TAR Lombardia (BS), Sez. II, n. 1019, del 27 novembre 2013
Beni Ambientali.Legittimità ingiunzione di pagamento della sanzione per escavazione non autorizzata in area sottoposta a vincolo paesaggistico

La tutela del paesaggio nel nostro sistema giuridico, è certamente assicurata da misure prettamente sanzionatorie che hanno in via principale funzione deterrente, come quelle di cui all’art. 167 del D. Lgs. 42/2004, le quali prescindono dalla sussistenza effettiva del danno ambientale. Nello specifico, è stato di recente precisato che la motivazione della sanzione è ricollegata ad una stima tecnica di carattere generale, sostanzialmente equitativa, insuscettibile di una dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno paesaggistico, per la sua intrinseca natura, a una indagine dettagliata e minuta. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01019/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01246/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1246 del 2006, proposto da: 
Gasparini Massimo anche per Cava Marmo Snc in liquidazione, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gianfranco Fontana, Italo Ferrari e Francesco Fontana, con domicilio eletto presso il loro studio in Brescia, Via Armando Diaz n. 28;

contro

Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Magda Poli e Gisella Donati, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura provinciale in Brescia, Piazza Paolo VI n. 29;

per l'annullamento

DEL PROVVEDIMENTO DEL SETTORE AMBIENTE IN DATA 12/6/2006, RECANTE L’INGIUNZIONE DI PAGAMENTO DELLA SANZIONE 30.656 €, PER ESCAVAZIONE NON AUTORIZZATA IN AREA SOTTOPOSTA A VINCOLO PAESAGGISTICO.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Brescia;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2013 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Il ricorrente all’epoca dei fatti era titolare dell’omonima ditta ed era munito di autorizzazione per lo svolgimento di attività estrattiva sulle aree ubicate nel Comune di Serle (individuate ai mappali 102/p del Fg. 21). Con verbale del 24/4/2003 (doc. 2) il Corpo Forestale dello Stato, su sollecitazione della Provincia, contestava l’escavazione abusiva di materiale, in eccedenza rispetto a quanto autorizzato sull’intera area di cava. In particolare all’atto del sopralluogo si rilevava “che erano state eseguite opere di coltivazione oltre i profili autorizzati sotto il profilo idrogeologico e paesaggistico, con asportazione di materiale consistente in bancate di marmo per un volume di circa 6.357,35 m³ su una superficie di circa 150 m² di area boscata con relativo taglio di piante, sradicamento di ceppaie e varie essenze coloniche arbustive …”.

Il 29/12/2004 la Provincia attivava la procedura di irrogazione della sanzione ambientale ai sensi degli artt. 146 e 167 del D. Lgs. 42/2004 (escavazione in difformità di provvedimenti autorizzativi in area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico per la presenza di corsi d’acqua e di territori coperti da foreste e boschi), e quantificava una somma pari a € 168.836 sulla base di una perizia di stima redatta il 25/6/2004. In sede procedimentale il privato evidenziava errori istruttori in cui l’amministrazione sarebbe incorsa – considerando indebitamente il vincolo come esteso all’intera area di cava – e chiedeva un riesame della pratica; la Provincia, con nota 28/4/2006, revocava il provvedimento sanzionatorio precedente e dava impulso a un nuovo procedimento che sfociava nell’ordinanza impugnata, emanata dopo la revisione della perizia di stima (doc. 10). Il nuovo importo addebitato alla Società ricorrente a titolo di sanzione è pari a € 30.656, conseguente allo scavo abusivo su un’area vincolata di 150 m² per una volumetria complessiva di 1100 m³.

Con il gravame in epigrafe – ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione – il ricorrente impugna il provvedimento sfavorevole, deducendo i seguenti motivi di diritto:

a) Violazione dell’art. 167 del D. Lgs. 42/2004 – nel regime antecedente alle modifiche intervenute con il D. Lgs. 157/2006 – e dell’art. 3 della L. 241/90, eccesso di potere per erroneità dei presupposti in quanto:

I) il procedimento sanzionatorio non è stato preceduto da una valutazione di compatibilità dei lavori eseguiti rispetto al bene ambientale tutelato;

II) nella perizia si quantifica la sanzione sulla base di un dato di fatto – la quantità di materiale irregolarmente scavato – del tutto aprioristico e immotivato;

III) è comunque del tutto irragionevole collegare il danno ambientale al quantitativo di materiale scavato;

b) Violazione dell’art. 167 del D. Lgs. 42/2004 – nel regime antecedente alle modifiche intervenute con il D. Lgs. 157/2006 – eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza manifesta, difetto di istruttoria:

SULLA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO AMBIENTALE

III) è errato il presupposto logico-giuridico di quantificazione della sanzione, poiché il perito afferma che la stessa ha un valore risarcitorio quando la natura della misura pecuniaria è unicamente sanzionatoria;

IV) il legislatore distingue nettamente il concetto di “danno ambientale” da quello di “utilità economica” (profitto) mentre l’amministrazione ha elaborato una formula ove il lucro indebito è assunto a parametro per calcolare il pregiudizio ambientale;

V) risultano del tutto immotivati e non intellegibili i criteri individuati per concorrere alla determinazione dell’indice di danno ambientale;

SULLA QUANTIFICAZIONE DEL PROFITTO CONSEGUITO

VI) il profitto è stato calcolato in modo astratto e generico sulla base di mere presunzioni, senza riferirsi allo specifico e concreto guadagno;

c) Violazione dell’art. 14 della L. 689/81 per tardività della contestazione, che deve avvenire nel termine perentorio di 90 giorni dall’accertamento dell’illecito.

Si è costituita in giudizio la Provincia di Brescia, chiedendo la reiezione del ricorso in quanto infondato.

Alla pubblica udienza del 14/11/2013 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il thema decidendum del presente gravame verte sulla correttezza del procedimento seguito e sulla congruità dell’importo stabilito in sede di irrogazione al ricorrente della sanzione pecuniaria ambientale ai sensi dell’art. 167 del D. Lgs. 42/2004, per l’avvenuta escavazione non autorizzata in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

1. Con un primo gruppo di motivi il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 167 del D. Lgs. 42/2004 – nel regime antecedente alle modifiche intervenute con il D. Lgs. 157/2006 – e dell’art. 3 della L. 241/90, l’eccesso di potere per erroneità dei presupposti in quanto, anzitutto, il procedimento sanzionatorio non è stato preceduto da una valutazione di compatibilità dei lavori eseguiti rispetto al bene ambientale tutelato.

La censura è priva di pregio.

1.1 L’invocato art. 167 del D. Lgs. 42/2004 era effettivamente in vigore al momento della contestazione dell’illecito (e riproduceva pressoché integralmente le statuizioni dell’art. 164 del D. Lgs. 29/10/1999 n. 490, operativo all’epoca dell’emissione del verbale di accertamento) stabilendo al comma 1 che “In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è tenuto, secondo che l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica ritenga più opportuno nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'articolo 134, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata previa perizia di stima”.

1.2 La disposizione applicata, pertanto, accordava all’Ente pubblico l’alternativa tra l’irrogazione della misura pecuniaria e la restaurazione dello stato dei luoghi antecedente all’illecito, mentre la disciplina introdotta ex post dal D. Lgs. 157/2006 (rispetto alla quale il ricorrente presta adesione alla scelta dell’amministrazione di non applicarla all’illecito in discussione) stabilisce quale unico rimedio la remissione in pristino del bene tutelato, salve talune ipotesi circoscritte (lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica, interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria).

1.3 E’, dunque, chiaro che la decisione dell’autorità competente di irrogare la sanzione pecuniaria ha come presupposto un giudizio di compatibilità paesaggistica delle opere (sentenza Sez. I – 21/1/2013 n. 52) o, comunque, una valutazione la quale – nel bilanciamento dei valori ambientali con la portata dell’intervento – esclude che sia indispensabile disporre la più radicale misura della reintegrazione dello stato dei luoghi. Seppur in assenza di un’asserzione espressa e puntuale, dunque, un apprezzamento di “non totale incompatibilità” dell’intervento con l’interesse paesaggistico è stato implicitamente compiuto, proprio con l’opzione per una soluzione meno rigorosa nei confronti dell’autore dell’illecito (il quale peraltro non censura la mancata imposizione del ripristino totale).

2. Sotto altro punto di vista lamenta il ricorrente che, nella perizia, la sanzione viene giustificata sulla base di un dato di fatto – la quantità di materiale irregolarmente scavato – del tutto aprioristico e immotivato: i 1100 m³ di materiale abusivamente estratto sono indicati senza dare contezza degli accertamenti tecnici presupposti, mentre dalla planimetria allegata e in particolare dalle Sezioni comparative (cfr. doc. 11) si evincerebbe che l’unica porzione di area interessata dal vincolo non è stata minimamente incisa dagli scavi.

La prospettazione non merita apprezzamento.

2.1 Il verbale di accertamento (doc. 2 ricorrente) dà atto che “su una superficie di circa 150 m² di area boscata” è stato eseguito un “taglio di piante, sradicamento di ceppaie e varie essenze coloniche arbustive” e sono state compiute “opere di coltivazione oltre i profili autorizzati sotto il profilo idrogeologico e paesaggistico, con asportazione di materiale consistente in bancate di marmo”: in buona sostanza si attesta il compimento di uno scavo non autorizzato in area sottoposta a vincolo, con conseguente assoggettamento alla sanzione di cui all’art. 167 del D. Lgs. 42/2004. Il quantitativo (inizialmente indicato in circa 6.357,35 m³) è stato in seguito rettificato riconducendo la volumetria complessiva a 1100 m³.

2.2 La stima del quantitativo è stata effettuata sulla base dell’atto di accertamento della trasgressione, e il perito ha preso a riferimento il dato di 150 mq. individuato nel verbale del 24/4/2003 ed esibito dallo stesso ricorrente nella propria relazione del 2/4/2006 (cfr. suo doc. 8). In quest’ultima, tuttavia, il Sig. Gasparini oppone che l’escavazione non autorizzata non sarebbe stata compiuta sulla superficie vincolata di 150 mq., e tuttavia – secondo il verbale riportato – ciò è condivisibile nella sola misura in cui egli afferma l’impossibilità di estrarre un quantitativo di 6.357 mq., mentre l’atto formato dai pubblici ufficiali dà specificamente conto dello scavo compiuto in detta zona. La Provincia ha evidenziato, nella propria memoria difensiva (pagina 6), di aver effettuato una media della profondità delle escavazioni abusive, ottenendo 1.125 mc. poi approssimati in 1.100 mc., (cfr. tavole del Piano di coltivazione con stato attuale dell’attività estrattiva – doc. 5). Detto sistema di calcolo – che stabilisce come punto di partenza la media dell’attività non autorizzata – non è stato contestato da parte ricorrente e appare al Collegio attendibile e immune da vizi.

3. Il Sig. Gasparini lamenta ulteriormente l’erroneità e l’irragionevolezza compiute nel collegare il danno ambientale al quantitativo di materiale scavato: l’effettivo grado di lesione del bene ambiente è identificabile tramite altri fattori, correlati al reale valore dell’area.

La doglianza non è passibile di positivo scrutinio.

3.1 Se in linea di principio il “valore ambiente” trascende il quantum del materiale estratto in assenza di autorizzazione, è altrettanto vero che – secondo un giudizio di verosimiglianza – l’incisione del bene giuridico del paesaggio è più sensibile quanto più ampio e profondo è l’intervento indebito sul suolo. In presenza di una manomissione fisica dell’area, non risulta in buona sostanza illogico associare un incremento del pregiudizio all’ambiente a una maggiore volumetria di marmo asportata, che realizza una più elevata compromissione del profilo di un determinato terreno, frutto anche di un’accresciuta percezione del suo andamento discontinuo.

4. Passando all’esame dei vizi dedotti contro il trattamento sanzionatorio, ad avviso di parte ricorrente è errato il presupposto logico-giuridico di quantificazione della sanzione, poiché il perito afferma che la stessa ha un valore risarcitorio quando la natura della misura pecuniaria non è (per costante giurisprudenza) di tipo riparatorio bensì di vera e propria sanzione amministrativa; inoltre, il legislatore distingue nettamente il concetto di “danno ambientale” da quello di “utilità economica” (profitto), mentre l’amministrazione ha elaborato una formula ove il lucro indebito è assunto a parametro per calcolare il pregiudizio ambientale (il danno è infatti ottenuto moltiplicando il profitto per un “indice di danno”).

Detto ordine di idee non può essere condiviso.

4.1 La tutela del paesaggio, nel nostro sistema giuridico, è certamente assicurata da misure prettamente sanzionatorie che hanno in via principale funzione deterrente, come quelle di cui all’art. 167 del D. Lgs. 42/2004 (cfr. sentenza T.A.R. Brescia 18/4/2008 n. 388), le quali prescindono dalla sussistenza effettiva del danno ambientale (T.A.R. Sicilia Catania, sez. II – 27/9/2013 n. 2328). Nello specifico, è stato di recente precisato che la motivazione della sanzione è ricollegata ad una stima tecnica di carattere generale, sostanzialmente equitativa, insuscettibile di una dimostrazione articolata ed analitica (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 17/9/2013 n. 4631 che richiama sez. IV – 14/4/2010 n. 2083), sfuggendo il danno paesaggistico, per la sua intrinseca natura, a una indagine dettagliata e minuta (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII – 9/2/2012 n. 695).

4.2 Tuttavia, al di là della premessa teorica sviluppata dal perito, ciò che deve essere sottoposta a valutazione è la tecnica di costruzione del danno dallo stesso elaborata, tenuto conto che la norma non fornisce alcun suggerimento operativo al riguardo. Anche il D.M. 26/9/1997 – avente ad oggetto “Determinazione dei parametri e delle modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte a vincolo” – si limita a contemplare una perizia di valutazione del danno determinato dall’intervento abusivo, mentre reca norme puntuali per la sola quantificazione del profitto (articolo 3).

4.3 Ad avviso del Collegio, è corretta l’asserzione per la quale i parametri di commisurazione della sanzione sono tra loro alternativi, e tuttavia ciò non esclude che il valore di una delle due voci (nella specie il danno ambientale, singolarmente considerato), possa essere in concreto stabilito elaborando un indice complesso nel quale trovi spazio – tra i vari fattori – anche il profitto. In buona sostanza, in assenza di indicazioni normative, nel caso sottoposto all’esame del Collegio il perito ha ritenuto che il profitto conseguito fosse uno degli indicatori utili per giungere ad una congrua quantificazione della voce “danno ambientale”: detta scelta non può dirsi a priori illogica, dato che il carattere remunerativo di un’attività economica intrapresa in violazione delle regole costituisce elemento rivelatore della natura impattante dell’intervento, e un lucro maggiore è ordinariamente accompagnato da una compromissione più accentuata del bene ambiente. Ovviamente, possono riscontrarsi casi peculiari o eccezionali i quali smentiscono detta argomentazione, che tuttavia non si sono verificati (in assenza di specifiche dimostrazioni e deduzioni) presso l’area di cui si discorre.

4.4 A proposito dell’ulteriore obiezione mossa dal ricorrente, per cui se il valore di uno dei due fattori della formula fosse pari a 0 inevitabilmente anche la quantificazione economica del danno risulterebbe (illogicamente) pari a 0, si può osservare che – tra le premesse della perizia – il dott. Romagnoli ha dato atto dell’ipotesi di danno in assenza di profitto (par. 3.1.2). Nell’ipotesi opposta, invece, verrebbe in considerazione l’art. 4 del D.M. 26/9/1997 ai sensi del quale “L'applicazione dell'indennità risarcitoria è obbligatoria anche se dalla predetta valutazione emerga che il parametro danno sia pari a zero, nella misura non inferiore a quella minima indicata nello schema sopradisposto o comunque prestabilita da specifica norma”.

5. Parte ricorrente si duole del fatto che risulterebbero del tutto immotivati e non intellegibili i criteri individuati per concorrere alla determinazione dell’indice di danno ambientale (collocazione geografica dell’area, sviluppo geometrico, tecnologie di abbattimento, tipo di cava, gravità del danno, classificazione del danno): a ciascuna voce sarebbero stati assegnati in via astratta e aprioristica diversi valori, in modo del tutto arbitrario e senza specificare l’iter logico posto alla base della loro individuazione.

5.1 Detta asserzione non è degna di apprezzamento, poiché in realtà i dati illustrati nella perizia sono chiari e sviluppati nel dettaglio, con l’elaborazione di differenti parametri i quali permettono di calibrare con la migliore precisione possibile la sanzione irrogata alla concreta tipologia di pregiudizio prodotto. Così, ad esempio, l’indice “collocazione geografica” si articola in cave di monte (presso le quali eventuali incisioni si rivelano più sensibili) e cave di pianura. Le cave di monte sono poi distinte in “culminali”, “mezza costa” e “pedemontane”, e a ciascun sub-criterio è associato un valore numerico decrescente per il progressivo minor impatto a mano a mano che si scende verso valle. Si ribadisce che, in assenza di indicazioni legislative, vi è ampia discrezionalità nella stima del danno, che deve obbedire a criteri equitativi non necessariamente dettagliati (cfr. suprapar. 4.1). In tale contesto, l’elaborazione del dott. Romagnoli si rivela congrua e puntuale, e risponde all’obiettivo di risalire a una quantificazione attendibile e (quanto più possibile) aderente al caso concreto.

6. A questo punto parte ricorrente sottopone a critica il profitto, che sarebbe stato calcolato in modo astratto e generico sulla base di mere presunzioni e quindi:

- il volume scavato abusivamente è stato indebitamente calcolato in 1100 m³, dato che non è stato estratto materiale nella (ridotta) porzione di area vincolata;

- i costi sostenuti risultano stimati nel 70% dei ricavi, quando nel bilancio 2001 i costi avevano un’incidenza del 97% sui ricavi e nel 2002 i primi erano addirittura superiori ai secondi;

- i ricavi sono calcolati sulla resa di banco, presunta nella misura del 50%, quando il Comune ha rilasciato una certificazione dalla quale la resa effettiva delle cave risulta pari al 19,71% (doc. 12);

- il ricavo viene suddiviso in altre sottovoci in relazione alla qualità del materiale, create arbitrariamente.

6.1 I predetti rilievi risultano depotenziati dalle convincenti obiezioni della difesa provinciale:

A. della correttezza della stima del volume di 1100 m³ scavato abusivamente e del coinvolgimento della porzione di area vincolata si è già trattato al paragrafo 2, al quale si rinvia;

B. non è irragionevole l’esibizione dei costi presuntivamente sopportati (stimati nel 70% dei ricavi), tenuto conto che un lieve incremento della produzione non è assistito dalla contemporanea espansione delle spese generali e degli ammortamenti, mentre gli invocati dati di bilancio non interferiscono su una valutazione che deve intendersi limitata all’operazione posta in essere con il materiale abusivamente scavato, e non si estende alla situazione economica complessiva dell’impresa;

C. circa la resa dei banchi, il parametro del 50% è stato desunto dalla relazione della Società, la quale lo ha fornito a pag. 15 della relazione tecnico progettuale che ha accompagnato l’istanza di ampliamento della cava (doc. 6 prodotto dalla Provincia);

D. la scomposizione del ricavo in sottovoci (paragrafo 8.1 relazione del perito) risponde alle esigenze già valorizzate al paragrafo 5.1 di questa sentenza.

7. Da ultimo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 14 della L. 689/81 per tardività della contestazione, che deve avvenire nel termine perentorio di 90 giorni dall’accertamento dell’illecito.

7.1 La doglianza è infondata. Il riferimento all'art. 14 della L. 689/81 non risulta pertinente alla fattispecie in esame, poiché la sanzione pecuniaria ex art. 167 del D. Lgs. 42/2004 non è disciplinata dalla L. n. 689/1981 (cfr. T.A.R. Basilicata – 13/7/2009 n. 455 che si è pronunciata sull’analoga disposizione di cui all’art. 15 comma 1 del R.D. 1497/1939).

In conclusione, il gravame è infondato e deve essere respinto.

Le imprecisioni dell’amministrazione nel corso del procedimento giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)