La proroga dei termini fissati dall’art. 15 del Testo Unico dell’Edilizia.
(commento all’art. 30, comma 3, del D.L. n. 69/2013, così come modificato ed integrato dalla Legge n. 98/2013)

di Massimo GRISANTI

 



L’art. 30, comma 3, del D.L. n. 69/2013 stabilisce che “Salva diversa disciplina  regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. E' altresì prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”.

La disposizione in commento non è di facile interpretazione.

Così si è espresso il Consigliere di Stato dott.ssa Rosanna De Nictolis in ordine all’art. 15 del T.U.E.:
“Occorre premettere l’art. 15 del Testo Unico dell’Edilizia ha raccolto le previgenti disposizioni in tema di durata del permesso di costruire, delegificandole, in ragione del loro contenuto eminentemente procedimentale.
Tali disposizioni, stante la loro natura regolamentare, trovano applicazione solo fin quando le singole regioni non provvedano ad introdurre una disciplina autonoma, in attuazione dell’art. 117 della Costituzione.
Deve ravvisarsi, inoltre, anche la potestà normativa e, in specie, regolamentare dei Comuni, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del T.U.E.
In base all’art. 15 T.U.E., comma 1, i termini di inizio e ultimazione dei lavori fanno parte del contenuto formale tipico del provvedimento abilitativo comunale e sono volti ad assicurare la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio.
Spetta al permesso di costruire fissare i termini di inizio e ultimazione, nella loro misura massima, rispettivamente di un anno e tre anni.
Il provvedimento può anche fissare termini inferiori (Cons. Stato, Sez. V, n. 781/1992).
Se nulla dispone in ordine ai termini, devono intendersi concessi i termini massimi consentiti, secondo l’elaborazione giurisprudenziale formatasi nella previgente disciplina.”.

L’autorevole pensiero del Consigliere De Nictolis fa emergere, in tutta la sua evidenza, la competenza propria delle Regioni in ordine alla disciplina dei termini del permesso di costruire.

E di ciò è ben conscio il legislatore statale, tant’è che la disposizione in commento è dichiaratamente cedevole a norme regionali (emanate all’indomani dell’entrata in vigore del T.U.E.).
Ecco che la disposizione statale dell’art. 30, comma 3, del D.L. n. 69/2013 è manifestamente inapplicabile in presenza di una disciplina regionale, semplicemente diversa, emanata all’indomani del 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del T.U.E.). Pertanto, in difetto dell’intervento del legislatore regionale continuano ad avere piena efficacia i termini temporali di validità dei permessi di costruire fissati in forza delle suddette legislazioni regionali.

Inoltre, fermo restando quanto sopra, si rileva che la disposizione statale non è applicabile ai titoli abilitativi di natura privata (denuncia di inizio attività e segnalazione certificata di inizio attività), in quanto l’art. 15 T.U.E. si riferisce unicamente ai permessi di costruire, venuti ad esistenza mediante provvedimento espresso o per silenzio assenso.

Proseguendo, dalla disposizione in commento sembra emergere una certa trasandatezza del legislatore, giacché sarebbero astrattamente prorogabili – ancorché contrastino con il complesso della disciplina urbanistica (leggi, regolamenti, strumenti urbanistici) in vigore al momento del loro rilascio o della loro tacita formazione – i permessi di costruire già rilasciati, o tacitamente formatisi (e questo è un ossimoro, giacché per silenzio assenso non può ottenersi ciò che non è concedibile in forma espressa).

Inoltre, è assolutamente da sfatare tanto l’automaticità della proroga per effetto della mera comunicazione del privato, quanto l’attribuzione del valore di proroga alla detta comunicazione.
Invero, la norma statale costituisce chiaramente un’eccezione all’eccezione e riguarda i soli stringenti requisiti fattuali richiesti dalla disposizione statale di principio: non abilita l’interprete a ritenere derogato anche il rilascio del provvedimento dirigenziale.
Anzi, esaminando attentamente la disposizione in commento (che tra l’altro non chiede al soggetto interessato una dichiarazione di rispondenza) emerge palesemente la necessità di una valutazione della pubblica amministrazione, in quanto è dall’azione di accertamento dell’organo della p.a. – da riportare nel provvedimento di proroga – che deve risultare l’assenza del contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati.

Né deve enfatizzarsi il fatto che il legislatore ha ricorso al termine “comunicazione”, giacché per costante giurisprudenza il provvedimento di proroga, essendo generalmente accessorio al permesso di costruire, retroagisce al momento della richiesta (purché pervenuta entro i termini, modificandoli).

Così come è da respingere la tesi dell’automaticità del provvedimento di proroga al ricorrere delle condizioni di legge, in quanto in presenza di opere autorizzate in violazione della disciplina urbanistica, ma non ancora eseguite, si impone il diniego della concessione della proroga, anche ai sensi dell’art. 40 c.p., per impedire la lesione dell’interesse pubblico che avverrebbe consentendo l’ultrattività dell’invalido titolo abilitativo.

In definitiva, il legislatore statale ha solamente riconosciuto che in via generale la grave congiuntura economica può avere causato l’insorgenza della causa di forza maggiore che può avere impedito ai titolari dei permessi di costruire di programmare proficuamente l’esecuzione dell’opera.
Tuttavia, la specificità delle realtà locali ben poteva, e può, essere anche diversa e pertanto occorreva, e occorre, un’analisi nel dettaglio dei vari interventi, atteso che il permesso di costruire autorizza ad intervenire su beni comuni e investe la tutela di valori costituzionali.

In ultimo due particolarità.
In caso di permessi di costruire co-intestati è indefettibile che la comunicazione provenga da tutti gli intestatari in quanto, in un unicum, “soggetto interessato”.
Inoltre, stante l’utilizzata locuzione “soggetto interessato” non è escludibile che vi possano rientrare anche gli istituti di credito – non intestatari, ovviamente, dei permessi – che avendo finanziato l’esecuzione dell’opera hanno interesse a non far perdere al bene posto a garanzia del credito le caratteristiche presenti al momento della stipula del contratto. Tuttavia il provvedimento di proroga non può che essere emesso a favore degli intestatari, i quali dovranno fornire il loro esplicito consenso (potendo avere un interesse a non ottenere l’ultrattività del titolo abilitativo: si pensi ai risvolti penali in caso di permesso di costruire illegittimamente assentito).
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Scritto il 27/05/2014