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TAR UMBRIA, sent. 8 aprile 2004
Ciliegi c Comune di Gubbio

In tema di criteri per l'applicazione dei livelli di concentrazione di cui al D.M. n.471/1999,

Si ringrazia l'Avv. Ilenia Filippetti per la segnalazione

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Dec.n. 168

depositata

8 aprile 2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Umbria ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 392/2003, proposto da Italo CILIEGI, rappresentato e difeso dall’avv. Ubaldo Minelli, anche domiciliatario in Perugia, alla Via XIV Settembre n. 3;

contro

- il Comune di Gubbio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ilenia Filippetti ed elettivamente domiciliato in Perugia presso l’Avvocatura della Provincia di Perugia, alla Piazza Italia, n. 11;

- il dirigente pro-tempore del Settore Servizi pubblici manutentivi ed ambiente – Unità organizzativa Servizio ambientale - del Comune di Gubbio, nonché l’A.R.P.A. Umbria, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

della ordinanza sindacale prot. 20657 n. 8858 in data 13 giugno 2003, nonché della presupposta nota dell’ARPA - Distretto di Gubbio - prot. AG/215/ARPA/Sezione Territoriale, in data 12 marzo 2003;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gubbio;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2004 la relazione del dott. Pierfrancesco Ungari, uditi i difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

1. Il ricorrente ha svolto per anni attività di rottamazione di autovetture in località San Lazzaro del Comune di Gubbio.

Con le ordinanze sindacali n. 7150/1999 e n. 7201/1999 era stata imposta al ricorrente la bonifica dell’area.

Con ordinanza sindacale n. 7916/2001, stante la non piena ottemperanza del ricorrente, il quale aveva rimosso i rifiuti giacenti sul terreno, senza provvedere all’asportazione dello strato di terreno (“… presumibilmente inquinato per effetto della giacenza, per lungo tempo, di carcasse di autoveicoli, batterie per auto, ed altro, con assorimento di oli combustibili, lubrificanti e materiali che normalmente accompagnano tale tipo di rifiuti” - cfr. documento istruttorio recepito dall’ordinanza), il Comune di Gubbio ha stabilito effettuare gli opportuni accertamenti tecnici ed amministrativi ed ha prorogato al 31 dicembre 2001 il termine per procedere alla bonifica d’ufficio del sito.

L’A.R.P.A., incaricata della campionatura del terreno, con nota prot. AG/215 in data 12 marzo 2003, ha trasmesso referti analitici che evidenziano, con riferimento ai siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale, di cui alla tabella 1, allegato 1, del D.M. 471/1999, il superamento dei limiti di concentrazione nel suolo previsti per i parametri: cadmio, piombo, zinco, idrocarburi totali.

Sulla base di detto accertamento, con ordinanza sindacale n. 8858 in data 13 giugno 2003, è stato ordinato al ricorrente, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 22/1997, di provvedere agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell’area (a cominciare dalla presentazione del relativo progetto entro 45 giorni dalla notifica del provvedimento).

2. Avverso l’ordinanza n. 8858/2003 (e l’accertamento presupposto) il ricorrente deduce censure così sintetizzabili:

- violazione dell’art. 7 della legge 241/1990, per omissione della comunicazione di avvio del procedimento;

- violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, in quanto né il provvedimento né la nota dell’A.R.P.A. indicano puntualmente l’entità dei valori che si assumono superiori ai limiti consentiti;

- violazione dell’art. 1 della legge 689/1981 e del principio di legalità, posto che si tratta di zona agricola per la quale il D.M. 471/1999 non prevede limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, di modo che l’applicazione dei limiti previsti per le aree destinate a verde pubblico costituisce un applicazione analogica in malam partem, viceversa da escludersi in materia sanzionatoria;

- violazione del principio di ragionevolezza dell’attività amministrativa, in quanto, dopo la cessazione dell’attività e la rimozione dei materiali ferrosi da parte del ricorrente, il Comune si è disinteressato per anni della bonifica del sito e soltanto dopo cinque anni impone l’intervento postulando il pericolo legato all’inquinamento delle falde acquifere o alla coltivazione del terreno, fatti che tuttavia non si sono verificati.

3. Il Comune di Gubbio si è costituito in giudizio, controdeducendo puntualmente.

Non si è costituita l’A.R.P.A., pure intimata.

4. Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 17, comma 2, del d.lgs. 22/1997, “Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento (…)”.

Ai sensi del successivo comma 9, “Qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d'ufficio dal Comune territorialmente competente e ove questo non provveda dalla Regione, che si avvale anche di altri enti pubblici (…)”.

I menzionati limiti (limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti), unitamente alle procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni ed ai criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica, sono stati poi definiti, ai sensi del predetto articolo 17, comma 1, dal D.M. 471/1999.

Il ricorso, è bene sottolinearlo, non mette in discussione il fatto che l’inquinamento del sito sia riconducibile all’attività di autorottamazione che il ricorrente vi ha esercitato, né contesta in via di principio l’applicabilità delle disposizioni sopra richiamate.

L’accertamento della responsabilità del ricorrente, d’altro canto, costituisce il presupposto delle ordinanze sindacali n. 7150/1999 e n. 7201/1999 (nonché di precedenti ordinanze, come appresso precisato), che non risultano impugnate.

5. Ciò premesso, va disattesa l’eccezione di inammissibilità per omessa impugnazione delle ordinanze sindacali n. 7150/1999, n. 7201/1999 e n. 7916/2001.

E’ ipotizzabile che il Comune avrebbe potuto già in passato attuare l’esecuzione d’ufficio della bonifica, stante la non (piena) ottemperanza del ricorrente a quanto ordinatogli.

Tuttavia, anche tenendo conto della sopravvenienza del D.M. 471/1999, che ha dettato la disciplina regolamentare attuativa dell’art. 17 del d.lgs. 22/1997 (indicando, in particolare, sia i limiti di concentrazione degli inquinanti al cui superamento consegue l’obbligo di bonificare il sito contaminato, sia le modalità procedimentali della bonifica), il Comune ha ritenuto opportuno acquisire le analisi sull’inquinamento del terreno, e percorrere poi, sulla base delle risultanze degli accertamenti, la via del rinnovo dell’ingiunzione nei confronti del soggetto che, pacificamente, risulta responsabile dell’inquinamento.

In altri termini, ha ritenuto di accertare puntualmente l’inquinamento del terreno, che con l’ordinanza sindacale n. 7916/2001 veniva soltanto presunto.

Così facendo, il Comune ha implicitamente riaperto il procedimento previsto dall’art. 17, per quanto riguarda l’individuazione della effettiva consistenza dell’inquinamento da rimuovere, con la conseguenza che l’impugnazione non incontra alcuna preclusione per effetto dell’inoppugnabilità dei provvedimenti adottati nelle precedenti fasi procedimentali.

Del resto, si evince dagli atti che una vicenda simile si era già verificata, con la fattiva partecipazione del ricorrente. Infatti, nonostante l’ordinanza n. 6113/1997 comportasse (in esito all’inottemperanza delle ordinanze n. 3661/1992 e n. 4921/1996) l’esecuzione d’ufficio della bonifica del sito, con ordinanza n. 6166 in data 25 novembre 1997 era stata accolta l’istanza (presentata in pari data) del ricorrente volta ad ottenere la proroga del termine per provvedere direttamente ai lavori.

Può dunque senz’altro convenirsi con la difesa del ricorrente che la spiegazione di tali inconcludenti reiterazioni stia nel fatto che “la bonifica del terreno comporta costi molto elevati, che l’Amministrazione Comunale ha sempre cercato di evitare, sperando che gli stessi fossero sopportati in primis dal ricorrente, anche se ciò ha significato rimandare di anno in anno l’esecuzione d’ufficio e la bonifica di un terreno, asseritamene molto inquinato” (pag. 7 della memoria conclusiva).

Ciò, tuttavia, se evidenzia un’inerzia amministrativa (insieme, comunque, alla natura oggettiva delle difficoltà che notoriamente si incontrano nella progettazione ed esecuzione delle operazioni di bonifica), non fa certo venir meno l’obbligo del ricorrente di bonificare il sito a sue spese.

6. Nel merito, il ricorso è infondato e dev’essere respinto.

6.1. In presenza di un obbligo di facere (e tale era indubbiamente la situazione del ricorrente, a seguito delle ordinanze n. 7150/1999 e n. 7201/1999), la verifica dell’ottemperanza costituisce una fase procedimentale indefettibile, tanto che potrebbe dubitarsi della necessità di un’ulteriore comunicazione di avvio del procedimento.

In ogni caso, l’A.R.P.A., con nota prot. 42333 in data 6 dicembre 2002, ha provveduto a comunicare al ricorrente l’accesso al terreno in data 16 dicembre 2002 per effettuare carotazioni e campionamenti “al fine ulteriore di completare l’opera di bonifica”.

A tali operazioni ha presenziato il ricorrente (cfr. nota A.R.P.A. prot. AG/215/2003).

La circostanza che, a seguito dei campionamenti, il Comune abbia rinnovato l’ordinanza nei confronti del ricorrente, anziché procedere subito nella direzione dell’esecuzione d’ufficio della bonifica, non toglie efficacia alla predetta comunicazione di avvio del procedimento. Il ricorrente, infatti, non avrebbe avuto alcun vantaggio ad essere tenuto a rimborsare i costi della bonifica subito, rispetto all’esservi tenuto soltanto quando, a seguito della verifica dell’inottemperanza all’ordinanza impugnata, il Comune si fosse finalmente determinato ad avviare d’ufficio le procedure di bonifica (né, peraltro, nel ricorso viene sostenuto il contrario); senza contare che il provvedimento impugnato ha offerto al ricorrente un ulteriore possibilità di scegliere, qualora lo ritenesse opportuno, di bonificare l’area direttamente, svolgendo un ruolo propositivo nella progettazione dei tempi, delle modalità e degli strumenti di esecuzione dell’intervento (con evidente incidenza sui costi connessi).

Se si considera poi l’annosità della vicenda, il ruolo avuto dal ricorrente (il quale, va ribadito, prima dell’impugnazione oggetto del presente giudizio, aveva chiesto ed ottenuto proroghe dei termini stabiliti per i propri adempimenti), occorre concludere che le esigenze partecipative sono state pienamente rispettate.

6.2. Al superamento dei limiti di concentrazione indicati nella tabella 1, allegato 1, del D.M. 471/1999, consegue l’obbligo di bonifica a cura e spese del responsabile o, qualora questi, ovvero il proprietario dell’area o qualsiasi altro soggetto interessato non adempia, l’intervento in danno da parte dell’Amministrazione competente (nel caso in esame, trattandosi di bonifica di interesse locale, il Comune).

Ciò che può variare, a seconda della gravità e pericolosità dell’inquinamento in atto e della concreta fattibilità degli interventi, sono gli obiettivi, le modalità ed i tempi (secondo una graduazione, sotto il profilo dell’efficacia disinquinante, che prevede tre tipologie di interventi: bonifica e ripristino ambientale, bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale, messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale: cfr. artt. 4, 5 e 6, D.M. 471/1999).

In particolare, la circostanza che non sussista – come sostiene, peraltro apoditticamente, il ricorrente - un pericolo imminente legato all’inquinamento delle falde acquifere o alla coltivazione del terreno, potrebbe comportare una dilazione dei tempi di intervento, o anche una maggior scelta tra gli interventi adottabili, con possibilità di scegliere quelli meno costosi. Non può però condurre ad escludere l’obbligo di intervenire sul sito. Le censure del ricorrente indirizzate in tal senso non colgono perciò nel segno.

La nota A.R.P.A. prot. AG/215/2003, indica puntualmente i punti di campionamento (cfr. allegato 2) ed i valori di concentrazione limite accettabili nel suolo per siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale, di cui alla tabella 1, allegato 1, del D.M. 471/1999, che risultano superati con riferimento ai parametri cadmio, piombo, zinco, idrocarburi totali (allegato 3).

Detta nota viene richiamata e recepita dall’ordinanza impugnata.

Non sussiste, quindi, neanche sotto tale profilo il lamentato difetto di motivazione.

6.3. La predetta tabella 1, nel considerare i valori di concentrazione limite accettabili nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti, distingue tra:

- i valori di concentrazione limite accettabili per le sostanze presenti nel suolo e sottosuolo di siti a destinazione d'uso “verde pubblico, verde privato, residenziale”, indicati nella colonna A;

- i valori di concentrazione limite accettabili per le sostanze presenti nel suolo e sottosuolo di siti a destinazione d'uso “industriale e commerciale” indicati nella colonna B.

Peraltro, secondo l’art. 17, comma 15, del d.lgs. 22/1997 “I limiti, le procedure, i criteri generali di cui al comma 1 ed i progetti di cui al comma 14 relativi ad aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento sono definiti ed approvati di concerto con il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali”. Tale previsione non è stata ancora attuata.

Tuttavia, può condividersi l’avviso dell Istituto Superiore di Sanità (cfr. nota prot. 051899 in data 6 novembre 2003), nel senso che, in attesa di una revisione del D.M. 471/1999 che consideri espressamente anche gli standard di qualità per i suoli agricoli, per questi ultimi trovano applicazione i valori della colonna A, tenuto conto che “i valori di concentrazione per i parametri ivi citati possono essere considerati sufficientemente cautelativi anche in relazione a scenari multipli di esposizione umana (ingestione, inalazione e contatto dermico) sia di tipo diretto che indiretto”.

Una diversa interpretazione condurrebbe a ritenere, nella maggior parte dei casi, non operativa la normativa sulle bonifiche, senza apprezzabili ragioni di tutela di interessi pubblici o privati.

Soprattutto, occorre considerare che:

- a ben vedere, nel sistema di tutela delineato dalle disposizioni dell’art. 17, la bipartizione su cui è incentrata la tabella 1, allegato 1, del D.M. 471/1999, può intendersi come una semplificazione comprensiva dell’intera gamma delle possibili destinazioni urbanistiche dei siti contaminati, alle quali vanno raccordati i risultati dell’intervento di bonifica;

- d’altra parte, una destinazione urbanistica a verde agricolo, può legittimamente comportare utilizzazioni che nulla hanno a che vedere con la coltivazione e l’allevamento e svolgere, in particolare, la funzione di assicurare il mantenimento di spazi tra le zone edificate, anche a fini di tutela ambientale e paesaggistica (ciò spesso avviene proprio per le aree periurbane, dove si trova la gran parte dei siti industriali dimessi da bonificare);

- la menzione, al citato comma 15, delle aree destinate alla produzione agricola ed all’allevamento, introduce una specificazione nell’ambito delle aree destinate a “verde”, legata non tanto alla destinazione urbanistica, quanto alle caratteristiche dell’utilizzazione che delle aree verrà fatta in concreto.

In questa prospettiva, anche tenendo conto delle sostanziali esigenze di tutela, i valori della colonna A, più restrittivi di quelli della colonna B, possono ritenersi validi per tutte le utilizzazioni delle aree che, ancorché diverse da quelle direttamente evocate dalle destinazioni urbanistiche tipiche menzionate nella tabella 1, appaiano tuttavia tali da comportare un pericolo potenziale per l’ambiente e la salute umana analogo o addirittura superiore.

Sembra quindi ragionevole ritenere (conformemente all’avviso dell’I.S.S., sopra riportato) che la coltivazione connessa alla destinazione agricola, permettendo alle sostanze inquinanti di essere assimilate nei prodotti destinati all’alimentazione, richieda limiti di concentrazione non meno cautelativi di quelli ritenuti adeguati per il verde (urbano).

In conclusione, in attesa di specificazioni regolamentari, i limiti riferiti alle destinazioni a verde (urbano), pubblico o privato, valgono anche per il verde agricolo.

Pertanto, anche sotto quest’ultimo aspetto le censure dedotte si dimostrano infondate.

7. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo dell'Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Gubbio della somma di Euro 2.000 (duemila) per spese di giudizio.

La presente sentenza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria di questo Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Perugia, nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2004, con l'intervento dei magistrati:

Avv. Pier Giorgio Lignani Presidente

Avv. Annibale Ferrari Consigliere

Dott. Pierfrancesco Ungari Consigliere, estensore.

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Pierfrancesco Ungari F.to Pier Giorgio Lignani