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"LA BELLA VITA DEI “LADRI DI FUTURO”
di Luca RAMACCI
tratto dal Rapporto Ecomafia 2004 di Legambiente
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Non credo si faccia fatica ad ipotizzare che il “Rapporto Ecomafia 2004” avrà più pagine di quelli che lo hanno preceduto. La difesa dell’ambiente diventa infatti, di anno in anno, sempre più ardua per l’inesorabile aumento delle violazioni.
Al quantitativo sempre più consistente di aggressioni da parte di un numero continuativamente più vasto di soggetti dediti ad attività illecite si affiancano alleati potentissimi che lanciano i loro attacchi da posizioni di privilegio, rafforzando così le garanzie di impunità di coloro che sono stati giustamente indicati come “ladri di futuro”.
Infatti, a fianco di speculatori e inquinatori più o meno organizzati, svolgono la loro opera in modo talvolta non del tutto involontario un legislatore sempre più attento agli interessi della grande industria e numerosi funzionari pubblici chiamati ad assolvere compiti di verifica e controllo.
Il primo, infatti, continuando ad esprimersi in modo criptico e involuto e favorendo chi intende sfruttare le tortuosità della legge per sfuggirne le conseguenze, ha ormai perfezionato il sistema delle norme “a la carte” che consentono di risolvere in modo rapido ed efficace i problemi di questo o quel settore dell’industria, come testimonia la costante attività di erosione della normativa in materia di rifiuti attuata sottraendole, di volta in volta, questo o quel materiale allo scopo di eliminare le conseguenze dell’appartenenza a questa scomoda categoria. E’ successo con il pet-coke del Petrolchimico di Gela, con le terre e rocce da scavo dei cantieri dell’alta velocità, si è tentato con i rottami ferrosi attraverso la “interpretazione autentica del concetto di disfarsi” che ha attirato le giustificate critiche dell’UE sul nostro paese.
Il sistema, così efficacemente sperimentato nel settore dei rifiuti, si è dimostrato utile anche per piccole realtà locali ed in altri settori, come è avvenuto per le vetrerie dell’Isola di Murano (Venezia) sollevate dall’obbligo di osservare – uniche in Italia – le disposizioni del dpr 20388 in materia di inquinamento atmosferico.
Quando non interviene direttamente, il nostro legislatore progetta interventi su vasta scala ipotizzando massicce depenalizzazioni (nonostante la quotidiana realtà dimostri in modo inconfutabile l’inutilità delle sanzioni amministrative che quasi nessuno alla fine paga) o la riscrittura di testi di legge, che hanno richiesto anni di dibattito dottrinario e giurisprudenziale per essere letti in modo efficace e coerente, mediante la creazione di testi unici.
Un altro potente alleato degli inquinatori è rappresentato, si è detto, da alcuni funzionari pubblici investiti dei poteri di autorizzazione e controllo che operano con modalità tali da agevolare certe condotte illecite. Ci si riferisce, in particolare, al rilascio indiscriminato di autorizzazioni all’esercizio di attività potenzialmente pericolose per l’ambiente e la quasi totale assenza di controlli.
Il riscontro lo si ha, anche in questo caso, nell’esperienza quotidiana constatando, ad esempio, come in materia di rifiuti il ricorso alle procedure semplificate sia sempre più utilizzato per mascherare attività di gestione che dovrebbero essere invece debitamente autorizzate e come ormai le verifiche per certi settori, come quelli dell’inquinamento idrico e atmosferico, siano sempre più rare e meno accurate.
Alla base di tale indifferenza c’è non soltanto la burocrazia ma anche il consistente interesse economico che ruota intorno a determinate attività e rappresentato non solo dal risparmio ottenuto eludendo la normativa, ma anche nell’incidenza sul regime della concorrenza tra imprese che può determinare il rilascio o meno di un’autorizzazione.
Chi giustifica certi comportamenti richiamando l’attenzione sulle esigenze di sviluppo economico del paese non tiene tuttavia conto dei costi sociali che fenomeni di inquinamento su larga scala possono determinare.
Affianca i diffusi fenomeni di inquinamento industriale una sempre maggiore cementificazione del paese attraverso un abusivismo edilizio sempre più aggressivo e confortato dalla ciclicità decennale con la quale vengono ormai emanati i condoni. Anche in questo caso senza considerare che, a fronte delle somme che uno stato in bolletta cerca di recuperare, il danno provocato è di gran lunga maggiore.
In questa palude normativa ed amministrativa si muovono agilmente i “ladri di futuro”. Vediamo come.
Cominciamo con i rifiuti, i più insidiosi perché caratterizzati da una eccessiva mobilità che consente loro di scomparire e riapparire a comando.
Il sistema tipico utilizzato, spesso da ditte specializzate nello smaltimento, è quello di introitare i rifiuti dai singoli produttori anche mediante l’ausilio di intermediari smaltendoli, poi, abusivamente in luoghi opportunamente individuati.
Questa movimentazione si accompagna ad altre operazioni, più o meno complesse, finalizzate a “cambiare vestito” al rifiuto in modo da rendere impossibile individuarne la provenienza e le effettive caratteristiche.
Vengono così fatti figurare, ad esempio, inesistenti processi di trattamento che consistono, in realtà, nella miscelazione indiscriminata dei rifiuti con successiva attribuzione di codici di identificazione di comodo.
In altri casi, attraverso abusive operazioni di stoccaggio “intermedio”, i rifiuti, originariamente destinati ad operazioni di smaltimento vengono artatamente “declassificati” predisponendo falsi documenti di trasporto che attestano l’effettuazione di inesistenti operazioni di recupero ed una composizione qualitativa diversa da quella effettiva
Un altro sistema è quello di effettuare più passaggi - talvolta fittizi e non consentiti dalla normativa di settore - in impianti di stoccaggio intermedio dove poi ai rifiuti viene fatta perdere la loro originaria provenienza e qualità sempre allo scopo di smaltirli illegalmente.
Naturalmente queste operazioni vanno compiute predisponendo ed utilizzando falsa documentazione di trasporto ed analisi che attesta una composizione qualitativa diversa da quella effettiva.
Il giro si chiude poi con lo smaltimento, sempre illecito, presso siti appositamente reperiti.
Spesso queste attività, che nell’esempio sono state descritte in modo estremamente sintetico, vengono svolte con l’ausilio di intermediari che curano il reperimento delle discariche, creando centri di smistamento intermedi dove i mezzi di trasporto possono scambiare i documenti che accompagnano il rifiuto con altri predisposti appositamente da impiegati amministrativi, contabili e da chimici ingaggiati esclusivamente per questi scopi.
E’ infine risaputo che a queste attività spesso non è estranea la criminalità organizzata specie in alcune regioni del sud dove tale presenza è maggiormente significativa.
A fronte di attività illecite così complesse ed organizzate l’attività di controllo è estremamente limitata non solo dalla difficoltà delle verifiche da eseguire (che spesso richiedono un dispiego di risorse notevole per seguire i rifiuti nel loro tortuoso percorso) ma anche dalla sciattezza con la quale certe situazioni vengono valutate in sede di rilascio delle autorizzazioni ed alla quale si affianca, spesso, un velato ostruzionismo da parte delle amministrazioni competenti nonché dalla inefficacia delle disposizioni che disciplinano la materia.
A questo proposito non può farsi a meno di notare come appaia del tutto ingiustificato il mancato inserimento dei c.d. delitti contro l’ambiente nel codice penale o, quantomeno, la previsione di delitti che consentano l’applicazione di strumenti investigativi adeguati (come le intercettazioni telefoniche ed ambientali) e l’applicazione di misure cautelari personali che la natura contravvenzionale della maggior parte delle violazioni penali in materia ambientale rende inutilizzabile.
La distrazione del legislatore su questo punto appare ancor più frustrante se solo si tenga conto degli indubbi risultati raggiunti attraverso l’inserimento, nel decreto legislativo 2297, dell’articolo 53bis che prevede il delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”.
Questa disposizione, che per la pena prevista consente l’effettuazione di intercettazioni e l’applicazione di misure custodiali, ha consentito risultati impensabili nella lotta contro il traffico illecito di rifiuti sostenendo ripetutamente, con successo, il vaglio di diversi giudici su tutto il territorio nazionale. Tutto ciò nonostante si tratti di una norma unanimemente riconosciuta dalla dottrina come imperfetta perché redatta con una certa superficialità e contenente errori palesi.
Dormono sonni altrettanto tranquilli gli specialisti del cemento.
Anche nel loro caso il contributo del legislatore, che elargisce condoni ogni dieci anni giustificandolo ipocritamente con la necessità di porre un freno all’abusivismo, è determinante. E’ sufficiente resistere senza neppure troppa convinzione e si ha la garanzia di poter mantenere in piedi qualsiasi edificio costruito illecitamente.
In questo caso non è neppure necessario ricorrere ai sotterfugi richiesti per mascherare i rifiuti. L’abuso edilizio, anche se quasi impossibile da nascondere, gode spesso dell’invisibilità assicurata da chi ha la responsabilità del controllo del territorio.
Chi si occupa della materia sa per esperienza come la denuncia dell’abuso sia spesso determinata solo dalla segnalazione (che talvolta deve essere reiterata poter sortire effetto) del confinante infastidito dalla nuova costruzione.
I moderni mezzi di controllo del territorio, quali i rilievi aereofotogrammetrici e satellitari ormai accessibili a modico prezzo, vengono quasi sempre dimenticati.
Tali dimenticanze si accentuano quando è prossima la emanazione di un nuovo condono, pur essendo noto a tutti che una parte considerevole delle domande di sanatoria che verranno presentate riporterà una data di ultimazione dei lavori palesemente falsa che potrebbe essere smentita da un semplice confronto con una foto aerea.
Nella lotta all’abusivismo anche le amministrazioni comunali manifestano scarso interesse.
E’ molto raro, infatti, che sia dato corso alla procedura amministrativa di acquisizione dell’immobile abusivo (e dell’area ove esso insiste) prevista in caso di inottemperanza all’ordinanza di demolizione che la legge impone di emettere in presenza di un abuso edilizio.
Quando l’ordinanza viene emanata, spesso solo perché vi è il concorrente intervento dell’autorità giudiziaria, non raramente ci si dimentica di accertare l’inottemperanza che determina l’acquisto della proprietà all’amministrazione comunale e la trascrizione dell’atto nei registri immobiliari è un’evenienza improbabile. Sarebbe interessante uno studio statistico che raffronti i dati relativi agli abusi segnalati con quelli delle acquisizioni e demolizioni effettuate dalle amministrazioni locali.
Tale garanzia di impunità rende superfluo, nei territori maggiormente martoriati dall’abusivismo edilizio, la regolarizzazione mediante il condono come dimostrano le preoccupazioni manifestate per i minori introiti rispetto alle previsioni.
A fronte di una situazione così scoraggiante rassicura, però, l’impegno delle associazioni di tutela ambientale e dei singoli cittadini che continuano nell’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle tematiche ambientali mantenendo alta l’attenzione su un problema di grande attualità.
Al loro sforzo si unisce poi l’impegno dei molti operatori di polizia giudiziaria che, spesso poveri di uomini e mezzi assicurano, unitamente a settori sani della pubblica amministrazione, il contenimento di certi fenomeni turbando i sonni dei “ladri di futuro”.
Prestano volontariamente il loro contributo all’operato dell’associazione, delle forze di polizia e delle istituzioni gli avvocati i docenti universitari ed i magistrati dei Centri di Azione Giuridica. I primi mediante la partecipazione attiva alle vertenze aperte su tutto il territorio nazionale, gli altri – insieme a loro – nelle attività di studio e di ricerca e nell’opera di formazione attivata presso il Centro Studi di Diritto Ambientale di Rispescia (Grosseto).
Nelle pagine che seguono si troverà un esempio delle attività svolte nel corso dell’anno.
Luca RAMACCI
Magistrato
Co-presidente naz. CEAG