Cass. Sez. III n. 38453 del 27 novembre 2025 (CC 13 nov 2025)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Iannone
Urbanistica.Condono e silenzio assenso
A fronte di istanze di condono inammissibili non può rivendicarsi per esse alcun silenzio assenso in materia, posto il principio per cui il silenzio-assenso, ai fini della condonabilità dell'opera abusivamente realizzata ex art. 32, comma 37, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, si forma a condizione che vi sia rispondenza della domanda di condono edilizio ai requisiti previsti dalla legge per il prodursi dell'effetto sanante
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Napoli adito quale giudice dell'esecuzione nell'interesse di Iannone Antonio, Raffaele e Domenico, per la revoca o sospensione della ingiunzione a demolire del P.M. del tribunale di Napoli, di cui a RESA n. 824/2000, rigettava la domanda 2. Avverso la ordinanza sopra indicata propongono ricorso per cassazione Iannone Antonio, Raffele e Domenico, mediante il proprio difensore, deducendo tre motivi comuni di impugnazione.
2. Deducono, con il primo, il vizio di violazione di legge in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 35 L. 47/85 e 39 L. 724/1994, in quanto i ricorrenti avrebbero presentato, ciascuno, domanda di condono per singola unità abitativa rientrante entro il limite di 750 mq., per ognuna delle quali sarebbero stati versati gli importi dovuti e gli oneri concessori, almeno in acconto. Con la conseguenza per cui, alla luce degli articoli prima richiamati ed in assenza di provvedimenti negativi del comune, il decorso di 24 mesi avrebbe dato luogo alla formazione del silenzio assenso in ordine al richiesto condono.
3. Con il secondo motivo deducono l'omessa motivazione in ordine al dedotto silenzio assenso.
4. Con il terzo motivo rappresentano la violazione dell'art. 173 c.p. e 6 paragrafo 1 della CEDU, in quanto l'ordine di demolizione avrebbe natura sanzionatoria e sarebbe decorso il relativo termine di prescrizione quinquennale.
5. Il primo motivo è inammissibile, sia perché, in violazione del noto principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non è stato dimostrato che in sede di esecuzione si sia rappresentato l'intervenuto silenzio assenso sulle domande di condono, sia perché si tratta, in ogni caso, di questione giuridica del tutto destituita di fondamento. In proposito, va preliminarmente ribadito che le argomentazioni giuridiche delle parti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all'art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 - 01). Ebbene, il giudice, senza che sul punto il ricorrente abbia obiettato alcunché, ha evidenziato l'emersione di un immobile abusivo unitario e riconducibile originariamente all'unico titolare, Iannone Giuseppe, cosicché le distinte domande proposte dagli attuali ricorrenti sarebbero un mero espediente illegale, per aggirare il limite volumetrico previsto dalla legge sul condono e da considerarsi, piuttosto, in rapporto all'unico e unitario immobile, senza alcuna possibilità di frazionamento attraverso plurime distinte domande di condono;
tanto in applicazione dell'ormai consolidato indirizzo di legittimità per cui, in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge del 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso (Sez. 3, Sentenza n. 12353 del 02/10/2013 (dep. 17/03/2014 ) Rv. 259292 - 01). Consegue che, a fronte di istanze di condono inammissibili, per le predette ragioni, non può rivendicarsi per esse alcun silenzio assenso in materia, posto il principio - valevole anche per il condono ex I. 724/1994, siccome ispirato alla stessa ratio giustificatrice inerente a tutte le tre tipologie di condono ad oggi intervenute -, per cui il silenzio-assenso, ai fini della condonabilità dell'opera abusivamente realizzata ex art. 32, comma 37, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, si forma a condizione che vi sia rispondenza della domanda di condono edilizio ai requisiti previsti dalla legge per il prodursi dell'effetto sanante. (Sez. 3, n. 727 del 25/10/2022, dep. 2023, Rv. 284055 - 01). E tra i requisiti, comuni ed ineludibili , per tutte le tipologie di condono, rientra, lo si ribadisce, la tendenziale (salvi casi particolari qui non sussistenti) unicità, unitarietà e non frazionabilità ai fini volumetrici, dell'immobile abusivo da condonare. Inoltre, gli stessi istanti parlano di avvenuto pagamento del solo acconto degli oneri concessori, che invece, sempre ai fini del condono, oltre alla presenza dei requisiti di legge prima citati, devono essere versati in maniera integrale determinata dal comune. Infatti, in tema di condono edilizio di cui alla legge n. 724 del 1994, il silenzio assenso si forma a seguito: a) del pagamento integrale dell'oblazione ritenuta congrua secondo i criteri stabiliti dalla legge n. 47 del 1985, ora d.P.R n. 380 del 2001; b) del versamento degli oneri di concessione come determinati in via definitiva dal comune; c) dell'adempimento delle altre condizioni richieste dalla norma, come la denuncia tempestiva ai fini dell'accatastamento, d) del decorso del termine di uno o due anni dalla data di scadenza di quello per la presentazione della domanda senza l'adozione di un provvedimento negativo da parte del comune.
(Sez. 3, n. 4749 del 13/12/2007, dep. 2008, Rv. 238787 - 01)
5. Le osservazioni di cui sopra evidenziano l'inammissibilità anche del secondo motivo.
6. Inammissibile è anche il terzo motivo, atteso il consolidato principio per cui, in materia di reati edilizi, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di "pena" nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU (Sez. 3 - n. 3979 del 21/09/2018 Cc. (dep. 28/01/2019 ) Rv.275850 - 02)e senza alcun rilievo dunque dell'istituto della prescrizione.
7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 13/11/2025




