Consiglio di Stato Sez. II n.9340 del 27 novembre 2025
Urbanistica.Parziale difformità che contribuisce a realizzare un complessivo mutamento dello stato dei luoghi
Nel momento in cui una parziale difformità contribuisce a realizzare un complessivo mutamento dello stato dei luoghi, essa cessa di essere tale e diviene parte integrante della mancanza di titolo. Quello esistente, cioè, dal quale ci si è discostati, diviene tamquam non esset. A ciò consegue la legittimità -recte, la doverosità – di estendere l’ordine di demolizione all’intero complesso finale, non limitandolo alla parte difforme dal titolo posseduto per realizzarne un segmento.
Pubblicato il 27/11/2025
N. 09340/2025REG.PROV.COLL.
N. 01705/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1705 del 2025, proposto dal signor Pietro Gaddeo, rappresentato e difeso dagli avvocati Benedetto Ballero e Francesco Ballero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Siniscola, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Dedoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
del signor Giovanni Angelo Fadda, rappresentato e difeso dall’avvocato Benedetta Lubrano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Flaminia, n. 79;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, (Sezione Seconda), 23 dicembre 2024, n. 940, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Siniscola e del signor Giovanni Angelo Fadda;
Visto il decreto cautelare del 1° marzo 2025, n. 804;
Vista l’ordinanza del 26 marzo 2025, n. 1140;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la richiesta di passaggio in decisione senza discussione orale presentata dall’appellante;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 settembre 2025 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti presenti l’avvocato Andrea Dedoni e l’avvocato Benedetta Lubrano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna il signor Pietro Gaddeo chiedeva l’annullamento dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 101 dell’8 novembre 2023, notificata il 17 gennaio 2024, avente ad oggetto varie opere realizzate in Siniscola, fraz. La Caletta, in terreno distinto al catasto al foglio 7, mappale 2684. In maggior dettaglio ridette opere erano individuate come segue sulla base di due sopralluoghi (v. verbale prot. n. 18007 del 3 agosto 2021 e prot. n. 5334 del 3 marzo 2022) effettuati da personale del Servizio urbanistica e gestione del territorio e della Polizia locale:
a) piattaforma in calcestruzzo di circa m. 6,50 per 6, dello spessore di oltre cm. 50 nel punto di maggiore profondità, «non riportato nell’originaria concessione (C.E. 42/1981 del 24/02/1981) e non coerente con quanto assentito con Pratica 231 del 22/06/2010, in merito al semplice adeguamento di un basamento preesistente», e pertanto qualificata intervento difforme dal permesso di costruire ex art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001;
b) chiosco su piedi metallici, installato sulla base dei titoli di cui sopra, ma difforme dall’autorizzazione paesaggistica n. 4 del 20 settembre 2010, giusta la mancata effettuazione degli interventi di mitigazione ivi inclusi come condizione (aiuole con la piantumazione di specie arboree e arbustive locali), sì da configurare la violazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004;
c) muro di confine in pannelli metallici, oggetto di s.c.i.a. presentata in regime di autocertificazione al S.u.a.p.e. nel 2020, realizzato con tecniche e materiali non previsti dal vigente regolamento edilizio (violazione art. 54), nonché privo di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 24 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del Piano di assetto idrogeologico (P.A.I.) della Regione Sardegna.
Il tutto su area vincolata con decreti del 12 agosto 1969 e 26 marzo 19790, ricadenti, per epoca di realizzazione, in Zona Hi4, aree a pericolosità molto elevata ai sensi dell’art. 27 delle N.T.A. del P.A.I., per le quali necessitava la preventiva autorizzazione della competente autorità idraulica (art. 24 delle medesime N.T.A.); sotto il profilo urbanistico, ricadenti in base al piano urbanistico comunale (P.U.C.) in area standard per servizi “S.4”, nonché in area di rispetto 2, fluviale.
3. Il T.a.r. per la Sardegna con la sentenza segnata in epigrafe ha respinto il ricorso ritenendo legittima l’intimazione demolitoria in relazione ad un abuso da valutare nel suo complesso, ovvero quale risultante delle varie illiceità singolarmente riscontrate. Da qui l’impossibilità di scorporare il chiosco, o l’armadio metallico, o la recinzione, o la piattaforma dal tutt’uno che vanno a comporre ovvero un’area edificata per finalità di rivendita di giornali e riviste. Da qui anche la mancata considerazione della soglia di tolleranza di cui all’art. 34-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (T.u.ed.) giusta l’eccedenza del basamento rispetto a quello originario ben superiore alla soglia di tollerabilità del 2 %. In relazione a quest’ultimo, tuttavia, dopo aver precisato che la contestazione non afferiva alla mancanza originaria di un titolo di legittimazione, ha indicato la corretta lettura da dare all’ordinanza impugnata nella sola eccedenza effettivamente riscontrata rispetto al manufatto preesistente.
3. Avverso tale sentenza ha interposto appello il signor Pietro Gaddeo adducendo un unico motivo di gravame, rubricato «Violazione dell’art. 3 della Legge 241 del 1990; Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 (difformità totale) e 6 (difformità parziale) della Legge n. 23 del 1985 e con essi art. 31 (difformità totale) e 34 (difformità parziale) del DPR 380 del 2001) e per illegittimità consequenziale (acquisizione)» e articolato in vari sottopragrafi.
3.1. Nei paragrafi da 9 a 13, contrassegnati dal titolo «interventi di mitigazione arborea», ha contestato il rilievo dato al mancato rispetto delle condizioni apposte in sede di autorizzazione paesaggistica del 2010, rivendicandone la natura di parziale difformità, tale da non imporre la demolizione del manufatto principale ma, al massimo, il ripristino a spese del privato (ex artt. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 e 37 del d.P.R. 380 del 2001). Quanto detto ammesso e non concesso il contenuto della prescrizione, riferita genericamente ad «aiuole con la piantumazione di specie arboree e arbustive locali», senza indicarne tipologia, quantità, modalità o dimensioni, potesse essere considerata esistente, giusta la indeterminatezza dell’oggetto. Le opere contestate inoltre, in quanto riconducibili agli allegati “A” e “B” del d.P.R. 13 marzo 2017, n. 31 (segnatamente, l’armadio metallico, che in realtà era un mero separé, nella categoria A.13, “manutenzione di recinzioni” e la pavimentazione nella A.12) non avrebbero avuto necessità di alcun titolo paesaggistico espresso, ovvero al più per esse sarebbe stata sufficiente la procedura semplificata.
3.2. L’ «ampliamento del basamento», di cui ai §§ da 14 a 18, sarebbe pari a soli mq. 2,6 e non a mq. 10, nonché consistito in una mera striscia destinata per lo più all’appoggio dell’“armadio”, e dunque da considerare assentita con il provvedimento n. 41 del 2019 riferito a quest’ultimo. Da qui pure in relazione allo stesso la sproporzione della sanzione demolitoria coinvolgente addirittura il chiosco, laddove poteva trovare applicazione l’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
3.3. I «pannelli in alluminio (separé) già smontati» (§§ 19 e 20) proprio in quanto eliminati durante il giudizio di primo grado ne avrebbero dovuto comportare l’improcedibilità in parte qua. Ad ogni buon conto, la loro inconsistenza li renderebbe addirittura estranei alla definizione di “opere” di cui al T.u.ed.
3.4. Con un ulteriore paragrafo, rubricato «Criticità della sentenza del TAR Sardegna e dell’ordinanza di demolizione» (dal n. 21 al n. 33) ha censurato la valutazione unitaria dell’abuso, contraddetta dalla invocata lettura della demolizione in senso conforme all’effettiva difformità dell’ampliamento rispetto al titolo rilasciato.
3.5. Infine, con i motivi rubricati ai nn. da 34 a 42, ha invocato le «illegittimità conseguenziali», ovvero i vizi incidenti sull’acquisizione dell’intera struttura con atto notificato il 18 febbraio 2025, comprensivo dell’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 nell’importo massimo ivi previsto. Ha altresì ricordato come la caducazione dell’ingiunzione demolitoria, oltre a travolgere in automatico l’atto acquisitivo, gli consentirebbe la presentazione di un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36-bis, introdotto nel d.P.R. n. 380 del 2001 dal decreto legge 29 maggio 2024, n. 69, c.d. “Salva casa”.
4. Si è costituito in giudizio il signor Giovanni Angelo Fadda, già interventore ad opponendum nel giudizio di primo grado come controinteressato in quanto proprietario dell’immobile posto a confine con la porzione di terreno su cui insistono gli abusi.
4.1. Con memoria del 25 marzo 2025 in via preliminare ha eccepito il difetto di legittimazione attiva dell’appellante, stante la perdita della proprietà conseguita all’avvenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale, essendo spirato da tempo il termine per ottemperare. L’accertamento dell’inottemperanza sarebbe anche stato formalmente comunicato alla parte con nota prot. 3130 del 6 febbraio 2025, indi rendendolo edotto dell’avvenuta trascrizione nei registri immobiliari dell’acquisizione e irrogandogli la sanzione amministrativa prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001. Nel merito, ha insistito per l’infondatezza del gravame, giusta la consistenza dell’abuso, il cui nucleo essenziale è consistito nell’avere sostanzialmente stabilizzato una struttura nata come stagionale e via via ingranditasi senza neppure rispettare i sottesi sopravvenuti titoli di legittimazione.
5. Si è costituito altresì il comune di Siniscola, con atto di stile.
6. Con decreto presidenziale n. 804 del 1° marzo 2025 l’istanza cautelare è stata accolta.
7. Con successiva memoria del 21 marzo 2025 la difesa civica ha in primo luogo eccepito la inammissibilità/improcedibilità del ricorso per aver introdotto motivi di gravame non prospettati nel giudizio di primo grado.
7.1. In particolare, il signor Pietro Gaddeo avrebbe mutato la propria prospettazione in relazione alla piattaforma, affermando solo adesso che l’ampliamento sarebbe successivo al provvedimento del 2010 e che addirittura le (nuove) dimensioni sarebbero state legittimate, ancorché in maniera implicita, dalla stessa amministrazione (in quanto base di appoggio dell’armadio metallico, autorizzato).
7.2. Egualmente nuovi sarebbero i richiami agli artt. 4 e 6 della legge regionale n. 23/1985, agli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001, nonché all’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004. In primo grado, infatti, si è lamentata la carenza di motivazione e la sproporzione della sanzione addotta, ma non contestata la qualificazione giuridica dell’abuso ovvero rivendicato la sua riconducibilità alla fattispecie di parziale difformità.
7.3. Nel merito, ha argomentato sull’infondatezza dell’appello, insistendo per il rigetto.
7.4. Al fine di escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ha ricordato come esse non potessero essere ravvisate nell’acquisizione, essendo la stessa già intervenuta all’atto dell’adozione del decreto presidenziale favorevole (1° marzo 2025). L’effetto acquisitivo della proprietà dell’area oggetto dell’abuso edilizio e paesaggistico non consegue infatti alla scadenza dei termini del provvedimento che la dispone, ma costituisce effetto legale del decorso di quelli previsti per l’esecuzione spontanea dell’ordinanza di demolizione.
8. Con ordinanza della Sezione n. 1140 del 26 marzo 2025 l’accoglimento dell’istanza cautelare, già avvenuto con decreto presidenziale, è stato confermato, ma nel contempo sono stati disposti approfondimenti istruttori. In particolare si è onerato il Segretario Generale del Comune di Siniscola di ricostruire la vicenda documentale delle opere acquisendo tutti i verbali di sopralluogo effettuati, individuando, ove sussistano, quelli riferiti (anche) al chiosco e all’armadio in metallo (e non al solo basamento), nonché ricostruendo tutti i titoli edilizi rilasciati per la realizzazione o la modifica dell’area (stato legittimo dell’immobile documentato agli atti della p.a.) e riferendo in ordine allo stato di fatto riscontrato all’atto del controllo di inottemperanza.
9. In data 22 aprile 2025 il Segretario Generale ha relazionato limitandosi ad un mero elenco in ordine cronologico dei titoli di legittimazione afferenti i manufatti di cui è causa, contestualmente versati in atti. In ordine allo stato di fatto all’attualità, ha richiamato il contenuto del verbale prot. n. 2994 del 5 febbraio 2025 di accertamento dell’inottemperanza, ove si dà atto che il «muro di confine» in pannelli metallici disposto sul lato ovest è stato rimosso, dandone notizia con apposita pratica SUAPE.
10. Le parti, con rispettive memorie, hanno poi ulteriormente precisato le proprie difese.
10.1. In particolare, il controinteressato ha insistito sulla totale differenza fra il chiosco assentito e quello realizzato, anche assumendo a riferimento il titolo del 2010: la relazione tecnica a corredo dello stesso, infatti, consente di vedere come avrebbe dovuto essere realizzata la richiesta mera sostituzione della struttura di mq. 6 con altra, sempre semplicemente appoggiata sul terreno e, conseguentemente non idonea ad assumere la qualificazione di costruzione. In pratica, il chiosco prefabbricato ed appoggiato sul terreno autorizzato a suo tempo dal Comune per la rivendita stagionale di quotidiani ed articoli simili è stato tramutato in un’opera doppia come dimensioni e con natura permanente, soggetta, quindi, a permesso di costruire, mai richiesto né rilasciato.
10.2. Il Comune di Siniscola ha eccepito la inammissibilità ex art. 104, comma 2, c.p.a. delle produzioni documentali dell’appellante del 18 luglio 2025, afferenti la presunta irregolarità dell’edificio di proprietà del controinteressato. Trattasi di documenti preesistenti, in quanto risalenti al periodo 2010-2014, sicché solo a seguito di una (tardiva) istanza di accesso agli atti l’interessato ne sarebbe venuto a conoscenza, ben potendo attivarsi in precedenza.
10.3. Il signor Pietro Gaddeo ha rivendicato la correttezza di ridette produzioni che non costituirebbero res novae in quanto finalizzate a comprovare il trattamento discriminatorio riservatogli, e dunque lo sviamento di potere per disparità di trattamento, già lamentato nel ricorso introduttivo sub specie di eccesso di potere per difetto di istruttoria.
11. All’udienza pubblica del 30 settembre 2025, la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
12. In via preliminare, il Collegio ritiene di disporre lo stralcio della documentazione versata in atti dall’appellante il 18 luglio 2025. Ammesso e non concesso assumano un qualche rilievo nella controversia in esame, ne è innegabile la tardività, stante che l’interessato ben avrebbe potuto procurarseli, anticipando la richiesta agli atti al Comune, nonché produrli ai fini del giudizio di primo grado. Né convince il tentativo di identificare il motivo aggiunto ora prospettato a supporto della produzione con il lamentato difetto di istruttoria, che in ogni caso non può estendersi all’accertamento della regolarità edilizia degli immobili di un terzo, sia pur trattandosi del vicino che ha denunciato l’altrui abuso. Resta fermo evidentemente l’obbligo del Comune di attivarsi nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza ex art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, stante che comunque gli sono stati segnalati, nonché i rimedi messi a disposizione del controinteressato che intenda dolersi di un abuso, ivi compresi quelli avverso l’eventuale inerzia, una volta formalizzata la propria denuncia/diffida.
13. Quanto ai profili di inammissibilità per violazione del divieto dei nova eccepiti dal Comune, l’infondatezza nel merito dell’appello consente di prescindere da un loro più approfondito scrutinio, pur palesandosi prima facie sussistenti, almeno in parte.
14. Una maggiore attenzione va invece dedicata alla questione - non a caso valorizzata sia dal controinteressato che dal Comune di Siniscola, ancorché solo a fini oppositivi dell’istanza cautelare - degli effetti della sopravvenuta acquisizione dell’abuso e dell’area di sedime. Essa impinge nella tematica di ordine generale dell’autonoma impugnabilità dell’atto acquisitivo, ovvero, in termini ancora più precisi, della doverosità della stessa una volta che sia stato gravato l’atto ingiuntivo sottostante.
15. La questione consegue all’innegabile peculiarità della natura di ridetto atto acquisitivo e del procedimento all’esito del quale vi si addiviene. Ne è nota la configurazione come autonoma sanzione di secondo livello rispetto all’ingiunzione a demolire - dalla quale non mutua la natura reale - prevista per i soli casi di illecito di particolare gravità, ovvero la realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dal medesimo ovvero con variazioni essenziali.
La sua applicazione tuttavia non implica, almeno in generale e malgrado l’innegabile contenuto afflittivo, alcuna valutazione discrezionale, scaturendo “di diritto” all’inottemperanza. Da qui l’indicazione risalente nel tempo e sempre ribadita dalla giurisprudenza di legittimità che si tratti di un meccanismo autonomo che prescinde da «una qualsivoglia vicenda di trasferimento dal precedente titolare del bene» (Cass., n. 1693 del 2006, nonché ancor prima, seppure quale mero obiter, Cass., SS.UU., 12 giugno 1999, n. 322, entrambe richiamate da Corte cost., 6 giugno – 3 ottobre 2024, n. 160).
15.1. Lo iato che nell’ambito del procedimento acquisitivo è rappresentato dall’accertamento dell’inottemperanza assume la duplice finalità, ricognitiva dell’effetto che la legge collega all’inadempimento spontaneo all’ingiunzione a demolire, e costitutiva, ai fini della (futura) pubblicizzazione del trasferimento di proprietà. Per quanto, infatti, «[…] l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura dichiarativa e comporta – in base alle regole dell’obbligo propter rem - l’acquisto ipso iure del bene identificato nell’ordinanza di demolizione alla scadenza del termine di 90 giorni fissato con l’ordinanza di demolizione» (Cons. Stato, A.p., 11 ottobre 2023, n. 16), è il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, previamente notificato all’interessato, a costituire il titolo, comunque necessario, per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari dell’acquisto in capo al comune (art. 7, quarto comma, della legge n. 47 del 1985 e, nei medesimi termini, art. 31, comma 4, t.u. edilizia). L’onere della trascrizione, secondo quanto si desume dal citato art. 7, quarto comma, della legge n. 47 del 1985, ha una funzione di pubblicità di natura dichiarativa, come tale diversa da quella di cui all’art. 2651 cod. civ. prevista in materia di usucapione. Il Consiglio di Stato (ancora sentenza n. 16 del 2023 dell’Adunanza plenaria) sottolinea, al riguardo, che dare adempimento all’onere di trascrizione «rappresenta un atto indispensabile al fine di rendere pubblico nei rapporti con i terzi l’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e consolidarne gli effetti».
15.2. Il responsabile dell’abuso può, comunque, impedire che si integri il meccanismo acquisitivo da parte del comune se, entro il citato termine di novanta giorni dall’ingiunzione, ottiene la concessione in sanatoria (art. 13 della legge n. 47 del 1985 e, con formulazione analoga, art. 36, comma 1, t.u. ed.), ovvero se demolisce spontaneamente.
15.3. Il proprietario del bene che sia radicalmente estraneo all’illecito e non abbia la possibilità di
ottemperare direttamente all’ordine di demolizione, non essendo lo stesso nella sua materiale disponibilità, fa sì che «non ricorr[a]no i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene [e] la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d’ufficio» (sentenza n. 140 del 2018 della Corte costituzionale, che riprende in proposito la sentenza n. 345 del 1991). In tali ipotesi la previa comunicazione dell’accertamento di inottemperanza assurge anche al rango di formale contestazione di illecito, assimilabile in qualche modo a quello previsto in termini generali dall’art. 14 della l. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto dà la possibilità all’interessato di interloquire con il Comune scongiurando non la demolizione, che prescinde da profili di colpevolezza, ma, appunto, l’acquisizione automatica.
16. La ricostruzione effettuata consente di definire l’atto acquisitivo come geneticamente correlato all’ingiunzione a demolire, nel senso che il secondo può sopravvenire solo ove sia stato adottato il primo: a contrario, esso non potrà mai venire ad esistenza in assenza dello stesso. Il nesso di presupposizione necessaria tra i due atti fa sì che i rispettivi effetti giuridici siano collegati a tal punto che il provvedimento presupposto è l’unico idoneo ad incidere nella fase di formazione e di perfezione dell’efficacia del provvedimento conseguenziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2689). 16.1. Per tale ragione, la caducazione del primo fa necessariamente venire meno anche il secondo.
Quanto detto porta il Collegio a ritenere l’interessato esentato dall’impugnazione espressa di quest’ultimo, quanto meno ogniqualvolta intenda lamentare esclusivamente vizi derivati dalla ritenuta illegittimità del presupposto, tempestivamente impugnato.
17. La ricostruzione data trova conferma nei principi affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato inerenti la situazione speculare, ovvero il caso di avvenuta impugnativa (solo) dell’atto acquisitivo, omettendo quella della sottesa ingiunzione a demolire. Salvo si lamentino vizi propri dell’acquisizione, ad esempio afferenti la mancata valutazione degli elementi di impossibilità di ottemperare da parte del proprietario incolpevole, che presuppone l’avvenuta conoscenza, se non dell’ingiunzione a demolire, quanto meno dell’accertamento di inottemperanza alla stessa, è evidente che in tale ipotesi lo stretto legame fra i due atti renderà il gravame avverso il secondo inammissibile. Diversamente opinando, si finirebbe per consentire la rimessione in termini rispetto a una decadenza già intervenuta, vanificando gli effetti -tra cui quello acquisitivo - di una ormai inoppugnabile intimazione demolitoria (v. Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2023, n. 755). Tale inoppugnabilità fa cioè sì che non possano più essere avanzate censure nei suoi confronti in sede di gravame avverso l’atto applicativo che lo richiami, non essendo consentita al giudice amministrativo la disapplicazione incidentale di un atto presupposto non avente natura normativa.
18. D’altro canto, in caso di atti geneticamente collegati, l’invalidità derivante dall’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto conseguenziale anche quando quest’ultimo non è stato impugnato. L’atto successivo, infatti, si pone nell’ambito della medesima sequenza procedimentale del suo antecedente, e ne costituisce l’inevitabile conseguenza, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi.
18.1. Di regola, la necessità di valutare l’intensità del rapporto di conseguenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo è rimessa al giudice, con riconoscimento dell’effetto caducante ogni qualvolta ritenga che detto rapporto sia immediato, diretto e necessario (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2015, n. 5188). Con riferimento, invece, all’acquisizione al patrimonio, l’intensità del legame rispetto all’intimazione al ripristino dello stato dei luoghi è intrinseca alla configurabilità della sanzione medesima, che rappresenta la reazione dell’ordinamento ad un illecito che ne presuppone uno antecedente, sicché a monte si pone l’esecuzione di un’opera abusiva, ma a valle si colloca il mancato adempimento all’obbligo di demolirla (sul punto, v. Corte cost., n. 140 del 2018 e i precedenti ivi richiamati).
19. In sintesi, il Collegio ritiene che l’impugnazione autonoma dell’atto acquisitivo sia sempre consentita ove sia stata tempestivamente impugnata anche l’ingiunzione a demolire, sia per vizi propri che per vizi derivati da quelli ascritti a quest’ultima; sia comunque consentita, anche in caso di mancata impugnazione dell’ingiunzione a demolire, solo per vizi propri; non sia mai obbligatoria in caso di tempestiva impugnazione dell’ingiunzione a demolire, e se non effettuata non faccia venire meno l’interesse alla definizione del gravame avverso quest’ultima, della quale unicamente ci si dolga, seppure adducendone anche le gravose conseguenze ablatorie. Il che è quanto corrisponde al caso di specie.
19.1. Ritiene il Collegio che un’ulteriore conseguenza della stretta interdipendenza “genetica” fra i due atti si riverberi anche sull’efficacia del secondo ove adottato nelle more della definizione del contenzioso afferente il primo. Ciò a maggior ragione nell’ipotesi in cui, come nella specie, l’acquisizione sia sopravvenuta, senza alcun palesato motivo di urgenza, in pendenza dei termini per la presentazione dell’appello, non a caso sopravvenuto a dieci giorni di distanza. Senza voler ipotizzare in questo ambito una non prevista clausola di stand still, mutuata dalla disciplina della contrattualistica pubblica, è evidente che la pendenza di un ricorso avverso l’ingiunzione a demolire, seppure non infici la legittimità dell’acquisizione, ne congela in via temporanea l’efficacia. Nella vicenda che ci occupa ciò è stato formalizzato anche in sede di decisioni cautelari, prima monocratica (v. decreto presidenziale n. 804 del 1° marzo 2025), indi collegiale (ordinanza n. 1140 del 25 marzo 2025): seppure esse si riferiscano agli atti impugnati, è di tutta evidenza che la loro disposta sospensione non può non riverberare su quella dell’atto conseguente, giusta la ricordata compenetrazione contenutistica dell’una nell’altra.
19.2. A ciò consegue sia la permanente legittimazione ad agire dell’appellante, sia la persistenza del suo interesse alla decisione della causa, stante che solo attraverso l’esito favorevole della stessa potrà neutralizzare (anche) gli effetti dell’acquisizione.
20. Il Collegio ritiene ora possibile passare allo scrutinio del merito dell’appello.
21. Esso è infondato, nei sensi precisati di seguito.
22. Punto centrale della motivazione del T.a.r. per la Sardegna è il richiamo al principio giurisprudenziale che impone di non frammentare la valutazione degli illeciti edilizi, ma di effettuarla piuttosto in maniera unitaria, dall’angolazione del risultato finale complessivamente ottenuto. Calando tale paradigma interpretativo nella specificità del caso di specie, si ha che la sostituzione dell’originario chiosco per la vendita di giornali, l’imprecisato “adeguamento” della piattaforma in cemento sul quale esso poggia, l’apposizione nella medesima area di un “armadio metallico” con funzione di deposito e da ultimo di una recinzione, egualmente metallica, concorrono a creare un unico contesto, che non può essere (più) ricondotto ai segmenti di operazioni edilizie che lo hanno prodotto.
Da qui la legittimità dell’ingiunzione demolitoria che li riguarda tutti complessivamente, di fatto considerandoli sine titulo. Da qui, anche, l’inutilità del richiamo alla parziale difformità, anche in relazione al titolo paesaggistico, di cui non è traccia effettivamente nel ricorso di primo grado, stante che quand’anche tale fosse la qualificazione giuridica da attribuire a ciascuno degli interventi singolarmente presi, essa non è più tale una volta sussunta nella visione complessiva, trascolorando nel più grave illecito sanzionato all’art. 31 del T.u.ed.
23. L’equivoco di fondo sul quale si basa la ricostruzione dell’appellante consiste poi nel pretermettere la portata centrale del chiosco, intorno alla cui sostituzione ruotano tutti gli ulteriori interventi minori. Quanto detto sino al punto di mettere in dubbio che la sentenza di primo grado ne abbia affermato l’abusività e la conseguente inclusione nel perimetro demolitorio. Al contrario, proprio il chiosco, che pure poggia sul basamento con piedi metallici così come da concessione edilizia del 1981, si è trasformato da temporaneo in stabile. Come indicato nel verbale di sopralluogo del marzo 2022, il cui contenuto è espressamente richiamato nell’ingiunzione a demolire, permane ormai in loco senza soluzioni di continuità, essendo destinato a soddisfare l’esigenza lavorativa che lo stesso appellante palesa per sottolinearne la valenza di fonte di reddito per sé e la propria famiglia. Ne è evidente dunque l’assimilazione ad una “nuova costruzione” perfettamente sussumibile (e di fatto sussunta espressamente nel più volte ricordato verbale del 2022) alla fattispecie di cui alla lettera e.5 del comma 1 dell’art. 3 del T.u.ed., che declina le condizioni in presenza delle quali le opere, anche precarie, sono assoggettate a permesso di costruire. Gli interventi successivi, ancorché minimali, hanno avuto l’evidente e inequivoca funzione di consolidare la destinazione d’uso permanente dell’area, agevolando la fruibilità della rivendita, migliorandone i servizi, proteggendone i confini.
23.1. In tale cornice ricostruttiva, neppure assume rilievo il richiamo, per alcune di esse, alla parziale difformità, appunto, come avviene ad esempio al punto 1 dell’ingiunzione a demolire, con riferimento proprio alla piattaforma in calcestruzzo.
23.2. In sintesi, nel momento in cui una parziale difformità contribuisce a realizzare un complessivo mutamento dello stato dei luoghi, essa cessa di essere tale e diviene parte integrante della mancanza di titolo. Quello esistente, cioè, dal quale ci si è discostati, diviene tamquam non esset. A ciò consegue la legittimità -recte, la doverosità – di estendere l’ordine di demolizione all’intero complesso finale, non limitandolo alla parte difforme dal titolo posseduto per realizzarne un segmento.
24. Rispetto a tale ricostruzione, l’appellante non produce alcuna argomentazione di rilievo, limitandosi piuttosto a riproporre, singolarmente per ciascuna opera, le argomentazioni già addotte in primo grado al fine di rivendicarne la – singola – legittimità.
25. In tale ottica, nei punti da 9 a 13 cerca di neutralizzare le condizioni apposte all’autorizzazione paesaggistica del 2010, riferita alla realizzazione del chiosco, tacciandole di genericità, nel contempo rivendicando l’estraneità dal relativo titolo (ovvero, in alternativa, l’utilizzabilità di procedura semplificata) dei pannelli metallici e della pavimentazione. Con ciò dimenticando che quest’ultima non costituisce la pavimentazione di una pertinenza siccome previsto dalla lettera A.12 dell’allegato A al d.P.R. n. 31 del 2017 ed era ovviamente ricompresa nella progettualità sottesa al rilascio del titolo, anche paesaggistico, del 2010; gli altri, che egualmente non rientrano certo nella definizione di “manutenzione di una preesistente recinzione” di cui alla lettera A.13, conseguono addirittura ad una variante a progettualità assentita nel 2019 e riferita all’armadio-deposito.
25.1. Con riferimento al basamento in calcestruzzo, poi, la contestazione pare vertere (pure qui in maniera in verità non del tutto allineata con la linea difensiva sostenuta in primo grado) piuttosto sull’entità dell’ampliamento che sulla legittimità dell’installazione.
26. Vero è che la sentenza impugnata contiene affermazioni che mal si conciliano con la configurazione dell’abuso, complessivamente inteso, come opera realizzata sine titulo.
In particolare, in relazione proprio alla piattaforma, nel momento in cui si evoca «la corretta interpretazione del contenuto dispositivo del provvedimento» delimitandone gli effetti, «con riferimento alla contestata piattaforma e alla sua demolizione, alla porzione realizzata in eccesso rispetto al manufatto preesistente e con riferimento al quale la pratica edilizia, presentata dal ricorrente nel 2010, aveva consentito un mero adeguamento e non già il suo ampliamento», si è evidentemente escluso che l’attrazione nell’ambito di un abuso complessivo abbia reso illecita l’opera nella sua interezza.
27. Sul punto, non avendo né il Comune né il controinteressato presentato appello incidentale, si è ormai formato il giudicato, sicché è inoppugnabile che l’amministrazione debba perimetrare correttamente l’ambito della demolizione della piattaforma, mantenendo la parte in “adeguamento” e eliminando quella in “ampliamento”, innanzi tutto mediante una preventiva corretta individuazione dello stato legittimo preesistente. A ciò consegue la necessità che il Comune di Siniscola rivaluti le conseguenze della presente pronuncia sulla correttezza dell’acquisizione già disposta, limitandone l’efficacia, fino ad oggi sospesa dalle decisioni cautelari segnate in epigrafe, alle parti coerenti con la lettura proposta dell’ingiunzione a demolire, nonché, evidentemente, con la constatata eliminazione di parte dell’abuso.
28. Da tale assunto, tuttavia, non può certo argomentarsi, come preteso dall’appellante, che il T.a.r. per la Sardegna non abbia chiarito se il chiosco andava demolito o meno, stante che non solo lo stesso è incluso nell’elenco delle opere di cui si assume la illegittimità, ma costituisce anche il perno finalistico intorno al quale ruotano gli altri interventi minori.
29. Per tutto quanto sopra detto, l’appello va dunque respinto.
30. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione fra le parti delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 settembre 2025 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente
Francesco Frigida, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere




