'ordinamento processuale, come è noto, il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione (fra le tante da ultimo Cass. Sez. U. n. 8475 del 2022).
L'atto di esercizio del diritto di prelazione artistica spettante alla pubblica amministrazione è un provvedimento amministrativo, in relazione al quale è configurabile la giurisdizione del giudice amministrativo ove si verta in una ipotesi di carenza di potere in concreto, in quanto attinente al quomodo della potestà pubblica, sicché la posizione fatta valere dalla parte privata acquirente che lo abbia subito è di interesse legittimo oppositivo, e non di diritto soggettivo (Cass. Sez. U. n. 7643 del 2020; n. 5097 del 2018). Nel caso di specie non si contesta la carenza di potere in astratto per l'assenza della norma attributiva del potere, ma quella in concreto perché non si nega la spettanza del potere, ma si afferma che il decreto di esercizio della prelazione, in mancanza della dichiarazione di nullità della compravendita, non è in grado di perfezionare l'acquisto in favore dell'autorità amministrativa.
Benché la domanda non sia indirizzata all'atto amministrativo, ma sia limitata all'accertamento della validità ed efficacia dell'atto di compravendita del 1911, per le ragioni della irretroattività della norma sulla prelazione e la mancata dichiarazione di nullità del predetto atto, la circostanza che fatto estintivo del fatto costitutivo allegato - il diritto di proprietà - sia un provvedimento amministrativo emanato sulla base di un potere attribuito della norma, ed in relazione al quale si può porre solo una questione di carenza di potere in concreto, comporta che la cognizione in via principale del giudice si intenda estesa anche al profilo della legittimità di un tale provvedimento. Si tratta di una piana applicazione della regola di riparto della giurisdizione informata al criterio del petitum sostanziale, in luogo di quello formale, il quale ha riguardo non alla causa petendi ma all'oggetto del dispositivo giurisdizionale che si invoca, mentre il petitum sostanziale concerne il rapporto dedotto in giudizio ed oggetto di accertamento giurisdizionale.
Poiché la controversia è sul diritto di proprietà, diritto autodeterminato come si è detto, e pertanto identificato sulla base del suo solo contenuto, il riconoscimento del diritto preclude l'esistenza di un contro-diritto di pari contenuto stante il nesso di incompatibilità giuridica. Affermare l'esistenza del diritto di proprietà di parte ricorrente comporta la negazione del diritto vantato dall'Amministrazione sulla base dell'esercitata prelazione. Secondo la regola sui limiti oggettivi del giudicato, l'accertamento di esistenza del fatto costitutivo comporta quello di inesistenza di tutti i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del fatto allegato dall'attore. Nella presente controversia la dichiarazione di esistenza del diritto di proprietà dell'attore implica l'accertamento dell'inesistenza della legittimità dell'acquisto in favore dell'Amministrazione mediante la prelazione. Poiché, però, quest'ultimo acquisto deriva da un provvedimento amministrativo, alla luce della richiamata regola sui limiti oggettivi del giudicato di accoglimento la cognizione del giudice si intende estesa anche alla illegittimità del provvedimento di acquisizione. La questione del legittimo esercizio del potere attribuito dalla norma è perciò in grado, alla luce degli effetti di accertamento della dichiarazione di esistenza del diritto, di rientrare nel campo delle questioni pregiudiziali in senso logico, suscettibili di essere accertate con efficacia di giudicato e dunque principaliter.
Ciò che invero denuncia la parte ricorrente è proprio l'illegittimo esercizio del potere. Si deduce che il "Governo del Re" non ha mai dichiarato la nullità del predetto atto di trasferimento. Prevede l'art. 1 del regio decreto-legge n. 2192 del 22 novembre 1925 che "la nullità di pieno diritto comminata dall'art. 29 della legge 20 giugno 1909 n. 364, per le alienazioni effettuate contro i divieti contenuti nella legge stessa, è dichiarata dal Governo del Re in confronto dei privati tanto alienanti quanto acquirenti, quando intende esercitare il diritto di prelazione riservatogli dall'art. 6 della legge medesima". La dichiarazione di nullità della compravendita non è un requisito di efficacia dell'acquisto rilevante sul piano del diritto privato ma è una modalità di esercizio del potere amministrativo perché, come prevede la disposizione, "quando intende esercitare il diritto di prelazione", l'autorità amministrativa deve dichiarare la nullità del contratto. E' il quomodo della potestà pubblica che viene in rilievo: la dichiarazione di nullità è condizione pregiudiziale dell'esercizio del potere, che altrimenti non può essere legittimamente esercitato. Denunciando quindi il mancato perfezionamento dell'acquisto per l'assenza della dichiarazione di nullità, la società ricorrente impugna le modalità di esercizio del potere amministrativo, sotto il profilo della violazione di legge per carenza del presupposto fissato dalla norma.
In termini analoghi, è stato affermato che nella compravendita di bene sottoposto a vincolo archeologico, l'eventuale inefficacia del vincolo, per inosservanza delle norme in tema di trascrizione e notificazione del relativo atto impositivo, non implica che il successivo esercizio della prelazione da parte della P.A. integri una fattispecie di carenza di potere in astratto - come tale determinante un'ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo per difetto assoluto di attribuzione - trattandosi, invero, di un'ipotesi di carenza di potere in concreto, in quanto attinente non all'"an" bensì al "quomodo" della potestà pubblica; ne consegue che la posizione fatta valere, sul presupposto di una tale inefficacia, dall'acquirente che abbia subito l'esercizio del diritto di prelazione, è di interesse legittimo oppositivo, e non di diritto soggettivo, ed in quanto tale devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. Sez. U. n. 5097 del 2018).
L'efficacia del giudicato di accoglimento della domanda anche riguardo all'inesistenza della legittimità del provvedimento amministrativo comporta che la posizione soggettiva fatta valere dal privato sia di interesse legittimo. Deducendo in giudizio una fattispecie proprietaria fronteggiata sul punto del diritto di proprietà dall'atto amministrativo di prelazione, la società attrice allega una situazione di interesse legittimo oppositivo, coerentemente del resto a quanto queste Sezioni Unite dichiararono con la sentenza di data 6 giugno 1950. Il criterio del petitum sostanziale comporta che il rapporto giuridico dedotto in giudizio sia valutato nella sua integralità, indipendentemente dall'oggetto immediato della domanda, e dunque sia nei suoi elementi costitutivi, che in quelli impeditivi, modificativi o estintivi, allorquando tali elementi possano cadere, come nel caso della controversia in discorso, nel raggio del giudicato.
E' appena il caso di aggiungere che non può farsi riferimento alla giurisprudenza richiamata dal Consiglio di Stato, relativa al diritto di prelazione da parte di un affittuario di un fondo agricolo a fronte del provvedimento di aggiudicazione del fondo a terzi emesso dalla pubblica amministrazione, ove ricorre la giurisdizione del giudice ordinario (così da ultimo Cass. Sez. U. n. 11582 del 2019), perché in tale ipotesi l'eventuale questione di legittimità dell'atto emesso dalla pubblica amministrazione ha natura di pregiudiziale in senso tecnico e non in senso logico, e dunque suscettibile di accertamento in via soltanto incidentale.
Vanno in conclusione enunciati i seguenti principio di diritto: "ricorre la giurisdizione del giudice amministrativo rispetto ad una domanda di accertamento del diritto di proprietà nei confronti della pubblica amministrazione se fatto estintivo di quello costitutivo del diritto fatto valere è un provvedimento amministrativo di esercizio della prelazione artistica, emanato sulla base di una norma attributiva del relativo potere e non in carenza assoluta di potere"; "la dichiarazione di nullità, di cui all'art. 29 della legge 20 giugno 1909 n. 364, delle alienazioni effettuate contro i divieti contenuti nella legge stessa è condizione di legittimità dell'esercizio del potere di prelazione previsto dall'art. 6 della medesima legge".
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 386 cod. proc. civ. e degli artt. 11l. n. 241 del 1990 e 133, comma 1, lett. b) e comma 1, lett. a) n. 2 cod. proc. amm., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, con riferimento alla domanda proposta in via subordinata, che vi è giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo costituendo la transazione del 14 novembre 1991 accordo, di carattere trilaterale, sostitutivo di provvedimento relativo a rapporto di concessione di bene pubblico avente natura demaniale, e cui il Senato è rimasto inadempiente, non avendo stipulato la convenzione mediante cui regolare le condizioni dell'uso di una porzione limitata dei locali dell'immobile.
Il motivo è infondato. Va premesso che deve essere accertata la giurisdizione anche con riferimento alla domanda subordinata. Nel caso di domande cumulate avvinte da nesso di subordinazione, il potere delle Sezioni Unite di regolare la giurisdizione va esercitato con riferimento a tutte le domande - attesa l'esigenza di risolvere la questione di giurisdizione una volta per tutte sull'intera controversia -ma senza sciogliere il nesso di subordinazione voluto dalla parte; ne consegue che il giudizio di legittimità avente ad oggetto la questione di giurisdizione va risolto rimettendo le parti innanzi al giudice munito di giurisdizione sulla domanda principale e dichiarando la giurisdizione, eventualmente diversa, sulla domanda subordinata, declaratoria, quest'ultima, rilevante solo condizionatamente alla definizione della domanda pregiudiziale (cfr. Cass. sez. U. n. 7822 del 2020; n. 16458 del 2020).
La prospettazione della ricorrente è che la transazione del 14 novembre 1991 sarebbe qualificabile come accordo sostitutivo di provvedimento amministrativo di cui all'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2 cod. proc. amm., soggetta quindi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Contenuto della transazione del 14 novembre 1991, per quanto qui rileva, è la presa d'atto da parte del Senato della volontà di U.R.B.S. di rilasciare i locali dell'immobile alla condizione di "ottenere la concessione dei locali già occupati dal Rito scozzese per la destinazione a museo storico" (art. 4), mentre, in base all'art. 5, "l'Amministrazione delle Finanze prende atto della determinazione del Senato a consentire, con apposita convenzione, alla società U.R.B.S., l'uso di una limitata porzione dei locali dell'immobile rilasciati".
L'accordo è sostitutivo di provvedimento quando è esplicazione, in forma consensuale, del potere attribuito dalla norma all'Amministrazione. Come prevede l'art. 11 l. n. 241 del 1990, l'accordo viene concluso dall'Amministrazione "nel perseguimento del pubblico interesse". Elemento definitorio dell'accordo è dunque l'interesse pubblico, che ne condiziona la qualifica pubblicistica. In quest'ottica la norma prescrive che la stipulazione dell'accordo sia preceduta da una determinazione dell'organo competente a emanare il provvedimento, al fine di giustificarne la rilevanza pubblicistica.
Il potere amministrativo in questione, secondo la prospettazione della ricorrente, sarebbe quello di concessione del bene pubblico costituito da alcuni locali di Palazzo Giustiniani in Roma alla via de.Do. n. 29. L'astratta indicazione del potere non è però sufficiente a connotare in termini pubblicistici l'accordo, essendo necessario che dal medesimo risulti il perseguimento dell'interesse pubblico. L'accordo allegato è limitato alla mera transazione, nell'ambito della quale viene posta, in termini che restano da definire nel corso del giudizio di merito quanto alla portata di vincolo giuridico, la questione della concessione in uso di alcuni locali dell'immobile. L'accordo, sul punto della concessione in uso, è muto quanto al perseguimento dell'interesse pubblico, ed in esso si fa riferimento solo alle nozioni di occupazione, canone e sublocazione (concessa dalla Massoneria Grande Oriente d'Italia, che "occupava" l'immobile, ad il Rito Scozzese). Dal punto di vista funzionale l'atto esprime quindi soltanto lo scopo propriamente transattivo del porre fine alla controversia mediante reciproche concessioni, senza che emerga l'ulteriore funzione del perseguimento dell'interesse pubblico. Sul punto va anche richiamato quanto affermato dal giudice amministrativo, e cioè l'insussistenza di qualsiasi procedimento al cui interno collocare, in funzione sostitutiva del provvedimento o integrativa del suo contenuto, l'accordo transattivo. Quest'ultimo è, in conclusione, inidoneo ad integrare la fattispecie dell'accordo sostitutivo di provvedimento amministrativo.
La statuizione sulla giurisdizione in relazione alla domanda subordinata, essendo rilevante - come si è detto - solo condizionatamente alla definizione della domanda pregiudiziale, viene pronunciata per l'ipotesi di scioglimento della subordinazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia al T.A.R. Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità; statuendo sulla giurisdizione, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla domanda principale e la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda subordinata.

Così deciso in Roma il giorno 21 novembre 2023.