Consiglio di Stato Sez. VII n. 5095 del 12 giugno 2025
Ambiente in genere.Legittimazione processuale delle organizzazioni collettive in materia ambientale
In materia ambientale, la legittimazione processuale delle organizzazioni collettive si fonda su un riconoscimento legislativo espresso ovvero su una previsione legislativa implicita che postula la ricorrenza di requisiti cumulativi, sintomatico della concreta rappresentatività, ossia: a) l’ente persegua il soddisfacimento dell'interesse ambientale che sia stabilito dallo statuto; b) l’ente presenti un'organizzazione stabilmente finalizzata a tutelare l’interesse; c) l’interesse diffuso abbia connotati di sostanziale "omogeneità" tra i soggetti che compongono la "comunità". In particolare, le associazioni ambientaliste elencate nell'art. 13 della L. n. 349 del 1986 godono del diritto di presentare ricorsi amministrativi contro atti giudicati illegittimi, senza la necessità di ulteriori verifiche da parte del Giudice, come stabilito dall'art. 18 della stessa legge. Questa normativa riconosce la loro capacità di intervenire in causa legate a danni ambientali. Per le associazioni che non figurino in questo elenco, la possibilità di ricorrere viene invece valutata individualmente, seguendo criteri specifici sviluppati dalla giurisprudenza. La decisione di ammettere queste associazioni all'azione legale si basa su tre condizioni principali: devono perseguire costantemente obiettivi di tutela ambientale secondo i loro statuti, devono dimostrare di essere rappresentative e stabili, e la loro area di interesse deve corrispondere alla zona in cui si trova il bene collettivo danneggiato
Pubblicato il 12/06/2025
N. 05095/2025REG.PROV.COLL.
N. 04361/2022 REG.RIC.
logo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4361 del 2022, proposto da
Anagni Viva, Rete per la Tutela della Valle del Sacco, Comitato Residenti Colleferro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Vittorina Teofilatto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Teresa Chieppa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero per la Transizione Ecologica, non costituito in giudizio;
nei confronti
Saxa Gres S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Germana Cassar, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Salute, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 12402 del 2 dicembre 2021, resa tra le parti, sul ricorso per l’annullamento della determinazione di VIA Regionale G11318 del 29/08/2019, della circolare del Ministero dell'Ambiente prot. 10045 del 01/07/2016, della determinazione della Regione Lazio n. G13381 del14/11/2016 di valutazione di impatto ambientale ai sensi dell'art. 23 D.lgs. 152/2006 relativa all’“impianto per la produzione di ceramiche con recupero di scorie da termovalorizzazione di r.s.u. presso l'esistente impianto sito in località Selcianella Anagni” nella parte in cui modificava la determinazione G08462 e dava corso alla valutazione di impatto ambientale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Saxa Gres S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 giugno 2025 il Cons. Maria Grazia Vivarelli e uditi per le parti gli avvocati Vittorina Trofilatto; Teresa Chieppa; Germana Cassar;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 30 ottobre 2014, la Società SAXA GRES s.r.l. presentava un’istanza di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA regionale), ai sensi dell'art. 23 del D.lgs. 152/2006, per la realizzazione di un impianto finalizzato alla produzione di ceramiche con recupero di scorie provenienti dal termovalorizzatore di San Vittore RSU, da ubicarsi presso un impianto esistente ed in esercizio in virtù di una preesistente autorizzazione provinciale, sito nel comune di Anagni in località Selciatella.
L’impianto era finalizzato a recuperare, mediante trattamento fisico-meccanico, il rifiuto di ceneri pesanti all’interno degli impasti di argilla e sabbia utilizzati per la produzione di gres porcellanato spessorati.
2. La struttura regionale con determina G08462 del 22/07/2016 disponeva il non luogo a procedere alla valutazione.
3. Successivamente, il Ministero dell’Ambiente con la circolare prot. n 10045/2016 del 01/07/2016, avente ad oggetto la “Disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto”, in applicazione dell’art.184 ter D.lgs. 152/2006, prevedeva la possibilità, per le Regioni o per gli enti da queste individuati, di definire i criteri EoW rispetto ai rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione, previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma 1 dell’articolo 184 ter citato.
4. A seguito della circolare ministeriale, la società SAXA GRES, in data 9 /09/2016, presentava l’istanza, acquisita con il prot.n. 455264 del 12/9/2016, con la quale richiedeva all’Area VIA il ritiro in autotutela della determina di non dare ulteriore corso alla valutazione, n. G08462 del 22/7/2016.
5. L’Area VIA regionale, dopo aver preso atto della circolare ministeriale e dell’istanza della società, con determinazione n. G13381 del 14/11/2016, modificava in autotutela la determinazione G08462 del 22/07/2016 e stabiliva di “dare ulteriore corso alla valutazione relativa al procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale previa ottemperanza alla sperimentazione da effettuarsi presso l'impianto stesso, sulla base di quanto contenuto nel protocollo allegato alla nota 455264/2016 per lo svolgimento di prove tecniche e ambientali finalizzate alla commercializzazione finale degli spessorati redatto da CRITEVAT, “Centro di Ricerche della Sapienza Università di Roma”, nonché di pronunciarsi espressamente, a seguito della sperimentazione, circa l'ottemperanza”.
6. In considerazione della necessità di testare preventivamente il prodotto, la Regione Lazio, con determinazione G11571 del 11/08/2017, autorizzava la sperimentazione richiesta per i codici CER 190111 e 190112 per un totale di 60 tonnellate e, con successiva determinazione n. G11318 del 29/08/2019, prendeva atto dell’esito positivo della sperimentazione.
7. L’Area VIA della Regione Lazio, quindi, in esito alla favorevole sperimentazione (Determinazione G11318 del 29/08/2019) ed in seguito ai pareri pervenuti ed alle risultanze della conferenza dei servizi, con la determina n. G11755 del 09/09/2019 emetteva una pronuncia di valutazione di impatto ambientale positiva con prescrizioni, affermando espressamente “di demandare al procedimento di Autorizzazione Integrata Ambientale le valutazioni tecniche relative alle modalità di recupero che sono state oggetto della sperimentazione ai sensi dell’art. 211 approvata con determinazione G11571 del 11/08/2017 e conclusa favorevolmente con la determinazione G11318 del 29/08/2019”.
Successivamente, in data 13/08/2020 sul Burl n.101 – supplemento n.1 veniva pubblicata la Determinazione regionale del 16 /07/2020, n.G08410, relativa al rilascio dell’A.I.A. per l’impianto in esame, che non risulta essere stata impugnata.
8. Le associazioni Anagni Viva, Rete per la Tutela della Valle del Sacco ed il Comitato dei Residenti di Colleferro hanno adito il TAR Lazio-Roma per richiedere l’annullamento della Determinazione di VIA G11318 del 29/08/2019, della circolare del Ministero dell'Ambiente prot. 10045 del 01/07/2016, della determinazione della Regione Lazio n. G13381 del14/11/2016 di valutazione di impatto ambientale ai sensi dell'art. 23 D.lgs. 152/2006 relativa all’“impianto per la produzione di ceramiche con recupero di scorie da termovalorizzazione di r.s.u. presso l'esistente impianto sito in località Selcianella Anagni” nella parte in cui modificava la determinazione G08462 e dava corso alla valutazione di impatto ambientale.
9. In corso di causa, le ricorrenti hanno presentato istanza di sospensiva, che il TAR non ha accolto e ha fissato l'udienza di discussione.
10. Il suddetto giudizio si è concluso con la sentenza n. 12805/2020, con la quale il TAR del Lazio ha dichiarato improcedibile il ricorso per mancata impugnazione della determinazione recante l’autorizzazione ambientale integrata, che veniva nelle more rilasciata dalla Regione Lazio (16 luglio 2020, n. G08410). Il TAR motivava la decisione sostenendo che, anche in caso di eventuale accoglimento del ricorso introduttivo con l’annullamento della determinazione regionale impugnata del 09/09/2019 n.G11755, relativa alla pronuncia di VIA, nessun effetto utile si sarebbe potuto attribuire a parte ricorrente posto che la intervenuta determinazione regionale autorizzativa dell’AIA avrebbe prodotto comunque i suoi effetti per essere allo stato inoppugnabile.
11. La sentenza è stata impugnata e riformata dal Consiglio di Stato con sentenza breve n.5404/2021, per violazione del principio del contradditorio poiché la questione relativa all’improcedibilità del ricorso, dedotta con note di udienza in assenza di richiesta di udienza telematica (e dunque non oggetto di discussione) “il giudice di prime cure, quindi, per un verso avrebbe dovuto considerare l’eccezione alla stregua di una questione nuova, fino ad allora non trattata, come tale inutilizzabile in quanto introdotta per la prima volta con mere note di udienza; per l’altro, ove ne avesse ravvisata la rilevanza ai fini della decisione (come poi accaduto in concreto), avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a, sostanziandosi essa in una questione rilevata ex officio” .
12. Con atto di riassunzione depositato in giudizio in data 1.09.2021, i ricorrenti hanno riproposto le medesime censure avverso il provvedimento di V.I.A. impugnato.
13. Il TAR del Lazio-Roma, Sez. I Quater, con sentenza n. 12402/2021, ha dichiarato nuovamente improcedibile il ricorso ex art. 35 comma 1 lett. c) del Codice del processo amministrativo, con condanna alle spese di lite a favore della Regione Lazio (E. 2.000) e della società controinteressata (E.2.000).
14. Avverso la suddetta pronuncia sono insorte Anagni Viva, Rete per la tutela della Valle del Sacco ed il Comitato residenti Colleferro con atto d’appello notificato il 17/05/2022 e depositato il 26/05/2022, a mezzo del quale hanno chiesto la riforma, previa sospensione, della sentenza di prime cure articolando tre motivi di censure.
15. In data 07/06/2022 si è costituita in giudizio la Saxa Gres S.p.a. chiedendo la reiezione dello stesso.
16. In data 24/06/2022 si è costituita la Regione Lazio che si è unita alla richiesta di reiezione dell’appello formulata da Saxa Gres S.p.a..
17. Con ordinanza del 16/06/2022 il Consiglio di Stato ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalle appellanti non essendo stati ravvisati i requisiti del “fumus boni iuris e del periculum in mora stabiliti dall’art. 98 c.p.a. per la sospensione della esecutività dell’impugnata sentenza, in quanto:
a) tutte le censure di merito poste a sostegno del gravame non appaiono suscettibili di favorevole esame alla stregua della documentazione versata in atti e dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio sui punti controversi;
b) non è stato utilmente allegato il pregiudizio grave e irreparabile, anche tenuto conto che l’appello è stato notificato in prossimità dello scadere del termine lungo di impugnazione di cui all’art. 92, comma 3, c.p.a. e che nel corso del giudizio di primo grado non è stata concessa una misura cautelare inibitoria”.
18. Saxa Gres e la Regione Lazio hanno depositato memorie difensive rispettivamente in data 30/04/2025 e in data 02/05/2025.
19. La causa, chiamata per la discussione all’udienza telematica del 4 giugno 2025, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Avverso la predetta sentenza le appellanti hanno articolato tre motivi di gravame.
1. Con il primo motivo rubricato “DIFETTO E/O OMISSIONE DI MOTIVAZIONE – ILLEGITTIMITA' PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 4 E 19 TUE E DELL'ART. 267 TFUE – ILLEGITTIMITA' PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 29 E 29 OCTIES D.LGS 156/2006” le appellanti censurano la sentenza nella parte in cui il TAR del Lazio ha dichiarato improcedibile il ricorso di impugnazione della V.I.A. in quanto le associazioni ricorrenti non hanno impugnato il provvedimento di A.I.A.. Secondo il Collegio, “la mancata impugnazione del provvedimento di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) determina la sopravvenuta improcedibilità del ricorso per carenza di interesse, perché anche l’eventuale accoglimento non potrebbe determinare il venir meno degli effetti del successivo provvedimento divenuto ormai inoppugnabile”.
L'interpretazione del TAR del Lazio si fonda dunque sulla tesi di una presunta inoppugnabilità o definitività dell'Autorizzazione Integrata Ambientale, che, una volta conferita, se non impugnata, non sarebbe più revocabile, annullabile, modificabile, nemmeno a seguito di una pronuncia di annullamento della Valutazione di Impatto Ambientale, di tal che, la mancata impugnazione dell'AIA renderebbe del tutto inutile una pronuncia nel merito dell'impugnazione della Valutazione di Impatto Ambientale.
Deducono gli appellanti l’illegittimità dell’opzione scelta in promo grado poiché la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza del 12 novembre 2019 resa nel caso Commissione c. Irlanda, C 261/2018) osterebbe ad una normativa nazionale che, in forza del principio di certezza del diritto e legittimo affidamento, faccia salve le autorizzazioni rilasciate in assenza della previa pronuncia di VIA. La gravata sentenza avrebbe ignorato la pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 12/11/2019, nonostante dedotta negli scritti difensivi. Sul punto, dunque, la sentenza risulterebbe viziata da omessa e/o comunque errata motivazione, oltre che da illegittimità per violazione degli artt. 4 e 19 del TUE, atteso che, come ribadito al punto 75 della sentenza stessa, anche i giudici nazionali sono tenuti ad una interpretazione del diritto interno conforme al diritto europeo, che, nella fattispecie, il TAR avrebbe ignorato. Inoltre, trattandosi di interpretare norme di derivazione UE, il TAR avrebbe dovuto rimettere la questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia Europea, anziché avventurarsi in interpretazioni non suffragate da alcuna giurisprudenza nazionale o europea. Sotto questo profilo, nell’ipotesi in cui il Consiglio di Stato dovesse ritenere che l'interpretazione dei giudici di prime cure non sia smentita dal tenore della sentenza della Corte di Giustizia Europea, si chiede che il Consiglio di Stato voglia rimettere la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea; dall’altro, in forza dell’art. 29, co. 3, D.lgs. 152/2006, il TAR non poteva sostenere che la mancata impugnazione dell’AIA avrebbe reso inutile una pronuncia sulla VIA. Ad avviso delle appellanti tale norma prevede che l’amministrazione, in caso di annullamento giurisdizionale della VIA, è invece tenuta: a) ad assegnare un termine all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento di VIA; b) ad autorizzare la prosecuzione delle attività solo qualora ciò avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale; c) in caso di VIA negativa, a disporre la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le modalità. Sarebbe quindi la norma di diritto interno a stabilire espressamente che l’annullamento giurisdizionale della Valutazione di Impatto Ambientale implica l’obbligo dell'autorità competente di sospendere l’autorizzazione, salvo che siano esclusi rischi sanitari o di sicurezza e a revocare l'autorizzazione nel caso in cui il procedimento di VIA reiterato dia esito negativo, disponendo la demolizione delle opere e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a spese del responsabile. Inoltre, anche l’art. 29 octies D.lgs. 152/2006 evidenzia l’erroneità della tesi del TAR sulla presunta intangibilità dell’autorizzazione inoppugnata, stabilendo che l’amministrazione è tenuta a riesaminare l’autorizzazione integrata ambientale “qualora si accerti una presunta situazione di inquinamento provocato dall'impianto in questione”.
Quanto alle spese di soccombenza, che sono state liquidate dal TAR, tenendo conto di una “palese improcedibilità del ricorso”, se ne chiede la riforma in quanto, alla luce dell'esposta pronuncia della Corte di Giustizia Europea, il ricorso non era affatto palesemente improcedibile.
2. Con il secondo motivo rubricato “INCOMPETENZA – VIOLAZIONE DELL'ART. 184 TER D.LVO 152/2006 E DELL'ART. 6 DELLA DIRETTIVA UE 2008/98 – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 117 E 97 DELLA COSTITUZIONE – VIOLAZIONE DELL'ART. 196 D.LVO 152/2006 – ECCESSO DI POTERE”, le associazioni appellanti contestano l’illegittimità della VIA sulla base di un’asserita incompetenza della Regione Lazio a stabilire e/o fissare i criteri per il recupero dei rifiuti finalizzati alla loro trasformazione in un'altra materia o sostanza, non costituente più un rifiuto, ai sensi dell’art. 184 – ter del TUA (c.d. fissazione dei criteri End of Waste, EoW). Deducono che l'art. 184 ter D.lvo 152/2006 ha stabilito che tali criteri possano, in assenza di regolamenti della UE, essere fissati mediante decreto ministeriale, ma, contrariamente a quanto sostenuto nella circolare ministeriale del 01.07.2016, nella Determinazione G13381 del 2016 della Regione Lazio e nella Determinazione G11755 del 2019 impugnate, non sarebbe consentito, almeno nel testo vigente all'epoca dell'emanazione di detti atti amministrativi, la possibilità per le Regioni di regolamentare tali criteri, atteso che ciò si porrebbe in contrasto sia con l’art. 117 comma secondo lett. s) della Costituzione che attribuisce esclusivamente allo Stato tale potere e con l’art. 196 D.lvo 152/2006 che non attribuisce tale competenza alla Regione, sia con il principio di buon andamento della P.A., sancito dall'art. 97 della Costituzione, che, infine, con il principio di ragionevolezza, essendo evidente che il deferire alle Regioni la potestà decisionale sui criteri di EoW comporterebbe l’impossibilità di garantire in modo uniforme sul territorio nazionale lo stesso livello di tutela per l'ambiente e la salute umana e determinerebbe evidenti distorsioni nella concorrenza tra imprese sul territorio nazionale.
In considerazione di quanto sopra esposto, deducono che sarebbe dunque evidente come l’erronea previsione - nella circolare ministeriale del 01.07.2016 – della competenza in capo alle Regioni della possibilità di fissare i criteri EoW nelle autorizzazioni in assenza di una regolamentazione ministeriale a monte e conseguentemente come sia stata errata la modifica in autotutela operata dalla Regione con la riapertura del procedimento di valutazione di impatto ambientale sul progetto (Determinazione G 11381 del 2016) e soprattutto con l'emissione, al suo esito, di una verifica di ottemperanza e di una valutazione di impatto ambientale positiva (determinazione G 11755 del 09.09.2019).
Sul punto, si sarebbe inoltre pronunciato il Consiglio di Stato con sentenza n. 1229/2018.
3. Con il terzo motivo di appello rubricato “DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE – VIOLAZIONE DELL'ART. 97 DELLA COSTITUZIONE- VIOLAZIONE DELL'ART. 5 D.LVO 152/2006- VIOLAZIONE DELL'ART. 24-25 D.LVO 152/2006 E DELL'ART. 6 DELLA CONVENZIONE DI AARHUS - VIOLAZIONE DELL'ART. 3 TER, QUATER, D.LVO 152/2006- VIOLAZIONE DELL'ART. 184 TER D.LVO 152/2006- VIOLAZIONE DELL'ART. 97 DELLA COSTITUZIONE – ECCESSO DI POTERE E CARENZA DI ISTRUTTORIA E MOTIVAZIONE PER MANCATA VALUTAZIONE DEL CUMULO E DELL'OPZIONE ZERO” le associazioni ricorrenti ripropongono plurimi profili di illegittimità che affliggerebbero la VIA per carenza di istruttoria e motivazione.
Le appellanti deducono che il provvedimento non sarebbe congruamente motivato in violazione dell’art. 5, lett. o), D.lvo 152/2006 ed in ogni caso la Regione Lazio avrebbe dovuto verificare i presupposti di cui all'art. 184 ter I comma D.lvo 152/2006. Inoltre la Regione, una volta ritenuto sussistere i presupposti ai sensi dell'art. 184 ter I comma D.lvo 152/2006, avrebbe comunque dovuto valutare se il trattamento di recupero progettato poteva essere effettuato nell’area ove è localizzato l’impianto. Tali aspetti non sarebbero stati considerati dalla Regione Lazio.
Inoltre, deduce che a pag. 40 della relazione tecnica generale (cfr. doc. 7), la proponente ha scritto che le scorie da rifiuti costituirebbero circa il 25% della miscela utilizzata per la produzione del gres porcellanato. Nella Determinazione del 28/09/2019 (cfr. doc. 6) si legge, invece, che sono state utilizzate in sperimentazione il 15% di scorie. Pertanto la sperimentazione condotta non sarebbe in linea con l'attività di recupero progettata. Sotto questo profilo, quindi, la verifica dell'ottemperanza alla sperimentazione non avrebbe dovuto determinare di per sé una valutazione positiva sull'impatto ambientale del progetto. Inoltre, sarebbe stato necessario prevedere specifiche prescrizioni a valle della VIA.
Infine deducono che non sarebbero state tenute in considerazione le osservazioni dalle medesime presentate in sede procedimentale
4. In via preliminare, la società controinteressata ripropone le eccezioni sollevate in primo grado, ma non esaminate dai giudici di prime cure.
4.1. SULLA INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO INTRODUTTIVO PER INVALIDITÀ DELLA PROCURA
Il ricorso introduttivo promosso innanzi al TAR Roma sarebbe inammissibile per evidenti ed insanabili carenze che affliggono la procura alle liti rilasciata all’Avv. Teofilatto (legale delle associazioni ricorrenti anche nel giudizio di primo grado) e che determinano l’assenza del requisito essenziale di specialità previsto dall’art. 40, comma 1, lettera g), del CPA.
L’eccezione è fondata.
La procura allegata al giudizio di primo grado sottoscritto solo dal difensore non contiene l’oggetto del ricorso, delle parti contendenti – in particolare le generalità dei rappresentanti legali delle associazioni e dei comitati per i quali il difensore agisce in giudizio con la presentazione del ricorso -, dell’autorità davanti alla quale il ricorso deve essere proposto ed ogni altro elemento utile alla individuazione della controversia” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 05/10/2018 n. 5723). e.
Trova quindi applicazione l’orientamento espresso da Cons. Stato, Sez. III, 19/04/2024, n. 3550 secondo cui “L'art. 40 del D.Lgs. n. 104/2010, esigendo che il ricorso sottoscritto dal solo difensore indichi l’esistenza della procura speciale, palesa che essa deve esistere prima del ricorso stesso, così contraddicendo l’idea che la medesima possa essere rilasciata in un momento successivo salvo il caso di sostituzione dell’originario difensore. La previsione a pena di inammissibilità ricollegata alla proposizione del ricorso, d’altro canto, comportando che il relativo requisito debba sussistere al momento di detta proposizione, impedisce la configurabilità del potere di rinnovazione, che in generale concerne la categoria delle nullità sanabili e non quella distinta delle inammissibilità”.
Pertanto, il ricorso di primo grado è inammissibile.
4.2. SULLA INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO INTRODUTTIVO PER DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE AD AGIRE E DI INTERESSE A RICORRERE DELLE RICORRENTI
Eccepisce la controinteressata che il ricorso introduttivo doveva essere dichiarato inammissibile in quanto le associazioni ricorrenti sarebbero prive di legittimazione ad agire.
Ed infatti, in assenza del riconoscimento ministeriale ex art. 18, co. 5, della Legge n. 349/1986, la giurisprudenza (ex multiis, Consiglio di Stato, sentenza 27 agosto 2019, n. 5887 e Cons. Stato, sentenza 21 agosto 2013 n. 4233) ha previsto la possibilità di riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali, che si fanno portatrici di interessi diffusi, a condizione che posseggano i seguenti requisiti:
a) perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di protezione degli interessi dedotti nel giudizio;
b) abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità;
c) vi sia un collegamento territoriale (c.d. vicinitas) rispetto all'interesse sostanziale che si assume leso per effetto dell'azione amministrativa e a tutela del quale, pertanto, l'ente esponenziale intende agire in giudizio.
Nello specifico, con riferimento all’Associazione Anagni Viva, lo Statuto prevederebbe un composito elenco di scopi istituzionali, di carattere storico e culturale, senza una menzione specifica ed esaustiva alla tutela e preservazione dell’ambiente. Inoltre, non sarebbe stata offerta alcuna evidenza dell’elevato grado di rappresentatività richiesto, non essendo stato reso noto il numero e la qualità degli iscritti; con riferimento al Comitato Residenti Colleferro: l’associazione svolge la propria attività all’interno del Comune di Colleferro, sito in Provincia di Roma, venendo meno non solo qualsiasi elemento di collegamento territoriale con l’attività di impresa, ma anche l’elevato grado di rappresentatività richiesto, non essendo stato reso noto numero e qualità degli iscritti; con riferimento all’Associazione Retuvasa (Rete per la protezione della Valle del Sacco): non è stata depositata alcuna evidenza dell’elevato grado di rappresentatività richiesto, non essendo stato reso noto numero e qualità degli iscritti.
Sotto un ulteriore e dirimente profilo, le associazioni non avrebbero dimostrato di subire alcun pregiudizio concreto ed effettivo derivante dalla eventuale realizzazione dell’attività autorizzata.
Osserva il Collegio che al fine dell’ammissibilità del ricorso è sufficiente che anche uno solo dei ricorrenti abbia la legittimazione ad agire secondo le indicazioni del Cons. Stato, Ad. Plen., 20/02/2020, n. 6 (“Gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un'espressa previsione di legge in tal senso”).
Anche più recentemente è intervenuto il Cons. Stato, Sez. V, 14/10/2024, n. 8208 affermando che “In materia ambientale, la legittimazione processuale delle organizzazioni collettive si fonda su un riconoscimento legislativo espresso ovvero su una previsione legislativa implicita che postula la ricorrenza di requisiti cumulativi, sintomatico della concreta rappresentatività, ossia: a) l’ente persegua il soddisfacimento dell'interesse ambientale che sia stabilito dallo statuto; b) l’ente presenti un'organizzazione stabilmente finalizzata a tutelare l’interesse; c) l’interesse diffuso abbia connotati di sostanziale "omogeneità" tra i soggetti che compongono la "comunità". In particolare, le associazioni ambientaliste elencate nell'art. 13 della L. n. 349 del 1986 godono del diritto di presentare ricorsi amministrativi contro atti giudicati illegittimi, senza la necessità di ulteriori verifiche da parte del Giudice, come stabilito dall'art. 18 della stessa legge. Questa normativa riconosce la loro capacità di intervenire in causa legate a danni ambientali. Per le associazioni che non figurino in questo elenco, la possibilità di ricorrere viene invece valutata individualmente, seguendo criteri specifici sviluppati dalla giurisprudenza. La decisione di ammettere queste associazioni all'azione legale si basa su tre condizioni principali: devono perseguire costantemente obiettivi di tutela ambientale secondo i loro statuti, devono dimostrare di essere rappresentative e stabili, e la loro area di interesse deve corrispondere alla zona in cui si trova il bene collettivo danneggiato”.
Con riguardo all’Associazione Anagni Viva risulta nello Statuto espressamente indicato, tra le finalità istituzionali dell’organizzazione, anche la diffusione della conoscenza dei valori ambientali e paesaggistici che il Collegio ritiene sufficiente ai fini della sua legittimazione. Analogamente per il Comitato Residenti Colleferro e per l’Associazione Retuvasa.
Dubbi sussistono sulla effettiva rappresentatività delle associazioni e del comitato. Con riguardo ad Anagni Viva si legge agli atti di causa, in un documento depositato il 6 febbraio 2020 dalla stessa associazione che “Nell’anno in corso il numero dei soci è di 75 e la media degli anni precedenti dal 1998 al 2018 è stata di 85 tesserati”, senza alcuna ulteriore allegazione. Nulla è detto in tema di rappresentatività del Comitato Residenti Colleferro e dell’Associazione Retuvasa. Ritiene il Collegio che le appellanti non abbiano dimostrato di essere sufficientemente rappresentative degli interessi che dichiarano di voler tutelare che rimangono, pertanto, interessi di fatto.
Inoltre, difetta sicuramente il requisito della lesione, attuale, personale e concreta in quanto non è in alcun modo dedotto quali concreti pregiudizi potrebbero subire gli associati dall’attività d’impresa che intendono ostacolare.
A tal proposito, il Cons. Stato, Sez. IV, 27/01/2025, n. 619 ha recentemente affermato che “Nei giudizi che riguardano gli interessi ambientali, la condizione di vicinanza (vicinitas) ai fini della legittimazione a ricorrere non esime dal dover dimostrare l'effettiva esistenza di un pregiudizio. In assenza di tale prova, il ricorso risulta inammissibile per carenza di interesse. Anche i Comuni vicini a quelli dove si intende localizzare una discarica devono fornire prove concrete che dimostrino i possibili disagi e conseguenze negative sulla salute della popolazione. In caso contrario, il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione attiva. La legittimazione dei Comuni a impugnare il provvedimento di localizzazione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi è riconosciuta solo se dimostrano il concreto danno che l'impianto potrebbe causare nel loro territorio. Un Comune che si ritiene leso dal progetto di trattamento e smaltimento dei rifiuti in un Comune confinante deve provare un danno specifico al proprio territorio e alla propria comunità, altrimenti il ricorso non è ammissibile”.
E’ infatti evidente che la prova di uno specifico e concreto pregiudizio non può risolversi nel generico interesse alla salubrità dell'ambiente e ad altri valori la cui fruizione potrebbe essere rivendicata da qualsiasi soggetto residente, anche non stabilmente, nella zona interessata e che, oltre tutto, porrebbe l'ulteriore problema di individuare il limite al di là del quale non si sia più in presenza di una lesione specifica e differenziata, ma di un pregiudizio assimilabile a quello che qualsiasi cittadino potrebbe lamentare.
Pertanto, in accoglimento della dedotta eccezione, ol ricorso in primo grado è anche per questo motivo inammissibile per carenza di legittimazione attiva delle associazioni e del comitato.
4.3. SULLA IRRICEVIBILITÀ DEL RICORSO INTRODUTTIVO PER TARDIVITÀ
Eccepisce la controinteressata che il ricorso introduttivo deve essere dichiarato irricevibile nella parte in cui vengono impugnate la Circolare e la determinazione della Regione Lazio del 14 novembre 2016 n. G13381, atti già autonomamente lesivi in ragione dei motivi di diritto dedotti nel ricorso e che sono stati impugnati ben oltre il termine di legge.
Nel caso di specie, le associazioni avrebbero avuto piena conoscenza degli atti sopra richiamati ben prima della promozione del ricorso introduttivo al TAR Roma.
In particolare, l’Associazione Retuvasa e l’Associazione Anagni Viva partecipavano attivamente al procedimento di VIA, (doc. 12 del fascicolo di primo grado), avendo addirittura inviato in data 30 maggio 2017 osservazioni in cui sono chiaramente riportati i provvedimenti oggetto di impugnazione.
Quanto al Comitato Residenti di Colleferro, il progetto di realizzazione di un impianto per la produzione di ceramiche con recupero di scorie da termovalorizzazione di RSU è di dominio pubblico sin dal 2016, e oggetto di una importante campagna mediatica.
L’eccezione è infondata in quanto la circolare non è un atto immediatamente lesivo e la determinazione della Regione Lazio del 14 novembre 2016 n. G13381 è un atto endoprocedimentale.
Il ricorso di primo grado va dunque dichiarato inammissibile.
5. Quanto alle spese di lite, nel primo motivo di ricorso gli appellanti chiedono che siano rideterminate le spese liquidate in primo grado a loro carico e a favore della Regione Lazio (E. 2.000) e della società controinteressata (E.2.000), in considerazione del fatto che la condanna dipendeva dalla manifesta improcedibilità del ricorso, contestata in appello.
6. A tal fine, deve quindi essere esaminato il primo motivo di ricorso che il Collegio ritiene di poter accogliere.
Come condivisibilmente sostenuto dal Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 10/02/2025, n. 1071 “10.5. Inoltre, come chiarito dalla Sezione (v. sentenza n. 5154 del 10 giugno 2024), la circostanza che un progetto abbia ottenuto (come nella specie) regolare parere positivo dall'autorità preposta alla V.i.a. non comporta che tale progetto sia stato autorizzato, dovendo in ogni caso intervenire il rilascio dell'A.i.a. Una valutazione di impatto ambientale negativa preclude, infatti, il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale; al contrario, legittimamente può essere negata l'autorizzazione integrata ambientale anche in presenza di una valutazione di impatto ambientale positiva, poiché solo l'AIA è, di per sé, idonea ad esprimere un giudizio definitivo sull'intervento in concreto proposto (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 5154/2024, cit.). E invero, la V.i.a. e l'A.i.a., secondo il citato indirizzo giurisprudenziale, sono procedimenti preordinati ad accertamenti diversi e autonomi (tanto da legittimare l'impugnazione separata dei rispettivi provvedimenti conclusivi)”.
V.I.A. e A.I.A. sono autonomi provvedimenti amministrativi, produttivi di effetti precettivi loro propri, l'una riguardante specificamente gli impatti ambientali del progetto, l'altra autorizzando l'esercizio di una installazione o di parte di essa.
A favore di tale qualificazione depone l'intera impalcatura normativa del D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale qualifica espressamente VIA e AIA come autonomi provvedimenti amministrativi, in quanto tali, produttivi di effetti precettivi loro propri, identificando:
(i) nel provvedimento di VIA, "il provvedimento motivato, obbligatorio e vincolante, che esprime la conclusione dell'autorità competente in merito agli impatti ambientali significativi e negativi del progetto, adottato sulla base dell'istruttoria svolta, degli esiti delle consultazioni pubbliche e delle eventuali consultazioni transfrontaliere" (art. 5, co. 1 lett. o);
(ii) nel provvedimento di AIA, "il provvedimento che autorizza l'esercizio di una installazione rientrante fra quelle di cui all'articolo 4, comma 4, lettera c), o di parte di essa a determinate condizioni che devono garantire che l'installazione sia conforme ai requisiti di cui al Titolo III-bis ai fini dell'individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 4, comma 4, lettera c)" (art. 5, co. 1 lett. o.bis) (Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 11/06/2024, n. 5241).
Ne deriva che l’omessa impugnativa dell’autorizzazione integrata ambientale non determina l’improcedibilità del ricorso avverso la valutazione d’impatto ambientale sotto il profilo della sopravvenuta carenza di interesse, posto che, non può ritenersi che venga meno una delle condizioni della legittimazione al ricorso, ossia l’interesse attuale, concreto e personale, stante il diverso (ancorchè connesso) ambito di operatività dei due provvedimenti.
In altri termini, al di là delle pronunce unionali o delle norme del D.Lgs 152/2006 che impongono all’amministrazione di rivalutare gli atti adottati in caso di annullamento di atti prodromici, sul piano processuale, che qui rileva, l’omessa impugnativa di un atto autorizzativo ed ampliativo di una posizione giuridica legato ad altro atto sub iudice da un rapporto di consequenzialità e tuttavia dotato di autonomia non determina l’improcedibilità del ricorso a monte proposto contro l’atto presupposto.
Pertanto, stante la diversità degli ambiti dei due provvedimenti, l’eventuale annullamento della VIA non esplica effetti necessariamente vizianti sull’AIA, occorrendo indagare sui limiti in cui i vizi della VIA abbiano un’incidenza sull’AIA e semprechè la VIA non sia comunque emendabile. L’art. 29 co. 3 D.Lgs 152/2006 stabilisce, infatti, che “in caso di annullamento in sede giurisdizionale o in autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto già realizzato o in corso di realizzazione, l'autorità competente assegna un termine all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento e può consentire la prosecuzione dei lavori o delle attività a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale”. L’art. 29 octies D.Lgs. 152/2006 prevede poi che “L'autorità competente riesamina periodicamente l'autorizzazione integrata ambientale, confermando o aggiornando le relative condizioni”.
Pur essendo fondato il primo motivo di ricorso, deve tuttavia essere seguito il criterio della soccombenza anche alla luce della manifesta inammissibilità del ricorso di primo grado e, conseguentemente, in riforma della gravata sentenza, si dispone la condanna alle spese del doppio grado di giudizio a favore della Regione Lazio per E. 5.000 e della società controinteressata per E. 5.000.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, in riforma della gravata sentenza dichiara il ricorso di primo grado inammissibile.
Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore della Regione Lazio per E. 5.000 e della società controinteressata per E. 5.000, oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2025, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giordano Lamberti, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Maria Grazia Vivarelli, Consigliere, Estensore