Cass. Sez. III n. 19199 del 13 maggio 2008 (Ud. 24 gen. 2008)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Cilluffo
Urbanistica. Responsabilità del proprietario dell’area

Non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un\'area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Occorre considerare, invece, la situazione concreta in cui si è svolta l\'attività incriminata, tenendo conto della disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell\'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest\'), nonché di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione. anche morale, all\'esecuzione delle opere Grava, comunque, sull\'interessato l\'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 24/01/2008
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 172
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 17683/2007
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CILLUFFO Girolama, nata a Carini l'11.6.1958;
avverso la sentenza 15.1.2007 della Corte di Appello di Palermo;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dott. MONTAGNA Alfredo, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 15.1.2007, confermava la sentenza 21.10.2005 del Tribunale di Palermo - Sezione distaccata di Carini, che aveva affermato la responsabilità penale di Cilluffo Girolama in ordine ai reati di cui:
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (per avere realizzato, in assenza della prescritta concessione edilizia, un manufatto ad unica elevazione fuori terra con struttura intelaiata in cemento armato - acc. in Carini, il 19.12.2003);
- al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 71 e 72;
- al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95;
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., aveva condannato la stessa alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 8.400,00 di ammenda, ordinando la demolizione delle opere abusive e concedendo i doppi benefici.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la Cilluffo, la quale ha eccepito:
- la nullità del giudizio di primo grado, per l'illeggibilità della copia del decreto di citazione ad essa notificato;
- la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità dell'attività di edificazione abusiva alla sua persona;
- la intervenuta prescrizione dei reati, sul presupposto che non potrebbe computarsi (in relazione al condono edilizio previsto dal D.L. n. 269 del 2003) la sospensione dei termini prescrizionali di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 44 nei casi di "assenza di una domanda di definizione in sanatoria dell'illecito edilizio". MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. La Corte territoriale - con argomentazioni razionali e corrette - ha rilevato che la copia del decreto di citazione prodotta dal difensore a sostegno dell'eccezione da lui sollevata risultava "composta da due fogli di cui soltanto il secondo, perfettamente leggibile, poteva ritenersi originale", presentando sul retro la relata di notifica e la firma del notificante. Il primo foglio, invece, appariva ictu oculi di colore diverso rispetto al secondo e non offriva "alcuna garanzia della sua originalità, potendo esso costituire una copia predisposta successivamente e volutamente illeggibile del decreto notificato".
La relativa doglianza, dunque, è stata respinta per mancanza della prova certa della dedotta illeggibilità dell'atto effettivamente consegnato e la parte - alla quale era stato già notificato comunque l'avviso di conclusione delle indagini riportante integralmente il capo di imputazione che si assume illeggibile nel documento successivo - avrebbe potuto pur sempre richiedere una copia autentica di tale secondo documento.
2. In ordine alla ritenuta responsabilità per l'esecuzione della costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte Suprema è orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva.
Occorre considerare, invece, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata, tenendo conto della disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest"), nonché di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 3: 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3.5.2001, a 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso ed altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro;
28.5.2004, a 24319, Rizzuto ed altro; 12.1.2005, a 216, Fucciolo;
15.7.2005, a 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone). Grava, comunque, sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale ed altro). Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito hanno fondato correttamente la responsabilità dell'imputata (che anche quando venne nominata custode del bene, in sede di sequestro, nulla ebbe ad eccepire) sulla disponibilità giuridica e di fatto del suolo del quale era proprietaria, non avendo ella mai prospettato l'eventualità che altri, contro il suo volere, ne avesse potuto disporre ed avesse intrapresa sullo stesso l'attività edilizia abusiva in contestazione.
3.1 reati sono stati accertati il 19.12.2003, sicché i termini massimi prescrizionali (di anni tre per le contravvenzioni al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95 e di anni quattro e mesi sei per
le restanti contravvenzioni, ex art. 157 c.p. e art. 160 c.p., u.c.) coinciderebbero rispettivamente con il 19.12.2006 e con il 19.6.2008. Occorre computare però:
- la sospensione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 44 (avente nella specie la durata di mesi 7 e giorni 11: dal 20.12.2003 al 31.7.2004), che si verifica automaticamente per il solo fatto dell'esistenza di un processo edilizio che concerna attività edificatoria condonabile ed ha la funzione di consentire agli interessati di presentare la domanda di condono edilizio; - la sospensione effettiva del processo (per la durata di mesi 5 e giorni 7: dal 29.10.2004 al 5.4.2005), disposta anch'essa al fine di consentire la presentazione della domanda di condono. La scadenza dei termini di prescrizione pertanto (a fronte di una sospensione complessivamente computabile in anni 1 e giorni 18) resta fissata al 6.1.2008, per le contravvenzioni al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95, ed al 7.7.2009 per le altre contravvenzioni.
La inammissibilità del ricorso non consente, però, il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati connessi alla normativa antisismica scaduta in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell'atto di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca). 4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il
ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2008