Cass. Sez. III n. 19653 del 24 maggio 2012 (Cc 9 mag. 2012)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. Di Latte
Urbanistica. Falso per induzione e qualifica di bracciante agricolo

La mera posizione soggettiva di bracciante di chi richiede il titolo abilitativo per la realizzazione di opere in zona agricola non è determinante e costituisce uno soltanto tra i presupposti per la realizzazione delle opere, rispetto alle quali rilevano caratteristiche costruttive e destinazione d'uso in relazione alla classificazione urbanistica dell'area ove insistono e l'esistenza di tali presupposti è senz'altro oggetto di valutazione nell'ambito del complesso procedimento amministrativo che prelude al rilascio del permesso di costruire (fattispecie relativa ad ipotesi di falso per induzione in errore di funzionario comunale finalizzato ad ottenere il rilascio di titoli abilitativi)

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Brindisi, quale giudice del riesame, ha confermato, con ordinanza del 21.9.2011, il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale e concernente un terreno in comune di Carovigno, nonchè le opere sullo stesso edificate da D.L.L., indagata del reato di cui agli artt. 81, 48, 479 cod. pen. e, in concorso con altri, anche del reato di cui all'art. 110 cod. pen., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.

Si contesta, alla predetta, di aver indotto in errore, dichiarando fraudolentemente la sua condizione di bracciante agricola, il funzionario comunale il quale rilasciava permessi di costruire gratuiti ed autorizzazioni paesaggistiche per la realizzazione di un'abitazione rurale con annesso deposito di attrezzi agricoli, nonchè una variante per la realizzazione di opere prefabbricate;

atti abilitativi che potevano essere concessi solo per opere pertinenti ad attività agricole ed in forza dei quali dette opere venivano realizzate anche con alcune difformità.

Avverso l'ordinanza la D.L. propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 48 e 479 cod. pen., nonchè degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen., rilevando che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il fumus del reato di falso per induzione, dal momento che nel caso in esame non vi era stata alcuna falsa attestazione della condizione di bracciante agricola, qualifica effettivamente posseduta e verificata dall'amministrazione comunale e che l'utilizzo artificioso di detta qualifica valorizzato dal Tribunale non consentiva di integrare il reato, poichè non era dato individuare cosa ella abbia esplicitamente o implicitamente attestato falsamente.

Aggiunge che non assume comunque rilievo la circostanza, pure considerata dal Tribunale, dell'assenza di colture in atto sull'area interessata dall'intervento edilizio, non essendo ciò richiesto dagli strumenti urbanistici, nè essendo necessario che l'edificio da realizzare sia necessariamente asservito alla coltivazione del fondo dove insiste, ben potendosi destinarlo comunque ad un'attività agricola tra quelle consentite dalla pianificazione. Rileva, altresì, che nulla attestano in tal senso neppure gli atti abilitativi rilasciati.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44 e 15 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, osservando, in primo luogo, che le stesse considerazioni relative alla prima imputazione consentirebbero già di escludere la sussistenza del fumus del reato urbanistico e di quello paesaggistico.

Evidenzia, poi, che contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, il titolo abilitativo non risulta decaduto per la mancata ultimazione dei lavori nel termine, dovendosi detto termine calcolare, come fatto anche dal Pubblico Ministero nell'imputazione, con riferimento alla data di rilascio della variante (22.10.2009), con la conseguenza che esso andrà a scadere il 21.10.2012.

4. Con un terzo motivo di ricorso rileva la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 31 e 32 e l'omessa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, in quanto, in primo luogo, la esistenza delle difformità non incide sulla regolarità dell'intervento edilizio nel suo complesso e sulla validità dei titoli abilitativi.

In secondo luogo, dette difformità avrebbero potuto comunque essere eliminate e la rimessione in pristino, possibile solo previo dissequestro, le avrebbe consentito di beneficiare dell'effetto premiale indicato dal comma 1-quinquies del menzionato D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181. Osserva, poi, che in ogni caso il vincolo reale gravava sull'intero compendio immobiliare pur in presenza di difformità afferenti a singole opere ben individuabili.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente individuare, per una migliore valutazione, la condotta obiettivamente contestata alla ricorrente nel primo dei due capi di imputazione, oggetto di doglianza con il primo motivo di ricorso.

Il falso per induzione risulta individuato, nella fattispecie, nell'avere l'indagata strumentalizzato la propria qualifica di bracciante agricola per ottenere i titoli abilitativi (a titolo gratuito) per la realizzazione delle opere oggetto di sequestro.

Tale assunto viene diffusamente contestato dalla ricorrente la quale osserva di possedere detta qualifica, di non aver falsamente attestato alcunchè al pubblico ufficiale e che questi, conseguentemente, non sarebbe stato tratto in errore.

Il Tribunale, tuttavia, contrappone a tale assunto una serie di considerazioni: il progetto presentato attiene alla realizzazione di un immobile con tre stanze da letto, due bagni, un ampio ingresso, un soggiorno e due porticati oltre ad un locale deposito; il terreno non era annesso ad un'azienda agricola ed era totalmente incolto; il fatto di aver piantato lungo il perimento alberi di palma non cambiava i termini della questione; non è possibile sostenere che un'attività agricola possa essere esercitata in qualunque luogo, anche in un comune diverso da quello ove sono realizzate le opere.

6. Ciò posto, occorre verificare in primo luogo quale rilievo assume la qualifica di bracciante o imprenditore agricolo rispetto alla realizzazione di interventi edilizi in aree classificate come agricole dagli strumenti urbanistici.

Va detto, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel ritenere non esaustivo il mero dato formale, nel senso che il mero possesso di tale qualifica personale non legittima, di per sè, la realizzazione di qualsivoglia intervento edilizio in zona agricola.

Si è così affermato, in tema di lottizzazione abusiva, che ciò che rileva è la esistenza di un effettiva relazione diretta tra l'edificio e la conduzione del fondo, con la conseguenza che il possesso delle summenzionate qualifiche personali è indifferente allorquando un terreno agricolo venga frazionato e predisposto alla realizzazione di più edifici aventi destinazione residenziale snaturandone la originaria vocazione agricola, in quanto l'attività edificatoria è solo fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo (Sez. 3^ n. 15605, 19 aprile 2011; Sez. 3^ n. 11349, 30 dicembre 1996).

La realizzazione dell'intervento edilizio, in tali casi, è infatti finalizzato alla conduzione del fondo in ragione della sua destinazione agricola ed è a tale dato essenziale della oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo che deve farsi riferimento e non anche alle condizioni soggettive di chi richiede il titolo abilitativo.

Ancor più recentemente si è ribadito che tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in zona agricola restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che è riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale (Sez. 3^ n. 9369, 9 marzo 2012).

Date tali premesse, è di tutta evidenzia che la mera posizione soggettiva di chi richiede il titolo abilitativo per la realizzazione di opere in zona agricola non è determinante e costituisce uno soltanto tra i presupposti per la realizzazione delle opere, rispetto alle quali rilevano caratteristiche costruttive e destinazione d'uso in relazione alla classificazione urbanistica dell'area ove insistono.

L'esistenza di tali presupposti è senz'altro oggetto di valutazione nell'ambito del complesso procedimento amministrativo che prelude al rilascio del permesso di costruire, tanto è vero che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, comma 1, dispone che la domanda per il rilascio di detto permesso sia corredata da un'attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali richiesti dal regolamento edilizio e, quando ne ricorrano i presupposti, dagli altri documenti previsti dalla parte 2^ del medesimo D.P.R. e deve essere accompagnata da una dichiarazione de) progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività" edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all'efficienza energetica.

7. Fatte tali considerazioni, occorre tuttavia verificare se la condotta contestata alla ricorrente sia riconducibile o meno alla fattispecie tipica di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen..

Occorre ricordare, in primo luogo, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'inganno da cui deriva la responsabilità ai sensi dell'art. 48 cod. pen. può consistere in qualunque artificio o altro comportamento atto a sorprendere l'altrui buona fede, attraverso il quale l'autore mediato induca in errore l'autore immediato del delitto (Sez. 6^ n. 10159, 10 luglio 1990) quindi anche il mero silenzio (la decisione appena menzionata riguardava il caso in cui era stata taciuta una situazione di incompatibilità) e, tanto più, la prospettazione di una situazione formalmente rispondente ai requisiti di legge ma finalizzata ad aggirare il dettato normativo.

Va poi osservato che, come si è in precedenza accennato, il procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dei titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, come si ricava dalla semplice lettura delle disposizioni che lo disciplinano, presuppone la preventiva verifica di tutti i presupposti richiesti dalla legge per l'emissione del titolo abilitativo sulla base delle produzioni documentali del richiedente e degli altri adempimenti d'ufficio.

Nella fattispecie, secondo la descrizione del fatto riportata nell'imputazione che il Tribunale ha integralmente riprodotto nell'impugnata ordinanza, la ricorrente avrebbe richiesto i titoli abilitativi, poi ottenuti, profilando al competente funzionario comunale una situazione che solo apparentemente consentiva il rilascio del permesso, in ragione della qualifica di bracciante agricolo posseduta e della conformità delle opere alla destinazione di zona ma che, in realtà, la pubblica accusa ha ritenuto finalizzata all'esecuzione di interventi edilizi di diversa natura.

Una simile condotta, ad avviso del collegio, è astrattamente idonea a configurare le condizioni di applicabilità dell'art. 48 cod. pen..

8. Va detto poi che la valutazione di tale condotta al fine di verificare la sussistenza del fumus del reato è stata correttamente effettuata dai giudici del riesame con riferimento al complesso degli elementi fattuali offerti al loro esame i quali, globalmente valutati, hanno portato a ritenere fondata l'ipotesi accusatoria.

I giudici non avrebbero potuto infatti prescindere da una valutazione unitaria e coordinata dei singoli elementi di valutazione i quali, se isolatamente considerati, avrebbero avuto una valenza diversa e scarsamente significativa, mentre la loro lettura complessiva ne evidenzia la effettiva portata dimostrativa.

Nella fattispecie, infatti, le singole circostanze verificate dai giudici del riesame, prese singolarmente poco o nulla dimostrano, mentre esaminate nell'insieme assumono un significato del tutto diverso: le caratteristiche costruttive dell'immobile, l'assenza di collegamento con attività agricole, la mancanza di coltivazioni in atto e lo svolgimento di attività agricola da parte dell'indagata in luogo diverso costituiscono un insieme di dati che, in assenza di elementi diversi, rendono del tutto fondata la ritenuta sussistenza del fumus del reato e tale valutazione non viene minimamente intaccata dalle argomentazioni svolte in ricorso che tali dati considerano isolatamente.

9. Pur ritenendosi quindi giuridicamente corrette le conclusioni cui i giudici pervengono in relazione al fatto storico contestato, che dunque si riferisce alla realizzazione, in zona agricola, di opere a destinazione residenziale o comunque in contrasto con la destinazione di zona, sorgono tuttavia alcune perplessità in ordine alla sua qualificazione giuridica.

Certamente è ipotizzabile in astratto che il funzionario comunale possa essere stato tratto in errore circa la sussistenza dei presupposti di legge per il rilascio dei titoli abilitativi, peraltro gratuiti e che tale condizione egli abbia falsamente attestato, in ragione di detto errore, nei titoli abilitativi rilasciati, ma la qualificazione del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica quali atti pubblici si pone in contrasto con un consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte che a tali atti amministrativi ha più volte riconosciuto altra natura.

Si è infatti in più occasioni affermato che, ai fini della classificazione delle falsità in atti disciplinate dal codice penale, il permesso di costruire rientra nelle fattispecie previste dagli artt. 477 e 480 cod. pen., trattandosi di autorizzazione amministrativa (Sez. 3^ n. 6642, 18 febbraio 2010; Sez. 5^ n. 38827, 20 novembre 2002; S.U. n. 673, 29 gennaio 1997).

10. Le argomentazioni dianzi prospettate in merito alla corretta valutazione da parte dei giudici del riesame delle modalità di conseguimento dei titoli abilitativi, consente di pervenire ad un giudizio di infondatezza anche con riferimento al secondo motivo di ricorso rispetto al quale, tuttavia, va riconosciuta invece l'esattezza delle considerazioni svolte dalla ricorrente in merito alla decorrenza del termine di decadenza del permesso di costruire.

Il calcolo dei termini effettuato e la considerazione a tal fine della variante rilasciata appaiono del tutto condivisibili, ma non incidono comunque sulla tenuta complessiva del provvedimento impugnato in quanto improduttivi di effetti sulla sussistenza dei reati contestati.

11. Per quanto riguarda, invece, il terzo motivo di ricorso pare evidente, ancora una volta in ragione delle argomentazioni svolte in precedenza, che la presenza di difformità da quanto assentito e la loro consistenza perdono ogni rilievo a fronte della possibilità di ipotizzare la illiceità dell'intero intervento edilizio mentre del tutto inconferenti appaiono i riferimenti al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies.

Tale disposizione stabilisce infatti che la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e, comunque, prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1.

Essa presuppone, in primo luogo, che non sia già intervenuto il provvedimento amministrativo che impone il ripristino e produce effetti estintivi del solo reato paesaggistico, con esclusione delle violazioni urbanistiche eventualmente concorrenti.

Gli argomenti sviluppati dalla ricorrente nel caso in esame di fondano, tuttavia, sul presupposto che tutte le opere realizzate siano regolarmente assentite ad eccezione di quelle indicate come difformi dal progetto, che si ritengono eliminabili, accedendo così alla speciale causa estintiva del reato paesaggistico, mentre considerando gli interventi come totalmente abusivi per le ragioni già illustrate, i giudici del merito potrebbero applicare la causa estinitva solo in caso di riduzione in pristino dell'intera area, stante la necessità di considerare unitariamente le opere abusivamente realizzate.

In ogni caso, la presenza del vincolo cautelare non preclude alla ricorrente la possibilità di provvedere alla riduzione in pristino, ben potendosi richiedere all'autorità giudiziaria procedente l'autorizzazione all'accesso per provvedervi.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziale statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2012