La criminologia e l’inquinamento del mare
di Cristian ROVITO
L’interesse criminologico deve rivolgersi a quelle questioni ambientali che sembrano non destare l’interesse (interessano poco!) dell’opinione pubblica, evidentemente distratta da altre contingenze massmediaticamente più influenti. Eppure non sono meno importanti rispetto alla tutela del mare dalle forme più rilevanti di inquinamento e soprattutto di costante e sistematica predazione da parte di criminali ambientali.
Gli ecodelitti si inseriscono in un perimetro interpretativo e di studio che vede epistemologicamente complici i rapporti tra la “questione ambientale” e la green criminology (criminologia ambientale). Se applicabile all’ambiente in senso lato, anche e specificatamente all’ambiente-mare, lo studioso green deve ricorrere a tre livelli di investigazione. Se con il primo identifica una serie di reati ed una conseguente attività di giustizia penale direttamente connessa alle questioni ambientali, con il secondo indirizza il suo interesse scientifico allo studio del danno come naturale estensione della tradizione socio-criminologica, che vede sottoporre criticamente alla discussione la definizione di crimine ed il soggetto protagonista e/o interessato dall’evento delittuoso. Per ultimo con il terzo individua una serie di aree di convergenza all’interno dei più tradizionali prodromi socio – criminologici. Tali livelli di analisi, consolidatisi nel quadro di un modus operandi ormai affermatosi a livello scientifico, discendono direttamente dalle tre più importanti scuole criminologiche green: anglosassone, nord - americana e australiana. L’obiettivo sottintende una conferma dell’utilità delle attività di ricerca della criminologia ambientale poiché mette a disposizione dello studioso, come del resto anche degli operatori di polizia giudiziaria impegnati sul campo, validi ausili, metodologie, procedure e strumenti per le attività direttamente o indirettamente attinenti ai green crimes per i quali, peraltro, anche tenendo conto dei più recenti e innovativi sviluppi dell’intelligenza artificiale1, si dispone di “attrezzatture investigative” utili e necessarie anche in termini di prevenzione e contrasto degli attacchi predatori alle risorse ecologiche.
A livello approcciativo, le forme di manifestazione criminale possono essere scandagliate microscopicamente dacché ci si orienta verso la comprensione della genesi del reato, valutando la personalità del singolo criminale, la sua tendenza a delinquere e i suoi difetti di socializzazione, risultando quindi utile ai fini delle politiche di contrasto “special – preventive”; oppure macroscopicamente, dirottandosi verso la comprensione delle tendenze generali della criminalità, di guisa che diventa possibile elaborare adeguate politiche di contrasto “general – preventive”. Peraltro, la green criminology è strumento «idoneo anche per l’analisi di quei comportamenti delittuosi verso l’’ecosistema marino costiero che possono essere osservati da una prospettiva microcentrica e macrocentrica, estendendo l’indagine anche ai crimini dei potenti» 2. La decifrazione della “questione ambientale” sul piano criminologico ne favorisce la sua decostruzione in alcuni suoi elementi fondamentali: il crimine ambientale, la natura del danno ambientale, il profilo dell’eco-criminale e della sua vittima. Il crimine ambientale è identificabile con tutte le attività illegali che generano effetti dannosi per l’ecosistema e che possono manifestarsi attraverso diverse tipologie di comportamento criminale (stile di vita del singolo o del gruppo di appartenenza, ovvero attività produttive aziendali non rispettose delle normative poste a tutela dell’ambiente), mosse da altrettante diverse spinte motrici (devianza, emulazione, ricerca di un maggior profitto, sopravvivenza per problemi economici, etc.). Il crimine ambientale si contraddistingue altresì per una varietà di attività che violano la legislazione posta a tutela dell’ecosistema, causano danni o rischi significativi per l’ambiente, la salute umana od entrambi, che sfruttano e trafficano illegalmente risorse naturali o pericolose, contaminano gli elementi dell’ecosistema; ancora attività di commercio illegale di animali e specie selvatiche, legname e prodotto ittico, traffico abusivo di rifiuti. Inoltre, non ricomprendono quei danni ambientali che sono conseguenza indiretta di altre attività lucrative, attuate prevalentemente da sodalizi della criminalità organizzata, ma non solo, a carattere sempre più imprenditoriale che penetrando negli assetti societari legali attraverso la corruzione od il riciclaggio condizionano negativamente il mercato concorrenziale con effetti deleteri per la finanza pubblica e l’ecosistema.
Per ciò che concerne il danno ambientale si registrano in letteratura due ordini di nozioni, distinguibili sulla scorta dell’oggetto di tutela. Da tale assunto si ramificano le diverse direttrici di analisi e studio proprie della criminologia ambientale. Da un lato vi è il “danno ambientale ecocentrico” sussumibile nell’ecosistema in re ipsa. Si pensi all’acqua, all’aria o al suolo, cioè ai beni ambientali danneggiati in quanto tali, indipendentemente dal fatto che dalla lesione si determini un eventuale impatto negativo sugli specifici interessi dell’uomo. Dall’altro vi è il “danno ambientale antropocentrico”, per cui il danno all’ambiente è determinato nella misura di quel pregiudizio alle singole matrici ambientali causativo anche di lesioni agli interessi dell’uomo. Si pensi in tal senso agli effetti prodotti sulla salute umana, sull’economia od anche in termini di sicurezza delle aree urbano od anche di una zona costiera, volta particolarmente al turismo balneare. Non può essere tuttavia trascurato il “danno ambientale biocentrico” focalizzato sulle foreste secolari e sugli organismi che ivi presenti, dotati di valore intrinseco e significativamente indipendenti da qualsiasi valore attribuitogli dagli esseri umani. Non a caso per gli studiosi “biocentrici” foreste a crescita irregolare hanno una peculiare valenza in ragione della loro diversità sul piano strutturale e anagrafico e quali fornitrici dell'unico habitat per quelle specie strettamente dipendenti dalla foresta. Se poi si prende in considerazione l’aspetto conservativo, la corrente biocentrista richiede che non vi sia alcun impatto umano sulle foreste secolari, poiché tali ecosistemi sono considerati troppo fragili per essere manomessi. Secondo questa prospettiva, la legislazione dovrebbe essere diretta in primo luogo a preservare l'ambiente naturale, in particolare quei siti identificati come selvaggi, al fine di proteggere la biodiversità e l'integrità delle specie. Sulla scorta del tipo di danno causato dal crimine ambientale, la letteratura criminologica evidenzia una distinzione tra criminalità “primaria” ove rileva una correlazione diretta tra crimine commesso e atti che generano danni all’ambiente (es. danni da inquinamento delle navi, da raccolta illegale di specie ittiche protette, etc.); e criminalità “secondaria” o “simbiotica” oggettivata sugli quegli atti criminosi che sul piano effettuale hanno un’attinenza indiretta con la più ampia questione ambientale. Si tratta sostanzialmente delle conseguenze discendenti dalla violazione di normative preposte alla regolazione dei disastri ambientali3: terrorismo ambientale, atti violenti contro gruppi ambientalisti, frode e concussione per la violazione delle normative ambientali.
Una recente relazione della Corte dei Conti Europea 4 chiude i contenuti del suo lavoro editoriale con una conclusione piuttosto significativa. Emblematica, tra l’altro, della situazione in atto per quanto concerne le notevoli discrepanze accertate in seno all’intero sistema di tutela dei mari comunitari: «ancora in cattive acque».
Quale interesse potrebbe suscitare tale relazione per il criminologo ambientale? Perché lo studioso del crimine ambientale dovrebbe interessarsi a questioni che riguarderebbero più aspetti politico – economici che criminologici?
L’interesse esplorativo del campo criminologico ove si innestano tante, varie e complesse questioni ambientali, spinge lo studioso del crimine ad immergersi in acque sconosciute che richiedono approcci investigativo – analitici complementari rispetto a quelli ordinari del criminologo che è molto più conosciuto. Non a caso un eminente criminologo ambientale come il prof. Lorenzo Natali 5 dell’Università degli studi di Milano Bicocca, sostiene che accanto allo sviluppo di un’analisi sistematica dei crimini ambientali occorre utilizzare un metodo a mo’ di “prospettiva sensibilizzante” – per osservare e comprendere le molteplici dimensioni che si addensano dentro alcuni scenari ambientali di rilevanza criminologica. A differenza del criminologo “classico”, il green criminologist si trova ad operare e ad occuparsi di contesti connotati dalla compresenza di “crimini ambientali” e conflitti “socioambientali”. Fenomeni certamente distinti, ma che si sovrappongono in molti punti, ponendo interrogativi che si ripropongono sistematicamente dinanzi ogni fatto sociale a matrice ambientale: a cosa ci riferiamo con l’espressione “crimini ambientali”? E, cosa si intende per conflitti socio-ambientali? Ed ancora, quali metodi è possibile usare per l’osservazione “empirica” di queste realtà?
Il mare o comunque un contesto marino – costiero disvela la necessità di esplorare una “complessità complessa”6. Accanto alle molteplici forme aggressive del mare e degli oceani in generale e degli ecosistemi dell’Unione Europea in particolare, occorrono nuovi sguardi criminologici per comprendere i fenomeni criminogeni che sono causa tanto dei crimes quanto degli environmental harms.
Nel suo interessante documento, la Corte dei conti europea si focalizza sull’inquinamento provocato dalle navi, di cui non si parla quasi mai benché provochi danni gravissimi ai nostri mari ed alle nostre zone costiere7. Il Giudice contabile europeo evidenzia la peculiarità di una delle fonti che contribuiscono alla contaminazione delle acque marine. Da qui il concetto ontologico della complessità di un sistema, da cui i green criminologists giammai potranno prescindere. Con l’audit svolto, l’Organo comunitario si è posto sostanzialmente il problema di capire se l’attuale sistema preventivo e repressivo abbia o meno funzionato (ed ecco l’aspetto eminentemente criminologico) per garantire il raggiungimento dell’obiettivo “inquinamento zero” per le acque entro il 2030; ed ancora se e quali possano essere le necessarie azioni volte a migliorare l’intero sistema di governance ambientale (ecco l’aspetto socio – politico ed economico). Sul piano delle modalità che concorro all’inquinamento marino, il sistema “nave” può essere destrutturato in sottosistemi: perdita di container; munizioni scaricate in mare; olio degli astucci per assi portaelica; acqua di lavaggio dei sistemi depurativi dei gas di scarico; vernici antivegetative; acqua di sentina; acque grigie; acque reflue; pulizia delle cisterne; relitti.
Si è dinanzi a tante modalità e sotto forme inquinanti da ognuna delle quali discende uno specifico quadro normativo che investe tanto il fattore gestionale e preventivo (ecco ancora l’aspetto socio – politico ed economico), quanto quello repressivo – punitivo (ecco l’interesse criminologico!). Ed infatti, nella premessa si evidenzia che l’ambizione dell’UE è di ottenere un “inquinamento zero” delle acque entro il 2030, ma si aggiunge subito dopo che si tratta di un obiettivo praticamente irrealizzabile, non tanto per mancanza di leggi, convenzioni e direttive (che ci sono e vengono tutte citate), ma soprattutto perché vi sono gravissime carenze di attuazione da parte degli Stati membri. Le navi come le navi mercantili, le navi da crociera, i traghetti passeggeri, le navi da pesca, le imbarcazioni da diporto e altre costituiscono fonti di inquinamento marino. La figura sotto riportata riepiloga il contributo delle navi ai rifiuti dispersi in ambiente marino, compresi i rifiuti di plastica e l’attrezzatura da pesca abbandonata, persa o dismessa. L’aggressione agli ecosistemi marini può avvenire con contaminanti quali petrolio, composti organici, metalli pesanti e sostanze pericolose provenienti da fonti quali:
-
sversamenti accidentali o scarichi operativi (ad esempio, da sentine, dagli astucci di uscita degli assi portaelica e dalla pulizia delle cisterne);
-
scarico di acque reflue e acque “grigie” (da pozzi, docce e lavatrici);
-
perdita di composti tossici da vernici antivegetative (rivestimenti dello scafo per impedire l’accumulo di organismi marini);
-
rilascio di sostanze nocive dalla demolizione delle navi, dalle perdite di container, dai relitti di navi e da munizioni sommerse;
-
carico di acque inquinate e residui di “scrubber” (sistemi di depurazione dei gas di scarico).
1 Intelligenza artificiale ed illeciti ambientali (studio sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nella prevenzione e contrasto degli illeciti ambientali curato per la Fondazione Occorsio da Pasquale Fimiani e Giuseppe Sgorbati - Roma-Milano 17 febbraio 2025 - https://www.fondazioneoccorsio.it/wp-content/uploads/2025/01/Fimiani-Sgorbati_-AI-e-ambiente-17.02.25.pdf .
2 A. Maniccia, Crimini ambientali "Mass disasters" e tutela penale dell'ecosistema , Wolters Kluwer, 2021.
3 V. Petrolo, Criminologia dei disastri e suo fondamento olistico , Aequitas Magazine - https://www.aequitasmagazine.it/current-case-law-and-legal-issues/criminologia-dei-disastri-e-suo-fondamento-olistico/ - consultato il 19 settembre 2025.
4 Corte dei Conti europea, relazione speciale 06/2025, “Le azioni dell’UE volte a contrastare l’inquinamento marino causato dalle navi – Ancora in cattive acque”, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione Europea, 2025.
5 L. Natali, Green criminology: Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Giappichelli, 2015.
6 E. Morin. La sfida della complessità, LeLettere, 2017.
7https://unaltroambiente.it/g-amendola-inquinamento-da-navi-la-corte-dei-conti-europea-denuncia-che-siamo-ancora-in-cattive-acque/, consultato il 22 settembre 2025.




