Consiglio di Stato Sez. VII n. 4978 del 9 giugno 2025
Urbanistica.Demolizione di un immobile abusivo oggetto di sequestro penale

In materia di rapporti tra demolizione in sede amministrativa e sequestro penale la prima non è impedita dal secondo: i due provvedimenti possono coesistere sul piano giuridico. Un conflitto si pone invece sul piano degli effetti giuridici, ma esso è destinato a risolversi nel senso che il sequestro penale ha attitudine ad inibire temporaneamente l’efficacia del provvedimento amministrativo repressivo, la quale è destinata a riespandersi, con le relative conseguenze ex art. 31 del testo unico dell’edilizia in caso di inottemperanza, solo una volta che il primo sia cessato. 

N. 04978/2025REG.PROV.COLL.

N. 04081/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4081 del 2022, proposto da Giulio Rocca e Chiara Ammassari, rappresentati e difesi dall’avvocato Gianluigi Manelli, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia

contro

Comune di Nardò, non costituito in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sezione staccata di Lecce (sezione seconda) n. 471/2022


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm. del giorno 4 giugno 2025 il consigliere Fabio Franconiero, sull’istanza di passaggio in decisione dell’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Gli appellanti indicati in intestazione agiscono per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione emessa nei loro confronti dal Comune di Nardò, con provvedimento in data 19 aprile 2018, n. 162 (prot. n. 17244), e dei relativi atti presupposti. L’ordinanza era emessa relativamente al fabbricato abitativo di loro proprietà, composto da un piano interrato e uno rialzato, sito in via San Michele Arcangelo (censito a catasto terreni al foglio 114, particelle 932 e 1042), che l’amministrazione comunale considera realizzato in assenza di titolo ad edificare.

2. Per il manufatto in questione gli appellanti avevano presentato una domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del testo unico dell’edilizia di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, in conseguenza di una precedente ingiunzione a demolire, di cui all’ordinanza comunale in data 24 gennaio 2014, n. 19. L’amministrazione si determinava tuttavia negativamente sulla domanda di sanatoria. Più precisamente, con nota di prot. n. 9573 del 1° marzo 2018, veniva opposta l’avvenuta formazione del silenzio-rigetto ai sensi dell’art. 36, comma 3, del testo unico dell’edilizia. Con la stessa erano inoltre comunicate ai sensi dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, le ragioni ostative all’accoglimento della domanda stessa. In assenza di riscontro da parte degli interessati faceva infine seguito l’ingiunzione a demolire oggetto della presente impugnazione, con la quale erano compiutamente esposte le ragioni del diniego di condono.

3. A questo riguardo si dava innanzitutto atto che l’abuso era qualificabile dal punto di vista edilizio come «nuova costruzione», ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del citato testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, realizzata in zona urbanisticamente tipizzata come agricola (E1), in violazione dei «parametri edilizi tra cui la distanza dai confini del manufatto, l’indice di fabbricabilità, la tipologia degli interventi consentiti». Era inoltre accertata la non corrispondenza dello stato attuale del fabbricato rispetto alla sua «configurazione planovolumetrica che la parte vorrebbe sottoporre ad accertamento di conformità», rispetto alla quale si palesavano necessarie ulteriore opere edili, con conseguente impossibilità allo stato di svolgere l’accertamento di conformità urbanistica necessario per il rilascio del titolo in sanatoria. Di seguito era quindi rilevato che l’area su cui era stato realizzato l’immobile abusivo «ricade in zona ad alta pericolosità idraulica del PAI e l’intervento abusivo di nuova costruzione (…) non rientra tra quelli consentiti dalla specifica disciplina di cui all’art. 7 delle relative NTA…». Nel medesimo senso ostativo era infine menzionato il «vincolo di natura paesaggistico-ambientale», derivante dalla dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a suo tempo emessa in sede ministeriale e dalla sopravvenuta disciplina di tutela del piano paesaggistico regionale, con conseguente impossibilità ex art. 167 del medesimo codice di rilasciare la sanatoria paesaggistica.

4. L’impugnazione nei confronti della determinazione conclusiva i cui contenuti sono ora richiamati veniva respinta dall’adito Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - sezione staccata di Lecce con la sentenza i cui estremi sono indicati in intestazione.

5. A fondamento del rigetto la pronuncia di primo grado statuiva che:

- la sottoposizione dell’immobile abusivo a sequestro penale non comporta alcun impedimento giuridico all’ingiunzione a demolire della competente autorità amministrativa, ma «unicamente il differimento del termine fissato per la rimessione in pristino stato»;

- diversamente da quanto dedotto dai ricorrenti, «l’atto impugnato reca compiuta e analitica indicazione delle ragioni del diniego di sanatoria, e della conseguente reiterazione dell’ordine di demolizione», così da rendere irrilevante la «presunta insussistenza di vincolo paesaggistico ex d.m. 4.9.1975, trattandosi di motivazione spesa ad abundantiam dall’Amministrazione»;

- la compiuta esposizione delle ragioni ostative alla sanatoria contenuta nell’ordine di demolizione impugnato in via di principalità, non oggetto di specifiche contestazioni, è tale da superare l’asserita mancata definizione della domanda di sanatoria, desunta dai ricorrenti dal fatto di essere stati invitati a controdedurre al preavviso di rigetto di cui alla menzionata nota comunale del 1° marzo 2018, prot. n. 9573;

- l’omessa indicazione dell’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del testo unico dell’edilizia, non ha attitudine ad invalidare il provvedimento impugnato, secondo la «pacifica giurisprudenza amministrativa».

6. Contro la pronuncia di primo grado i cui contenuti sono così sintetizzabili gli originari ricorrenti hanno proposto appello.

7. Il Comune di Nardò non si è costituito in resistenza.

DIRITTO

1. L’appello ripropone innanzitutto la censura di nullità ex art. 21-septies della legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241, da cui sarebbe affetta l’ingiunzione a demolire impugnata, perché emessa nei confronti di un immobile in precedenza sottoposto a sequestro penale. Si sostiene che in ragione di ciò l’esecuzione del provvedimento sarebbe giuridicamente impossibile, come statuito dalla giurisprudenza amministrativa, e che la sentenza di primo grado avrebbe invece errato nell’escludere profili di illegittimità sul rilievo che il vincolo di carattere penale determina unicamente il differimento del termine per la rimessione in pristino stato.

2. Con un secondo motivo d’appello la sentenza viene censurata per avere considerato il provvedimento impugnato sorretto da motivazione adeguata sulle ragioni impeditive della sanatoria. In contrario viene invece dedotto che le ragioni addotte a fondamento del diniego si limiterebbero ad un generico riferimento alla normativa tecnico-attuativa del vigente piano regolatore generale - in particolare l’art. 83 - senza tuttavia che siano spiegate le effettive ragioni tecnico-giuridiche di contrasto e i parametri in ipotesi non rispettati. Sarebbero carenti anche i profili di asserita non compatibilità dal punto di vista paesaggistico, posto che, per un verso, il vincolo «di cui al D.M. del 04.09.1975, pubblicato in G.U. n. 119 del 06.05.1976», sarebbe in tesi «stato abrogato fin dal 2010 per effetto del D.P.R. n. 248/2010, come accertato dal Tribunale penale di Lecce con le sentenze del 26.1.2016 e del 18.9.2014, passate in giudicato»; e per altro verso il sopravvenuto vincolo introdotto con il piano paesaggistico regionale, ulteriormente addotto a sostegno del diniego di sanatoria, avrebbe «carattere ricognitivo dei vincoli esistenti che, nel caso di specie, come certificato dalla stessa P.A. nell’atto impugnato, sono dati dal vincolo di cui al D.M. del 4.9.1975 abrogato dal 2010». Sul punto viene ulteriormente sottolineato che in base al menzionato strumento regionale di tutela paesaggistica tanto la dichiarazione dell’area come di «notevole interesse pubblico», così come il suo inserimento nell’ambito territoriale esteso di valore “D” del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT), sarebbero fonte di un regime non già di inedificabilità assoluta, come supposto nel provvedimento impugnato, ma relativa. Quindi, la sentenza avrebbe respinto le censure formulate sul punto con motivazione illogica e contraddittoria, giacché avrebbe affermato l’irrilevanza dell’abrogazione del decreto ministeriale del 4 settembre 1975, poiché richiamato ad abundantiam nel provvedimento impugnato, dopo avere in precedenza considerato legittimo il diniego di sanatoria in ragione del vincolo paesaggistico derivante dal medesimo provvedimento ministeriale.

3. Con il terzo motivo d’appello sono riproposte le censure di violazione degli artt. 31 e 36 del testo unico dell’edilizia, enucleate in ragione del fatto che la demolizione è stata ordinata senza che fosse prima definita la domanda di sanatoria, ai sensi della seconda delle citate disposizioni del DPR 6 giugno 2001, n. 380. A questo riguardo viene posto in rilievo che la sopra menzionata nota comunale di prot. n. 9573 del 1° marzo 2018 si sostanzierebbe in un preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, a cui avrebbe dovuto fare seguito l’emanazione del provvedimento definito all’esito del contraddittorio con la parte.

4. Con un ultimo motivo d’appello viene riproposta la censura di violazione dell’art. 31, comma 3, del testo unico dell’edilizia, per effetto della mancata indicazione nell’ingiunzione a demolire dell’area di sedime e di quell’altra necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive che dovrebbero essere acquisite al patrimonio dell’amministrazione.

5. Le censure così sintetizzate sono infondate.

6. Per il rigetto del primo motivo è innanzitutto sufficiente richiamare, ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), cod. proc. amm. la giurisprudenza amministrativa in materia di rapporti tra demolizione in sede amministrativa e sequestro penale ormai consolidata, secondo la quale la prima non è impedita dal secondo (da ultimo: Cons. Stato, II, 2 agosto 2024, n. 6950; V, 15 maggio 2025, nn. 4165 e 4166; VI, 12 aprile 2024, n. 3365; VII, 23 maggio 2025, n. 4538; 22 maggio 2025, n. 4465; 9 maggio 2025, n. 4003; 29 novembre 2024, n. 9607; 9 febbraio 2024, n. 1310). In base all’indirizzo giurisprudenziale ora citato, di cui la sentenza di primo grado ha fatto corretta applicazione, i due provvedimenti possono coesistere sul piano giuridico. Un conflitto si pone invece sul piano degli effetti giuridici, ma esso è destinato a risolversi nel senso che il sequestro penale ha attitudine ad inibire temporaneamente l’efficacia del provvedimento amministrativo repressivo, la quale è destinata a riespandersi, con le relative conseguenze ex art. 31 del testo unico dell’edilizia in caso di inottemperanza, solo una volta che il primo sia cessato.

7. Le censure relative all’assenza di motivazione a base del diniego di sanatoria e all’inesistenza di presupposti, sotto il profilo paesaggistico, sono evidentemente inammissibili. Come infatti puntualmente rilevato dalla pronuncia di primo grado, con statuizione non censurata ai sensi dell’art. 101, comma 1, cod. proc. amm., il profilo paesaggistico è solo una delle ragioni ostative al rilascio del titolo ex art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, dichiaratamente esposta ad abundantiam nell’ingiunzione a demolire impugnata («per completezza»). Come risulta dai sopra richiamati contenuti motivazionali del provvedimento, a fondamento del diniego sono addotte ulteriori ragioni, afferenti innanzitutto al difetto di conformità urbanistica dell’immobile abusivo, realizzato in zona agricola e in violazione dei parametri edilizi per essa vigenti dalla relativa normativa tecnico attuativa; quindi per la non corrispondenza tra la rappresentazione planovolumetrica del fabbricato rispetto al suo stato effettivo, con conseguente impossibilità di svolgere l’accertamento di conformità ai sensi del poc’anzi richiamato art. 36 del testo unico dell’edilizia; ed infine per il contrasto con il regime di tutela idrogeologica dell’area. Tutte queste ragioni non sono oggetto di specifica censura, per cui l’eventuale inesistenza di profili di contrasto sotto il diverso profilo paesaggistico, a causa dell’intervenuta abrogazione del decreto ministeriale dichiarativo del notevole interesse pubblico dell’area e del carattere meramente ricognitivo del regime di tutela del piano paesaggistico regionale, non sarebbe comunque idonea ad invalidare l’ordine di demolizione impugnato, riconducibile al paradigma dell’atto amministrativo pluri-motivato (cfr., in termini: Cons. Stato, II, 9 aprile 2025, n. 2999, 15 gennaio 2024, n. 467, 25 agosto 2023, n. 7976, 18 gennaio 2023, n. 640; III, 15 settembre 2023, n. 8367; IV, 7 maggio 2024, n. 4094, 5 giugno 2023, n. 5464, 29 maggio 2023, n. 5255, 10 maggio 2023, n. 4743; V, 23 febbraio 2024, n. 1801, 22 maggio 2023, n. 5041, 27 dicembre 2022, n. 11318; VI, 30 ottobre 2023, n. 9348, 25 maggio 2023, n. 5169, 6 febbraio 2023, n. 1234, 2 dicembre 2022, n. 10590; VII, 23 febbraio 2024, n. 1836, 29 gennaio 2024, n. 861, 9 gennaio 2024, n. 318, 2 novembre 2023, n. 9412, 25 ottobre 2023, n. 9238, 29 settembre 2023, n. 8593, 11 agosto 2023, n. 7751, 3 maggio 2023, n. 4517, 20 febbraio 2023, n. 1737, 12 settembre 2022, n. 7930).

8. Infondato è inoltre l’assunto, a base del terzo motivo d’appello, secondo cui l’ingiunzione a demolire sarebbe stata emessa senza che fosse prima definita la domanda di sanatoria. Anche su questo punto la sentenza di primo grado ha svolto un accertamento incensurabile. In questa direzione è decisivo il fatto che dopo la più volte richiamata nota comunale di prot. n. 9573 del 1° marzo 2018, recante ai sensi dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’invito agli interessati a controdedurre al preavviso di rigetto della domanda ex art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, le ragioni a fondamento del diniego di accertamento di conformità sono compiutamente esposte nella conclusiva ordinanza di demolizione impugnata in via di principalità nel presente giudizio. La descritta modalità di espressione delle ragioni del diniego di sanatoria vale dunque a superare la contraddizione insita nel precedente rilievo dell’intervenuta formazione del silenzio-rigetto, ai sensi del comma 3 della disposizione del testo unico dell’edilizia da ultimo citata.

9. Infine, la sentenza va confermata anche nella parte in cui ha respinto le censure di violazione dell’art. 31, comma 3, del testo unico dell’edilizia, per il fatto che l’ordinanza di demolizione non reca l’indicazione dell’area di sedime da acquisire in caso di inottemperanza, posto che secondo la giurisprudenza amministrativa, alla quale va data continuità, l’indicazione dell’area di sedime non integra un requisito di legittimità del provvedimento repressivo (ex multis: Cons. Stato, VI, 30 ottobre 2024, n. 8633; 11 ottobre 2024, n. 8147; VII, 29 gennaio 2025, n. 686). Peraltro, è evidente il difetto di interesse dei ricorrenti a contestare l’omessa statuizione in via amministrativa di un effetto destinato a prodursi per legge in caso di violazione del termine per eseguire l’ordine di ripristino (in questo senso, per tutte: Cons. Stato, Ad. Plen., 11 ottobre 2023, n. 16).

10. L’appello deve quindi essere respinto. In assenza di costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale resistente non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2025, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l’intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF, Estensore

Giordano Lamberti, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Maria Grazia Vivarelli, Consigliere