Corte di Giustizia (Quarta Sezione) 23 novembre 2023
«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/4/CE – Accesso del pubblico all’informazione ambientale – Rigetto di una richiesta di informazione – Verbali delle riunioni di un governo – Discussioni concernenti le emissioni di gas a effetto serra – Articolo 4, paragrafi 1 e 2 – Eccezioni al diritto di accesso all’informazione – Nozioni di “comunicazioni interne” e di “deliberazioni interne delle autorità pubbliche” – Ricorso giurisdizionale – Annullamento della decisione di rifiuto – Eccezione applicabile individuata nella sentenza – Autorità di cosa giudicata»

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

23 novembre 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/4/CE – Accesso del pubblico all’informazione ambientale – Rigetto di una richiesta di informazione – Verbali delle riunioni di un governo – Discussioni concernenti le emissioni di gas a effetto serra – Articolo 4, paragrafi 1 e 2 – Eccezioni al diritto di accesso all’informazione – Nozioni di “comunicazioni interne” e di “deliberazioni interne delle autorità pubbliche” – Ricorso giurisdizionale – Annullamento della decisione di rifiuto – Eccezione applicabile individuata nella sentenza – Autorità di cosa giudicata»

Nella causa C‑84/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court (Alta Corte, Irlanda), con decisione dell’8 febbraio 2022, pervenuta in cancelleria l’8 febbraio 2022, nel procedimento

Right to Know CLG

contro

An Taoiseach,

LA CORTE (Quarta Sezione)

composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, O. Spineanu-Matei, J.-C. Bonichot (relatore), S. Rodin e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Right to Know CLG, da D. Browne, BL, F. Logue, solicitor, e N.J. Travers, SC;

–        per l’An Taoiseach e l’Irlanda, da M. Browne, E. O’Hanrahan e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da A. Carroll, BL, e B. Kennedy, SC;

–        per la Commissione europea, da G. Gattinara e L. Haasbeek, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 maggio 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), e dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio (GU 2003, L 41, pag. 26), nonché sui principi dell’autorità di cosa giudicata e di effettività.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Right to Know CLG, un’organizzazione senza scopo di lucro di diritto irlandese, e l’An Taoiseach (Primo Ministro, Irlanda) in merito a una richiesta rivolta al governo irlandese, l’8 marzo 2016, e diretta ad ottenere l’accesso a tutti i documenti relativi alle discussioni in seno al Consiglio dei ministri concernenti le emissioni di gas a effetto serra dell’Irlanda, avvenute nel corso di riunioni svoltesi negli anni dal 2002 al 2016 (in prosieguo: la «richiesta dell’8 marzo 2016 di accesso all’informazione ambientale»).

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

3        La Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Aarhus»), al suo articolo 4, paragrafi 3 e 4, così dispone:

«3.      Una richiesta di informazioni ambientali può essere respinta:

(...)

c)      se riguarda documenti ancora in corso di elaborazione o comunicazioni interne delle autorità pubbliche, qualora tale deroga sia prevista dalla legge o dalla prassi nazionale, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni.

4.      Una richiesta di informazioni ambientali può essere respinta, qualora la divulgazione di tali informazioni possa pregiudicare:

a)      la segretezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, ove sia prevista dal diritto nazionale;

(...)».

 Diritto dell’Unione

4        Il considerando 16 della direttiva 2003/4 così recita:

«Il diritto all’informazione implica che la divulgazione dell’informazione sia ritenuta un principio generale e che alle autorità pubbliche sia consentito respingere una richiesta di informazione ambientale in casi specifici e chiaramente definiti. Le ragioni di rifiuto dovrebbero essere interpretate in maniera restrittiva, ponderando l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle. Le ragioni del rifiuto dovrebbero essere comunicate al richiedente entro il periodo stabilito dalla presente direttiva».

5        Ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Obiettivi»:

«Gli obiettivi della presente direttiva sono i seguenti:

a)      garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse e stabilire i termini e le condizioni di base nonché modalità pratiche per il suo esercizio; (...)».

6        L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

2)      “autorità pubblica”:

a)      il governo o ogni altra amministrazione pubblica, compresi gli organi consultivi pubblici, a livello nazionale, regionale o locale;

(...)

3)      “informazione detenuta da un’autorità pubblica”: l’informazione ambientale che è in suo possesso e che è stata prodotta o ricevuta da detta autorità;

(...)

5)      “richiedente”: ogni persona fisica o giuridica che chiede l’informazione ambientale;

(...)».

7        L’articolo 4 della medesima direttiva, intitolato «Eccezioni», enuncia quanto segue:

«1.      Gli Stati membri possono disporre che una richiesta di informazione ambientale sia respinta nei seguenti casi:

(...)

e)      se la richiesta riguarda comunicazioni interne, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione.

(...)

2.      Gli Stati membri possono disporre che la richiesta di informazione ambientale sia respinta qualora la divulgazione di tale informazione rechi pregiudizio:

a)      alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche qualora essa sia prevista dal diritto;

(...)

I motivi di rifiuto di cui ai paragrafi 1 e 2 sono interpretati in modo restrittivo tenendo conto nel caso specifico dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione. In ogni caso specifico l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione è ponderato con l’interesse tutelato dal rifiuto. Gli Stati membri non possono, in virtù del paragrafo 2, lettere a), d), f), g) e h), disporre che una richiesta sia respinta se quest’ultima concerne informazioni sulle emissioni nell’ambiente.

(...)

4.      L’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per loro conto e oggetto di richiesta è messa a disposizione in maniera parziale quando è possibile estrarre dal resto dell’informazione richiesta le informazioni indicate al paragrafo 1, lettere d) ed e), o al paragrafo 2.

(...)».

8        L’articolo 6 della direttiva 2003/4, intitolato «Accesso alla giustizia», impone agli Stati membri di provvedere affinché il richiedente di informazioni ambientali, allorché reputa che la sua richiesta sia stata ignorata o infondatamente respinta, non abbia ricevuto una risposta adeguata o non sia stata trattata ai sensi delle disposizioni di tale direttiva, possa proporre un ricorso amministrativo o giurisdizionale contro gli atti o le omissioni della pubblica autorità interessata.

 Diritto irlandese

 Costituzione irlandese

9        L’articolo 28, paragrafo 4, della Bunreacht na hÉireann (Costituzione irlandese) così dispone:

«(...)

2°      Il governo si riunisce e agisce in qualità di autorità collettiva (...).

3°      La riservatezza delle discussioni svoltesi durante le riunioni del governo è rispettata in qualsiasi circostanza, a meno che la High Court (Alta Corte) ne decida la divulgazione in relazione a un caso specifico:

i)      nell’interesse dell’amministrazione della giustizia da parte di un giudice, o

ii)      in virtù di un interesse pubblico prevalente, conformemente a una richiesta in tal senso presentata da una commissione nominata dal governo o da un ministro del governo sotto l’autorità delle Houses of the Oireachtas (Camere del Parlamento) per indagare su una questione da esse dichiarata di importanza pubblica.

(...)».

 Regolamenti sull’accesso all’informazione ambientale

10      La direttiva 2003/4 è stata recepita nel diritto irlandese dagli European Communities (Access to Information on the Environment) Regulations 2007 (S.I. no 133/2007) [regolamenti del 2007 – Comunità europee (accesso all’informazione ambientale)] (in prosieguo: i «regolamenti sull’accesso all’informazione ambientale»).

11      L’articolo 8 di tali regolamenti prevede taluni motivi obbligatori di rigetto di una richiesta di accesso all’informazione ambientale. L’eccezione relativa alle «deliberazioni interne» è trasposta da tale articolo, lettera a), iv).

12      Ai sensi dell’articolo 8, lettera b), di detti regolamenti, un’autorità pubblica non mette a disposizione informazioni in materia ambientale «nei limiti in cui ciò implicherebbe la divulgazione di discussioni nel corso di una o più riunioni del governo».

13      L’articolo 9 dei regolamenti sull’accesso all’informazione ambientale enuncia i motivi in base ai quali una richiesta di accesso all’informazione ambientale può essere respinta. L’eccezione relativa alle «comunicazioni interne» è trasposta da tale articolo 9, paragrafo 2, lettera d).

14      Ai sensi dell’articolo 10 dei regolamenti sull’accesso all’informazione ambientale:

«1.      Fatti salvi gli articoli 8 e 9, paragrafo 1, lettera c), una richiesta di informazione ambientale non può essere respinta se la richiesta concerne informazioni sulle emissioni nell’ambiente.

2.      Il riferimento, nel paragrafo 1, alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente non include un riferimento ad eventuali discussioni sulla questione di tali emissioni nel corso di riunioni del governo.

3.      L’autorità pubblica esamina ciascuna domanda individualmente e pondera l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle.

4.      I motivi di rifiuto di una richiesta di informazione ambientale sono interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione.

5.      Nessuna disposizione di cui agli articoli 8 o 9 autorizza un’autorità pubblica a non mettere a disposizione informazioni in materia ambientale che, sebbene detenute unitamente alle informazioni previste all’articolo 8 o 9, possono essere estratte da queste ultime.

(...)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

15      La richiesta dell’8 marzo 2016 di accesso all’informazione ambientale, presentata dalla Right to Know, riguardava, in sostanza, l’accesso a verbali delle riunioni del governo irlandese. Tale richiesta è stata respinta il 27 giugno 2016 a seguito di una procedura di riesame interno. La Right to Know ha impugnato tale decisione dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda).

16      Con sentenza del 1° giugno 2018 tale giudice ha ritenuto applicabile l’eccezione al diritto di accesso all’informazione ambientale prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4, per le «comunicazioni interne» di un’autorità pubblica, dato che le riunioni del governo irlandese dovevano essere equiparate a comunicazioni siffatte. Esso ha altresì rilevato che l’applicazione di tale eccezione richiedeva una ponderazione dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con quello tutelato dal rifiuto di divulgarle, ponderazione che mancava nella decisione del 27 giugno 2016. Di conseguenza, la High Court (Alta Corte) ne ha disposto l’annullamento e ha rinviato la richiesta della Right to Know al Primo ministro, ai fini di un riesame.

17      Con decisione del 16 agosto 2018 il Primo ministro ha accolto la richiesta della Right to Know, ma solo parzialmente. La Right to Know ne ha contestato la legittimità dinanzi alla High Court (Alta Corte).

18      Nell’ambito del suo ricorso la Right to Know contesta la qualificazione dei documenti richiesti fornita dalla High Court (Alta Corte) nella sua sentenza del 1° giugno 2018. Ad avviso della Right to Know, occorre disattendere l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4, per le «comunicazioni interne» e applicarne un’altra, ossia quella prevista al medesimo articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), per le «deliberazioni interne» riservate di un’autorità pubblica.

19      La High Court (Alta Corte) rileva in proposito che, in virtù dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, la divulgazione dei documenti che concernono «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» non può essere rifiutata. Tale disposizione limiterebbe infatti l’applicabilità di varie eccezioni, previste all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva, in caso di richieste di accesso all’informazione ambientale, tra cui, in particolare, l’eccezione prevista per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche». Per contro, detta disposizione non si applicherebbe all’eccezione prevista per le «comunicazioni interne».

20      Pertanto, se i documenti di cui è richiesta la comunicazione rientrassero nell’ambito di applicazione non di quest’ultima eccezione, bensì dell’eccezione prevista per le «deliberazioni interne», la loro divulgazione sarebbe obbligatoria quantomeno nella misura in cui essi concernono «emissioni nell’ambiente». Se così dovesse essere, il governo irlandese non potrebbe far valere la riservatezza delle sue riunioni.

21      Il giudice del rinvio ritiene che le riunioni del governo potrebbero costituire «deliberazioni interne» riservate. Esso rileva in tal senso che, conformemente all’articolo 28, paragrafo 4, della Costituzione irlandese, il governo si riunisce «in qualità di autorità collettiva» e chiarisce che lo scopo di tali riunioni, individuato dalla Supreme Court of Ireland (Corte suprema, Irlanda) nella causa Attorney General/Hamilton [1993] 2 I.R. 250, è di consentire una discussione completa, libera e franca prima dell’adozione delle decisioni.

22      Orbene, la linea di confine tra le «comunicazioni interne» e le «deliberazioni interne» riservate non risulterebbe in modo chiaro dall’articolo 4 della direttiva 2003/4.

23      Inoltre, il giudice del rinvio rileva che alla luce del diritto nazionale non è certo che nell’ambito della controversia oggetto del procedimento principale la Right to Know possa rimettere in discussione la qualificazione dei documenti in esame come «comunicazioni interne» fornita nella sentenza del 1° giugno 2018.

24      Secondo il giudice del rinvio, si tratta in effetti di una questione di diritto che è stata decisa in via definitiva con la sentenza del 1° giugno 2018, che peraltro non è stata impugnata. Esso rileva, poi, che la controversia oggetto del procedimento principale è sorta tra le stesse parti, vale a dire la Right to Know e il Primo Ministro, e ha lo stesso oggetto, ossia il trattamento della richiesta dell’8 marzo 2016 di accesso all’informazione ambientale, della controversia da cui ha avuto origine tale sentenza. Di conseguenza, l’autorità di cosa giudicata di cui è munita, in linea di principio, la sentenza del 1° giugno 2018 impedirebbe, di norma generale, alla Right to Know di poter far ancora valere che i documenti richiesti non rientrano nell’ambito di applicazione dei motivi di rifiuto dell’accesso previsti per le «comunicazioni interne».

25      Il giudice del rinvio afferma che tale forma dell’autorità di cosa giudicata, che nel diritto irlandese è conosciuta come «issue estoppel», si estende, al di là del dispositivo della sentenza precedente, ai punti della motivazione di quest’ultima in cui sono state decise questioni di fatto e di diritto.

26      I giudici conserverebbero, tuttavia, il potere discrezionale di autorizzare il riesame di una questione nell’interesse della giustizia. In tale ambito, spetterebbe ad essi stabilire un equilibrio tra i diritti concorrenti delle parti e, più in generale, tra il diritto di accesso alla giustizia e l’interesse pubblico a che le controversie siano decise in via definitiva. Nel caso di specie, un equilibrio adeguato potrebbe essere raggiunto laddove la Right to Know potesse far valere il suo argomento concernente la qualificazione dei documenti da essa richiesti. Inoltre, sarebbe nell’interesse pubblico pronunciarsi su tale questione di diritto particolarmente rilevante.

27      Il giudice del rinvio considera che, però, non è esclusa nemmeno un’applicazione rigorosa dell’issue estoppel, richiesta dalla parte convenuta nel procedimento principale. Essa potrebbe essere compatibile con il diritto dell’Unione, anche qualora risulti che la sentenza del 1° giugno 2018 si basa su un’interpretazione erronea dell’articolo 4 della direttiva 2003/4.

28      Risulterebbe, in particolare, dalla sentenza del 16 marzo 2006, Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178), che, fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che conferiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche qualora ciò consentirebbe di rimediare a una violazione di tale diritto. La ratio di tale approccio sarebbe quella di garantire sia la stabilità dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia.

29      Secondo il giudice del rinvio, nel caso di specie, la stabilità dei rapporti giuridici non costituisce una giustificazione particolarmente pertinente, dal momento che la sentenza del 1° giugno 2018 ha riservato la decisione sulla richiesta della Right to Know, pur annullando la decisione di rigetto del 27 giugno 2016. Inoltre, in tali circostanze, non si potrebbe contestare alla Right to Know di non aver interposto appello avverso tale sentenza e di aver sollevato una censura vertente su un’erronea applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2003/4 soltanto nell’ambito della controversia oggetto del procedimento principale, vale a dire una qualificazione erronea dei documenti richiesti come comunicazioni interne ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), di tale direttiva.

30      Alla luce di tali considerazioni, il giudice del rinvio chiede se l’issue estoppel costituisca una forma di autorità di cosa giudicata riconosciuta dal diritto dell’Unione. Esso chiede, poi, se la sua applicazione rigorosa possa essere contraria al principio di effettività qualora essa determini una situazione in cui una violazione del diritto dell’Unione non può più essere dedotta.

31      In tali circostanze, la High Court (Alta Corte) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se i verbali di riunioni formali del potere esecutivo di uno Stato membro, nel corso delle quali i membri del governo sono tenuti a riunirsi e ad agire in qualità di autorità collettiva, debbano essere qualificati, ai fini di una domanda di accesso all’informazione ambientale in essi contenuta, come «comunicazioni interne» o come «deliberazioni interne» di un’autorità pubblica nel significato attribuito a tali nozioni, rispettivamente, dall’articolo 4, paragrafo 1, [primo comma], lettera e), e dall’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva sull’informazione ambientale.

2)      Se il principio dell’autorità di cosa giudicata (come esaminato nella causa Köbler, C‑224/01, ECLI:EU:C:2003:513 e giurisprudenza successiva) si estenda oltre il dispositivo della sentenza precedente e includa, inoltre, constatazioni di fatto e di diritto contenute nella sentenza precedente. In altri termini: se il principio dell’autorità di cosa giudicata sia limitato alla [«cause of action estoppel» (motivo già sollevato e oggetto di una decisione precedente sul merito)] o si estenda anche all’[«issue estoppel» (questioni di fatto e di diritto già oggetto di una decisione precedente sul merito)].

3)      Se, in un procedimento pendente tra le parti in merito all’asserita inosservanza della direttiva 2003/4/CE relativamente a una specifica richiesta di informazioni ambientali, qualora il ricorrente/richiedente abbia ottenuto l’annullamento di una decisione a seguito dell’accoglimento di determinati motivi di impugnazione fondati sul diritto dell’Unione e del rigetto di altri, il diritto dell’Unione e, in particolare, il principio di effettività ostino a una norma nazionale sull’autorità di cosa giudicata fondata sull’«issue estoppel» che impone a un giudice nazionale, nell’ambito di un nuovo procedimento avente ad oggetto un’ulteriore decisione sulla medesima richiesta, di precludere a tale ricorrente/richiedente la possibilità di impugnare detta ulteriore decisione in base a motivi fondati sul diritto dell’Unione che siano stati precedentemente respinti ma che, in tali circostanze, non siano stati oggetto di appello dinanzi a un giudice di grado superiore.

4)      Se sulla risposta alla terza questione di cui sopra incidano i seguenti fatti: i) che non sia stato effettuato alcun rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e ii) che nessuna delle parti abbia sottoposto al giudice nazionale la pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

32      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4 della direttiva 2003/4 debba essere interpretato nel senso che i verbali delle riunioni formali del governo di uno Stato membro rientrano nell’ambito di applicazione dell’eccezione al diritto di accesso all’informazione ambientale prevista al suo paragrafo 1, primo comma, lettera e), per le «comunicazioni interne» o di quella prevista al suo paragrafo 2, primo comma, lettera a), per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche».

33      A tal riguardo, occorre ricordare che, adottando la direttiva 2003/4, il legislatore dell’Unione ha inteso garantire la compatibilità del diritto dell’Unione con la convenzione di Aarhus prevedendo un regime generale volto a garantire che ogni richiedente, a norma dell’articolo 2, punto 5, di tale direttiva, abbia un diritto di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche o per conto di queste ultime senza che sia obbligato a far valere un interesse [sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 28 e giurisprudenza citata].

34      Secondo una giurisprudenza costante, il diritto di accesso alle informazioni ambientali previsto dalla direttiva 2003/4 significa che la divulgazione di tali informazioni dovrebbe essere la regola generale e che le autorità pubbliche dovrebbero essere autorizzate ad opporre un rifiuto a una richiesta di informazione ambientale solo in casi specifici chiaramente definiti. Le eccezioni al diritto di accesso dovrebbero essere dunque interpretate restrittivamente in modo da ponderare l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgare [v., in tal senso sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 33 e giurisprudenza citata].

35      L’articolo 4 di tale direttiva elenca proprio le eccezioni che gli Stati membri possono introdurre al diritto di accesso all’informazione ambientale. Nei limiti in cui tali eccezioni siano state effettivamente recepite nel diritto nazionale, le autorità pubbliche possono invocarle per opporsi alle richieste di informazioni ad esse pervenute [sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 31].

36      In tal senso gli Stati membri possono prevedere, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4, che una richiesta di informazione ambientale possa essere respinta qualora riguardi «comunicazioni interne», tenendo tuttavia conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni richieste.

37      Per quanto riguarda la nozione di «comunicazioni interne», la Corte ha dichiarato che il termine «comunicazione» riguarda un’informazione indirizzata da un autore a un destinatario, fermo restando che tale destinatario può essere tanto un’entità astratta, quali i «membri» di un’amministrazione o il «consiglio di amministrazione» di una persona giuridica, quanto una persona specifica appartenente ad un’entità siffatta, quale un agente o un funzionario [sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 37].

38      Il termine «interno», da parte sua, si riferisce a informazioni che non lasciano la sfera interna di un’autorità pubblica, in particolare, qualora esse non siano state divulgate a terzi o non siano state messe a disposizione del pubblico [sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 42].

39      Nell’ipotesi in cui un’autorità pubblica detenga un’informazione ambientale da essa ricevuta da una fonte esterna, tale informazione può anche essere «interna» se non è stata o non avrebbe dovuto essere messa a disposizione del pubblico prima della sua ricezione da parte di detta autorità e se non lascia la sfera interna di tale autorità dopo la sua ricezione da parte di quest’ultima [sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 43].

40      La nozione di «autorità pubblica» è definita all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2003/4. Essa designa segnatamente il «governo» e «ogni altra amministrazione pubblica».

41      Nel caso di specie, la richiesta di accesso concerne verbali di discussioni in seno al governo che, in base alle informazioni di cui dispone la Corte, possono, in linea di principio, rientrare nella nozione di «comunicazioni interne». Infatti, fatte salve le verifiche che spettano al giudice del rinvio, in primo luogo, tali verbali riflettono informazioni scambiate tra i membri di un’amministrazione e dunque di un’«autorità pubblica», in secondo luogo, nella misura in cui sono distribuiti all’interno di tale amministrazione, si tratta di «comunicazioni» e, in terzo e ultimo luogo, alla luce del loro carattere riservato previsto all’articolo 28, paragrafo 4, punto 3, della Costituzione irlandese, tali verbali non sono destinati ad essere divulgati al pubblico e conservano, quindi, il loro carattere «interno».

42      Inoltre, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2003/4, gli Stati membri possono disporre che la richiesta di informazione ambientale sia respinta qualora la divulgazione di tale informazione rechi pregiudizio alla riservatezza delle «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» qualora essa sia prevista dal diritto.

43      Per quanto concerne la nozione di «deliberazioni interne delle autorità pubbliche», la Corte ha dichiarato che il termine «deliberazioni» rinvia alle fasi finali del processo decisionale delle autorità pubbliche che sono chiaramente designate come deliberazioni da parte del diritto nazionale e la cui riservatezza deve essere prevista dal diritto (v., in tal senso, sentenza del 14 febbraio 2012, Flachglas Torgau C‑204/09, EU:C:2012:71, punti 63 e 64).

44      Nel caso di specie, per quanto riguarda i verbali delle discussioni del governo, è pacifico che essi rientrano nel regime di riservatezza previsto all’articolo 28, paragrafo 4, punto 3, della Costituzione irlandese. Per contro, la domanda di pronuncia pregiudiziale non consente alla Corte di stabilire se i verbali oggetto della richiesta di accesso presentata dalla Right to Know riflettano discussioni condotte nel corso della fase finale di un processo decisionale che è stata designata come deliberazione dal diritto irlandese. Se così dovesse essere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tali verbali rientrerebbero nella nozione di «deliberazioni interne delle autorità pubbliche».

45      Pertanto, fatte salve le verifiche che spettano al giudice del rinvio, non è escluso che, nel caso di specie, siano soddisfatte, al contempo, le condizioni di applicazione dell’eccezione al diritto di accesso prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4, e di quella prevista al medesimo articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a).

46      A tal riguardo, si deve rilevare che un’applicazione cumulativa di tali due eccezioni non è possibile.

47      Infatti, si deve ritenere che l’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2003/4 costituisca una lex specialis rispetto all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della medesima direttiva. Pertanto, allorché le condizioni di applicazione dell’eccezione più specifica prevista per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» sono effettivamente soddisfatte, la sua applicazione prevale su quella dell’eccezione riguardante le comunicazioni interne, che ha una portata più generale.

48      Nello specifico, oltre alle condizioni di applicazione di quest’ultima eccezione, ossia, in sostanza, la trasmissione di informazioni esclusivamente nella sfera interna di un’autorità pubblica, l’eccezione per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» si applica solo qualora lo scambio di informazioni abbia luogo nel corso della fase finale di un processo decisionale che è chiaramente designata come una «deliberazione» e la cui riservatezza è prevista dal diritto.

49      Inoltre, le due eccezioni corrispondono a due regimi giuridici distinti.

50      La tutela delle «comunicazioni interne» consente, infatti, di creare, a favore delle autorità pubbliche, uno spazio protetto al fine di proseguire il lavoro di riflessione e di condurre dibatti interni. Si tratta di un’eccezione di portata particolarmente ampia, che può applicarsi in ogni fase dell’insieme dei lavori svolti da tali autorità. Ne consegue che, al fine di determinare se il rifiuto di accesso a informazioni rientranti in tale eccezione sia giustificato, occorre circoscrivere in modo rigoroso la ponderazione degli interessi in gioco, vale a dire quelli che si oppongono alla loro divulgazione e quelli che la giustificano [v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punti 50, 58 e 60].

51      Per contro, l’eccezione concernente le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» riguarda unicamente le informazioni scambiate in un ambito molto specifico. Essa consente agli Stati membri di tutelare solo le informazioni che riguardano le fasi finali del processo decisionale delle autorità pubbliche e che, a motivo del loro carattere particolarmente sensibile, ritengono che debbano essere riservate. L’ambito di applicazione di tale eccezione è, dunque, preciso e circoscritto.

52      Peraltro, il legislatore dell’Unione ha introdotto una deroga all’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2003/4, al fine di escluderne espressamente taluni dati, che rivestono particolare importanza per il pubblico. In tal senso, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, ultima frase, di tale direttiva, l’eccezione prevista per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» non consente che sia respinta una richiesta di accesso all’informazione ambientale concernente «informazioni sulle emissioni nell’ambiente».

53      Pertanto, qualora uno Stato membro abbia trasposto l’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di tale direttiva e qualora le informazioni di cui si chiede la comunicazione siano state effettivamente scambiate nel corso di una deliberazione riservata, cosicché esse rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione, spetta alle autorità nazionali competenti verificare se tali informazioni concernono emissioni nell’ambiente. Qualora si verificasse tale ipotesi, anche se dette informazioni sono, in linea di principio, considerate come riservate in forza del diritto nazionale, l’accesso alle stesse non può essere rifiutato, a meno che non sia possibile estrarle dalle altre informazioni scambiate nello stesso ambito (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2016, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C‑442/14, EU:C:2016:890, punto105).

54      Laddove risulti che le informazioni richieste non concernono emissioni nell’ambiente, le autorità nazionali competenti devono ponderare, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, seconda frase, della direttiva 2003/4, l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione di tali informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle.

55      Una siffatta ponderazione degli interessi in gioco è altresì richiesta qualora, nell’ipotesi in cui non sia applicabile l’eccezione per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche», si applichi quella relativa alle comunicazioni interne, prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4 [v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 58].

56      Infine, è necessario ricordare che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2003/4, l’autorità nazionale competente deve sempre verificare se talune delle informazioni richieste possano essere dissociate da quelle coperte dall’eccezione al diritto di accesso applicabile, in modo che essa possa procedere a una divulgazione parziale [v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden-Württemberg (Comunicazioni interne), C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 66].

57      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4 della direttiva 2003/4 deve essere interpretato nel senso che:

–        l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), di tale direttiva per le «comunicazioni interne» riguarda le informazioni che circolano all’interno di un’autorità pubblica e che, alla data della richiesta di accesso a tali informazioni, non hanno lasciato la sfera interna di tale autorità, se del caso dopo la loro ricezione da parte di detta autorità e a condizione che non siano state o non avrebbero dovuto essere messe a disposizione del pubblico prima di tale ricezione;

–        l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di detta direttiva, per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» copre solo le informazioni scambiate nell’ambito delle fasi finali del processo decisionale delle autorità pubbliche che sono chiaramente designate come deliberazioni dal diritto nazionale e in riferimento alle quali tale diritto prevede un obbligo di riservatezza, e

–        l’applicazione cumulativa delle eccezioni al diritto di accesso previste, rispettivamente, all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), e all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della medesima direttiva è esclusa sulla base del rilievo che la seconda disposizione relativa alla tutela delle «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» prevale sulla prima, che riguarda la tutela delle «comunicazioni interne».

 Sulle questioni dalla seconda alla quarta

 Osservazioni preliminari

58      In via preliminare, si deve ricordare che la controversia oggetto del procedimento principale verte su una richiesta di accesso all’informazione ambientale che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/4. La High Court (Alta Corte), adita di un ricorso avverso la decisione del 27 giugno 2016, con cui tale richiesta è stata respinta, ha dichiarato, con sentenza del 1° giugno 2018, che è applicabile l’eccezione al diritto di accesso prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4, per le comunicazioni interne di un’autorità pubblica, rinviando poi la causa al Primo ministro affinché effettuasse una ponderazione dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con quello tutelato dal rifiuto di divulgarle.

59      Una successiva decisione, adottata il 16 agosto 2018, ha parzialmente accolto la richiesta di accesso. Essa è oggetto del procedimento principale, nell’ambito del quale la Right to Know sostiene che non doveva essere applicata l’eccezione al diritto di accesso prevista per le «comunicazioni interne», bensì quella prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2003/4, per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche».

60      Il giudice del rinvio ritiene che quest’ultima eccezione possa effettivamente essere applicabile. Se così dovesse essere, occorrerebbe disapplicare quella prevista per le comunicazioni interne.

61      Tuttavia, il giudice del rinvio chiarisce che l’autorità di cosa giudicata di cui è munita la motivazione della sentenza della High Court (Alta Corte) del 1° giugno 2018 potrebbe ostare a tale approccio, nella misura in cui tale giudice ha dichiarato in essa che era applicabile l’eccezione prevista per le «comunicazioni interne». Tale questione dovrebbe essere considerata, di norma generale, come decisa in via definitiva tra le parti e non potrebbe, quindi, più essere rimessa in discussione. Pertanto, il giudice del rinvio ritiene che, al fine di statuire sulla controversia oggetto del procedimento principale, esso sia tenuto a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione della portata riconosciuta nel diritto irlandese al principio dell’autorità di cosa giudicata.

62      In proposito, occorre ricordare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (sentenza del 7 aprile 2022, Avio Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punto 92 e giurisprudenza citata).

63      Di conseguenza, il diritto dell’Unione non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con tale diritto (sentenza del 7 aprile 2022, Avios Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punto 93 e giurisprudenza citata).

64      Il diritto dell’Unione non esige quindi nemmeno che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto offerta dalla Corte, un organo giurisdizionale nazionale debba, necessariamente, riesaminare la propria decisione avente autorità di cosa giudicata (sentenza del 7 aprile 2022, Avios Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punto 94 e giurisprudenza citata).

65      Peraltro, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 7 aprile 2022, Avios Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punto 100 e giurisprudenza citata).

66      Per quanto riguarda quest’ultimo principio, occorre ricordare anche che l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice imparziale (sentenza del 6 ottobre 2015, East Sussex County Council, C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 52 e giurisprudenza citata).

67      Tale diritto è altresì rispecchiato nell’articolo 6 della direttiva 2003/4. Per contro, né tale articolo né le altre disposizioni di tale direttiva contengono norme concernenti l’attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata.

68      Di conseguenza, occorre considerare che, con le sue questioni dalla seconda alla quarta, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6 della direttiva 2003/4, letto alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in base alla quale il principio dell’autorità di cosa giudicata impedisce a una persona, che ha ottenuto, in una prima sentenza, l’annullamento di una decisione che aveva respinto la sua richiesta di accesso all’informazione ambientale, di sollevare, nell’ambito di una controversia tra le stesse parti vertente sulla legittimità di una seconda decisione relativa alla medesima richiesta di accesso, adottata al fine di dare seguito alla prima sentenza, una censura vertente sulla violazione dell’articolo 4 della direttiva 2003/4, qualora tale censura sia stata respinta nella prima sentenza, senza che ciò risulti nel dispositivo di quest’ultima e qualora, in assenza di ricorso proposto dal richiedente l’accesso, detta sentenza sia divenuta definitiva.

 Nel merito

69      In via preliminare, si deve ricordare che, per quanto concerne il principio di effettività, la Corte ha già dichiarato che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere analizzato tenendo conto della collocazione di detta norma nel complesso del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2022, Avio Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punto 101 e giurisprudenza citata).

70      Nel caso di specie, nessun elemento del fascicolo di cui dispone la Corte consente di affermare che non esistano, nell’ordinamento giuridico irlandese, vie di ricorso che garantiscono in modo effettivo la tutela dei diritti che i cittadini traggono dalla direttiva 2003/4.

71      Al contrario, come risulta dalla formulazione della terza questione, letta alla luce delle informazioni contenute nella decisione di rinvio, nell’ambito del procedimento dinanzi alla High Court (Alta Corte), al termine del quale quest’ultima ha adottato la sentenza del 1° giugno 2018, la Right to Know ha potuto far valere l’inosservanza dell’articolo 4 della direttiva 2003/4, e detto giudice ha esaminato tale censura. In particolare, quest’ultimo ha respinto l’argomento dedotto dalla Right to Know volto a far constatare che le informazioni richieste rientravano nell’eccezione al diritto di accesso all’informazione ambientale prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2003/4, come confermato dalla Right to Know e dal Primo ministro nelle loro osservazioni scritte presentate alla Corte.

72      In tali circostanze, si deve considerare che, nella misura in cui, ai sensi del diritto irlandese, i punti della motivazione della sentenza della High Court (Alta Corte) del 1° giugno 2018 concernenti l’inapplicabilità di quest’ultima disposizione sono passati in giudicato, tale diritto non ha arrecato pregiudizio all’effettività del diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punti da 55 a 57).

73      Tale constatazione non può essere inficiata dal fatto che, nell’ambito del procedimento al termine del quale è stata adottata la sentenza del 1° giugno 2018, la High Court (Alta Corte) si è astenuta dal sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

74      A tale riguardo, è opportuno ricordare che l’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad essi pendente, siano sorte questioni che implichino un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione necessarie per definire la controversia di cui sono investiti. I giudici nazionali hanno dunque la facoltà – ed eventualmente l’obbligo – di effettuare un rinvio pregiudiziale qualora essi constatino, d’ufficio o su domanda di parte, che il merito della controversia implica la soluzione di una questione ricadente sotto le previsioni del primo comma dell’articolo sopra citato (sentenza del 30 aprile 2020, Blue Air – Airline Management Solutions, C‑584/18, EU:C:2020:324, punto 38 e giurisprudenza citata).

75      Inoltre, i singoli che abbiano subito un danno per effetto della violazione dei diritti loro conferiti dal diritto dell’Unione causata da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado possono far valere la responsabilità di tale Stato membro, purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali soggetti (sentenza del 7 luglio 2022, F. Hoffmann-La Roche e a., C‑261/21, EU:C:2022:534, punto 58 e giurisprudenza citata).

76      Per contro, il riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l’autorità della cosa definitivamente giudicata di una tale decisione. In ogni caso, il principio della responsabilità dello Stato inerente all’ordinamento giuridico dell’Unione richiede il risarcimento del danno subito, ma non la revisione della decisione giurisdizionale che ha causato tale danno (v., in tal senso, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 39, nonché del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a., C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 55).

77      Di conseguenza, la violazione, da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, del suo obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale e, a maggior ragione, la mancanza di un tale rinvio nell’ambito di un procedimento dinanzi ad un organo giurisdizionale non di ultimo grado non possono comportare l’obbligo di disattendere l’autorità di cosa giudicata di cui sono munite le decisioni giurisdizionali.

78      Ciò osservato, è opportuno ricordare che, qualora le norme procedurali interne applicabili prevedano la possibilità, a determinate condizioni, per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di cosa giudicata, per rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale, tale possibilità deve essere esercitata, conformemente ai principi di equivalenza e di effettività, e sempre che dette condizioni siano soddisfatte, per ripristinare la conformità della situazione oggetto del procedimento principale al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 62).

79      Risulta, in proposito, dal paragrafo 54 delle conclusioni dell’avvocato generale che, in circostanze particolari, gli organi giurisdizionali irlandesi hanno effettivamente un potere discrezionale di consentire a una parte di sollevare una questione che è già stata decisa in modo ad essa sfavorevole in un procedimento precedente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

80      Se così dovesse essere, e nei limiti in cui, nel caso di specie, siano soddisfatte le condizioni a cui il diritto irlandese subordina l’esercizio di tale potere discrezionale, il giudice del rinvio è tenuto ad esercitarlo laddove constatasse che, contrariamente a quanto risulta dalla sentenza della High Court (Alta Corte) del 1° giugno 2018, le informazioni richieste non rientrano nell’ambito di applicazione dell’eccezione al diritto di accesso all’informazione ambientale prevista per le «comunicazioni interne».

81      Inoltre, come sottolineato dall’avvocato generale, in sostanza, ai paragrafi da 56 a 58 delle sue conclusioni, risulta che, conformemente all’ordinamento giuridico irlandese, il fatto che una parte non abbia avuto la possibilità di proporre un ricorso avverso una sentenza contenente una constatazione munita dell’autorità di cosa giudicata può essere rilevante ai fini dell’esercizio di detto potere discrezionale. Spetta quindi al giudice del rinvio verificare se la Right to Know avesse effettivamente la possibilità di presentare appello avverso la constatazione contenuta nella sentenza della High Court (Alta Corte) del 1° giugno 2018, in base alla quale la richiesta dell’8 marzo 2016 di accesso all’informazione ambientale rientrava nell’ambito di applicazione dell’eccezione concernente le «comunicazioni interne». Se così non dovesse essere, i principi di equivalenza e di effettività richiedono che il giudice del rinvio eserciti il proprio potere discrezionale.

82      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alle questioni dalla seconda alla quarta dichiarando che l’articolo 6 della direttiva 2003/4, letto alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale in base alla quale il principio dell’autorità di cosa giudicata impedisce a una persona, che ha ottenuto, in una prima sentenza, l’annullamento di una decisione che aveva respinto la sua richiesta di accesso all’informazione ambientale, di sollevare, nell’ambito di una controversia tra le stesse parti vertente sulla legittimità di una seconda decisione relativa alla medesima richiesta di accesso, adottata al fine di dare seguito alla prima sentenza, una censura vertente sulla violazione dell’articolo 4 della direttiva 2003/4, qualora tale censura sia stata respinta nella prima sentenza, senza che ciò risulti nel dispositivo di quest’ultima e qualora, in assenza di ricorso che avrebbe potuto essere proposto dal richiedente l’accesso, detta sentenza sia divenuta definitiva. Tuttavia, nei limiti in cui le norme procedurali interne applicabili lo autorizzano a ciò, un giudice nazionale deve consentire a tale persona di sollevare detta censura affinché sia ripristinata, se del caso, la conformità della situazione oggetto del procedimento principale con la normativa dell’Unione.

 Sulle spese

83      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 4 della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio,

deve essere interpretato nel senso che:

–        l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), della direttiva 2003/4 per le «comunicazioni interne» riguarda le informazioni che circolano all’interno di un’autorità pubblica e che, alla data della richiesta di accesso a tali informazioni, non hanno lasciato la sfera interna di tale autorità, se del caso dopo la loro ricezione da parte di detta autorità e a condizione che non siano state o non avrebbero dovuto essere messe a disposizione del pubblico prima di tale ricezione;

–        l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di detta direttiva per le «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» copre solo le informazioni scambiate nell’ambito delle fasi finali del processo decisionale delle autorità pubbliche che sono chiaramente designate come deliberazioni dal diritto nazionale e in riferimento alle quali tale diritto prevede un obbligo di riservatezza, e

–        l’applicazione cumulativa delle eccezioni al diritto di accesso previste, rispettivamente, all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera e), e all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della medesima direttiva è esclusa sulla base del rilievo che la seconda disposizione relativa alla tutela delle «deliberazioni interne delle autorità pubbliche» prevale sulla prima, che riguarda la tutela delle «comunicazioni interne».

2)      L’articolo 6 della direttiva 2003/4, letto alla luce dei principi di equivalenza e di effettività,

deve essere interpretato nel senso che:

non osta a una normativa nazionale in base alla quale il principio dell’autorità di cosa giudicata impedisce a una persona, che ha ottenuto, in una prima sentenza, l’annullamento di una decisione che aveva respinto la sua richiesta di accesso all’informazione ambientale, di sollevare, nell’ambito di una controversia tra le stesse parti vertente sulla legittimità di una seconda decisione relativa alla medesima richiesta di accesso, adottata al fine di dare seguito alla prima sentenza, una censura vertente sulla violazione dell’articolo 4 della direttiva 2003/4, qualora tale censura sia stata respinta nella prima sentenza, senza che ciò risulti nel dispositivo di quest’ultima e qualora, in assenza di ricorso che avrebbe potuto essere proposto dal richiedente l’accesso, detta sentenza sia divenuta definitiva. Tuttavia, nei limiti in cui le norme procedurali interne applicabili lo autorizzano a ciò, un giudice nazionale deve consentire a tale persona di sollevare detta censura affinché sia ripristinata, se del caso, la conformità della situazione oggetto del procedimento principale con la normativa dell’Unione.