Cass. Sez. III n. 8050 del 23 febbraio 2024 (UP 1 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Berardi
Rifiuti.Stoccaggio

Essendo lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti un reato avente natura permanente, la sua consumazione termina con la rimozione della situazione di fatto abusiva, ossia con la cessazione volontaria della condotta (ovvero, si aggiunge, con quella imposta dal sequestro del bene, ovvero ancora dalla sentenza di primo grado)

RITENUTO IN FATTO 
 
1. Con sentenza in data 04/05/2023, il Tribunale di Frosinone condannava Walter Berardi alla pena di euro 5.000 di ammenda in relazione alla contravvenzione di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), d. lgs. 152/2006, per avere – in qualità di legale rappresentante della ditta individuale omonima - effettuato in assenza di autorizzazione una attività illecita di stoccaggio e smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi in Castro dei Volsci, loc. Montenero, e in particolare di oltre 15.000 taniche in plastica già contenenti soluzione fisiologica utilizzata per la dialisi. Reato accertato in data 4 novembre 2019.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, censurando, con l’unico motivo, la violazione degli articoli 157 e 161 cod. pen..
Ritiene il ricorrente che il reato contestato abbia natura di reato istantaneo e non permanente, come invece ritenuto in sentenza, per cui al momento della sentenza il reato era prescritto, essendo fuor di dubbio che l’imputato abbia cessato la propria attività professionale nel 2000.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

    1. Il ricorso è inammissibile.

2. La giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 39544 del 11/10/2006, Tresolat, Rv. 235703) ha affermato il principio secondo cui, quando il deposito di rifiuti non possiede i requisiti fissati dalla legge (art. 183 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152) per essere qualificato quale «temporaneo», si realizza, secondo i casi: 
a) un «abbandono» ovvero un «deposito incontrollato» (sanzionati dagli artt. 255 e 256, c.2, d. lgs.152/2006); 
b) un «deposito preliminare» ad operazioni di smaltimento, necessitante della prescritta autorizzazione in quanto configura una forma di «gestione» dei rifiuti; 
c) una «messa in riserva» in attesa di recupero, anch'essa soggetta ad autorizzazione in quanto forma di gestione dei rifiuti.
Per le ipotesi sub b) e c), la mancanza di autorizzazione è sanzionata ex art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152/2006. 
In base alla lett. bb) dell’art.183, comma 1, d.P.R. 152/2006, rappresenta «deposito temporaneo (prima della raccolta)» il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta, alle condizioni previste dall'articolo 185-bis, tra le quali, che i rifiuti non pericolosi, vengano raccolti nel luogo in cui i sono prodotti; che vengano raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento quanto meno con cadenza trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero  quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi (in ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno); inoltre il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche nel rispetto delle norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose.
A norma del d.lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. aa), rappresentano «stoccaggio» quelle attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di «deposito preliminare» di rifiuti (di cui al punto D15 dell'Allegato B alla parte IV del decreto), nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di «messa in riserva» di materiali (di cui al punto R13 dell'Allegato C alla medesima parte quarta).
Il «deposito incontrollato» di rifiuti, previsto all’art. 192, disciplinato assieme all’“abbandono” di rifiuti e sanzionato dall’art. 256, comma 2, del d.lgs n. 152/2006, non è definito dal Testo Unico, ma la sua nozione si desume “a contrario” da quella di deposito temporaneo.

3. Nel caso concreto, nell’editto venivano contestati, in forma alternativa, uno «stoccaggio» ovvero un «deposito incontrollato» di rifiuti, finalizzati ad un successivo smaltimento, anche se il reato contestato era solo l’articolo 256, comma 1, lettera a), ossia la gestione illecita di rifiuti speciali non pericolosi («stoccava ovvero depositava in modo incontrollato, con finalità di smaltimento illecito, un ingente quantitativo di rifiuti speciali sanitari») e non anche il comma 2.
La sentenza, invece, ritiene chiaramente sussistente la condotta di «stoccaggio» in assenza di autorizzazione, e in particolare di un «deposito preliminare» (art. 256, c.1) realizzato in vista di successive operazioni di smaltimento, ma mancante dei requisiti previsti per essere considerato un deposito temporaneo lecito (v., per un caso analogo, Sez. 3, n. 28890 del 24/03/2011, Trapletti, n.m.).
Il giudice ciociaro richiama, a tal proposito, quella giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 47991 del 24/09/2015, Spinelli, Rv. 265970 - 01) secondo cui «in tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di cui all'articolo 256, comma primo, d.lgs. n. 152 del 2006 lo stoccaggio senza autorizzazione di rifiuti effettuato in mancanza delle condizioni di qualità, di tempo, di quantità, di organizzazione tipologica e di rispetto delle norme tecniche richieste per la configurabilità di un deposito temporaneo ai sensi dell'art. 183, comma primo, lett. m) (ora lett. bb), del medesimo decreto».
Dalla qualificazione giuridica della condotta in termini di stoccaggio deriverebbe, quanto al profilo della prescrizione del reato (v. Sez. 3, Sentenza n. 39373 del 14/04/2015, Celi, Rv. 264714 – 01) che, essendo lo stoccaggio di rifiuti un «reato avente natura permanente», la sua consumazione «termina con la rimozione della situazione di fatto abusiva» (conformi, Sez. 3, n. 1017 del 16/11/1994, dep. 1995, Liuni, Rv. 201412; Sez. 3, n. 37114 del 14/06/2023, Eco Demolizioni srl, Rv. 285210 – 02), ossia con la cessazione volontaria della condotta (ovvero, si aggiunge, con quella imposta dal «sequestro» del bene, circostanza non verificatasi nel caso di specie, ovvero ancora dalla sentenza di primo grado, come avvenuto nel caso di specie, come emerge da pag. 2 della sentenza (per la decorrenza del termine di prescrizione nei reati permanenti, v., ex multis, Sez. 3, n. 5480 del 12/12/2013, dep. 2014, Manzo, Rv. 258930 – 01, in termini).

3. Il ricorrente non si confronta affatto in modo realmente critico con la sentenza impugnata.
Ed infatti, per un verso, riconduce reiteratamente la condotta contestata al solo «smaltimento» (v. pag. 3 del ricorso: «effettuava attività di smaltimento di rifiuti speciali nono pericolosi»; pag. 5: «è emerso che l’attività di gestione illecita dei rifiuti, consistita nello smaltimento…»), obliterando del tutto la riconduzione, operata dal giudice, della condotta all’attività preliminare di stoccaggio «finalizzato» ad un successivo smaltimento.
Per altro verso  il ricorrente riporta, a sostegno della tesi della natura «istantanea» del reato, una serie di pronunce aventi ad oggetto non già lo stoccaggio, ritenuto sussistente in sentenza, bensì l’abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti, salva l’affermazione, secondo cui secondo cui plurime condotte di abbandono incontrollato concretizzerebbero uno stoccaggio di rifiuti (il richiamo è, verosimilmente, a Sez. 3, n. 32305 del 24/05/2022, Vitali, n.m.), affermazione che, tuttavia, non viene affatto sviluppata nel ricorso, ma rimane del tutto generica e apodittica.
Il ricorso, pertanto, risulta privo della necessaria specificità estrinseca, risultando in tal modo inammissibile per genericità (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
La funzione tipica dell'impugnazione, infatti, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. 
Essa si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, cit.).

4. Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M. 
    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 01/02/2024.