SEZ. 3 SENT. 12851 DEL 20/03/2003 (UD.13/02/2003) RV. 224475
PRES. Zumbo A REL. Grillo C COD.PAR.392
IMP. Favale F PM. (Parz. Diff.) Di Zenzo C
614001 SANITA' PUBBLICA - IN GENERE - Smaltimento di rifiuti - Materiale da scavo di strade - Nuove disposizioni di cui alla legge n. 443 del 2001 - Natura di rifiuto - Persistenza.
D. LG. DEL 5/2/1997 NUM. 22 ART. 6
D. LG. DEL 5/2/1997 NUM. 22 ART. 8
L. DEL 21/12/2001 NUM. 443
I materiali da scavo di strade continuano a costituire rifiuti anche dopo l'entrata in vigore della legge 12 dicembre 2001 n. 443, che ha escluso dalla disciplina dei rifiuti le terre e rocce da scavo, atteso che non sono costituiti esclusivamente da terriccio e ghiaia, ma altresi' da pezzi di asfalto e di calcestruzzo, costituenti pacificamente rifiuti non pericolosi ai sensi delle disposizioni di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (contra Cass. Sez. III 11/02/2003 n. 13114 in corso di massimazione).
Fonte CED Cassazione Nuova pagina 1
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
composta dagli Ill.mi signori:
Dott. Antonio ZUMBO Presidente
Dott. Pierluigi ONORATO Consigliere
Dott. Claudia SQUASSONI "
Dott. Luigi PICCIALLI "
Dott. Carlo GRILLO "
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FAVALE FRANCESCO, nato a Matera l'1/12/1957;
avverso la sentenza n. 7274/01 del 18-26/6/2001, pronunciata dal Tribunale di Milano.
Letti gli atti, la sentenza denunciata ed i ricorsi;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Carlo M. Grillo;
udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale C. Di Zenzo, con cui chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
la Corte osserva:
FATTO E DIRITTO
Con la decisione indicata in premessa, il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, condannava Favale Francesco alla pena di L. 6.000.000 di ammenda in ordine ai reati, ritenuti in continuazione, di cui agli artt. 48 c.p. e 51, comma 1 lett. a), D. L.vo n. 22/1997, commesso il 10/6/99, ed all'art. 51, comma 2 lett. a), dello stesso decreto, commesso tra il giugno 99 ed il gennaio 2000, perché -quale responsabile della ESE Impianti, che realizzava lavori di scavo per conto della A.E.M.- aveva fatto effettuare ad Adriano Valentino il trasporto di rifiuti non pericolosi, inducendolo in errore sulla loro qualità, con autocarro non iscritto al relativo Albo, e per aver successivamente abbandonato detti rifiuti, che interrava.
Avverso detta decisione propone ricorso l'imputato, deducendo:
1) violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 51, commi 1 e 2 lett. a), D. L.vo n. 22/1997, nonché per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, avendo il giudice ritenuto applicabile al caso di specie la disciplina dei rifiuti, fondando il proprio convincimento sulla valutazione dei testi escussi, quantunque sprovvisti di adeguata preparazione tecnica in materia, e senza effettuare un accertamento peritale idoneo a verificare la reale ed effettiva natura del materiale oggetto di contestazione; 2) violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b) ed e), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 48 c.p., nonché per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in quanto il materiale in questione, non essendo riconducibile alla categoria dei "rifiuti", poteva essere legittimamente trasportato dall'automezzo del Valentino, non iscritto nell'apposito Albo, non essendo stata d'altronde accertata alcuna sua condotta finalizzata a trarre in inganno l'addetto al trasporto circa la natura del carico, come richiede il menzionato art. 48 c.p..
All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. conclude come riportato in premessa.
Il ricorso è infondato.
Per quanto concerne la prima doglianza, riguardante la consistenza del materiale oggetto di trasporto e smaltimento, rileva il Collegio che essa si concreta in una censura alla valutazione delle emergenze processuali effettuata dal giudice del merito.
Ricordato che l'attuale codice di rito prevede come motivo di ricorso per cassazione, attinente alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità di essa (quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento), e non anche la sua insufficienza, reputa il Collegio che, nel caso in esame, non ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo il Tribunale spiegato, ampiamente e senza vizi logici, le ragioni del proprio convincimento.
In particolare, per quanto attiene al giudizio di penale responsabilità dell'imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato -per espressa volontà del legislatore- a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Alla luce di tale consolidato principio di diritto, deve osservarsi che il giudice del merito ha specificamente e correttamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che il materiale trasportato e successivamente scaricato fosse da qualificarsi "rifiuto".
Ha evidenziato, invero, che non si trattava di semplice materiale di scavo, come pretende il ricorrente, giacché esso conteneva, oltre alla ghiaia ed al terriccio, anche pezzi di asfalto colato e di massetto in calcestruzzo, costituenti pacificamente "rifiuti non pericolosi", da trasportare e smaltire, quindi, col rispetto delle prescrizioni del D. L.vo n. 22/1997. Avendo raggiunto tale prova in maniera convincente, il giudice ha ritenuto superfluo l'espletamento della perizia; determinazione adeguatamente motivata che, attenendo alla valutazione delle risultanze probatorie, è incensurabile in questa sede.
Non merita accoglimento neppure la seconda doglianza perché, pur se non fosse ravvisabile, nel caso di specie, la responsabilità del prevenuto ex art. 48 c.p., come ritenuto dal Tribunale, in ogni caso il Favale dovrebbe rispondere a titolo di concorso nel reato con l'abusivo trasportatore, al quale pacificamente aveva commissionato il servizio, e che non è mai stato tratto a giudizio proprio perché ritenuto indotto in errore dal predetto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2003.
Depositato in cancelleria il 20 marzo 2003 .
composta dagli Ill.mi signori: Dott. Antonio ZUMBO Presidente Dott. Pierluigi ONORATO Consigliere Dott. Claudia SQUASSONI " Dott. Luigi PICCIALLI " Dott. Carlo GRILLO " ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: FAVALE FRANCESCO, nato a Matera l'1/12/1957; avverso la sentenza n. 7274/01 del 18-26/6/2001, pronunciata dal Tribunale di Milano. Letti gli atti, la sentenza denunciata ed i ricorsi; udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Carlo M. Grillo; udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale C. Di Zenzo, con cui chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. la Corte osserva: FATTO E DIRITTO Con la decisione indicata in premessa, il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, condannava Favale Francesco alla pena di L. 6.000.000 di ammenda in ordine ai reati, ritenuti in continuazione, di cui agli artt. 48 c.p. e 51, comma 1 lett. a), D. L.vo n. 22/1997, commesso il 10/6/99, ed all'art. 51, comma 2 lett. a), dello stesso decreto, commesso tra il giugno 99 ed il gennaio 2000, perché -quale responsabile della ESE Impianti, che realizzava lavori di scavo per conto della A.E.M.- aveva fatto effettuare ad Adriano Valentino il trasporto di rifiuti non pericolosi, inducendolo in errore sulla loro qualità, con autocarro non iscritto al relativo Albo, e per aver successivamente abbandonato detti rifiuti, che interrava. Avverso detta decisione propone ricorso l'imputato, deducendo: 1) violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 51, commi 1 e 2 lett. a), D. L.vo n. 22/1997, nonché per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, avendo il giudice ritenuto applicabile al caso di specie la disciplina dei rifiuti, fondando il proprio convincimento sulla valutazione dei testi escussi, quantunque sprovvisti di adeguata preparazione tecnica in materia, e senza effettuare un accertamento peritale idoneo a verificare la reale ed effettiva natura del materiale oggetto di contestazione; 2) violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b) ed e), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 48 c.p., nonché per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in quanto il materiale in questione, non essendo riconducibile alla categoria dei "rifiuti", poteva essere legittimamente trasportato dall'automezzo del Valentino, non iscritto nell'apposito Albo, non essendo stata d'altronde accertata alcuna sua condotta finalizzata a trarre in inganno l'addetto al trasporto circa la natura del carico, come richiede il menzionato art. 48 c.p.. All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. conclude come riportato in premessa. Il ricorso è infondato. Per quanto concerne la prima doglianza, riguardante la consistenza del materiale oggetto di trasporto e smaltimento, rileva il Collegio che essa si concreta in una censura alla valutazione delle emergenze processuali effettuata dal giudice del merito. Ricordato che l'attuale codice di rito prevede come motivo di ricorso per cassazione, attinente alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità di essa (quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento), e non anche la sua insufficienza, reputa il Collegio che, nel caso in esame, non ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo il Tribunale spiegato, ampiamente e senza vizi logici, le ragioni del proprio convincimento. In particolare, per quanto attiene al giudizio di penale responsabilità dell'imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato -per espressa volontà del legislatore- a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Alla luce di tale consolidato principio di diritto, deve osservarsi che il giudice del merito ha specificamente e correttamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che il materiale trasportato e successivamente scaricato fosse da qualificarsi "rifiuto". Ha evidenziato, invero, che non si trattava di semplice materiale di scavo, come pretende il ricorrente, giacché esso conteneva, oltre alla ghiaia ed al terriccio, anche pezzi di asfalto colato e di massetto in calcestruzzo, costituenti pacificamente "rifiuti non pericolosi", da trasportare e smaltire, quindi, col rispetto delle prescrizioni del D. L.vo n. 22/1997. Avendo raggiunto tale prova in maniera convincente, il giudice ha ritenuto superfluo l'espletamento della perizia; determinazione adeguatamente motivata che, attenendo alla valutazione delle risultanze probatorie, è incensurabile in questa sede. Non merita accoglimento neppure la seconda doglianza perché, pur se non fosse ravvisabile, nel caso di specie, la responsabilità del prevenuto ex art. 48 c.p., come ritenuto dal Tribunale, in ogni caso il Favale dovrebbe rispondere a titolo di concorso nel reato con l'abusivo trasportatore, al quale pacificamente aveva commissionato il servizio, e che non è mai stato tratto a giudizio proprio perché ritenuto indotto in errore dal predetto. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 13 febbraio 2003. Depositato in cancelleria il 20 marzo 2003 .