Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6103, del 11 dicembre 2014
Caccia e animali.Legittimità affidamento della gestione del canile comunale ad associazione per la protezione degli animali

Non sembra ragionevole dubitare del fatto che un’associazione protezionistica o animalista iscritta all’albo regionale delle associazioni per la protezione degli animali fornirebbe, per sua propria natura, maggiori garanzie circa il rispetto delle regole anzidette e, più in generale, circa l’adeguatezza ed effettività delle proprie prestazioni di custodia, alimentazione, pulizia e complessivo mantenimento degli animali di cui si tratta, rispetto ad un soggetto non iscritto e, per contro, statutariamente mosso da un fine lucrativo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 06103/2014REG.PROV.COLL.

N. 06970/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 6970 del 2014, proposto dalla Società Mapia S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Mariangela Bux, con domicilio eletto presso il Consiglio di Stato - Segreteria in Roma, p.za Capo di Ferro 13;

contro

Comune di Acquaviva delle Fonti; 
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Giuseppa Scattaglia, con domicilio eletto presso la Delegazione della Regione in Roma, via Barberini 36;

nei confronti di

Lega Nazionale per la Difesa del Cane – Sezione di Turi;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE II, n. 811/2014, resa tra le parti, concernente l’affidamento della gestione del canile comunale.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Berardengo, per delega di Bux, e Scattaglia;

Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

La M.A.P.I.A. s.r.l. proponeva ricorso al T.A.R. per la Puglia impugnando il bando, pubblicato il 3 aprile 2013, della gara indetta dal comune di Acquaviva delle Fonti per l’affidamento del servizio di gestione del canile comunale (canile rifugio e sanitario), del quale la società era gestore uscente, nella parte in cui tale atto limitava la partecipazione alla procedura alle sole associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’albo regionale. E poiché la gara si era conclusa, subito dopo, con l’affidamento del servizio all’associazione animalista “Lega Nazionale per la Difesa del Cane – Sezione di Turi – BA”, anche tale aggiudicazione veniva investita dall’impugnativa.

Dal momento che la clausola di bando in contestazione era sostanzialmente riproduttiva dell’art. 14 della L.R. n. 12/1995, come modificato dalla L.R. n. 4/2010, la ricorrente denunziava anche l’incostituzionalità del comma 2 bisdi tale articolo con riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 della Carta.

La Regione Puglia si costituiva in giudizio deducendo l’infondatezza del gravame e chiedendone il rigetto.

All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 811/2014 in epigrafe, respingeva il ricorso.

La società soccombente insorgeva indi avverso tale decisione esperendo il presente appello alla Sezione, con il quale riproponeva le proprie domande, doglianze e prospettazioni, contestando gli argomenti sulla base dei quali il primo Giudice le aveva disattese.

La Regione Puglia resisteva anche in questo grado di giudizio all’impugnativa avversaria, deducendo l’infondatezza dell’appello e concludendo per la sua reiezione.

Alla pubblica udienza del 4 novembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

La Sezione ritiene di dover parzialmente respingere l’appello, e, con separata ordinanza, di sollevare, giusta eccezione della parte ricorrente, una questione di legittimità costituzionale a carico della norma di legge regionale di cui è espressione la clausola di bando impugnata.

1a Il primo Giudice, muovendo dalla premessa che la clausola in contestazione si limitava a riprodurre il contenuto di una specifica norma dell’art. 14 della L.R. n. 12/1995, come modificato dalla L.R. n. 4/2010, che riserva appunto l’affidamento della gestione dei canili comunali (rectius, di tutte le strutture di ricovero e custodia comunali dei cani) alle associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’albo regionale depositato presso l’Assessorato alle politiche della salute, ne ha desunto che in presenza di siffatta specifica norma di legge “le censure proposte sub 1, 2 e 3, tese a supportare un’interpretazione del quadro normativo nazionale di riferimento favorevole alla società ricorrente stessa, non hanno alcuna chance di scrutinio positivo”.

1b La ricorrente con il presente appello ripropone le proprie censure così respinte, sottoponendo a critica –pur se con un’esposizione non del tutto nitida - il relativo capo reiettivo della sentenza in epigrafe.

1c La valutazione espressa sul punto dal primo Giudice merita tuttavia conferma.

La clausola di bando formante oggetto d’impugnazione non costituisce se non la lineare e pressoché automatica applicazione di una specifica norma legislativa regionale, la quale fornisce alla clausola invisa alla ricorrente una piena copertura.

Di conseguenza le molteplici argomentazioni svolte, con i primi motivi di ricorso, per evidenziare dei supposti elementi di conflitto della clausola sub judice con altri dati normativi (in particolare, con la legge n. 266/1991, nonché con l’art. 2, comma 371, della legge n. 244/2007) non potrebbero in alcun modo tradursi recta via nell’illegittimità della clausola impugnata, bensì potrebbero condurre, al più, a far dubitare dell’incoerenza con il sistema ordinamentale della norma regionale di cui la clausola rimane, comunque, fedele espressione.

Ciò posto, poiché la ricorrente dedica un’apposita sezione della propria impugnativa alla prospettazione di dubbi di legittimità costituzionale a carico della norma regionale in discussione (pag. 25 e segg. dell’appello), è in occasione della disamina di tale sezione che si avrà riguardo al relativo aspetto della controversia (infra, nel paragr. 3).

Quanto ai richiami che parte ricorrente fa ai momenti di conflitto che esisterebbero con la legge n. 266/1991 (la legge-quadro sul volontariato) va qui ad ogni modo osservato, da un lato, che la disciplina di settore sugli animali di affezione e la prevenzione del randagismo, che mette capo alla legge statale n. 281/1991, integra una disciplina speciale rispetto a quella dettata dalla legge quadro sul volontariato (come del resto si ipotizza anche alla pag. 12 del corrente appello); dall’altro, e comunque, che il capitolato a base della gara, nello stabilire, all’art. 3, che all’affidataria del servizio sarebbe andata, quale “corrispettivo”, una diaria per il sostentamento di euro 0,75 pro-cane (importo da ribassare della percentuale offerta in sede di gara), puntualizza eloquentemente quanto segue: “Si precisa che tale corrispettivo è stato calcolato in considerazione del fatto che l’attività di gestione in questione deve essere svolta … da associazioni protezionistiche a carattere volontario e con esclusione di fini di lucro, e, pertanto, il corrispettivo in questione è da considerarsi a titolo di rimborso spese di gestione”: con il che si delinea, pertanto, un assetto del tutto coerente con quello disciplinato in termini generali dalla legge n. 266/1991, che nel suo art. 7 prevede espressamente che le convenzioni con le organizzazioni di volontariato debbano stabilire le modalità di rimborso delle spese incontrate da queste ultime.

2 Le valutazioni espresse dall’impugnata sentenza meritano di essere sostanzialmente condivise anche per la parte in cui il Tribunale ha disatteso i richiami a parametri di diritto comunitario operati dall’originario ricorso.

2a Il Giudice locale ha in proposito osservato: “Quanto al motivo sub 4, con cui parte ricorrente cerca di far valere l’anticomunitarietà della richiamata disposizione regionale, asseritamente incidente in senso restrittivo sulla concorrenza, non può condurre all’invocato risultato di ottenerne la disapplicazione. La società ricorrente non individua, invero, precise disposizioni di rango comunitario, suscettibili di immediata e diretta applicazione, con le quali la norma regionale in parola si porrebbe in irrimediabile contrasto, ma si limita ad invocare generici principi desumibili dal trattato e dalla direttiva 2004/18/CE (concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi).”

2b Con il presente appello questa motivazione è stata contestata.

2c L’itinerario argomentativo seguito dalla ricorrente si è però confermato anche in questa sede basato su enunciazioni del tutto astratte dei suddetti principi, invocati in forma del tutto generica e, per così dire, in blocco (“i principi di derivazione comunitaria di concorrenza, libertà di stabilimento, e libera prestazione dei servizi …, nonché delle regole della concorrenza nel mercato comune di cui al Trattato di Lisbona”). E, soprattutto, senza che la parte si sia fatta carico di contestualizzare siffatto suo richiamo, spiegando per quali ragioni, nella concretezza della vicenda in esame, i detti principi dovessero ritenersi violati, tenuta nel debito conto la particolarità della materia (attinente incontestatamente ad un servizio pubblico locale) e quella della specifica procedura seguita (connotata dalla previsione che il “corrispettivo” riconoscibile al gestore avrebbe integrato solo un mero “rimborso spese di gestione”), oltre che le caratteristiche del particolare settore in rilievo.

Ne discende che anche questo aspetto dell’appello deve essere disatteso.

3 Restano da esaminare le perplessità che la ricorrente ha riproposto in termini di sospetta illegittimità costituzionale della norma regionale della cui applicazione si tratta.

3a Il T.A.R. ha ritenuto che nessuna delle questioni prospettate superasse il vaglio della non manifesta infondatezza.

Questa la motivazione del primo Giudice.

“La questione di costituzionalità, invece, della cui centralità –per quanto detto- non può dubitarsi, non supera il vaglio della non manifesta infondatezza.

In primo luogo non può condividersi la censura di irragionevolezza della norma in esame, posto che una riserva di gestione dei canili agli enti che si occupano in via esclusiva di animali appare una scelta coerente e tutt’altro che illogica da parte del legislatore regionale, certamente sollecitato dalla comprensibile preoccupazione di affidare il servizio a soggetti che diano particolari garanzie di affidabilità.

Tanto meno, si ravvisano gli estremi della violazione del principio di uguaglianza sub specie di disparità di trattamento, che presupporrebbe un’identità di situazioni trattate in modo diseguale. Ma, nel caso di specie, i soggetti esclusi dalla gestione hanno naturadiversa.

Né appare violato l’art. 41 della costituzione. L’affermazione della libertà di iniziativa economica privata non esclude –ai sensi della stessa norma costituzionale- limitazioni per mano del legislatore, purché non irragionevoli.

Infine, neanche si ravvisano gli estremi della violazione dell’art.117 cost.. Sostiene la società ricorrente che l’art.14 in esame si porrebbe in contrasto con i principi dettati dalla normativa di rango statale in un ambito riservato alla competenza legislativa concorrente; ovvero dall’art.4 della legge 14.8.1991, n. 281, il quale estende il novero dei soggetti cui può essere affidata la gestione dei canili e dei gattili –come già su evidenziato- ai “..soggetti privati che garantiscano la presenza nella struttura di volontari delle associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni e degli affidamenti dei cani e dei gatti”.

In realtà la norma statale contempla l’affidamento ai soggetti privati come mera eventualità e non già in termini di tassatività; ciò che esclude la vincolatività della relativa previsione per il legislatore regionale.”

3b I sospetti di incostituzionalità così disattesi sono stati qui riproposti.

3c La Sezione ritiene di poter condividere la valutazione di manifesta infondatezza espressa dal primo Giudice rispetto ai primi tre parametri costituzionali evocati dalla ricorrente (i principi di ragionevolezza e uguaglianza, nonché quelli degli artt. 41 e 97 Cost.).

3c1 Sotto il primo profilo, in particolare, quello della ragionevolezza, il T.A.R. ha espresso la considerazione che “una riserva di gestione dei canili agli enti che si occupano in via esclusiva di animali appare una scelta coerente e tutt’altro che illogica da parte del legislatore regionale, certamente sollecitato dalla comprensibile preoccupazione di affidare il servizio a soggetti che diano particolari garanzie di affidabilità”.

E tale considerazione si presenta tanto più giustificata alla luce delle specifiche regole poste dal capitolato d’oneri. L’art. 1 del capitolato, infatti, stabilisce:

- che “i cani presenti nel canile non potranno essere fatti oggetto di sperimentazione né di commercio, né potranno essere soppressi” (cfr. l’art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 281/1991);

- che “all’interno della struttura non potranno trovare ricovero cani di proprietà di privati, sia per brevi periodi che per la restante parte della loro vita”.

Ciò posto, non sembra ragionevole dubitare del fatto che un’associazione protezionistica o animalista iscritta all’albo regionale delle associazioni per la protezione degli animali fornirebbe, per sua propria natura, maggiori garanzie circa il rispetto delle regole anzidette e, più in generale, circa l’adeguatezza ed effettività delle proprie prestazioni di custodia, alimentazione, pulizia e complessivo mantenimento degli animali di cui si tratta, rispetto ad un soggetto non iscritto e, per contro, statutariamente mosso da un fine lucrativo. La stessa appellante, d’altra parte, riconosce che “il fine ultimo della normativa in commento è garantire il benessere degli animali ricoverati nelle strutture dianzi indicate” (appello, pag. 30).

Donde l’immunità da vizi della valutazione del Tribunale.

3c2 Quanto alla disparità di trattamento pure denunziata, il primo Giudice ragionevolmente ha osservato che questa “presupporrebbeun’identità di situazioni trattate in modo diseguale”, laddove i soggetti esclusi dalla gestione hanno natura del tutto diversa da quella di coloro ai quali la partecipazione alla procedura è stata, invece, riservata. Natura che si conferma irriducibilmente diversa anche quando gli uni e gli altri possano, potenzialmente, venire in rilievo quali portatori di requisiti simili.

3c3 Rispetto al riferimento qui reiterato al canone dell’art. 41 della Costituzione, oltre a quanto appena osservato in punto di ragionevolezza della scelta legislativa, deve aggiungersi che il relativo richiamo al precetto costituzionale risulta del tutto astratto, non tenendo conto della specificità dell’oggetto della controversia già emersa nel paragr. 2c in relazione alla particolarità della materia (servizio pubblico locale), a quella della procedura del cui svolgimento si tratta (incentrata sulla previsione del riconoscimento di un mero “rimborso spese di gestione”) e alle esigenze collettive inerenti al settore in rilievo.

3c4 Nessuna argomentazione effettiva suscettibile di dar corpo ad una compiuta censura a carico della norma regionale giustifica, infine, il richiamo operato dalla ricorrente all’art. 97 della Costituzione.

3d La Sezione reputa di doversi discostare, invece, dalla decisione di prime cure rispetto alla valutazione di manifesta infondatezza espressa dal T.A.R. sulla conclusiva eccezione di incostituzionalità che ha investito la norma regionale più volte citata per contrasto, stavolta, con l’art. 117 della Carta.

Sotto questo profilo verrà pertanto sollevata, con separata ordinanza, una questione di legittimità costituzionale.

4 In conclusione l’appello va parzialmente respinto, con riferimento ai motivi che sono stati disattesi nei paragrr. 1c, 2c e 3c, mentre deve essere sollevata, con separata ordinanza, questione di legittimità costituzionale a carico dell’art. 14, comma 2 bis, della L.R. n. 12/1995, come modificata dall’art. 45 della L.R. n. 4/2010, per violazione dell’art. 117 della Carta, a causa del contrasto in cui la detta norma regionale si pone rispetto alla corrispondente norma statale.

La regolamentazione delle spese processuali tra le parti è rinviata al definitivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), pronunziando solo parzialmente sull’appello in epigrafe, così dispone:

- respinge l’appello sotto i profili indicati in motivazione;

- solleva con separata ordinanza una questione di legittimità costituzionale a carico dell’art. 14, comma 2 bis, della L.R. n. 12/1995, come modificata dalla L.R. n. 4/2010, per violazione dell’art. 117 della Costituzione.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente FF

Francesco Caringella, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/12/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)