Cass. Sez. III n. 56275 del 18 dicembre 2017 (Ud 24 ott 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci Imputato: Marcolini
Rifiuti.Gestione e disposizioni nazionali e comunitarie

In tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie, gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Macerata, con sentenza dell’11/3/2016, emessa a seguito di giudizio abbreviato, ha riconosciuto Ilario MARCOLINI responsabile del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. 192 e 256 d.lgs. 152\06 e lo ha condannato alla pena dell’ammenda, perché, in concorso con Sandra SANTORI (la quale definiva la propria posizione, nel medesimo processo, mediante oblazione) quali legali rappresentanti della “Società Agricola Forestale Morica di Santori Sandra & C. S.a.s.” effettuavano, da un allevamento di bovini, lo sversamento sul terreno di rifiuti speciali non pericolosi allo stato liquido, provenienti dall’attività, con successiva immissione per percolazione in acque superficiali (in Pollenza e Macerata il 15/12/2013).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che soggetto attivo del reato contestato deve ritenersi il titolare dell’azienda che, oltre a figurare formalmente come tale, sia di fatto anche responsabile della effettiva gestione, curandone ogni aspetto.
Aggiunge che, nel suo caso, l’attuale posizione di socio accomandatario gli sarebbe stata attribuita al solo fine di meglio procedere alle contrattazioni con terzi, mentre l’effettiva responsabile dell’attività sarebbe la moglie, sicché il suo ruolo dovrebbe ritenersi sovrapponibile a quello di un mero mandatario con rappresentanza, la cui presenza in azienda all’atto del controllo era del tutto casuale, essendo egli impegnato a tempo pieno ed in altri luoghi nell’attività di altra società della quale è legale rappresentante.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione, osservando che il Tribunale avrebbe travisato i contenuti delle dichiarazioni testimoniali rese dalla figlia, la quale avrebbe chiaramente specificato che l’effettiva gestione dell’azienda faceva capo alla madre.

4. Con un terzo motivo di ricorso evidenzia la particolare tenuità del fatto, ritenendo applicabile, nella fattispecie, l’art. 131-bis cod. pen., indipendentemente da una formale richiesta dell’imputato e lamenta, in ogni caso, l’eccessività della pena.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.       


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile, perché basato su motivi manifestamente infondati.
Occorre preliminarmente osservare che la ricostruzione della vicenda e la sua qualificazione giuridica non sono oggetto di contestazione da parte del ricorrente, il quale si limita a rivendicare la propria estraneità, per essere il reato ipotizzato addebitabile esclusivamente alla persona della moglie, la quale ha fatto ricorso all’oblazione speciale.
Da quanto evidenziato nella sentenza impugnata emerge che gli accertamenti traevano origine dalla riscontrata presenza, nel fosso “Vallone Narducci”, di acque di colore marrone – rossiccio, che successive verifiche riconducevano all’allevamento gestito dalla società degli imputati.
Ulteriori verifiche consentivano di appurare che una parte dei liquami presenti in una concimaia erano stati smaltiti sul terreno sottostante, come riscontrabile anche dalla documentazione fotografica acquisita agli atti.
Nella sentenza viene inoltre dato atto del fatto che quanto verificato non era certamente riconducibile ad attività di fertirrigazione, in considerazione del periodo dell’anno e dell’assenza della relativa documentazione e che doveva anche escludersi lo spandimento accidentale dovuto alle piogge, perché un simile evento non avrebbe potuto determinare l’abbassamento del livello di letame solo ed esclusivamente in un angolo della concimaia, come invece era stato accertato.
A fronte della dichiarazione di estraneità alla vicenda da parte del ricorrente, il giudice del merito osserva che lo stesso rivestiva formalmente, al momento dei fatti, all’interno dell’azienda, la qualità di socio accomandatario e, come riferito dalla figlia nel corso della sua deposizione testimoniale, si occupava anche dei contratti per conto della società.
Aggiunge il Tribunale che le risultanze processuali non presentavano alcun elemento che consentisse di disattendere la qualifica formale di legale rappresentante della società, dando anche atto della presenza dell’imputato all’atto del controllo e del fatto che egli avrebbe ben dovuto rendersi conto di quanto accaduto, attivando i poteri gestori che discendevano dalla qualifica rivestita.

2. Ciò posto, va osservato che le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale appaiono conformi ai principi generali fissati in tema di rifiuti, pienamente condivisi dal Collegio.
L'art. 178 del d.lgs. 152\06 richiama, infatti, la responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo di beni da cui originano i rifiuti ed il rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario e la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di evidenziare che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie, gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi (Sez. 3, n. 32338 del 12/6/2007, Pozzi, Rv. 23782001; Sez. 3, n. 7746 del 27/11/2003 (dep.2004), Turati ed altro, Rv. 22740001).
Questa Corte ha inoltre precisato che il reato di cui all'art. 256, comma secondo, del d.lgs. n. 152 del 2006 è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell'ambito di una attività economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell'attività medesima, così dovendosi intendere il «titolare di impresa o responsabile di ente» menzionato dalla norma (Sez. 3, n. 38364 del 27/6/2013, Beltipo, Rv. 25638701).

3. Il ricorrente contesta, tuttavia, quanto rilevato dal Tribunale attraverso le argomentazioni, dianzi esposte, contenute nel primo e nel secondo motivo di ricorso.
Tali rilievi restano però confinati nell’ambito delle mere asserzioni, che non consentono di escludere il dato significativo della posizione di assoluta parità dei due legali rappresentanti della società e dell'assenza di qualsivoglia documentata ripartizione interna delle competenze, che non può certo essere superata dall’affermazione, contenuta in ricorso, secondo la quale la presenza del ricorrente in azienda al momento del controllo era casuale, intendendo egli “farsi un giro” per “una passeggiata rilassante e ristoratrice”, mentre la qualifica di accomandatario gli sarebbe stata attribuita “al fine di renderlo più autorevole in sede di contrattazione con terzi”.
Altrettanto deve dirsi per quanto concerne le dichiarazioni testimoniali della figlia dell’imputato, il cui contenuto è stato analizzato dal giudice del merito e non può essere oggetto di autonoma valutazione in questa sede di legittimità, peraltro attraverso la riproduzione di singole frasi estrapolate dai verbali di udienza, mediante le quali il ricorrente ritiene di dimostrare l’esistenza di un assetto societario diverso da quello accertato nel giudizio di merito.
La posizione di legale rappresentante della società e la presenza in azienda imponevano, dunque, al ricorrente, di prendere comunque cognizione della situazione in atto e della violazione di specifici obblighi di legge, dei quali egli, quale legale rappresentante della società unitamente alla moglie, era destinatario, beneficiando, peraltro, dei vantaggi conseguiti dalla società medesima dall'inosservanza delle specifiche disposizioni in materia di rifiuti.

4. Parimenti manifestamente infondato risulta il terzo motivo di ricorso.
Va rilevato, in primo luogo, che il motivo di ricorso è generico, non avendo in alcun modo specificato il ricorrente quale siano le ragioni che consentirebbero di riconoscere la particolare tenuità del fatto, limitandosi ad un mero richiamo ai contenuti della sentenza impugnata.
Inoltre, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, l’imputato ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuità del fatto e secondo quanto già affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito è successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilità, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. non può essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimità come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 26667801), né può affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque, non potendosi quindi rilevare alcun vizio di motivazione.
Infine, il richiamo alla sentenza risulta comunque incongruo, avendo il giudice del merito implicitamente escluso la particolare tenuità del fatto laddove, nel quantificare la pena, ha negato che la stessa potesse attestarsi vicino al minimo edittale in ragione delle conseguenze dello sversamento, persistenti anche a distanza di giorni.
Tali considerazioni rendono anche evidente la manifesta infondatezza dell’ulteriore censura riguardante l’eccessività della pena, peraltro espressa anch’essa in maniera apodittica e senza confrontarsi con le argomentazioni sviluppate dal giudice del merito.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 24.10.2017