La procedura estintiva delle contravvenzioni e una discutibile posizione della Cassazione nell’ipotesi di impossibilità di impartire la prescrizione per regolarizzare l’illecito

di Vincenzo PAONE

pubblicato su rivistadga.it.Si ringraziano Autore ed Editore

1. - La procedura estintiva delle contravvenzioni: analisi di una specifica criticità . Da lungo tempo è in vigore nel nostro sistema giuridico la procedura estintiva delle contravvenzioni in tema di igiene e sicurezza sul lavoro (artt. 19 ss., d.lgs. n. 758/1994): l’istituto ha dato risultati talmente positivi da essere traslato nel 2015 nel settore dei reati ambientali (artt. 318 bis ss., d.lgs. n. 152/2006), nel 2020 nel settore delle radiazioni ionizzanti (art. 228 ss., d.lgs. n. 101/2020) e, da ultimo, nel settore della sicurezza alimentare ad opera dell’art. 70 della c.d. Riforma Cartabia (artt. 12 ter ss., legge n. 283/1962).

Il legislatore, con la normativa del 1994, ha introdotto, nel diritto penale posto a tutela di beni giuridici di intenso valore collettivo, un meccanismo che garantisce l’effettiva osservanza delle norme in materia puntando alla regolarizzazione, anche se tardiva, della situazione illecita, resa «allettante», per il contravventore, dalla prospettiva di avere un forte «sconto» sanzionatorio e il proscioglimento dal reato1.

Il nuovo procedimento definitorio si caratterizza dunque per la logica premiale che lo permea perché lo Stato, in cambio della regolarizzazione dell’illecito conseguita attraverso «la condotta antagonistica del contravventore», e quindi attraverso un suo sacrificio economico, ritiene opportuno premiare il soggetto applicandogli una sanzione di importo monetario ridotto rispetto ai limiti edittali.

Nel presente contributo, vogliamo approfondire una specifica questione concernente la procedura estintiva delle contravvenzioni prendendo, per mera comodità di analisi, come modello quello delineato dal d.lgs. n. 758/1994. Rispetto al modello base, nel d.lgs. n. 152/2006 il legislatore ha condizionato l’attivazione della procedura all’assenza del danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (problematica sulla quale non ci intratteniamo), ma, al di là di questo vaglio selettivo, la scansione procedurale è la stessa del decreto del 1994. Anche il meccanismo previsto dall’art. 12 ter, legge n. 283/1962, per le contravvenzioni in materia di igiene, produzione, tracciabilità e vendita di alimenti e bevande, presenta qualche variante formale, ma, come vedremo al termine della presente analisi, i problemi si affacciano su piani diversi da quelli formali.

Orbene, la nostra attenzione è dedicata alla tesi espressa da Cass. 18 aprile 2019, n. 364052, che, pur pronunciandosi in materia di ambiente, ha dettato un principio che potrebbe avere valenza generale: infatti, ha affermato che il meccanismo estintivo debba trovare applicazione in tutte le ipotesi di «condotta esaurita», vale a dire in tutte le situazioni in cui non sia possibile impartire un’apposita prescrizione perché non vi sono conseguenze del reato passibili di rimozione.

Per inciso, non sfugge che questa tesi comporta un sensibile vantaggio economico per il trasgressore: infatti, l’ammissione al pagamento in sede amministrativa permette di versare un’ammenda ridotta, in misura più o meno consistente, rispetto a quella edittale3.

2. - Il funzionamento del procedimento incidentale . Prima di illustrare i termini del problema oggetto del nostro studio, ricordiamo in rapida sintesi che l’istituto di cui trattasi è imperniato su alcuni passaggi:

- accertamento di una specifica violazione punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda;

- emissione di una prescrizione volta a «eliminare» la contravvenzione (rectius: ad interrompere la condotta illecita in atto o, quantomeno, a rimuovere gli effetti dannosi o pericolosi della stessa condotta, ove risulti già cessata);

- controllo dell’adempimento della prescrizione;

- ammissione al pagamento in forma ridotta, nel caso di verifica positiva dell’adempimento;

- comunicazione al P.M. (al quale comunque la notizia di reato è stata già trasmessa) dell’eventuale mancato adempimento della prescrizione oppure del mancato pagamento della sanzione;

- archiviazione del procedimento o esercizio dell’azione penale.

In pratica, l’organo di vigilanza, quando accerta una violazione alle norme in materia antinfortunistica, deve 4 predisporre una prescrizione il più possibile circonstanziata con la quale ingiunge al contravventore la regolarizzazione della situazione fissando un termine per l’adempimento.

In questo contesto, va messo a fuoco che il legislatore del 1994, nel congegnare il procedimento incidentale, aveva di fronte a sé, per la quasi totalità, reati a struttura omissiva permanente sicché la contro-condotta da tenere, per ripristinare la legalità violata, consisteva nell’adeguarsi, anche se tardivamente, al precetto violato. Nell’ipotesi in cui la violazione avesse integrato un reato istantaneo oppure un reato permanente definitivamente consumato al momento dell’accertamento, sussisteva comunque la possibilità di ingiungere al trasgressore di rimuovere le eventuali conseguenze del reato.

Al di fuori di queste ipotesi la normativa non prevedeva l’attivazione della procedura estintiva e quindi il procedimento penale apertosi per l’infrazione accertata seguiva il suo corso ordinario.

Questo assetto è stato modificato con la sentenza n. 19 del 18 febbraio 1998 5 della Corte cost. che, con una pronuncia di carattere interpretativo, ha colmato un vuoto normativo.

Era, infatti, stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 758/1994 per violazione dell’art. 3 Cost., «nella parte in cui non prevede che possano essere ammessi alla definizione in via amministrativa con conseguente dichiarazione di estinzione del reato coloro i quali abbiano regolarizzato la violazione prima che l’autorità di vigilanza abbia impartito la prescrizione», o «abbiano regolarizzato la violazione nonostante l’organo di vigilanza abbia omesso di impartire la prescrizione, ovvero l’abbia impartita senza osservare le forme legislativamente richieste».

In altre parole, allorché, per un motivo qualsiasi, l’organo di vigilanza non avesse impartito la prescrizione, pur dopo aver avuto notizia di un reato, e il contravventore avesse comunque regolarizzato l’illecito con le modalità che – verosimilmente – avrebbero potuto essere stabilite nella formale prescrizione, la legge non permetteva di tener conto di siffatto positivo comportamento e non consentiva dunque a quel soggetto di usufruire del pagamento in forma ridotta (e dell’ulteriore beneficio della dichiarazione di estinzione del reato).

Nelle ordinanze di remissione, si assumeva dunque essere privo di ogni razionale giustificazione riservare al contravventore, che avesse spontaneamente e autonomamente regolarizzato la violazione, un trattamento deteriore rispetto alla posizione di chi aveva tenuto il medesimo comportamento a seguito dell’apposita prescrizione dell’organo di vigilanza.

Ecco i passi salienti della sentenza n. 19:

«Da tale complesso normativo emerge che entrambe le ragioni che ispirano la disciplina in esame6ricorrono nel caso in cui il contravventore abbia spontaneamente e autonomamente provveduto a eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione prima o, comunque, indipendentemente dalla prescrizione dell’organo di vigilanza: anzi, è plausibile e ragionevole sostenere che a maggior ragione dovrebbe essere ammesso alla definizione in via amministrativa, in vista dell’estinzione del reato e della conseguente richiesta di archiviazione del pubblico ministero, il contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione, a nulla rilevando che la notizia del reato sia stata inoltrata da un’autorità di polizia giudiziaria diversa dall’organo di vigilanza (...). Appare infatti che le “lacune” segnalate dal giudice rimettente dipendono da una difettosa formulazione tecnica della normativa in esame (...) Pertanto, è senz’altro possibile un’applicazione della disciplina in base alla quale (...) l’organo di vigilanza sia autorizzato ad impartire “ora per allora” la prescrizione prevista dall’art. 20, ovvero, ed a maggior ragione, a ratificare nelle forme dovute prescrizioni irritualmente impartite, nonché a verificare l’avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e ad ammettere il contravventore al pagamento della somma determinata a norma dell’art. 21, commi 1 e 2, sì che l’autore dell’illecito, previo pagamento della somma stabilita, possa usufruire dell’estinzione del reato disciplinata dall’art. 24».

Ma non basta. Il fatto è che la Corte cost., dopo la pronuncia n. 19/1998, si è occupata ancora del tema oggetto delle presenti riflessioni decidendo un’altra questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 758/1994 sollevata nella parte in cui non prevede l’obbligo dell’organo di vigilanza di ammettere obbligatoriamente il contravventore al pagamento in sede amministrativa anche nel caso in cui non venga impartita alcuna prescrizione per la materiale impossibilità della sua emanazione.

Nella maggior parte delle ordinanze di rimessione, il giudice a quo aveva precisato che l’organo di vigilanza non aveva impartito la prescrizione a norma dell’art. 20 in quanto si trattava di «reato già consumato e non ottemperabile», mentre in altre ipotesi l’impossibilità di impartire la prescrizione era stata ricollegata al tipo di violazione di natura procedurale, per la quale non poteva essere adottato alcun provvedimento atto a rimuovere la violazione contestata, ovvero a reati nei cui confronti era comunque venuta meno la situazione antigiuridica che aveva dato origine alla violazione contestata.

Il rimettente aveva altresì osservato che nelle situazioni in esame era materialmente impossibile per l’organo di vigilanza impartire una prescrizione finalizzata all’eliminazione della contravvenzione accertata «trattandosi di reato istantaneo caratterizzato da un’offesa del bene protetto che si perfeziona e si esaurisce nel momento della commissione del fatto, senza protrarsi nel tempo, sicché risulta ontologicamente impedita qualsiasi possibilità di regolarizzazione e la conseguente emanazione di una prescrizione non avrebbe alcuna utilità, in considerazione della oggettiva impossibilità di ripristinare una situazione conforme a diritto».

La Corte cost., con l’ordinanza n. 416 del 16 dicembre 19987, nel dichiarare la questione manifestamente infondata, ha affermato che «(...) le censure di legittimità costituzionale si basano sull’erroneo presupposto che, ove si tratti di reato per cui sia ontologicamente impossibile impartire qualsiasi prescrizione per eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione accertata, la natura del reato costituisca elemento idoneo ad incidere in termini di irragionevolezza e di ingiustificata disparità di trattamento sulla disciplina del decreto legislativo n. 758 del 1994; che l’obiettiva diversità della struttura dei diversi reati, quale risulta dagli elementi costitutivi della fattispecie, e, conseguentemente, il momento in cui si realizzano la commissione e la consumazione del reato stesso, nonché la natura istantanea o permanente del reato, appartengono a scelte del legislatore, che nella costruzione delle fattispecie incriminatrici traduce le proprie opzioni di politica criminale, ovvero sono imposte dalla stessa natura degli obblighi e dei comportamenti di cui si vuole assicurare l’osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale; che pertanto eventuali trattamenti differenziati risultano giustificati dalla diversa struttura delle fattispecie incriminatrici; che sotto questo profilo non ha pregio neppure la censura sollevata in riferimento all’art. 76 Cost., in quanto la disciplina impugnata in realtà non riconosce alcuna “discrezionalità” dell’organo di vigilanza: l’impossibilità di impartire la prescrizione – secondo la prospettazione del rimettente – è infatti una conseguenza obbligata della struttura della contravvenzione contestata, sicché non può configurarsi alcun eccesso di delega da parte del legislatore delegato; che questa Corte, prendendo in esame con la sentenza n. 19 del 1998 la situazione del contravventore che aveva regolarizzato la violazione prima che l’organo di vigilanza avesse impartito la prescrizione, ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa o fosse stata impartita senza osservare le forme prescritte, aveva precisato che esistono soluzioni interpretative tali da consentire egualmente l’applicazione della causa estintiva del reato, idonee a “ricondurre situazioni sostanzialmente omogenee a quelle espressamente previste dalla legge nell’alveo della procedura disciplinata dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo in esame”; che tale conclusione trova il suo fondamento nellaratiodel decreto legislativo n. 758 del 1994, che si propone il duplice obiettivo di favorire l’effettiva osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro – materia in cui l’interesse alla regolarizzazione delle violazioni e alla conseguente tutela dei lavoratori è prevalente rispetto all’applicazione della sanzione penale – e di attuare una consistente deflazione processuale».

Due sono le considerazioni che si possono fare, entrambe di estrema rilevanza per il nostro tema: in primo luogo, le situazioni oggetto della pronuncia n. 416 riguardano i casi in cui non sia possibile impartire una prescrizione per la materiale impossibilità della sua emanazione ed è agevole rendersi conto che si tratta degli stessi casi che, secondo la tesi qui avversata, potrebbero ricadere nel novero delle «fattispecie a condotta esaurita» (di cui si parlerà tra breve).

In secondo luogo, la Corte cost. ha messo l’accento sulla circostanza che l’estensione della procedura estintiva ad opera della sentenza n. 19/1998 si basava sul rilievo accordato al comportamento volontario dell’autore dell’infrazione che vi aveva posto rimedio, situazione nettamente diversa da quella di chi non ha nulla da «rimediare» perché il reato commesso è cessato e non ha lasciato conseguenze da eliminare.

Per completezza, si fa presente che la Corte cost. ha esplicitato analoga posizione nell’ord. n. 205 del 28 maggio 19998: anche in questo caso, era stato eccepito che la disciplina del 1994 non prevede che l’organo di vigilanza debba ammettere il contravventore al pagamento in forma ridotta anche quando non venga impartita alcuna prescrizione per la materiale impossibilità della sua emanazione.

In conclusione, alla vigilia dell’emanazione del d.lgs. n. 124/2004 era stata debitamente affrontata la situazione in cui era «ontologicamente» impossibile impartire la prescrizione, ma della chiara presa di posizione del Giudice delle leggi non v’è alcuna traccia nelle decisioni della Suprema Corte che hanno invocato l’art. 15, comma 3, cit. decreto, per ampliare la platea dei soggetti beneficiari della procedura prescrizionale.

3. - Il d.lgs. n. 124/2004.Accingendoci a valutare se il d.lgs. n. 124/2004 abbia apportato delle novità in materia, partiamo dall’art. 15, comma 1, che recita:

«1. Con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e per gli effetti degli articoli 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto».

Il testo è chiarissimo nello stabilire che lo scopo della norma era semplicemente quello di estendere a leggi diverse da quelle richiamate dal d.lgs. n. 758/1994 la procedura estintiva prevista in quest’ultima normativa. Eppure, nonostante il dettato testuale assolutamente inequivoco, la giurisprudenza ha dato per pacifico che la disposizione valesse anche nel settore della sicurezza ed igiene sul lavoro9.

A sua volta, il comma 3 dell’art. 15 recita:

«3. La procedura di cui al presente articolo si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione».

Questa è la specifica disposizione su cui ruota il dibattito relativo alla rilevanza, ai fini dell’ammissione immediata al pagamento in forma ridotta, dell’impossibilità di emanare la prescrizione.

Anche in questo caso, crediamo che il testo dell’articolo non possa lasciare dubbi sul fatto che il legislatore, in stretta coerenza con quanto disposto nel comma 1, che, giova ripeterlo, si riferisce solo alle normative in materia di lavoro e legislazione sociale, abbia stabilito che lo stesso meccanismo di favore sancito dalla Corte cost. nel 1998 per il settore della sicurezza e igiene sul lavoro dovesse trovare spazio anche all’interno delle sopra citate normative.

In tal modo, si veniva a creare un preciso parallelismo quanto a disciplina applicabile nei due ambiti normativi: tanto nell’uno quanto nell’altro, l’oblazione in sede amministrativa veniva consentita, oltre che nel caso di adempimento a seguito di prescrizione, anche (e solo) nel caso in cui il trasgressore avesse autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge senza attendere l’imposizione della prescrizione da parte dell’organo di vigilanza.

Alla luce di questa considerazione, è perciò ragionevole pensare che la congiunzione «ovvero», utilizzata nell’art. 15, comma 3, sia stata impiegata con funzione esplicativa, proprio per spiegare che cosa si debba intendere per «condotta esaurita».

Al riguardo, va infatti notato che tale espressione, quanto mai evanescente ed ambigua, compare in questa sola disposizione ed è perciò grave che non ne sia stata fornita una definizione formale tenuto conto che la locuzione di cui trattasi sembra rimandare alla tematica concernente il momento di consumazione del reato, vale a dire il momento in cui si è «esaurita» la fase di esecuzione/realizzazione della condotta costituiva del fatto tipico, e che pare perciò evidente che il d.lgs. n. 124/2004 non impieghi l’espressione in questa accezione perché del tutto inconferente rispetto al contesto normativo in cui si colloca.

Per queste ragioni, è plausibile che la norma si incarichi di stabilire, anche per soddisfare il canone della tassatività della legge penale, il significato dei termini impiegati: ciò è quanto è avvenuto con la seconda parte della disposizione con la quale, mediante la congiunzione «ovvero», si chiarisce la portata della locuzione «condotta esaurita».

Per inciso, si osserva che sarebbe stato più opportuno, per non creare le ambiguità di cui stiamo qui discorrendo, utilizzare la sola seconda proposizione (il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione), senza ricorrere al concetto di «fattispecie a condotta esaurita». E, di contro, se lo scopo del legislatore era veramente quello di allargare il campo applicativo della procedura estintiva, sarebbe bastato formulare la norma limitandola alla sola prima parte giacché la seconda è logicamente compresa nella prima, come due cerchi concentrici.

4. - I limiti della pronuncia della Cassazione. La sentenza Rossello, ponendosi nella scia di altre decisioni del Supremo Collegio10, ha trascurato di affrontare la questione se il d.lgs. n. 124/2004 sia effettivamente applicabile anche alla materia della sicurezza ed igiene sul lavoro (e, a seguire, alla materia ambientale) e ha letto l’art. 15, comma 3, come se fosse diviso in due parti: a) ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, e cioè non sia più possibile attuare alcuna forma di regolarizzazione; b) ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione.

La sentenza ha dunque assegnato alla congiunzione «ovvero» valore disgiuntivo.

Al riguardo, un Autore 11 ha sostenuto che «La Corte di cassazione intervenuta sul tema ha risolto la questione (...)rinvenendo l’assunto fondamentale di una avversa ricostruzione ermeneutica proprio nell’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 124 del 2004. Secondo il giudice di legittimità, la norma richiamata nell’estendere, nell’ambito della normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, l’applicazione della procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 756 del 1994 “alle condotte esaurite, ovvero alle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente alla prescrizione”, ha chiaramente distinto due diverse ipotesi per significare che il beneficio estintivo sia indifferentemente applicabile sia all’una condizione che all’altra. È chiaro, secondo la Corte, che nella norma in questione, il legislatore abbia inteso utilizzare la congiunzione “ovvero” non con il significato di “cioè” ma con quello innegabile di “oppure”, non solo perché questo è il significato giuridico corretto del termine nell’accezione comune ma, soprattutto, perché nel testo del d.lgs. n. 124 del 2004 il termine è sempre adoperato con un significato di alternatività, finalizzato alla identificazione di due differenti condotte, entrambe rilevanti ai fini dell’applicabilità della procedura estintiva».

A questo proposito, ricordiamo che, secondo la sentenza Rossello (punto n. 4), la funzione disgiuntiva della congiunzione sarebbe dimostrata dall’art. 11, commi 2 e 5, dall’art. 13, comma 3 e comma 4, lett. c ) e d), d.lgs. n. 124/2004. L’affermazione però non appare dirimente perché nelle menzionate disposizioni si disciplinano situazioni che non identificano affatto «due differenti condotte, entrambe rilevanti ai fini dell’applicabilità della procedura estintiva». Inoltre, mentre negli art. 11, commi 2 e 5, e 13, comma 3 e comma 4, lett. c) e d), l’alternativa, aperta dal termine «ovvero», ha una sua inequivocabile ragion d’essere (non potendosi in alcun modo prospettare una diversa interpretazione delle disposizioni citate intendendo l’ovvero come equipollente di cioè), per l’art. 15, comma 3, non si può dire altrettanto in quanto la norma acquista un significato del tutto diverso a seconda che «ovvero» sia inteso in chiave esplicativa o disgiuntiva.

È alla luce di queste osservazioni che dobbiamo ora riflettere sul profilo meramente linguistico concernente il significato attribuibile a «ovvero» come impiegato nel comma 3 dell’art. 15.

È noto che, secondo l’Accademia della Crusca, la congiunzione «ovvero» può svolgere la funzione di congiunzione disgiuntiva o esplicativa. La stessa Accademia chiarisce che «sono quindi i diversi contesti a suggerire di volta in volta la funzione che svolge la congiunzione all’interno della frase ammonendo che sarà opportuno, per chi la utilizza, evitare ambiguità e, se necessario alla piena comprensione della frase, scegliere una congiunzione che non presenti duplicità o molteplicità di funzioni».

Orbene, se è vero che, nel linguaggio giuridico, sembra dominante la valenza disgiuntiva del termine in questione, è anche vero che è solo il complessivo contesto in cui si colloca la congiunzione a corroborarne il valore disgiuntivo o meno. Da questo angolo visuale, tralasciando i parallelismi con le altre norme del d.lgs. n. 124/2004 in cui si utilizza «ovvero», richiamo che abbiamo già detto non essere proficuo, ribadiamo che nell’art. 15, comma 3, l’ovvero vada inteso in chiave esplicativa perché il legislatore, con la seconda parte della norma, peraltro separata da una virgola rispetto alla precedente, ha spiegato in che cosa consista la «fattispecie a condotta esaurita».

5. - La finalità della normativa. La sentenza Rossello ha riconosciuto l’applicabilità della procedura di estinzione nella massima estensione sostenendo che «la Corte cost. (...) ha identificato come “deflattiva” e non “premiale” laratiosottesa alla procedura di estinzione di cui si discute ed ha quindi implicitamente negato che la stessa sia appannaggio esclusivo del soggetto cheper prescrizione impartita dall’autorità di vigilanza o per spontaneo ravvedimento operosorimuova attivamente le conseguenze dell’illecito».

Invero, la premialità non costituisce un’alternativa alla deflazione, ma è solo lo strumento per il raggiungimento di precisi obiettivi e cioè, da un lato, garantire il rispetto, anche tardivo, delle norme in tema di condizioni di lavoro e, dall’altro lato, attuare la deflazione processuale.

Non vi è dubbio, però, che la rilevanza dei citati beni giuridici non consenta di ritenere che l’uno prevalga sull’altro sicché non appare giustificato concludere che, in nome della finalità deflazionistica, la normativa dovrebbe applicarsi anche alle situazioni in cui la regolarizzazione dell’illecito non sia attuabile.

Pur non contestando che, in queste ipotesi, l’ammettere il contravventore all’oblazione in forma ridotta comporti una riduzione del carico processuale, ci si chiede, tuttavia, se sia sufficiente appellarsi alla finalità di deflazionare la giustizia per mettere sullo stesso piano le situazioni in cui l’illecito (intendendo sia la condotta criminosa in senso stretto sia le conseguenze della stessa) sia venuto meno per scelta virtuosa, indotta o spontanea, del contravventore rispetto alle altre in cui questo risultato non si è verificato.

A questo riguardo, l’A. prima citato ha osservato che «Nel minare senza compromessi ogni eventuale tentativo di emersione di un sistema che impedisca di applicare un beneficio deflattivo al soggetto che pur senza essersi ravveduto, abbia comunque commesso un illecito di limitata gravità, perché istantaneo e non produttivo di conseguenze dannose o pericolose (ed abbia comunque provveduto al pagamento delle sanzioni amministrative), rispetto al contravventore che, pur avendovi spontaneamente posto rimedio, abbia commesso un illecito dannoso o pericoloso per l’ambiente o per la sicurezza dei lavoratori, la Cassazione ha, di fatto, fornito un orientamento che, tanto nei reati ambientali quanto nelle violazioni in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, risponde ad esigenze di intrinseca ragionevolezza e restituisce la certezza di un sistema improntato alla sostanziale equità».

Invero, non tutti gli illeciti che potrebbero ricadere nella nozione di «fattispecie a condotta esaurita» sono di limitata gravità: ciò avviene in molti casi12, ma bastano pochi esempi per dimostrare che non sempre è così:

- conclusione dei lavori in un cantiere edile in cui si sia verificato un grave incidente sul lavoro;

- dismissione volontaria della carica di rappresentante legale di un’azienda in cui la violazione accertata perdura da lungo tempo;

- immissione di sostanze liquide in un corso d’acqua in notevole quantità e con caratteristiche di rischio elevato per l’ambiente;

- abbandono di un ingente e variegato quantitativo di rifiuti su un terreno, rimossi successivamente per iniziativa di un terzo non obbligato ad eseguire tale operazione.

La condotta antigiuridica è esaurita, ma gli effetti della stessa non solo non sono rimediabili a cura del contravventore, ma appaiono anche di particolare gravità.

Questa criticità si prospetta in misura massima in materia di sicurezza alimentare13: infatti, le violazioni in tema di alimenti e bevande non sono suscettibili di elisione mediante condotte ripristinatorie per il semplice motivo che le alterazioni/trasformazioni subite dall’alimento, nella quasi totalità dei casi, sono materialmente irreversibili.

L’art. 5, legge n. 283/1962, nelle lettere da a) ad h), prevede una serie di ipotesi specifiche riguardanti le sostanze alimentari contraddistinte da non conformità (intrinseca o estrinseca) ai requisiti di igiene, purezza, genuinità e integrità, previsti dalla legge o richiesti dalla comune esperienza. Vengono infatti presi in considerazione prodotti non genuini [art. 5, lett. a)], sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione [art. 5, lett. b)], sostanze alimentari con cariche microbiche superiori ai limiti [art. 5, lett. c)], sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione [art. 5, lett. d)] o, infine, prodotti privi di purezza [art. 5, lett. g) e h)].

Orbene, non si può ragionevolmente ipotizzare che una sostanza alimentare, frutto di illecite manipolazioni, di sottrazione di elementi nutritivi, di aggiunta di additivi vietati, di trattamenti con fitofarmaci non consentiti, possa essere «regolarizzata» tenendo la doverosa contro-condotta capace di aggiungere gli elementi nutritivi mancanti; di riportare l’alimento allo stato originario in cui siano distinguibili i componenti originari prima della mescolanza; di modificare la composizione del prodotto alimentare trattato in modo illecito e così via14.

Ne consegue che il ripristino della legalità (vale a dire l’eliminazione dell’irregolarità cui deve essere finalizzata la prescrizione) non è possibile con la conseguenza che, seguendo l’impostazione della Rossello, anche queste ipotesi potrebbero beneficiare del trattamento di favore.

È superfluo dirlo, ma una siffatta conclusione significherebbe stravolgere del tutto la nuova legge svuotando di qualsiasi rilievo il parametro consistente nella necessità di elidere il danno o il pericolo quale presupposto per godere dei benefici premiali previsti in materia.

In conclusione, è vero che oggi soffia il vento della deflazione processuale in linea con gli obiettivi del P.N.R.R. tesi alla riduzione della durata media dei procedimenti15, ma un ripensamento da parte della Suprema Corte della tesi fin qui esaminata è auspicabile per ristabilire ragionevolezza ed equità all’intero sistema contravvenzionale che riguarda beni di alto valore sociale.

1 Effetto non trascurabile tenuto conto che nel 1994 non era stato ancora modificato il regime delle iscrizioni sul casellario giudiziale sicché l’imputato, accettando la procedura estintiva, conseguiva l’ulteriore vantaggio di evitare una sentenza di condanna che avrebbe costituito un precedente utilizzabile per contestare la recidiva.

2 Rossello, rv. 276.681. In argomento, per un primo commento «a caldo», ci si permette di rinviare a Paone, Per la Cassazione la procedura di estinzione dei reati prevista dagli artt. 318 bisss. d.lgs. 152/06 si applica a tutti i casi di condotta esaurita, in www.lexambiente , 4 ottobre 2019. Anche Amendola, Contravvenzioni ambientali a condotta esaurita e procedura estintiva della legge 68/2015 , ivi, 16 febbraio 2018, esprime osservazioni critiche alla tesi della Suprema Corte.

3 La normativa in materia infortunistica e ambientale prevede che, in caso di pagamento in forma ridotta, la somma sia pari ad un quarto del massimo edittale, mentre per i reati alimentari, in modo per la verità poco comprensibile, si prevede che la somma ridotta sia pari ad un sesto del massimo edittale. Solo per completezza si segnala che il comma 7 dell’art. 228, d.lgs. n. 101/2020, sulle radiazioni ionizzanti, dispone che la somma da versare in forma ridotta sia pari ad un terzo del massimo edittale.

4 Per le questioni concernenti l’obbligatorietà o meno della prescrizione, ci si permette di rinviare a Paone, La procedura estintiva delle contravvenzioni lavoristiche e ambientali tra obbligatorietà e improcedibilità dell’azione penale , in Riv. trim. dir. pen. amb., 2022, 3, 54 ss.

5 In Giur. cost ., 1998, 111.

6 L’effettività dell’osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro e la deflazione processuale. Su questi aspetti, si veda oltre nel testo.

7 In Giur. cost ., 1998, 3574.

8 In Giur. cost ., 1999, 1901.

9 La sentenza Rossello, peraltro, ha ritenuto applicabile anche alla materia del diritto ambientale la norma di cui trattasi in assenza di sicuri agganci testuali.

10 A cominciare da Cass. 6 giugno 2007, n. 34900, PM. in proc. Loi, Rv. 237198.

11 Monci, La procedura estintiva in materia ambientale nei reati contravvenzionali a condotta esaurita, in www.lex.ambiente.it, 26 settembre 2023.

12 V., ad esempio, il caso dello sforamento dei limiti quantitativi di rifiuti ammessi: è l’ipotesi esaminata nella sentenza Rossello.

Si tenga però conto che il discorso sulla limitata gravità dei reati in materia di reati ambientali perde di valore alla luce del fatto che, in primo luogo, il legislatore non ha chiarito se l’istituto si applichi ai soli reati punibili con arresto o ammenda o anche a quelli puniti con pena congiunta: se si accoglie la prima opzione, che appare preferibile, non solo si restringe grandemente il novero degli illeciti soggetti alla procedura di cui trattasi, ma questi comunque abbracciano le fattispecie di minor impatto ambientale. In secondo luogo, in questo settore, l’istituto è precluso quando il danno o il pericolo concreto di danno alle risorse ambientali è di una certa consistenza e gravità.

13 Martufi, La definizione anticipata delle contravvenzioni alimentari all’indomani della riforma Cartabia: tra compliance e logiche punitive , in Sist. pen., 14 giugno 2023, 26, ha osservato che «si è consentito di beneficiare dell’impunità senza pretendere dal reo un comportamento ripristinatorio, segnando così “la crescente prevalenza attribuita alla finalità deflattiva” e la trasformazione funzionale della speciale procedura da ipotesi di non punibilità a vera e propria causa estintiva».

14 V. Corte di cassazione, Ufficio del Massimario, n. 2/2023, Relazione sulla novità normativa «Riforma Cartabia 2 gennaio 2023» , 262, in cui si esprime analogo convincimento: «con particolare riferimento al profilo delle condotte ripristinatorie attivabili dal trasgressore, apparirebbe incerta la praticabilità dell’istituto ai reati de quibus attraverso una contro-azione antagonista del reo (c.d. contrarius actus ) in grado di impedire o attenuare l’evento, ovvero mediante condotte contro-offensive riparatrici dell’offesa (che non siano squisitamente risarcitorie), posto che il campo di elezione riguarda, per lo più, reati alimentari di mera condotta, aventi natura istantanea con effetti permanenti, difficilmente regolarizzabili o suscettibili di elisione mediante un contegno post-contravvenzionale, una volta che sia stata compromessa irreversibilmente la sicurezza alimentare. Dalla copiosissima casistica giurisprudenziale dei reati alimentari di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 283 cit. sembra potersi trarre una tendenziale impossibilità ontologica (giuridica e materiale) di statuire prescrizioni per eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione accertata».

15 Anche Martufi, La definizione anticipata delle contravvenzioni alimentari ,op. cit., parla delle «pulsioni efficientiste che animano il complessivo disegno di riforma del sistema sanzionatorio in vista di una riduzione dei tempi del procedimento penale».