Cass. Sez. III n. 7529 del 21 febbraio 2024 (UP 9 nov. 2023)
Pres. Ramacci Est. Andronio Ric. Delfino
Caccia e animali.Articolo 544-bis codice penale

 L’art. 19-ter disp. cord. cod. pen. esclude un’interpretazione dell’art. 544-bis nel senso che la locuzione “senza necessità” in esso contenuta possa coincidere semplicemente con una qualsiasi violazione della normativa sulla caccia già penalmente sanzionata dalla legge n. 157 del 1992; diversamente opinando, vi sarebbe una inammissibile duplicazione di sanzioni per uno stesso fatto (fattispcie relativa all’abbattimento di quattro esemplari di marzaiola, nell’esercizio della caccia in periodo di divieto generale, all’interno di riserva naturale e con mezzi vietati dalla legge medesima, ovvero di un fucile sprovvisto del riduttore).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 gennaio 2023, la Corte d’appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del 4 giugno 2018, con la quale il Tribunale di Napoli Nord aveva condannato Delfino Giuseppe in relazione a contravvenzioni previste dalla legge sulla caccia, nonché al reato di cui all’art. 544-bis cod. pen., per avere, per crudeltà e senza necessità, cagionato la morte di quattro uccelli acquatici appartenenti alla specie marzaiola (Anas Querquedula) abbattuti esercitando la caccia in periodo di divieto generale, all’interno della riserva naturale “Foce Volturno Costa di Licola” e con mezzi vietati dalla legge medesima, ovvero di un fucile sprovvisto del riduttore (capo B dell’imputazione). La sentenza d’appello ha dichiarato estinti per intervenuta prescrizione le contravvenzioni di cui all’art. 30, comma 1, lettere a), d), h), della legge n. 157 del 1992, confermando la condanna per il delitto.

2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la violazione della legge penale e la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello omesso di rispondere alle deduzioni difensive in ordine alla sussistenza della condotta e dell’elemento soggettivo. Quanto alla prima, questa sarebbe stata desunta dalla sola circostanza che il ricorrente, nell’esercizio dell’attività venatoria, avesse la “disponibilità” delle prede; quanto al secondo, questo sarebbe stato ritenuto sussistente, in via presuntiva, sulla base della qualifica soggettiva dell’agente e del comportamento assunto al momento dell’accertamento. Inoltre, si censura la violazione dell’art. 15 cod. pen., per avere la Corte d’appello omesso di applicare soltanto l’art. 30 della legge n. 157 del 1992, in quanto disposizione speciale, prevista solo in via residuale per casi del tipo di quello in esame.
2.2. In secondo luogo, ci si duole della mancanza di motivazione quanto alla risposta alle deduzioni difensive in ordine all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., come l’occasionalità, la modesta entità del fatto e la personalità non allarmante dell’agente, da dedursi dalla sua incensuratezza.
2.3. In terzo luogo, si lamentano vizi della motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della personalità del reo e del contegno processuale, ai fini della concessione delle attenuanti generiche e della commisurazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La censura relativa all’applicabilità nel caso di specie dell’art. 544-bis cod. pen. – formulata nell’ambito del primo motivo di doglianza – è fondata, con conseguente assorbimento delle altre.

2. Va premesso, quanto al sistema sanzionatorio vigente, che la legge 20 luglio 2004, n. 189, art. 1, comma 1, ha introdotto, dal 1° agosto 2004, nel libro secondo del codice penale, al capo III, il Titolo IX-bis, avente ad oggetto i delitti contro il sentimento per gli animali. In particolare, l’art. 544-bis (Uccisione di animali) sanziona con la reclusione da quattro mesi a due anni chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale; mentre l’art. 544-ter (Maltrattamento di animali), al primo comma sanziona con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da euro 5.000,00, a 30.000,00, chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Tale ultimo articolo, al terzo comma, statuisce che la pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.
L’art. 30 della legge n. 157 del 1992, prevede, per parte sua, una serie di reati contravvenzionali legati all’esercizio della caccia in tempi e luoghi o con modalità vietati, nonché all’abbattimento, cattura o detenzione di una serie di specie soggette a maggiore protezione.
2.1. Viene in rilievo, nel caso di specie, la questione del rapporto fra art. 544-bis cod. pen. e art. 30 della legge sulla caccia, alla luce dell’art. 19-ter disp. coord. cod. pen. (aggiunto dall’art. 3, della richiamata legge n. 189 del 2004), a norma del quale: «Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente».
2.2. La giurisprudenza di legittimità si è soffermata più volte sull’ambito di applicazione dell’art. 544-ter cod. pen. in relazione a maltrattamenti posti in essere nell’attività di caccia.
In particolare, la sentenza Sez. 3, n. 29816 del 27/10/2020 (n.m.), resa in una fattispecie di ferimento di un capriolo nell’esercizio dell’attività venatoria in periodo non consentito, ha ritenuto sussistente il reato, in presenza di lesioni prodotte senza necessità. Si è richiamato e ribadito il principio secondo cui anche l’uccisione di un animale deve avvenire senza infliggere ulteriori sofferenze non necessarie, laddove nella locuzione “senza necessità” rientra lo stato di necessità previsto dall’art. 54 cod. pen., nonché ogni altra situazione che induca all’uccisione o al maltrattamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Rv. 238456). Dunque, il richiamato art. 544-ter è volto a proibire comportamenti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, nel rispetto dell’esigenza di evitare all’animale, anche quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili crudeltà ed ingiustificate sofferenze. Tale principio aveva già trovato applicazione anche nella legge 12 giugno 1931, n. 924, modificata dalla legge 10 maggio 1941, n. 615, in tema di vivisezione; nel testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia, approvato con r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, modificato con d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987; nella legge 12 giugno 1913, n. 611, con le modifiche apportate dalla  legge 10 febbraio 1927, n. 292, avente ad oggetto provvedimenti per la protezione degli animali; nel r.d. 20 dicembre 1928, n. 3298, che detta disposizioni sulle modalità di macellazione degli animali e che all’art. 9 prevede che, per tale pratica, si devono adottare procedimenti atti a produrre la morte “nel modo più rapido possibile”; nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) che vieta gli spettacoli o trattenimenti pubblici che importino strazio o sevizie di animali e nel relativo regolamento.
Nel caso trattato con la richiamata sentenza n. 29816 del 2020 si è, dunque, ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti di animali sul rilievo che all’animale era stata inflitta una non necessaria e inutile sofferenza, conseguente alla mancata uccisione con un colpo di grazia, che, se prontamente intervenuto, avrebbe impedito ulteriori sofferenze all’animale, e che lo stesso era stato rinchiuso, ancora in vita, all’interno del cassone del veicolo che lo trasportava, con sevizie insopportabili.
2.3. Si era in precedenza affermato (Sez. 3, n. 40751 del 05/03/2015, Rv. 265164) che tra il reato di cui all’art. 30 della legge n. 157 del 1992 e quello di maltrattamento di animali previsto dall’art. 544-ter cod. pen. non sussiste rapporto di specialità, sia perché il delitto necessita dell’evento (la lesione all’animale) che non è richiesto per l’integrazione della contravvenzione, sia perché diversa è l’oggettività giuridica. Nel caso della contravvenzione, il bene giuridico protetto è costituito dalla fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato; in quello del delitto, dal sentimento per gli animali. L’art. 19-ter disp. coord. cod. pen. è stato così interpretato nel senso che il reato di cui all’art. 544-ter cod. pen. non si applica ai casi previsti in materia di caccia ed alle ulteriori attività ivi menzionate, a condizione che le stesse siano svolte nel rispetto della normativa di settore. Tale principio è stato ribadito in tema di caccia mediante l’installazione di trappole illegali idonee a colpire e ferire od uccidere appartenenti alla specie animale automaticamente e senza un preventivo comando da parte del cacciatore (Sez. 1, n. 17012 del 08/04/2015, Rv. 263323), oltre che per il caso di utilizzo di animali vivi come esca per la pesca sportiva (Sez. 3, n. 17691 del 14/12/2018, dep. 2019, Rv. 275865).
2.4. Il quadro giurisprudenziale è completato da pronunce che si riferiscono ad attività diverse dalla caccia, che affermano anch’esse il principio secondo cui l’art. 19-ter disp. coord. cod. pen. esclude l’applicabilità del reato previsto dall’art. 544-ter cod. pen. e delle altre disposizioni del titolo IX-bis, libro secondo, del cod. pen. alle attività ivi menzionate, purché siano svolte nel rispetto della normativa di settore. Ciò è stato ribadito in relazione all’attività circense, in una fattispecie in cui veniva in rilievo in concreto il solo art. 544-ter cod. pen. (Sez. 3, n. 11606 del 06/03/2012, Rv. 252251), e all’attività di allevamento di animali destinati alla sperimentazione scientifica, in una fattispecie in cui si sono ritenuti integrati i reati di cui agli art. 544-bis e 544-ter cod. pen., con riferimento al trattamento di cani di razza beagle, attuato in violazione delle linee guida dettate dal d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, con modalità tali da sfociare in comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, quali le riscontrate anomalie della temperatura intera ai capannoni, le precarie condizioni igieniche dei luoghi, l’inadeguatezza dell’alimentazione, la mancata somministrazione di farmaci e la provata deprivazione sensoriale (Sez. 3, n. 10163 del 03/10/2017, 06/03/2018, Rv. 272620).

3. Nel caso in esame – riferito al problema del concorso fra il delitto di cui all’art. 544-bis cod. pen. e le contravvenzioni di cui all’art. 30, comma 1, lettere a), d), h), della legge n. 157 del 1992 – il giudice di merito ha ritenuto applicabile anche la fattispecie delittuosa, ritenendo insussistente un rapporto di specialità, sul rilievo che la condotta contestata all’imputato, con riferimento all’art. 30, lettera h), non è l’abbattimento di quattro uccelli acquatici appartenenti alla specie marzaiola (Anas Querquedula), oggetto dell’imputazione ex art. 544-bis cod. pen., ma l’esercizio della caccia con un mezzo vietato, ovvero un fucile sprovvisto di riduttore. Né potrebbe ritenersi sussistente un rapporto di specialità con la previsione, della stessa h) – non contestata nel caso di specie – che punisce l’abbattimento di uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita, perché l’art. 544-bis si riferisce sia ad animali la cui caccia non è consentita in assoluto sia ad animali la cui caccia non è consentita solo in un certo tempo, in un certo luogo, o con certe modalità e a prescindere dal fatto che ciò avvenga nell’esercizio dell’attività venatoria. Secondo il giudice di merito, dunque, fra le due fattispecie non c’è un rapporto di interferenza necessaria, ma soltanto di interferenza eventuale, legata alle caratteristiche del caso concreto; sì che deve ritenersi insussistente un rapporto di specialità, coerentemente con la diversità dei beni giuridici: il sentimento di pietà per gli animali da un lato, la tutela della fauna selvatica come patrimonio indisponibile, dall’altro.

4. La ricostruzione interpretativa del giudice di merito non appare condivisibile, in quanto non tiene conto della già richiamata disposizione dell’art. 19-ter – la cui applicazione è condizionata al rispetto della normativa speciale – ma solo del principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen.
4.1. Come già visto, la giurisprudenza di legittimità, si è concentrata sul rapporto tra l’art. 544-ter e la legislazione sulla caccia, nonché sul rapporto fra gli artt. 544-bis e 544-ter e altre legislazioni speciali, quali quelle in materia di circhi e di allevamento per fini scientifici, ma non ha affrontato specificamente il problema del rapporto fra l’uccisione di animali e la violazione delle normative sulla caccia, penalmente sanzionata dall’art. 30 della legge n. 157 del 1992.
4.1.1. I principi giurisprudenziali già affermati in punto di maltrattamento non appaiono suscettibili di essere estese anche all’uccisione, perché il maltrattamento è attività ulteriore e del tutto estranea rispetto alla caccia, come ben evidenziato dalla già esaminata sentenza n. 29816 del 2020, nella quale si punisce la sofferenza inutilmente provocata ad animali feriti e catturati. Quindi, per il maltrattamento, vi è un quid pluris, che giustifica il concorso tra il delitto e le contravvenzioni previste dall’art. 30 della legge n. 157 del 1992, trattandosi di una fattispecie che esula dai “casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia” richiamati dall’art. 19-ter.
4.1.2. Parimenti, neanche i principi affermati in relazione al rapporto fra art. 544-bis e attività contemplate dall’art. 19-ter disp. coord. cod. pen., come il circo o l’allevamento a fini scientifici, paiono applicabili in relazione alla caccia, perché quest’ultima ha una peculiarità, rappresentata da un articolato sistema di precetti e sanzioni penali, la cui violazione non integra necessariamente quella mancanza di necessità, che è presupposto per la configurabilità della fattispecie delittuosa. Nel sistema della legge sulla caccia, a precetti di tipo formale o riguardanti le modalità, i tempi, i luoghi di svolgimento dell’attività, si affiancano anche espresse previsioni riferite all’uccisione di animali. È il caso della lettera b) dell’art. 30, che punisce, fra l’altro, l’abbattimento di mammiferi o uccelli compresi nell’elenco di cui all’art. 2; delle successive lettere c) e c-bis), che puniscono fra l’altro, l’abbattimento di orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo, orso bruno marsicano; della lettera g), che punisce l’abbattimento di esemplari appartenenti alla tipica fauna stanziale alpina, non contemplati nella lettera b); della stessa lettera h), dell’art. 30, riferita in generale all’abbattimento di specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o di fringuelli in numero superiore a cinque. Si tratta, a ben vedere, di fattispecie potenzialmente coincidenti con quella di cui all’art. 544-bis cod. pen., quanto all’illiceità dell’uccisione che potrebbe configurare l’ipotesi di mancanza di necessità. Ne consegue che, a voler ritenere inoperante la disposizione dell’art. 19-ter, dovrebbero trovare applicazione sia il reato contravvenzionali di cui all’art. 30 della legge sulla caccia sia il delitto di cui all’art. 544-bis cod. pen., con evidente duplicazione di sanzioni per una stessa fattispecie. Se poi si dovesse ritenere - come sembra fare il giudice di merito nel presente procedimento – che l’art. 544-bis concorra con le sole ipotesi contravvenzionali dell’art. 30 diverse da quelle dell’uccisione di animali, si giungerebbe al paradosso di punire più gravemente le uccisioni di animali sottoposti ad un regime di minore tutela, perché diversi da quelli contemplati nelle lettere b), c), c-bis), g), h), appartenenti a specie sottratte in radice alla caccia, per i quali troverebbe applicazione la sola fattispecie contravvenzionale.
4.1.3. Tale interpretazione sembra confermata dal tenore letterale del richiamato art. 19-ter, il quale non prevede, quale condizione per l’esclusione dell’applicazione delle disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale, la condizione del rigoroso rispetto delle leggi speciali nelle materie indicate, ma solo la presenza di una fattispecie concreta che rientri nella casistica prevista da tali leggi, non presentando un quid pluris di illiceità.
4.2. In conclusione, va affermato che l’art. 19-ter esclude un’interpretazione dell’art. 544-bis nel senso che la locuzione “senza necessità” in esso contenuta possa coincidere semplicemente con una qualsiasi violazione della normativa sulla caccia già penalmente sanzionata dalla legge n. 157 del 1992; diversamente opinando, vi sarebbe una inammissibile duplicazione di sanzioni per uno stesso fatto.
4.3. Tale principio trova applicazione nel caso di specie, in cui vi è stato – secondo la prospettazione accusatoria fatta propria dalla sentenza di merito – l’abbattimento di quattro esemplari di marzaiola, nell’esercizio della caccia in periodo di divieto generale, all’interno della riserva naturale “Foce Volturno Costa di Licola” e con mezzi vietati dalla legge medesima, ovvero di un fucile sprovvisto del riduttore (capo B dell’imputazione).

5. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al capo B) dell’imputazione, perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo B) dell’imputazione, perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 09/11/2023