Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 364, del 22 gennaio 2013
Ambiente in genere.Legittimità diniego concessione edilizia per adeguamento industria insalubre in difformità NTA del PRG

E’ legittimo il diniego del Comune alla richiesta di concessione edilizia per l'adeguamento dell'impianto industriale di preparazione di conglomerati cementiti, in difformità delle N.T.A. del P.R.G. vigente in quanto l'attività svolta dall'impianto rientra nell'elenco delle industrie insalubri di cui all'art. 216 T.U. delle Leggi sanitarie. Infatti, l’art. 216 del T.U. delle Leggi sanitarie (D.M. 5.9.1994 e succ. modif.) nel consentire la permanenza delle industrie insalubri nei centri abitati a certe condizioni e accorgimenti tecnici, non ha autorizzato il Comune a disporre una deroga al disposto della norma, tale da porre nel nulla il precetto che vuole lontane dagli abitati le lavorazioni insalubri. Al contrario, ha inserito una prescrizione che si armonizza con le norme dello strumento urbanistico e ha proprio il fine di allontanare quelle lavorazioni a tutela della qualità della vita dei residenti. Si tratta quindi di un ulteriore strumento di governo del territorio che conferisce all’ente locale, nell’ambito del generale potere pianificatorio, un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno di quelle attività, tanto ampia da comprendere anche l’interdizione dall’esercizio delle attività stesse. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00364/2013REG.PROV.COLL.

N. 07760/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 7760 del 2005, proposto da 
Citernesi Secondo calcestruzzi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Emilio Mattei, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv. Antonio Delianni in Roma, piazza Cola di Rienzo n. 92, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Sansepolcro, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 2051 del giorno 11 giugno 2004;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Diego Sabatino;

Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 7760 del 2005, Citernesi Secondo calcestruzzi s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 2051 del giorno 11 giugno 2004 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Sansepolcro per l’annullamento del provvedimento prot. n. 6729 del 7.5.2003 a firma del Dirigente dell'ufficio urbanistica, con il quale il Comune di Sansepolcro comunicava che la richiesta concessione edilizia avanzata dalla società ricorrente (in data 7.3.2003 prot. n. 3725), per l'adeguamento dell'impianto industriale di preparazione di conglomerati cementiti in loc. Campezzone – zona industriale S. Fiora, non poteva essere accolta per difformità rispetto all'art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (D.C.R. n. 197/2001) in quanto l'attività svolta dall'impianto rientrava nell'elenco delle industrie insalubri di cui all'art. 216 T.U. delle Leggi sanitarie (D.M. 5.9.1994 e successive modifiche.

Dinanzi al giudice di prime cure, con ricorso notificato il 5.7.03, la s.r.l. Citernesi Secondo Calcestruzzi in persona del legale rappresentante aveva chiesto l’annullamento del provvedimento n. 6729 del 7.5.2003 con il quale il Comune di Sansepolcro comunicava il diniego di concessione edilizia per difformità rispetto all’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. vigente (del. C.R. n. 197/2001) in quanto l’attività svolta nell’impianto rientrava nell’elenco delle industrie insalubri (art. 216 t.u. leggi sanitarie n. 1265/34 e d.m. 5.9.1994).

La società, che svolge attività di produzione di conglomerati cementiti dal 1967, esponeva di avere da tempo chiesto al Comune di poter realizzare un nuovo impianto tecnologico in aggiunta, prima, e in sostituzione, poi, di quello esistente e nella stessa area; il progetto aveva ricevuto pareri favorevoli della Usl e dell’Arpat, ma il Comune ne pretese lo spostamento nell’area golenale del fiume Tevere perché alcuni cittadini della zona di S. Fiora non gradivano la presenza di impianti produttivi; le condizioni poste dal Comune però erano assurde e inaccettabili, anche perché la concessione sarebbe stata a titolo precario (per soli 5 anni) e non definitivo e con una serie di gravosi adempimenti (smantellamento dell’impianto esistente, rimessa in pristino della nuova area, costruzione di un tratto di argine ed altro).

Non ritenendo di poter aderire alle condizioni, in data 7.3.2003 la società chiese la concessione edilizia per il nuovo impianto da realizzarsi in un’area appositamente acquistata e indicata a suo tempo dallo stesso Comune (zona D1), ove erano presenti altri impianti analoghi o identici.

Avverso il diniego formulava i seguenti motivi: 1) violazione di legge e eccesso di potere: l’art. 29 delle N.T.A. invocato dal Comune non è applicabile al caso di specie perché la zona non è a preminente carattere artigianale, ma a prevalente carattere industriale e, comunque, non artigianale; 2) violazione degli artt. 7 della legge regionale n. 52/99, 3 della legge n. 241/90, 29 delle N.T.A., eccesso di potere per carenza di presupposti, sviamento, contraddittorietà, difetto di istruttoria, ingiustizia, disparità di trattamento, carenza di motivazione: anche se fosse applicabile l’art. 29 delle N.T.A., non è impedita la realizzazione dell’impianto che non è inquinante e non costituisce industria insalubre, perché si tratta di una struttura moderna a ciclo chiuso senza dispersione di polveri e senza emissione di rumori inquinanti, tanto che era stata assentita dalla Usl e dall’Arpat; il Comune ha rilasciato la concessione a due altri soggetti (Giorni Oscar di Giorni Massimo & C. s.n.c. e Ediltevere s.r.l.); non è stato considerato che il nuovo impianto, più moderno, avrebbe sostituito quello esistente.

Si era costituito in giudizio il Comune di Sansepolcro, opponendosi al ricorso e rappresentando nella memoria di udienza che la società ricorrente aveva inoltrato in passato più richieste di concessione edilizia (22.7.97, 23.11.98, 12.10.99) per vari interventi edilizi di ampliamento dell’impianto esistente, che non sono state accolte perché gli strumenti urbanistici vigenti al momento in cui le domande sono state inoltrate non consentivano la localizzazione delle industrie insalubri di 1^ classe nella zona richiesta; con l’approvazione della variante in data 31.10.2001 (delibera C.R. n. 197) veniva mantenuta la previsione dell’art. 29 delle N.T.A. che non consente l’insediamento di industrie insalubri di 1^ e 2^ classe nella zona D1 (Santa Fiora) caratterizzata dalla presenza prevalente di laboratori e ditte artigiane; l’impianto della ricorrente è localizzato lungo la Strada provinciale Libbia vicino a insediamenti residenziali, in contrasto con l’art. 216 t.u. leggi sanitarie n. 1265/34 che impone alle industrie insalubri di 1^ classe di essere “isolate nelle campagne e tenute distanti dalle abitazioni”; d’accordo con la ricorrente e con l’Autorità di bacino del fiume Tevere si era deciso di spostare l’impianto in ambito urbanistico D 0 del P.R.G.; il 27.6.2003 è stata adottata dal Comune una nuova variante urbanistica per la zona industriale S. Fiora e Alto Tevere, approvata il 13.2.2004 (delibera n. 6), le cui norme tecniche di attuazione (art. 3) prevedono, a modifica dell’art. 29 precedente, che “nelle zone a preminente carattere produttivo sono escluse le attività che comportano lavorazioni inquinanti di 1^ classe”, consentendo (art. 5, punto 2, N.T.A.) per gli impianti esistenti (come quello della ricorrente) solo la ristrutturazione con spostamento in area apposita (D 0); sia l’applicazione delle norme di salvaguardia dalla adozione della variante, sia la nuova disciplina dopo la sua approvazione sorreggono l’impugnato diniego.

Con atto depositato il 26.2.2004 la ricorrente, prodotta un perizia tecnica di parte che concludeva per l’ammissibilità dell’intervento edilizio, chiedeva espletarsi consulenza tecnica d’ufficio per accertare la natura e le caratteristiche della zona (se prevalentemente industriale o artigianale) nonché le caratteristiche tecniche e funzionali dell’impianto di ultima tecnologia.

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla qualificazione dell’area de qua e alla conseguente esatta applicazione della disciplina urbanistica vigente.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, in relazione alle ragioni di doglianza già proposte dinanzi al T.A.R..

Alla pubblica udienza del 27 novembre 2012, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

Preliminarmente, va rammentata la normativa tecnica valevole nell’area interessata, area dove l’appellante aveva richiesto una concessione edilizia, negata dal Comune di Sansepolcro, per l’adeguamento dell’impianto industriale di preparazione di conglomerati cementiti in località Campezzone – zona industriale Santa Fiora. Il diniego impugnato era motivato per la contrarietà dell’intervento all’art. 29 delle N.T.A. all’epoca vigente (delibera di approvazione di variante al P.R.G. n. 197 del 31 ottobre 2001). Detto articolo, riferendosi alle “zone per insediamenti produttivi D”, chiarisce che tali sono quelle destinate “a laboratori artigiani, piccolo industriale, industriale” e inoltre che “nelle zone a preminente carattere artigianale sono escluse le attività che comportano lavorazioni inquinanti (I e II classe dell’industrie insalubri di cui all’art. 216 del t.u. delle leggi sanitarie – D.M. 19.11.1981). Ancora preliminarmente, va evidenziato, come opportunamente ha fatto già il giudice di prime cure, come la norma tecnica di attuazione richiamata non sia stata impugnata in quel giudizio e, consequenzialmente, in questo appello.

2. - Ciò sottolineato, possono valutarsi le doglianze proposte.

Con il primo motivo di diritto, viene censurata la sentenza per non aver correttamente valutato la tipologia di zona in cui avrebbe dovuto allocarsi l’attività industriale dell’appellante. In particolare, non si sarebbe considerato come l’area fosse di carattere industriale, e non a preminente carattere artigianale, come voluto dal Comune, e che tale constatazione poteva ben essere rilevata sulla scorta di una valutazione in fatto. Al contrario il T.A.R. si era fondato su una disamina condotta dagli uffici tecnici del Comune, e non proveniente dagli elenchi della Camera di commercio, dal carattere evidentemente parziale.

2.1. - La doglianza va respinta.

Occorre notare come sia certamente corretta la pretesa dell’appellante di censurare la valutazione del T.A.R. sul concetto di preminenza delle attività industriali, e ciò non perché il ragionamento del giudice di prime cure sia stato scorretto, ma proprio in quanto il concetto di preminenza, non altrimenti precisato, si presta ad essere valutato secondo criteri e parametri differenziati. Tuttavia, stante l’assenza di qualsiasi altra connotazione del criterio della preminenza (che potrebbe essere dimensionale, qualitativa, estensiva e quant’altro), pare corretto condividere l’implicito assunto del T.A.R. che ha collegato il citato concetto con il dato numerico, nella sua crudezza, delle imprese presenti nell’area, in relazione alla loro sede.

Pertanto, le censure proposte (in relazione al nomen dell’area, al rilievo dimensionale delle attività industriali ivi presenti, alla presenza delle sole sedi legali di determinate attività artigianali) non riescono a superare le valutazioni del Comune, fatte proprie dal T.A.R., sulla circostanza di un rapporto tra 58 imprese artigiane e 34 non artigiane.

E sebbene il ricorrente contesti la correttezza anche del mero dato quantitativo, va notato che tale censura non vada oltre l’indicazione di un errore, dovuto al non aver riportato nella lista proprio il nome della società ricorrente, fatto che al limite sottoporrebbe l’elenco proposto ad una verifica del tipo della prova di resistenza, peraltro qui agevolmente superata, senza infirmare il valore complessivo del giudizio operato.

Deve quindi condividersi la decisione del T.A.R. in merito alla natura a carattere preminentemente artigianale dell’area, senza dover ricorrere a ulteriori accertamenti di carattere tecnico, atteso che in ogni caso dovrebbe avere vigenza il solo citato parametro numerico contenuto nelle normativa tecnica comunale.

3. - Con il secondo motivo, viene lamentata l’erroneità della decisione per non aver considerato la compatibilità dell’impianto, stanti le sue caratteristiche tecniche in materia di inquinamento, con l’area de qua. A parere dell’appellante, la realizzazione dell’impianto, che non è inquinante e non può considerarsi insalubre, non sarebbe quindi impedita poiché si tratta di una struttura moderna a ciclo chiuso senza dispersione di polveri e senza emissione di rumori, e ciò si sostiene sulla scorta dell’art. 216 del t.u.l.s..

3.1. - La doglianza non può essere condivisa.

Del tutto pacificamente, la giurisprudenza evidenzia come l’art. 216 t.u.l.s., nel consentire la permanenza delle industrie insalubri nei centri abitati a certe condizioni e accorgimenti tecnici, non ha autorizzato il Comune a disporre una deroga al disposto della norma, tale da porre nel nulla il precetto che vuole lontane dagli abitati le lavorazioni insalubri. Al contrario, ha inserito una prescrizione che si armonizza con le norme dello strumento urbanistico e ha proprio il fine di allontanare quelle lavorazioni a tutela della qualità della vita dei residenti. Si tratta quindi di un ulteriore strumento di governo del territorio che conferisce all’ente locale, nell’ambito del generale potere pianificatorio, un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno di quelle attività, tanto ampia da comprendere anche l’interdizione dall’esercizio delle attività stesse.

Non vi è quindi spazio per una lettura della norma nel senso voluto dall’appellante, atteso che il citato 29 N.T.A. (dal contenuto schiettamente urbanistico e non impugnato in questa sede) non consente al comune il rilascio della richiesta concessione edilizia nella zona ove si svolge l’attività. Per tali ragioni, le censure proposte dall’appellante, in merito alla circostanza per cui l’impianto da realizzare non sarebbe inquinante per l’alta tecnologia che lo contraddistinguerebbe, sono del tutto inconferenti perché in quella zona in nessun caso avrebbe potuto essere localizzato secondo le N.T.A. all’epoca vigenti.

3.2. - All’interno dello stesso motivo, l’appellante evidenzia anche l’esistenza di motivi attinenti le illegittimità procedimentali commesse dal Comune e ciò sia in relazione alla disparità di trattamento, atteso che nell’area sono state rilasciati altri titoli abilitativi per interventi di tipo industriale, sia per i vizi motivazionali intrinseci al provvedimento.

In merito al primo aspetto, non può certamente evidenziarsi una disparità di trattamento rispetto ad altre industrie cui sarebbero state assentite nuove concessioni edilizie per ristrutturare impianti analoghi, e ciò sia per la correttezza del procedimento adottato dal Comune nel caso in specie, come sopra evidenziato, sia, per quanto possa valere, per le differenze tra gli impianti coinvolti, come bene evidenziato nella sentenza gravata, che non paiono per nulla assimilabili.

In merito al difetto di istruttoria e di motivazione, va notato come l’atto impugnato dia conto sia pure in modo succinto delle motivazioni che sorreggono il diniego di concessione edilizia in quella zona e da tutto l’iter procedimentale. In particolare, dalla documentazione sui rapporti intercorsi con l’appellante, ben può ricostruirsi il percorso logico tenuto dall’amministrazione, da dove si evince anche come si sia cercato di venire incontro alle esigenze della stessa società.

4. - Con il terzo motivo, viene infine lamentata l’errata considerazione da parte del giudice di primo grado della rilevanza sia degli atti sopravvenuti nella vicenda (ed in particolare, della nuova variante per le aree produttive in zona industriale Alto Tevere e Santa Fiora, approvata con delibera C.C. n. 6 del 13.2.2004) che delle vicende precedenti l’impugnato diniego. In concreto, il giudice avrebbe attribuito a atti irrilevanti e non impugnati una valenza di supporto alla propria tesi.

4.1. - La censura non è ammissibile.

Con il capo di sentenza gravato, il giudice ha effettivamente ulteriormente corroborato le proprie affermazioni, sulla scorta di un esame di atti sopravvenuti, espressamente non impugnati in primo grado. Non essendo questi oggetto dello scrutino del giudice, le considerazioni svolte non sono ex se in grado di ledere la posizione dell’appellante, avendo un valore solo motivazionale.

Pertanto, anche aderendo alla prospettazione dell’appellante, sulla irrilevanza e non conferenza di tali documenti e delle correlate argomentazioni del giudice, non scaturirebbe alcun risultato processuale utile, dovendo in ogni caso essere confermata la decisione del T.A.R. sulla base delle ragioni già valutate nei capi che precedono.

5. - L’appello va quindi respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 7760 del 2005;

2. Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

Sergio De Felice, Presidente FF

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)