Consiglio di Stato Sez.VII n. 9825 del 15 novembre 2023
Rumore.Classificazione acustica e sindacato giurisdizionale

L'onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l'ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale. Il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non impingere nel merito delle scelte discrezionali adottate dall’amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere. Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie.

Pubblicato il 15/11/2023

N. 09825/2023REG.PROV.COLL.

N. 10125/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10125 del 2018, proposto da:
Secco Sistemi S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Dodaro e Guido Sartorato, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Caccini, 1;

contro

Comune di Casier, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Bruno Barel, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Alberico II, 33;

nei confronti

Edilglobo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliano Pavan, Mariagrazia Romeo e Giuseppe Lo Pinto, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Vittoria Colonna, 32;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 540/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Casier e di Edilglobo S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4 bis, c.p.a.;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Nessuno presente per le parti all'udienza straordinaria del giorno 10 novembre 2023, celebrata in collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante ha impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Terza, n. 540 del 17 maggio 2018 che ha dichiarato inammissibile il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento: della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Casier n. 42 del 28 settembre 2016 con cui è stato approvato, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale 10 maggio 1999, n. 21, l'aggiornamento del piano di zonizzazione acustica; del permesso di costruire n. 16/065 del 13 gennaio 2017 rilasciato alla ditta Edilglobo S.r.l. per la realizzazione di un edificio bifamiliare sul lotto n. 8 del Piano di lottizzazione C2/26; del permesso a costruire n. 16/066 del 16 gennaio 2017 rilasciato alla ditta Edilglobo S.r.l. per realizzare un edificio unifamiliare sul lotto n. 9 del Piano di lottizzazione C2/26.

Si sono costituiti nel presente grado di giudizio sia la controinteressata Edil Globo S.r.l. sia il Comune appellato, chiedendo entrambi la conferma della sentenza del TAR in punto di carenza di interesse a ricorrere e soffermandosi, in ogni caso, sull’infondatezza del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti mediante riproposizione delle argomentazioni difensive già spese in primo grado.

In data 29 settembre 2023 ciascuna parte costituita ha depositato documentazione inerente i fatti di causa.

Tutte le parti costituite hanno, poi depositato memorie conclusive, insistendo ciascuna nelle proprie richieste.

La controinteressata ha replicato con memoria del 19 ottobre 2023 con la quale ha, in sintesi, evidenziato come, anche dalla memoria conclusiva dell’appellante emerga, a suo dire, ancora una volta l’assenza di lesività dell’atto impugnato e, dunque, risulti confermata l’inammissibilità del ricorso statuita dal TAR.

Anche il Comune e l’appellante hanno brevemente replicato con memorie depositate il 20 ottobre 2023, insistendo nelle rispettive richieste e deduzioni.

Con separate note tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti.

All’udienza straordinaria del 10 novembre 2023, celebrata in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’appellante ha esposto in primo grado di essere presente nel territorio del Comune di Casier dal 1965, di occuparsi della produzione di serramenti e facciate in acciaio zincato, acciaio inox, acciaio corten ed ottone, di aver negli ultimi anni investito cospicue somme di denaro per l’adeguamento degli impianti e l’ampliamento delle proprie infrastrutture, che l’area in cui opera è classificata come zona “D1”- area industriale, che il Comune di Casier nel 2005 ha trasformato una porzione di area industriale esistente a ridosso dell’area ove sorgono i suoi impianti, confinante ad est, destinandola ad un nuovo insediamento residenziale (C2/26), che l’originario piano di zonizzazione acustica aveva inserito tale l’area su cui insistono gli impianti nella classe VI (Area esclusivamente industriale) e che successivamente tale classificazione è mutata, nel 2016, con destinazione acustica nella classe IV (Area ad intensa attività umana), che tale modifica della zonizzazione acustica ha interessato anche l’area residenziale posta sul confine est della proprietà della Secco Sistemi.

Tanto premesso la società ha impugnato innanzi al TAR Veneto la delibera del Consiglio comunale di Casier n. 42 del 28 settembre 2016, con cui è stato approvato, ai sensi dell'art. 3 della legge regionale 10 maggio 1999, n. 21, l'aggiornamento del piano di zonizzazione acustica, in cui l’area della ricorrente è stata infine riclassificata in classe V (Aree prevalentemente produttive), mantenendo l’area residenziale posta sul versante est in classe acustica IV.

Con ricorso per motivi aggiunti ha impugnato i permessi di costruire su due lotti (8 e 9) prospicienti lo stabilimento produttivo, rilasciati alla controinteressata Edilglobo S.r.l., sia per illegittimità derivata sia per vizi propri, ravvisandone l’illegittimità nella parte in cui non è stata prevista alcuna specifica soluzione acustica,

3. Con la sentenza n. 540 del 17 maggio 2018 la Sezione Terza del TAR Veneto ha dichiarato inammissibili sia il ricorso introduttivo sia i motivi aggiunti in ragione, in sintesi, dell’assenza di lesività concreta ed attuale della impugnata delibera per la ricorrente, a carico della quale il Comune non ha adottato alcun provvedimento che ordinasse la bonifica acustica ovvero l’installazione di barriere sonore e, più in generale, in mancanza di qualunque prescrizione impartita dal Comune di Casier, idonea a pregiudicare l’attività produttiva della ricorrente.

Del pari ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti osservando che non è interesse della Secco Sistemi (generatrice del rumore) lamentare la mancata previsione, tra le due aree (industriale e residenziale), di una fascia di transizione, tale da permettere un graduale passaggio del disturbo acustico da quello della zona di classe superiore a quello della zona di classe inferiore, sussistendo eventualmente un tale interesse in capo a coloro che possono essere disturbati dal rumore in questione e non essendoci, inoltre, alcuna prescrizione lesiva nei confronti della Secco Sistemi contenuta negli impugnati permessi di costruire; né la costruzione degli edifici sui lotti 8 e 9 (in mancanza di qualunque prescrizione del Comune di Casier nei confronti della ricorrente) comporta alcuna diretta conseguenza pregiudizievole sulla sfera giuridica della Secco Sistemi e sulla sua attività produttiva.

4. L’appellante ha impugnato la riportata decisione formulando il seguente motivo.

4.1. Omessa ed erronea valutazione dei presupposti di fatto, illogicità, contraddittorietà, violazione dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., violazione del D.P.C.M. 14 novembre 1997 e dell’art. 2 della delibera di Giunta regionale n. 4313 del 21 settembre 1993.

La sentenza sarebbe errata in quanto in contrasto con un precedente analogo (sentenza n. 693 del 22 maggio 2014) in cui lo stesso TAR aveva affermato che il piano di zonizzazione acustica sarebbe dovuto essere impugnato immediatamente nonché con sentenza in termini del Consiglio di Stato (n. 9301 del 31 dicembre 2009).

4.2. A seguire ha riproposto i motivi formulati in primo grado e non esaminati.

4.2.1. Eccesso di potere per illogicità, carenza di potere ed istruttoria e sviamento, violazione del D.P.C.M. 14 novembre 1997 e dell’art. 2 della D.G.R. n. 4313 del 21 settembre 1993.

In base all’attuale ordinamento positivo il territorio comunale dovrebbe risultare suddiviso in sei classi acustiche, di cui la sesta dovrebbe interessare le aree industriali monofunzionali, prive di abitazioni; il Comune avrebbe ignorato la presenza di un’azienda di grandi dimensioni quale quella della ricorrente non avendo previsto alcuna classe VI con una motivazione che la società ritiene incongrua e irragionevole, secondo cui per “garantire una maggiore tutela alla popolazione dall’inquinamento acustico rispetto alla precedente zonizzazione non verranno assegnate aree di classe VI”.

4.2.2. Erronea valutazione dei presupposti e falsa rappresentazione.

Il Comune, nell’assegnare la classe acustica IV all’area residenziale adiacente, si sarebbe basata su errati limiti di emissione/immissione della classe IV.

4.2.3. Violazione dell’art. 6, comma 1, e dell’art. 4, comma 1, lett. d) della L. n. 447/95, dell’art. 3 della L.R. n. 42/99, della deliberazione della Giunta regionale n. 4313 del 21 settembre 1993, recante i criteri per la suddivisione del territorio comunale in classi e comunque eccesso di potere per illogicità.

Nell’aggiornare la classificazione acustica dell’originaria zona industriale, prendendo atto della formazione della nuova zona residenziale, il Comune avrebbe commesso errori penalizzanti per l’attività produttiva preesistente da anni, non avendo previsto una zona “cuscinetto”.

Secondo la ricorrente la scelta operata, di non ricomprendere le due aree nella medesima classe acustica VI o V e/o di non prevedere una fascia di transizione tra le due diverse zone, renderebbe illegittimo il piano.

4.2.4. Erronea valutazione dei presupposti e falsa rappresentazione.

Sebbene in sede di approvazione del nuovo piano acustico, all’area della ricorrente sia stata assegnata la classe V, l’istruttoria che ha determinato la nuova classificazione delle due aree, avrebbe distorto le scelte finali, tanto che la relazione precisa che l’unica ragione per cui la classe VI non sarebbe compatibile, è rappresentata dalla presenza di una lottizzazione di recente realizzata “all’interno dell’area industriale”. Tuttavia, osserva la ricorrente, a differenza di quanto esposto nella relazione, nel caso di specie non si sarebbe in presenza di una zona industriale che, attraverso un processo naturale di crescita del centro abitato, si è venuta a trovare circondata da abitazioni ma piuttosto del caso contrario: ovvero di una zona residenziale, avulsa dal sistema insediativo residenziale, localizzata all’interno di una zona industriale, ai cui parametri si deve adattare.

Fa presente che sia il Comune sia i privati, quando pochi anni prima hanno elaborato e approvato il piano urbanistico attuativo, erano bene a conoscenza della classe acustica VI assegnata all’area in questione e della presenza dello stabilimento industriale a confine: ciò non di meno è stato ritenuto compatibile l’insediamento residenziale, così di fatto ignorando il principio secondo cui, in sede di pianificazione acustica, uno dei principali valori che il Comune deve assicurare è la conservazione dello stato di fatto, ovvero il preuso.

Sostiene che, nel contrasto tra la preesistente zona industriale e la zona residenziale di recente inserita all’interno della prima, dovrebbe necessariamente essere garantita la sopravvivenza di quest’ultima, tanto più se chi ha progettato il Piano attuativo residenziale e il Comune, che lo ha approvato, hanno ritenuto opportuno non creare alcun cuscinetto a verde, malgrado la classificazione in VI classe dell’area, ritenuta allora congrua. Né si potrebbe pretendere che le eventuali barriere acustiche per proteggere le residenze, che verranno realizzate a confine dove invece avrebbe dovuto trovare sede il cuscinetto a verde, siano poste in opera a cura della ricorrente.

4.2.5. Illegittimità derivata.

Quanto sopra inciderebbe anche sulla legittimità dei permessi di costruire rilasciati alla controinteressata, in quanto la compatibilità acustica del nuovo insediamento sarebbe stata accertata sulla base di un piano di zonizzazione illegittimo.

4.2.6. Violazione del Piano acustico e dell’art. 4 D.P.C.M. 14 novembre 1997, eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà con le misurazioni eseguite dal Comune, carenza di istruttoria e di motivazione.

Allegando dati tecnici la ricorrente denuncia che l’amministrazione comunale, a fronte di una carente indagine acustica della parte privata, che tra l’altro sarebbe in contrasto con le proprie misurazioni e conclusioni, abbia rilasciato i permessi di costruire senza richiedere integrazioni istruttorie e senza far applicare il criterio differenziale.

In proposito evidenzia che nei permessi di costruire è stata introdotta la prescrizione secondo cui 25 “dovranno essere soddisfatti i requisiti passivi di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 1997”: tale prescrizione, a parere della ricorrente, denoterebbe che il Comune sarebbe stato consapevole che andasse applicato il criterio differenziale, sicchè avrebbe dovuto negare il permesso a costruire.

4.2.7. Violazione dell’art. 4 lettera A e dell’art. 8 della legge n. 447/95; eccesso di potere per illogicità manifesta e violazione del principio di buona amministrazione.

Il Comune, in sede di rilascio di un permesso a costruire che possa determinare la vicinanza di una nuova abitazione con un impianto produttivo, in presenza di una fondata presunzione che ci possa essere un superamento dei limiti di immissioni previste dalla legislazione vigente ed in assenza di un adeguato cuscinetto tra le due destinazioni incompatibili, avrebbe dovuto imporre adeguate prestazioni tecniche idonee a garantire un efficace assorbimento del livello acustico.

Nel caso di specie, a prescindere dalla legittimità del piano acustico comunale, sarebbe indubbio che le due aree abbiano una destinazione urbanistica acusticamente inconciliabile (residenziale e produttiva) e che siano poste a confine senza che sia stata prevista una zona cuscinetto.

Nella memoria conclusiva in appello la ricorrente ha ribadito le proprie argomentazioni e, in punto di ammissibilità del gravame, ha richiamato la sentenza di questo Consiglio, Sez. IV, 12 dicembre 2019, n. 8443.

5. Il Comune, nel costituirsi in giudizio, ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del gravame.

In primo luogo osserva che la zonizzazione acustica approvata (e contestata) disegna un quadro di piena compatibilità con l’attuale contesto di produzione di rumore nelle aree, non essendo emersa – né la ricorrente l’avrebbe evidenziata – alcuna sua violazione in relazione alla classificazione ed alle regole imposte nelle aree di interesse dal nuovo Piano di zonizzazione acustica; al contrario sarebbe la stessa ricorrente ad aver dichiarato di non violarlo.

Parimenti, in relazione all’impugnazione dei permessi di costruire, rileva che non è stato imposto alcun obbligo in capo alla Secco Sistemi. I provvedimenti impugnati, in sostanza, non avrebbero, in concreto e nell’attualità, leso alcun interesse vantato dalla ricorrente, la quale conduce la propria attività senza aver modificato alcunché, essendo il livello di rumore esistente pienamente compatibile con le regole oggi vigenti, le quali dunque, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, rispetterebbero il preuso delle aree.

Il Comune richiama, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità, assorbito dal TAR, ponendo in luce come sia la classificazione acustica sia il rilascio dei permessi di costruire contestati derivino dai provvedimenti urbanistici (variante al P.R.G. del 2005-2007) ed attuativi (approvazione del P.U.A. del 2009) che hanno determinato ogni decisione tanto nella destinazione residenziale quanto nella localizzazione di lotti e edifici anche sulla fascia parallela agli impianti della ricorrente. Considerato che tali provvedimenti non sono mai stati contestati (così come non sono stati contestati i permessi di costruire già attuati sempre nella fascia di lottizzazione in discorso) il Comune non potrebbe oggi, in sede di valutazione acustica, prescindere in alcun modo né dal preuso (anche residenziale) delle aree né dal diritto della controinteressata di edificare lì dove provvedimenti validi ed efficaci consentono di farlo.

Secondo il Comune l’eventuale annullamento dei provvedimenti impugnati non potrebbe comunque portare ad una decisione che possa alleviare i limiti oggi imposti nelle aree in questione dal punto di vista acustico, essendo ormai incontestabili le decisioni urbanistiche ed attuative assunte a monte di tale zonizzazione.

Soffermandosi, in subordine, sui motivi di impugnazione il Comune li contesta come segue.

Innanzitutto osserva che la mera presenza di zone industriali sul territorio non comporta la necessità che le medesime siano classificate in classe VI; il Comune, nell’ambito della propria attività di pianificazione acustica, non può e non deve limitarsi a “fotografare” meccanicamente una situazione di fatto ma ben può agire in modo da garantire motivatamente il massimo livello di tutela per la popolazione.

Quanto alla presunta erroneità dei limiti di emissione/immissione, il Comune evidenzia che i dati rilevati presso il produttore e presso il percettore rispettano entrambi i limiti previsti dalle norme per la rispettiva classificazione e sono pienamente compatibili con la classificazione assegnata alle aree.

Inoltre evidenzia che, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non era possibile accomunare tutte le aree (ovvero la D1, di proprietà Secco e la C2 su cui ha edificato Edilglobo) in un’unica classe omogenea (la V) non essendo ammissibile la creazione di macrozone che comprendano parti del territorio del tutto eterogenee.

Quanto alla classificazione della zona C2 in classe IV (e non III o II come preteso dall’appellante) la stessa è stata una scelta meditata da parte dell’amministrazione che meglio tutelerebbe anche la stessa ricorrente e prenderebbe in considerazione, bilanciandole, le esigenze di tutela di diversi interessi rappresentanti dalle varie destinazioni urbanistiche, diverse ma giustapposte tra loro.

Il Comune contesta poi la tesi secondo cui non si sarebbe tenuto conto del preuso delle aree (industriali) osservando che la controinteressata Edilglobo ne vanta uno di valore identico, ma residenziale, sulle proprie: il Piano va aggiornato rispetto a tutte le evoluzioni urbanistiche del territorio e a tutela di tutta la popolazione dall’inquinamento acustico.

Quanto alle censure inerenti i permessi di costruire il Comune fa presente che le rilevazioni sono state eseguite correttamente e che il calcolo differenziale non è stato applicato non ricorrendone i presupposti.

Quanto alla censura secondo cui il Comune avrebbe dovuto imporre, in sede di rilascio del permesso di costruire, la previsione, nei nuovi edifici, di caratteristiche idonee a garantire il rispetto dei livelli di immissione acustica previsti, l’amministrazione dubita che la ricorrente abbia interesse ad una simile censura tenuto conto che il Comune ha prescritto chiaramente (con ogni onere conseguente a carico della controinteressata, e non certo della ricorrente) che gli edifici presentino i requisiti passivi previsti dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, ovvero ha fatto esattamente quello che pretende la ricorrente.

Le riportate argomentazioni difensive sono state ribadite anche nella memoria conclusiva.

6. La controinteressata Edilglobo ha svolto argomentazioni difensive di tenore analogo a quelle del Comune. Nella memoria conclusiva, in punto di ammissibilità, ha richiamato una recente pronuncia di questo Consiglio (Sez. II, 30 giugno 2022, n. 5420). Infine, nella memoria di replica ha fatto presente che gli immobili nelle more sono stati realizzati, ne è stata accordata l’abitabilità, sono stati alienati e sono abitati senza che la ricorrente abbia avuto alcuna ripercussione sulla sua attività né dal Piano né dall’edificazione. Il che, a parere della controinteressata, confermerebbe la correttezza della sentenza del TAR evidenziando per un verso la carenza originaria di interesse e, per altro verso, comunque, la carenza sopravvenuta ai fini della definizione del giudizio.

7. Al fine di rendere una pronuncia il più possibile esaustiva il Collegio ritiene di superare la questione dell’inammissibilità dell’impugnazione del Piano di zonizzazione acustica per assenza di lesività, alla quale si è fermato il giudice di primo grado, e di esaminare il merito del ricorso.

La questione dell’immediata impugnabilità del Piano in discorso, infatti, non si presta ad una risposta univoca, in ragione dell’approccio casistico ricavabile dalla giurisprudenza in materia, in particolare nei precedenti di seguito richiamati.

In una fattispecie in cui era impugnato un diniego di permesso di costruire perché in contrasto con la classificazione acustica di piano, è stato affermato che trattandosi di un atto pianificazione con effetti immediatamente conformativi dello ius aedificandi o, comunque, delle attività insediate sul territorio (imponendo il rispetto dei limiti assoluti di rumorosità propri di ciascuna classe), il piano avrebbe dovuto essere impugnato nel termine di decadenza decorrente dalla sua pubblicazione (Cons. Stato, Sez. IV, 4 agosto 2022, n. 6907).

In un caso relativo all’impugnazione di un’ordinanza che imponeva di predisporre un piano di bonifica e di adottare le misure necessarie per ridurre le emissioni sonore, è stato negato l’onere di immediata impugnazione del piano acustico, allorché l’interesse a contestarlo insorga solo a seguito dell’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2022, n. 5420).

In una fattispecie in cui il piano era stato impugnato con riferimento alla classificazione acustica impressa ad un’area industriale di proprietà della ricorrente è stato ravvisato l’interesse ad agire, dovendo l’impresa programmare l’attività produttiva secondo parametri che, sul piano acustico, siano coerenti con la destinazione e l’utilizzo dell’area (Cons. Stato, Sez. II, 1 giugno 2022, n. 4501).

In un caso di impugnazione del piano da parte di residenti le cui aree non erano tuttavia direttamente incise da una classificazione negativa, è stato affermato che, anche in materia di piani urbanistici, non è affatto escluso che i cittadini residenti nel Comune interessato possano impugnare anche parti del piano non riguardanti direttamente le loro proprietà, quando dimostrino che le scelte pianificatorie incidono sul godimento e sul valore di esse, a fortiori laddove i motivi di censura siano tali da travolgere il piano nel suo complesso, in quanto involgenti l'impostazione di fondo dell'attività pianificatoria ovvero radicali difetti di istruttoria a monte dell'attività medesima (Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301).

Ciò posto, prima di passare all’esame del merito, va considerato che l'onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l'ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale (Cons. Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2018, n. 135).

Il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non impingere nel merito delle scelte discrezionali adottate dall’amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301). Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023, n. 6451; id. Sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097).

Alla luce del delineato perimetro di indagine, devono essere esaminate le censure formulate nel ricorso introduttivo, non vagliate dal giudice di primo grado, seguendo un ordine logico.

7.1. Premesso che il territorio comunale dovrebbe risultare suddiviso in sei classi acustiche, la ricorrente sostiene che il Comune avrebbe ignorato la presenza di un’azienda di grandi dimensioni quale la Secco Sistemi e, nel non prevedere alcuna classe VI, avrebbe speso una motivazione incongrua e irragionevole, a tenore della quale per “garantire una maggiore tutela alla popolazione dall’inquinamento acustico rispetto alla precedente zonizzazione non verranno assegnate aree di classe VI”.

L’appellante sostiene che una maggiore tutela della popolazione si sarebbe potuta perseguire non certo evitando la classe VI bensì, ad esempio, evitando di prevedere una nuova zona residenziale di espansione all’interno di un’area industriale, oppure imponendo di individuare nel conseguente piano di lottizzazione le aree a standard urbanistici a confine tra la zona industriale e la zona residenziale di nuova formazione, così da creare una separazione fisica tra gli edifici di diversa destinazione urbanistica.

7.1.1. Così formulata, la censura innanzitutto appare inammissibile atteso che la ricorrente, sostanzialmente, pretenderebbe di sostituire alle scelte ampliamente discrezionali del Comune una propria impostazione pianificatoria: il che, non è consentito per quanto si è detto in premessa, oltre che in ossequio ai principi generali.

Peraltro la doglianza è anche infondata se solo si considera che l’illogicità o l’irragionevolezza che la ricorrente imputa al Comune, quand’anche sussistente, sarebbe riferibile, al più, alla pianificazione urbanistica che ha cronologicamente preceduto la pianificazione acustica. Il Comune pertanto ha armonizzato il piano di zonizzazione acustica con le scelte urbanistiche già compiute, ivi compreso il già approvato piano di lottizzazione sulla contigua zona residenziale, a cui poi hanno fatto seguito i permessi di costruire successivamente rilasciati.

7.1.2. La legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n. 447 prevede all’art. 4 che i Comuni procedano alla classificazione acustica «tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio» così assegnando priorità all’analisi degli strumenti vigenti di programmazione territoriale: nel caso di specie vengono in rilievo il piano regolatore generale e il piano urbanistico attuativo della zona residenziale limitrofa all’impianto della ricorrente.

La legge ora richiamata prevede, all’art. 6, che i Comuni garantiscano il coordinamento tra gli strumenti della pianificazione urbanistica e la zonizzazione, senza tuttavia entrare nel merito di eventuali specifici criteri necessari per ottenere concretamente tale coordinamento. Inoltre la legge inserisce nell’elenco dei provvedimenti per limitare l’inquinamento acustico, anche la pianificazione urbanistica e territoriale, che vengono pertanto riconosciute come strumenti di prevenzione e di risanamento acustico. Vi è quindi un evidente intento del legislatore di legare la programmazione urbanistica del territorio ad una sua programmazione “acustica”, pur lasciando le scelte di merito all’ampia discrezionalità delle amministrazioni.

A ciò deve aggiungersi, in ogni caso, che il fatto che il territorio possa essere ripartito in sei classi acustiche non comporta che necessariamente debbano essere previste tutte le sei classi, per cui nell’esercizio della propria discrezionalità l’amministrazione comunale può optare per una suddivisione in un minore numero di classi.

7.2. È infondata anche la censura secondo cui il Comune avrebbe motivato in modo illogico le proprie scelte.

Quando ha deciso che per “garantire una maggiore tutela alla popolazione dall’inquinamento acustico rispetto alla precedente zonizzazione non verranno assegnate aree di classe VI”, il Comune di Casier ha motivato le ragioni sottese alle scelte classificatorie, avuto riguardo allo stato dell’urbanizzazione e delle criticità riscontrate. Di conseguenza, come detto in premessa, il sindacato di legittimità del giudice deve arrestarsi alla soglia della non manifesta illogicità, irrazionalità o irragionevolezza della scelta compiuta, senza potersi spingere ad esaminare il merito dell’azione amministrativa.

7.3. La ricorrente, inoltre, dopo aver premesso che fino al 2005 il suo complesso industriale e l’area confinante ad est ricadevano in una unica zona industriale e che ad entrambe le aree (industriale e residenziale C2/26) era stata assegnata la medesima classe acustica VI, lamenta che il Comune, nell’aggiornare la classificazione acustica dell’originaria zona industriale, avrebbe commesso errori penalizzanti per la sua attività. Il primo errore sarebbe consistito nell’assegnazione di due classi diverse alle aree originariamente in un'unica classe, considerandole singolarmente e non unitariamente; il secondo nell’assegnazione alla zona residenziale solo una classe in meno, la IV, riferita ad “aree con limitata presenza di piccole industrie” (laddove invece industrie non ve ne sarebbero), al solo scopo di evitare che, assegnando la classe a suo dire corretta, cioè la II o la III, si dovesse creare una fascia di transizione, così da permettere un graduale passaggio del disturbo acustico da quello della zona di classe superiore a quella di classe inferiore.

Anche perché all’interno della fascia di transizione non trova applicazione, come all’interno della classe VI, il criterio di misurazione differenziale, il più gravoso da osservarsi per la ditta Secco. Richiama in proposito quanto affermato nella relazione tecnica del nuovo piano acustico a pag. 15: “Per il completamento della lottizzazione, dato che allo stato attuale le case di fronte all’impianto non sono ancora state realizzate, al fine di rispettare i limiti differenziali, si consiglia di verificare la possibilità con i proprietari dell’attività industriale di insonorizzare la sorgente di rumore, attraverso lo spostamento sulla facciata opposta o con interventi sull’impianto stesso (utilizzo di un impianto più silenzioso o la realizzazione di una baraccatura che ne isoli il rumore).” La ricorrente paventa che, essendo stato già riscontrato che nei confronti delle abitazioni, che potrebbero essere realizzate a pochi metri dallo stabilimento, non potranno essere rispettati i limiti differenziali di immissione dei rumori provenienti dall’attività, gli eventuali costi di bonifica finiranno con l’essere posti a carico dell’attività produttiva preesistente.

In definitiva secondo la ricorrente la scelta operata, di non ricomprendere le due aree nella medesima classe acustica VI o V e/o di non prevedere una fascia di transizione tra le due diverse zone, renderebbe illegittimo il piano.

7.3.1. Il motivo è nel complesso inammissibile per ragioni ulteriori rispetto a quelle rilevate dal TAR.

A tale proposito il Collegio non può non evidenziare come, ad oggi, nonostante le unità abitative sull’area residenziale limitrofa siano state realizzate e siano abitate, alla ricorrente non è stato imposto alcun obbligo di risanamento o di mitigazione acustica, per cui tutti i “timori” de futuro espressi in sede di ricorso introduttivo, in ordine a paventate misure penalizzanti, si sono rivelati infondati. La ricorrente ha prospettato infatti censure di natura meramente ipotetica e dubitativa, senza che una reale ed effettiva lesione della sua sfera giuridica si sia mai realizzata.

7.3.2. Ciò posto, le doglianze formulate sono inammissibili anche perché impingono nel merito di scelte ampiamente discrezionali dell’amministrazione.

In proposito giova richiamare quanto affermato da questo Consiglio secondo cui «in materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio.

Ciò rileva sotto un duplice aspetto.

Da un lato, rileva l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata.

Da un altro lato, rileva l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità edificatorie connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria» (Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2019, n. 8443).

Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, non può essere dato rilievo esclusivo agli usi effettivi “in atto” sul territorio (nell’ambito dei quali, peraltro, la ricorrente parrebbe dare preminente rilievo al suo impianto industriale), perché essi si limitano a rappresentare (staticamente) la realtà dell’uso del territorio, trascurando l’aspetto dinamico del suo governo.

Ed è su tale dinamicità che si regge, invece, la ratio della disciplina legislativa statale e di quella regionale, entrambe sostanzialmente rivolte a perseguire l’obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall’inquinamento acustico.

Questi due interessi generali, che potrebbero entrare materialmente in conflitto nel momento in cui al pianificatore comunale venissero imposti limiti troppo stringenti, vengono appunto regolati, dall’astratta previsione legislativa, dando rilievo alle preesistenti destinazioni urbanistiche. Laddove, invece, come prospetta la società ricorrente, si desse rilevo al solo preuso industriale, si verrebbe a creare una duplice limitazione: quella a carico dello strumento urbanistico già adottato e approvato, il quale non potrebbe più essere attuato secondo le originarie previsioni; quella a carico dei privati, che vedrebbero inevitabilmente ridotte le capacità edificatorie espresse dai propri fondi, attraverso l’imposizione di fasce cuscinetto.

7.3.3. Quanto precede depone per l’inammissibilità anche dei motivi con i quali la ricorrente censura scelte che sono riconducibili al piano regolatore generale e al piano attuativo sull’area limitrofa, ormai inoppugnabili, laddove la zonizzazione acustica non ha fatto altro che armonizzarsi con scelte urbanistiche già compiute e irreversibili.

Parimenti inammissibili sono le censure formulate avverso i permessi di costruire atteso che la ricorrente non ha interesse a dolersi della mancata imposizione ai privati di misure di mitigazione acustica, specie tenuto conto che neanche a suo carico è stata imposta alcuna misura di tal genere. Peraltro le censure sono anche infondate atteso che il Comune ha, in realtà, imposto prescrizioni alla Edilglobo, ordinando che gli edifici presentino i requisiti passivi previsti dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997.

7.4. Anche la decisione del Comune di non accorpare in un’unica zona l’area su cui insiste l’impianto della ricorrente e l’area contigua in parte residenziale non appare illogica nella prospettiva dinamica di cui si è detto, avendo l’amministrazione tenuto conto del diverso assetto del territorio che si è andato delineando negli anni rispetto alla situazione esistente alla data del previgente piano acustico.

Parimenti coerente appare la scelta di classificare le due aree interessate in IV e V, scelta che invece la ricorrente, con una affermazione che rimane una mera illazione, attribuisce al presunto intento di evitare che, assegnando la classe II o III, si dovesse creare una fascia cuscinetto, così da permettere un graduale passaggio del disturbo acustico da quello della zona di classe superiore a quella di classe inferiore. Dagli atti emerge, viceversa, che il Comune ha optato per tale soluzione non avendo ravvisato aree in accostamento critico.

L’art. 4 della legge n. 447/95 stabilisce infatti il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA di livello sonoro equivalente: scostamento che, nel caso di specie, non risulta superato, come si vedrà infra.

7.4.1. Secondo il DPCM del 14 novembre 1997, la classe IV riguarda «aree di intensa attività umana: rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie; le aree portuali, le aree con limitata presenza di piccole industrie»; e la classe V riguarda «aree prevalentemente industriali: rientrano in questa classe le aree interessate da insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni».

La doglianza secondo cui il Comune avrebbe errato nell’attribuire la classe IV alla zona limitrofa si appalesa inammissibile non potendo la ricorrente pretendere di sostituire le proprie valutazioni, a proposito della configurazione dell’area adiacente classificata IV, a quelle dell’amministrazione la quale ha invece motivato tale decisione evidenziando che “l’area è situata in un contesto urbanistico eterogeneo, caratterizzato dalla presenza di funzioni residenziali e produttive, che si distinguono per densità di popolazione e traffico veicolare” (così nella relazione tecnica di controdeduzione, doc. 10, pag. 2).

7.5. La ricorrente, infine, contesta la classificazione della zona residenziale C2, contigua ai propri impianti, in classe IV, anche in quanto, a suo dire, sarebbe errato il presupposto su cui tale classificazione si basa, ossia che la situazione rilevata nelle aree sia effettivamente compatibile con i limiti previsti per la ridetta classe.

Secondo la ricorrente la misurazione diurna effettuata accanto agli impianti, pari a 64,7 dBA, sarebbe superiore al limite di emissione diurna previsto per la classe IV (pari a 60 dBA), quindi ritiene che sia stato erroneamente assunto il presupposto di compatibilità del livello di rumore della zona residenziale con la classe IV.

7.5.1. La censura è infondata in quanto poggia su un presupposto errato.

L’art. 2 della legge n. 447/85 definisce:

«e) valori limite di emissione: il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora, misurato in prossimità della sorgente stessa;

f) valori limite di immissione: il valore massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno, misurato in prossimità dei ricettori».

Nel caso di specie, come obiettato dal Comune, il limite di 64,7 dBA rilevato in pieno giorno, a pochi metri dall’impianto sorgente, deve essere riferito ai limiti di “emissione” diurna previsti per la classe ove la sorgente si trova, che è la V (l’impianto, infatti, si trova nella zona D1), e non già la IV, che è la classe assegnata alla limitrofa area residenziale.

La classe V prevede un valore limite di 65 dBA.

Al contrario, i livelli di 48 dBA/41 dBA (diurno/notturno) sono quelli che, rilevati nella zona C2, e dunque in classe IV, presso il ricettore, devono essere riferiti appunto ai limiti di “immissione” previsti per la classe IV, che sono 65/55 dBA diurno/notturno. Ne discende che, entrambi i limiti, di “emissione” e di “immissione” per le rispettive classi risultano rispettati.

Risulta, quindi, infondata la tesi della ricorrente secondo cui si sarebbe dovuto applicare il criterio differenziale, parametro di valutazione che si applica alle zone non esclusivamente industriali e che si basa sulla differenza di livello tra il "rumore ambientale" e il "rumore residuo", il quale non si applica se il rumore misurato a finestre aperte è inferiore a 50 dBA durante il periodo diurno.

La stessa ricorrente ricorda che l’art. 4 del D.P.C.M. 14 novembre 1997 esenta dalla necessità di applicare il calcolo differenziale – consentendo di limitarsi alla verifica del rumore in termini assoluti – laddove il “rumore misurato a finestre aperte sia inferiore a 50 dB(A) durante il periodo diurno e 40 dB(A) durante il periodo notturno”.

Nella relazione acustica allegata ai permessi di costruire si riferisce di una misurazione dei limiti di immissione riscontrati “a finestra aperta” in periodo diurno, presso gli immobili oggetto del permesso di costruire, rilevando un livello pari a 46 e 41 dBA.

Né può sostenersi che tale misurazione, poiché durata solo 5 minuti, non sia sufficiente: infatti nel caso di specie la fonte di rumore problematica è rappresentata dagli impianti produttivi della ricorrente e dal loro funzionamento, il quale è di tipo costante quando i macchinari sono in funzione. Pertanto la circostanza che la misurazione sia durata 5 minuti, in un contesto di rumore costante non è rilevante, poiché una maggior durata non avrebbe fatto rilevare livelli diversi o maggiori.

Conclusivamente, per quanto precede, essendo state esaminate tutte le censure formulate in primo grado, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata con parziale diversa motivazione.

8. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra tutte le parti in considerazione della non univocità degli orientamenti giurisprudenziali di cui si è dato conto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando la sentenza impugnata con motivazione in parte diversa.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in collegamento da remoto, nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2023, con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Carmelina Addesso, Consigliere

Antonio Massimo Marra, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere, Estensore