TAR Lombardia (MI) Sez. II n. 2049 del 6 settembre 2018
Urbanistica.Ampliamento balcone

L’ampliamento di un balcone non è diretto a una mera finalità conservativa, perché non consiste nel ripristino o rinnovamento di elementi dell’edificio, ma comporta la formazione di ulteriore superficie utile non residenziale, all’esterno del volume del fabbricato, rispetto a quanto previsto dal titolo. Si tratta, perciò, di un’opera che eccede i limiti della manutenzione straordinaria.


Pubblicato il 06/09/2018

N. 02049/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01305/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1305 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Domenico Lafergola e Anastasia Bernardi, rappresentati e difesi dagli avvocati Giorgio Boirivant e Anthony Macchia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Siracusa in Milano, Via C. Farini, 53;

contro

Comune di Cinisello Balsamo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Cataldo Giuseppe Salerno e Giulio Brovadan, con domicilio eletto presso lo studio LegalMente in Milano, Via Massena, 17;

nei confronti

Condominio “Villaggio del Parco”, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

quanto al ricorso introduttivo del giudizio:

dell’ordinanza di demolizione n. 46 del 17 marzo 2016, emessa dal Comune di Cinisello Balsamo, nonché di ogni altro atto antecedente, preparatorio, preordinato, presupposto e/o consequenziale, anche infraprocedimentale, e comunque connesso;

quanto ai motivi aggiunti depositati in data 28 novembre 2016:

dell’ordinanza di demolizione n. 237 del 6 ottobre 2016, nonché di ogni altro atto antecedente, preparatorio, preordinato, presupposto e/o consequenziale, anche infraprocedimentale, e comunque connesso;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cinisello Balsamo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, i signori Domenico Lafergola e Anastasia Bernardi hanno impugnato l’ordinanza del Comune di Cinisello Balsamo n. 46 del 17 marzo 2016, con la quale è stata ordinata ai ricorrenti la demolizione delle opere consistenti: nell’ampliamento di un balcone per 2 metri quadrati; nella realizzazione di una recinzione in muratura dell’altezza di circa 1,50 metri; nella pavimentazione di una porzione di giardino per circa 35 metri quadrati.

Al riguardo, i ricorrenti hanno affermato anzitutto di essere proprietari di distinte unità immobiliari e, inoltre, di non essere coniugi, né legati da alcun rapporto di parentela o affinità. L’ordinanza di demolizione indica, tuttavia, come propri destinatari congiuntamente i signori Lafergola e Bernardi, per cui non sarebbe dato comprendere a quale dei rispettivi immobili il Comune abbia inteso fare riferimento nel predetto provvedimento e, quindi, quali opere siano state reputate abusive.

2. Più in dettaglio, i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione per i seguenti motivi:

I) il provvedimento sarebbe nullo o comunque annullabile in quanto indica la signora Bernardi quale destinataria dell’ordine di demolizione, atteso che la suddetta ricorrente non avrebbe mai realizzato alcun ampliamento del balcone di sua proprietà;

II) l’ordinanza di demolizione non avrebbe individuato esattamente l’abuso, perché farebbe riferimento alla pavimentazione di un’area di 35 mq, senza specificare se si tratti del giardino della signora Bernardi o di quello del signor Lafergola, proprietari di distinte unità immobiliari; in ogni caso, anche a voler tenere conto della somma della superficie pavimentata nelle due proprietà, questa sarebbe pari complessivamente 75 metri quadrati, per cui il Comune avrebbe dovuto specificare in che parte tale pavimentazione sarebbe abusiva; infine, sia la pavimentazione che l’ampliamento del balcone risalirebbero a oltre venti anni addietro, per cui l’Amministrazione avrebbe dovuto indicare le ragioni di interesse pubblico per le quali ha ritenuto di disporre la demolizione di tali opere;

III) sarebbe erronea la qualificazione delle opere abusive come ristrutturazione edilizia realizzata in totale difformità rispetto al titolo, ai sensi dell’articolo 33 del Testo unico dell’edilizia di cui al decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380; ciò in quanto i lavori, riferiti a diverse proprietà, non sarebbero qualificabili, già per questa ragione, come un complessivo intervento di ristrutturazione edilizia; inoltre, con specifico riferimento alle singole opere indicate, emergerebbe che: (a) l’ampliamento del balcone sarebbe qualificabile come un intervento di manutenzione straordinaria o – al più – come un intervento eseguito in parziale difformità dal titolo edilizio, ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, e comunque rientrerebbe nel margine di tolleranza del due per cento di cui al comma 2-ter del predetto articolo 34, per cui non sarebbe sanzionabile; (b) il muro di cinta sarebbe stato realizzato al di sotto del piano di campagna e non sarebbe visibile dall’esterno, per cui rientrerebbe tra le opere edilizie minori, assoggettate a segnalazione certificata di inizio attività e per le quali, in caso di realizzazione in assenza di titolo, l’articolo 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevedrebbe esclusivamente una sanzione pecuniaria; (c) la pavimentazione del giardino sarebbe un intervento realizzabile in regime di edilizia libera, ai sensi dell’articolo 6 del d.P.R. n. 380 del 2001;

IV) in subordine, l’Amministrazione avrebbe comunque dovuto ritenere gli interventi ascrivibili alla fattispecie delle opere eseguite in parziale difformità dal titolo, ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, e avrebbe dovuto irrogare esclusivamente una sanzione pecuniaria, stante il carattere eccessivamente oneroso del ripristino.

3. Si è costituito, per resistere al ricorso, il Comune di Cinisello Balsamo, il quale ha allegato profili di inammissibilità del ricorso e ne ha, comunque, prospettato l’infondatezza nel merito.

4. In esito alla camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 891 in data 11 luglio 2016, con la quale ha ritenuto che il ricorso presentasse profili di possibile fondatezza, “con riferimento alle censure attinenti all’individuazione e alla qualificazione delle opere, in quanto il provvedimento impugnato è indirizzato ad entrambi i ricorrenti, e qualifica complessivamente l’abuso come ricadente nella fattispecie di cui all’articolo 33 del decreto legislativo n. 380 del 2001, senza dare conto della circostanza che i sig.ri Lafergola e Bernardi sono proprietari di distinte unità immobiliari”. In considerazione di tale dato, l’istanza cautelare è stata accolta, “ordinando al Comune di Cinisello Balsamo di riesaminare complessivamente le risultanze istruttorie, alla luce dei profili sopra esposti, adottando un provvedimento espresso” da depositare agli atti del giudizio prima della camera di consiglio fissata per l’ulteriore trattazione della causa.

5. La difesa comunale ha quindi prodotto, il 10 ottobre 2016, gli atti successivamente adottati dal Comune, ossia:

- la nota del 27 luglio 2016, indirizzata all’Agenzia delle entrate, con la quale l’Amministrazione: (i) ha manifestato l’intendimento di attivare un distinto procedimento sanzionatorio, a carico dei signori Lafergola e Bernardi, per la realizzazione senza titolo della recinzione posta a confine delle rispettive proprietà; (ii) ha ricondotto tale intervento nell’ambito di applicazione dell’articolo 37 del d.P.R. n. 380 del 2001; (iii) ha chiesto, conseguentemente, all’Agenzia delle entrate la determinazione dell’aumento di valore dell’immobile, ai fini della quantificazione della sanzione;

- l’ordinanza n. 237 del 6 ottobre 2016, indirizzata nei confronti del solo signor Lafergola, con la quale è stata disposta la demolizione delle sole opere consistenti nell’ampliamento del balcone e nella pavimentazione del giardino per circa 35 metri quadrati.

6. In occasione della camera di consiglio dell’11 ottobre 2016, la difesa di parte ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.

7. L’ordinanza n. 237 del 2016 è stata successivamente impugnata dal signor Lafergola mediante ricorso per motivi aggiunti, depositato il 28 novembre 2016. In particolare, il ricorrente ha allegato che:

I) le opere cui si riferisce l’ordinanza di demolizione sarebbero assai risalenti nel tempo, per cui il Comune avrebbe avuto l’onere di evidenziare, mediante apposita motivazione, le ragioni di interesse pubblico che lo avrebbero indotto a disporre la rimozione degli abusi;

II) il Comune avrebbe illegittimamente qualificato le opere in termini di ristrutturazione edilizia in totale difformità rispetto al titolo, ai sensi dell’articolo 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, mentre secondo la parte, in realtà: (a) l’ampliamento del balcone costituirebbe un intervento di manutenzione straordinaria o – al più – un intervento eseguito in parziale difformità dal titolo edilizio, ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. n. 380 del 2001; tale intervento, comunque, non avrebbe alterato il prospetto o il decoro architettonico dello stabile, ma avrebbe dato luogo a un mero incremento delle superfici non residenziali; l’opera rientrerebbe – inoltre – nel margine di tolleranza del due per cento di cui al comma 2-ter del predetto articolo 34, per cui non sarebbe sanzionabile; (b) la pavimentazione del giardino sarebbe di modesta entità e sarebbe stata realizzata in modo da non impedire la permeabilità del terreno, per cui si tratterebbe di un intervento realizzabile in regime di edilizia libera, ai sensi dell’articolo 6 del d.P.R. n. 380 del 2001;

III) in subordine, l’Amministrazione avrebbe comunque dovuto ritenere gli interventi riconducibili alla fattispecie dell’articolo 34 del Testo unico dell’edilizia e avrebbe dovuto irrogare esclusivamente una sanzione pecuniaria, stante il carattere eccessivamente oneroso del ripristino.

8. In esito alla camera di consiglio del 16 dicembre 2016, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 1688 del 2016, con la quale ha accolto la domanda cautelare proposta con il ricorso per motivi aggiunti.

9. All’udienza pubblica fissata la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

10. Rileva anzitutto il Collegio che il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio è stato integralmente sostituito dalle nuove determinazioni assunte dall’Amministrazione, senza alcuna riserva, a seguito del disposto riesame.

Ne consegue l’improcedibilità dell’originario gravame, per sopravvenuta carenza di interesse.

11. I motivi aggiunti proposti contro l’ordinanza di demolizione n. 237 del 2016 sono, invece, infondati nel merito.

12. Non coglie nel segno, anzitutto, il primo motivo di impugnazione, con il quale si allega l’illegittimità del provvedimento impugnato per mancanza di motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico a sostegno dell’adozione del provvedimento sanzionatorio.

12.1 Al riguardo, è sufficiente richiamare il principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017, ove si è statuito che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

E’, perciò, da escludere che il decorso di un lasso di tempo più o meno lungo dalla commissione dell’abuso possa, di per sé, condizionare l’esercizio del potere sanzionatorio, il quale è e resta vincolato al solo riscontro dell’illecito edilizio.

12.2 Da ciò il rigetto del motivo.

13. Con il secondo mezzo viene contestata la qualificazione delle opere in termini di ristrutturazione edilizia in totale difformità rispetto al titolo, ai sensi dell’articolo 33 del d.P.R. n. 380 del 2001 e la conseguente applicazione della sanzione ripristinatoria.

13.1 Per ciò che attiene all’ampliamento del balcone, deve osservarsi che, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, le opere contestate sono consistite nella realizzazione di una maggiore larghezza di 50 centimetri, per l’intera lunghezza di 4 metri del balcone, con la conseguente realizzazione di una maggiore superficie di 2 metri quadrati.

13.1.1 Contrariamente a quanto ritenuto dalla parte ricorrente, l’opera così realizzata non può qualificarsi come una mera manutenzione straordinaria, atteso che in tale categoria rientrano – secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 – i lavori necessari per “rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici...”. L’ampliamento del balcone non è invece diretto a una mera finalità conservativa, perché non consiste nel ripristino o rinnovamento di elementi dell’edificio, ma comporta la formazione di ulteriore superficie utile non residenziale, all’esterno del volume del fabbricato, rispetto a quanto previsto dal titolo. Tale incremento è, inoltre, di entità non trascurabile in rapporto alle dimensioni del balcone originariamente progettate e determina una modifica del prospetto dell’edificio.

Si tratta, perciò, di un’opera che eccede i limiti della manutenzione straordinaria, come correttamente ritenuto dal Comune.

13.1.2 Non può poi accedersi alla tesi della parte ricorrente, secondo la quale il predetto ampliamento sarebbe irrilevante, perché rientrerebbe nel limite di tolleranza del 2 per cento stabilito dall’articolo 34, comma 2-ter, del d.P.R. n. 380 del 2001.

In disparte ogni altra considerazione, deve rilevarsi che la suddetta previsione normativa si riferisce alle “violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta” che siano contenute nel limite del 2 per cento “per singola unità immobiliare”.

Nella relazione tecnica della parte ricorrente si afferma che l’incremento di 2 metri quadrati della superficie coperta, determinato dall’ampliamento del balcone, sarebbe irrilevante in rapporto alla superficie coperta di progetto di 5.470 metri quadrati (v. doc. 3 della parte ricorrente, alla p. 3). Tuttavia, dalla stessa relazione tecnica si evince che la superficie coperta di 5.470 metri quadrati è quella relativa all’intero intervento di lottizzazione del quale fa parte – tra le altre – la villetta del signor Lafergola (v. p. 2 del medesimo doc. 3 della parte ricorrente). Non è stato, perciò, allegato né dimostrato che l’incremento della superficie coperta sia contenuto nel limite del 2 per cento avuto riguardo alla singola unità immobiliare, come prescritto dal richiamato comma 2-ter dell’articolo 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

13.1.3 Da ciò il rigetto della censura.

13.2 La parte ricorrente afferma, poi, che la pavimentazione del giardino del signor Lafergola, per una superficie di 35 metri quadrati, rientrerebbe nell’attività edilizia libera, in quanto sarebbe dimostrato, in base alla relazione tecnica depositata agli atti del giudizio, che le opere non ostacolano la permeabilità del fondo.

13.2.1 Al riguardo, occorre tenere presente che l’articolo 6, comma 2, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo vigente al tempo dell’adozione dell’ordinanza impugnata, assoggettava al regime dell’edilizia libera, subordinandole a una mera comunicazione dell’inizio dei lavori, “le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati”.

13.2.2 Ciò posto, deve anzitutto rilevarsi che l’osservanza delle prescrizioni in tema di permeabilità non risulta effettivamente dimostrata, atteso che nella relazione tecnica della parte ricorrente si afferma bensì il rispetto dell’indice di permeabilità stabilito per l’intervento di lottizzazione, ma si evidenzia anche che, in base all’articolo 71 del Regolamento edilizio comunale, le pavimentazioni non carrabili devono essere almeno parzialmente permeabili e filtranti (v. doc. 3 della parte ricorrente, p. 3).

Nel caso oggetto del presente giudizio, la pavimentazione risulta essere stata realizzata con piastrelle, secondo quanto affermato nel ricorso, e non risulta, invece, allegato, né dimostrato, l’impiego di materiali filtranti. Né può assumere rilievo il fatto che sia stata lasciata una striscia di terreno libera lungo il perimetro della proprietà e sia stato realizzato un pozzo perdente per le acque reflue. Tali accorgimenti, infatti, non equivalgono a quanto prescritto dalla richiamata previsione regolamentare, la quale richiede che le superfici pavimentate debbano risultare almeno in parte permeabili dalle acque.

13.2.3 In ogni caso, le previsioni dell’articolo 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 sono da ritenere di stretta interpretazione, in quanto dirette ad affermare l’irrilevanza urbanistica ed edilizia delle opere in essi contemplate, con la conseguente sottrazione alla regola del regime di controllo pubblico sugli interventi edilizi. Ne deriva che le opere indicate possono ritenersi effettivamente rientranti nel perimetro di applicazione della previsione normativa soltanto laddove, per le loro caratteristiche in concreto, siano del tutto inidonee a influire in modo rilevante sullo stato dei luoghi, e quindi non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

In questa prospettiva, deve escludersi che, nell’assoggettare al regime di edilizia libera la realizzazione di interventi di pavimentazione di spazi esterni, entro i prescritti limiti di permeabilità del fondo, il legislatore abbia inteso consentire la facoltà di coprire liberamente e senza alcun titolo qualunque estensione di suolo inedificato, salvo soltanto il rispetto di tali limiti. E ciò in quanto la pavimentazione di aree esterne: (i) è di per sé idonea a trasformare permanentemente porzioni di suolo inedificato; (ii) riduce la superficie filtrante, con la conseguenza che – anche se contenuta nei prescritti limiti di permeabilità – incide comunque sul regime del deflusso delle acque dal terreno; (iii) è percepibile esteriormente, per cui presenta una potenziale rilevanza sotto il profilo dell’inserimento delle opere nel contesto urbano; (iv) determina la creazione di una superficie utile, benché non di nuova volumetria.

Un’interpretazione della previsione normativa sopra richiamata diretta ad assicurarne la coerenza con il fondamentale canone di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione impone perciò di ritenere che gli interventi di pavimentazione, anche ove contenuti entro i limiti di permeabilità del fondo, siano realizzabili in regime di edilizia libera soltanto laddove presentino una entità minima, sia in termini assoluti, che in rapporto al contesto in cui si collocano e all’edificio cui accedono. Solo in presenza di queste condizioni tali opere possono infatti ritenersi realmente irrilevanti dal punto di vista urbanistico ed edilizio, e quindi sottratte al controllo operato dal Comune attraverso il titolo edilizio.

13.2.3 Nel caso oggetto del presente giudizio, la pavimentazione esterna realizzata non può ritenersi di modesta entità, perché consiste nella copertura di una porzione di suolo libero di circa 35 metri quadrati. E tale superficie, oltre a essere di per sé non trascurabile, risulta rilevante anche in rapporto all’unità immobiliare interessata, atteso che dalla relazione tecnica della parte ricorrente si evince l’eliminazione di una porzione significativa del giardino della villetta, attuata in modo da lasciare libera solo una striscia di terreno inedificato sul perimetro della proprietà.

13.2.4 Anche sotto questo profilo, le censure articolate dalla ricorrente sono quindi infondate.

13.3 Il secondo motivo di impugnazione va, perciò, respinto.

14. Non merita accoglimento, poi, il terzo motivo aggiunto di ricorso, con il quale si lamenta, in via subordinata, che le opere non siano state ascritte neppure alla fattispecie di cui all’articolo 34 del d.P.R. n. 380 del 2001; qualificazione che, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto portare l’Amministrazione a non disporre la rimessione in pristino.

14.1 Al riguardo, è sufficiente rilevare che la suddetta previsione normativa stabilisce in ogni caso la sanzione della demolizione per le opere eseguite in parziale difformità dal titolo edilizio (comma 1), mentre l’irrogazione della sanzione pecuniaria è limitata ai soli casi nei quali non sia possibile demolire la parte difforme senza pregiudizio per quella eseguita in conformità (comma 2).

14.2 Quest’ultima evenienza, tuttavia, non è riscontrabile nel caso oggetto del presente giudizio, atteso che la parte ricorrente non ha neppure allegato che le opere abusive non siano eliminabili senza pregiudizio per quelle conformi.

D’altro canto, l’onerosità dell’eliminazione degli abusi – lamentata dalla parte ricorrente – non costituisce di per sé un ostacolo giuridicamente rilevante alla rimessione in pristino, secondo quanto stabilito dalla disposizione invocata.

14.3 Ne deriva che, anche laddove le opere fossero qualificabili come interventi in parziale difformità rispetto al titolo edilizio, sarebbe ugualmente corretta la determinazione del Comune di irrogare la sanzione demolitoria.

15. In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso introduttivo del giudizio va dichiarato improcedibile, mentre il ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto.

16. La valutazione complessiva della vicenda amministrativa e processuale induce, tuttavia, il Collegio a disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio e respinge il ricorso per motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:

Mario Mosconi, Presidente

Antonio De Vita, Consigliere

Floriana Venera Di Mauro, Primo Referendario, Estensore