Cass. Sez. III n. 19867 del 28 maggio 2025 (UP 7 mar 2025)
Pres. Di Nicola Rel. Gai Ric. Frenna
Urbanistica.Valutazione unitaria dell'intervento edilizio abusivo
In tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale, nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più blando, per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, previa riqualificazione del reato di cui all’art. 181 comma 1 bis del d.lvo n. 42 del 2004, nella fattispecie di cui all’art.181 comma 1 del d.lvo n. 42 del 2004, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio nei confronti di Frenna Umberto, nella misura di sette mesi di arresto e € 18.000,00 di multa, in relazione ai reati di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), artt. 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo B) e art. 181 comma 1 del d.lvo n. 42 del 2004 (capo C) per avere, quale concessionario dell'area demaniale sita in Napoli alla via Coroglio n. 14, gestore dello stabilimento balneare L’Arenile, realizzato opere abusive consistite in tre strutture intercomunicanti tra loro della dimensione complessiva di m.q. 280, adibiti a zona bar, cucina e somministrazione, in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, permesso a costruire, costituendo un unico ambiente, opere eseguite in zona sismica, omettendo di depositare gli atti progettuali presso il competente ufficio del genio civile, nonché in assenza di autorizzazione prescritta dall'art. 146 decreto legislativo 42 del 2004 su area demaniale, sottoposta a vincoli integrali di protezione paesaggistico ambientale ai sensi del DM 6 agosto 1999.
Con la medesima sentenza veniva altresì ordinata la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi, se non altrimenti eseguito, e l'imputato veniva condannato al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile Comune di Napoli, da liquidarsi in separato giudizio assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva dell'importo di €10.000.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. attu. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo e secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla erronea valutazione della legislazione in materia di edilizia libera, all’art. 6 comma 1, lett. e) bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001.
La Corte territoriale, a fronte delle prove documentali e delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale e avrebbe ritenuto che, nel caso in esame, non si fosse in presenza di opere edilizie realizzabili in regime di attività e di edilizia libera senza necessità del preventivo rilascio del permesso a costruire, giacche le tensostrutture rientranti in tale regime sono solo quando funzionali a soddisfare esigenze contingenti e temporanee e siano destinate ad essere immediatamente rimosse entro un termine non superiore ai 90 giorni, ed avrebbe erroneamente escluso in presenza della realizzazione di strutture tipo gazebo, della soddisfazione di esigenze contingenti e temporanee delle opere. Il gazebo, acquistato da aziende specializzate del settore, nella sua configurazione tipica è una struttura leggera non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore, aperta ai lati realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno per l'allestimento di eventi all'aperto anche sul suolo pubblico, ancorata al suolo senza opere murarie di fondazioni, sicchè, ai sensi dell'art. 6 lett. e bis del testo unico dell'edilizia, si tratta di opere per le quali non è necessario alcun titolo abilitativo.
La Corte territoriale avrebbe reso anche una motivazione apparente laddove aveva affermato che nel caso in esame risultava autorizzata dal Comune la sola realizzazione di strutture amovibili di complessivi mq. 128 utili all'attività di bar, bouvette intrattenimento da posizionarsi sull'area già assentita nella predetta concessione, cioè di strutture di dimensioni più contenute e funzionali all'esecuzione dello stabilimento elioterapico per un periodo di 90 giorni compresi tra il 18 dicembre 2018 e il 18 marzo 2019. Da cui la conseguenza che sarebbero opere edilizie realizzabili in regime di attività libera senza il preventivo rilascio del permesso a costruire, né occorrerebbe il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del d.lvo n. 42 del 2004.
La corte territoriale avrebbe reso una motivazione illogica in punto sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in un contesto nel quale il P.M. aveva individuato la buona fede del ricorrente nella richiesta di archiviazione per tenuità dell’offesa, e la corte territoriale avrebbe immotivatamente individuato un profilo di colpa.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla erronea applicazione dell’art. 181 comma 1 quinquies del d.lvo n. 42 del 2004, mancata applicazione della causa di estinzione del reato. La Corte territoriale avrebbe escluso la causa estintiva sul rilievo dell’assenza di prova in ordine all’intervenuta demolizione integrale ed effettiva delle strutture sottoposte a sequestro in data 9 aprile 2019, circostanza smentita dalle allegazioni documentali essendo stato dimostrato, con il verbale del 7 maggio 2019 di riposizioni dei sigilli, l'avvenuto ripristino.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 131 bis cod.pen. e difetto di motivazione. La Corte territoriale non avrebbe valutato da cui l'assenza di motivazione della condotta susseguente al reato costituito dallo spontaneo ripristino dello stato dei luoghi che avrebbe dovuto essere valorizzato, nell'ambito del giudizio complessivo sull'entità dell'offesa del bene giuridico tutelato, a seguito della modifica normativa operata dalla riforma Cartabia all'articolo 131 bis cod.pen.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 157 cod.pen. e prescrizione del reato maturata in epoca anteriore alla sentenza.
La Corte territoriale avrebbe escluso l'estinzione del reato, individuando la data del commesso reato nel 9 aprile 2019, data del sequestro operato dalla polizia giudiziaria, da cui il termine quinquennale di prescrizione non ancora decorso tenuto conto del periodo di sospensione di 126 giorni dovuto all'adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamate dall'unione Camere Penali, laddove l'accertamento dei reati era stato fissato sin dal capo di imputazione alla data del 17 febbraio 2019 al momento del primo sopralluogo, sicché anche aggiungendo i 126 giorni di sospensione, i reati erano tutti prescritti sin da la prima udienza in Corte d'appello.
2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 597 comma 3 cod.proc.pen. per avere, la corte territoriale, violato il divieto di reformatio in peius applicando l'imputato in luogo della originaria pena di mesi 10 di reclusione la pena di mesi 7 di arresto ed € 18.000 di ammenda laddove il terzo comma dell'articolo 597 cod.proc.pen. vieta al giudice di irrogare una pena più grave per specie o quantità. L’aver aggiunto la pena originaria di una pena di altra specie quale quella pecuniaria di 18.000 €, integra la violazione denunciata.
2.6. Con il sesto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 163 cod.pen. e mancata concessione della sospensione condizionale della pena in ragione della ritenuta personalità trasgressiva desunta dal precedente penale per falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico risalente nel tempo.
2.7. Con il settimo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 540 comma 1 cod.proc.pen. stante l’assenza di giustificati motivi in relazione alla condanna alla provvisionale.
Il difensore della parte civile Comune di Napoli ha depositato memoria scritta con cui conclude chiedendo l’inammissibilità/rigetto del ricorso e deposita nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Va dapprima scrutinato il quarto motivo di ricorso, con cui si eccepisce l’intervenuta prescrizione dei reati maturata in epoca precedente la sentenza impugnata, poiché dal suo accoglimento deriverebbe l’annullamento della sentenza, come richiesto dal Procuratore generale.
Esso è, tuttavia, manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente fatto decorrere il dies a quo, da cui decorre la prescrizione, dalla data del sequestro dei manufatti abusivi operato in data 9 aprile 2019, seguendo i principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato urbanistico al pari del reato paesaggistico, hanno natura permanente e la loro consumazione, che ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione, perdura fino alla cessazione dell'attività edilizia abusiva (Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso, Rv. 261916), momento nel quale inizia a decorrere il termine di prescrizione. La cessazione dell’attività, come ricorda la giurisprudenza, coincide con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera (Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351), con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio mediante sequestro penale (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017, Tomasulo, Rv. 270256 – 01; Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, P.G. in proc. Quartieri e altri, Rv. 265626), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498), in un contesto nel quale all’esito del primo sopralluogo le opere erano “recenti” e la terza struttura era solo parzialmente realizzate, sicchè l’attività abusiva era stata interrotta dal sequestro del 9 aprile 2019. Tenuto conto del termine quinquennale e del periodo di sospensione del corso della prescrizione, la stessa era maturata in data 13 agosto 2024 (e non come erroneamente indicato 13 settembre 2024) e dunque in epoca successiva alla data della pronuncia della sentenza del 14 giugno 2024.
Ma anche a voler seguire la prospettazione difensiva secondo cui il dies a quo da cui decorre la prescrizione dei reati deve essere individuato nella data indicata dal capo di imputazione al 17/02/2019, la prescrizione non sarebbe comunque maturata in epoca antecedente alla sentenza impugnata (si sarebbe prescritto il 22/06/2024 e dunque comunque dopo la data della sentenza impugnata).
Va, tuttavia, ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod.proc.pen. (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119) da cui il necessario scrutinio degli altri motivi di ricorso che se non manifestamente infondati, impongono il rilievo della prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata.
5. Ciò posto, il primo motivo di ricorso è inammissibile perché meramente ripetitivo della analoga censura già devoluta ai giudici dell’impugnazione, risolvendosi anche nella proposizione di censure di fatto non consentite in questa sede.
Il ricorrente articola la censura sulla base di un errato presupposto giuridico, contrario ai principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità che ha, da sempre, affermato che l'intervento edilizio deve essere considerato unitariamente nel suo complesso, senza possibilità di scindere e considerare separatamente le sue componenti (Sez. 3, n. 20363 del 16/03/2010, Marrella, Rv. 247175 – 01;
Sin da risalenti, e mai superate pronunce di questa Corte di legittimità, si è affermato il principio secondo cui la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio (Sez. 3, n. 4048 del 06/11/2002, Rv. 223365 – 01, fattispecie in tema di decorrenza del termine di prescrizione)
Più recentemente, e con riguardo al profilo che qui viene in rilievo della tipologia del titolo abilitativo richiesto, si è ribadito che in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, P.M. in proc. Casciato, Rv. 263473 – 01).
Si è in proposito reiteratamente evidenziato che il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale, nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più blando, per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 — 01; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, Forte, Rv. 252125 - 01).
Il principio di unitaria valutazione è stato ribadito anche con riferimento ad opere in grado di non assumere rilevanza penale se esaminate autonomamente, eppure suscettibili di integrare, proprio in ragione della necessaria valutazione complessiva, interventi richiedenti titoli abilitativi corrispondenti al permesso di costruire o ad atti ad esso equivalenti (fattispecie con riguardo alla valutazione dell'opera ai fini della individuazione del ''dies a quo" per la decorrenza della prescrizione, deve riguardare la stessa nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017 Rv. 270256 – 01; Tomasulo P; Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 - 01 cit.).
6. Sulla scorta di questa esegesi ermeneutica la decisione impugnata è giuridicamente corretta.
È stato accertato in punto di fatto, e non contestato, che erano state realizzate tre strutture intercomunicanti di superficie complessiva di 280 m² adibiti a zona bar, cucina e somministrazione, seppur separate e ad altezze diverse, erano intercomunicanti tra loro sì da costituire un unico ambiente destinato a bar e cucina. La prima struttura con destinazione bar - cucina aveva una superficie di 86 m², la seconda di circa 128 m² era attrezzata con tavoli e divani destinata alla somministrazione di bevande, la terza incompleta non utilizzata presentava una superficie di 65 m². Risultava altresì che nel parere rilasciato nel 2014 su richiesta del Frenna era stata espressamente vietata la realizzazione di strutture gazebo di bar-cucina, emergeva, inoltre, che la prima struttura poggiava i propri ritti verticali su piastre metalliche annegate nel conglomerato cementizio e la seconda struttura era fissata al suolo attraverso piastre metalliche imbullonate.
Sulla scorta di questa ricostruzione fattuale i giudici del merito ritenevano realizzata una abusiva trasformazione edilizia urbanistica di una porzione del territorio ricadente in zona sismica e soggetta a vincolo paesaggistico priva delle caratteristiche di precarietà e di facile amovibilità e di funzionalità come dedotte dalla difesa in quanto dimostrata la realizzazione di un manufatto stabilmente infisso al suolo poggiato su pilastri in ferro, a loro volta ancorati al suolo con piastre annegate del conglomerato in calcestruzzo, e come tale soggetta a permesso a costruire non essendo qualificabile quale edilizia libera in quanto destinato a realizzare nuovi volumi.
Questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito, in fattispecie analoga, che le tensostrutture sono opere realizzabili in regime di attività edilizia libera, senza necessità di permesso di costruire, soltanto se funzionali a soddisfare esigenze contingenti, temporanee e destinate ad essere rimosse entro novanta giorni, essendo irrilevante la tipologia dei materiali impiegati per la loro edificazione (Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Bossone, Rv. 277837 – 01).
6. Nel caso in esame, difetta il requisito del soddisfacimento di esigenze contingenti e temporanee, trattandosi di manufatti che era stati realizzati per ingrandire l’attività economica della struttura balneare, già tradisce l’obiettivo di realizzare un manufatto “leggero” tipo gazebo per esigenze contingenti e temporanee, creando, invero, nuovi volumi.
Il riferimento al “gazebo” quale struttura leggera e solo nominalistico e non si confà con quanto accertato, si ribadisce la realizzazione di tre strutture interconnesse ancorate al suolo con opere di fondazione pari a mq. 280.
Secondo il novellato art. 6, comma 1, lett. e-bis, per effetto dell’art. 10, comma 1, lett. c), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, che ha ampliato il novero degli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo, sono eseguite senza alcun titolo abilitativo «le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione». (Sez. 3, n. 32735 del 18/09/2020, Santini, non mass.)
Ora, tra le opere «dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee» non possono includersi i manufatti in questione difettando il requisito “contingente” che indica ciò che è «accessorio, eventuale, accidentale, che si verifica casualmente, in una particolare circostanza», né il carattere temporaneo essendo stabilmente destinato ad ingrandire lo spazio dello stabilimento balneare gestito dall’imputato.
7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto il ricorrente, attraverso una diversa lettura delle emergenze probatorie, richiede una diversa ricostruzione dei fatti e segnatamente sull’avvenuto ripristino dello stato dei luoghi, presupposto per l’applicazione della causa di estinzione.
Trattasi di censura non proponibile in questa sede a fronte di una motivazione adeguata, logica offerta dal giudice del merito che ha escluso l’avvenuta demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, integrale ed effettiva, anticipando l’emissione del provvedimento amministrativo di ripristino (Sez. 3, n. 37822 del 12/06/2013, Battistelli, Rv. 256518 – 01).
Con la causa estintiva il legislatore mira ad invogliare le condotte di tempestivo recupero della zona sottoposta al vincolo affinché il paesaggio riacquisti il precedente aspetto esteriore con conseguente recupero del suo pregio estetico che costituisce ad un tempo l'oggetto e la ragione della tutela.
Nel caso in esame, secondo i giudici del merito era mancata la dimostrazione del ripristino completo dei luoghi in epoca precedente all’accertamento, situazione che trova conferma, contrariamente alle deduzioni difensive, dalla stessa allegazione difensiva là dove, citando la richiesta di archiviazione, si fa riferimento alla rimozione di tendo strutture, opere diverse da quelle realizzate e per le quali è in corso l’odierno processo.
8. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La corte territoriale ha negato il riconoscimento della speciale causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. in ragione della caratteristica anche volumetrica delle opere realizzate che non potevano essere ricondotte ad un abuso di minima offensività e in ragione della pluralità di violazioni.
Sul punto, questo Collegio osserva che, ai fini della applicabilità̀ dell'art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, nel caso in cui siano state violate più disposizioni di legge (urbanistiche, antisismiche e in materia di conglomerato c.a.), non possa ritenersi di particolare tenuità, avuto riguardo all'offensività complessiva della condotta derivante dalla violazione di più disposizioni della legge penale, pur a fronte dell'unicità naturalistica del fatto, (Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, Mancuso, Rv. 266586).
Né può assumere rilievo, a fronte della modifica dell’art. 131 bis, cod. pen., ad opera delll'art. 1, c. 1, lett. c), n. 1), d. lgs. n. 150/2022, che prevede non solo l'applicabilità generalizzata dell'istituto a tutti i reati puniti con pena minima pari o inferiore a due anni, ma anche, con specifico riferimento ai parametri di valutazione, la “condotta susseguente al reato”, che assume rilevanza quale elemento - ma non certamente l'unico, né il principale – di quelli che il giudice è chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l'offesa (Sez. 3, n. 18029 del 04/04/2023) e che, quanto al caso in esame, per le ragioni esposte al par.7 non ricorre.
9. Il quinto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
Deve osservarsi, in linea di principio che il giudice dell'impugnazione, in assenza di gravame del pubblico ministero, non può irrogare una pena più grave per specie e quantità rispetto a quella complessiva inflitta dal giudice di primo grado, con la conseguenza che viola il divieto di "reformatio in peius" la sentenza d'appello che ridetermini la pena della sola reclusione irrogata in primo grado, in quella congiunta dell'arresto e dell'ammenda in una misura che, effettuato il ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive ai sensi dell'art. 135 cod. pen., produca il superamento del "quantum" della pena detentiva originariamente inflitta (Sez. 4, n. 24430 del 10/06/2021, Rossi, Rv. 281403 – 01; Sez. 3, n. 39475 del 19/07/2017, Cozzolino, Rv. 271633-01).
Quanto al caso in esame, nessuna violazione del principio di divieto di reformatio in peius è stata compiuta dalla Corte d’appello nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto della diversa qualificazione del fatto di cui all’art. 181 comma 1 bis del d.lvo n. 42 del 2004, ai sensi dell’art. 181 comma 1 del d.lvo n. 42 del 2004.
Ed invero, secondo i principi sopra enunciati, ai sensi dell’art. 135 cod.pen. la pena dell’ammenda di € 18.000,00, inflitta in secondo grado, è pari a 72 giorni che sommati ai mesi sette di arresto, determinano la pena inflitta complessiva di mesi nove e giorni 22 di arresto, pena inferiore ai mesi dieci di reclusione originariamente inflitti.
10. Il sesto motivo di ricorso che lamenta la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena è manifestamente infondato.
La corte territoriale ha negato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla luce di un argomentato giudizio prognostico negativo di astensione dalla commissione di ulteriori reati tra cui, secondo i giudici territoriali, rileva la permanente disponibilità in capo all’imputato dell’area demaniale su cui sono state realizzate le opere abusive tutt’ora in essere, atteso che non è intervenuto il ripristino e/o la demolizione, con conseguente aggravio del carico urbanistico. Si tratta di motivazione che in quanto non manifestamente illogica perché fondata sulla permanenza dell’illecito, non è sindacabile in questa sede.
11. Il settimo motivo di ricorso che lamenta l’assenza di giustificati motivi sulla concessione della provvisionale immediatamente esecutiva in ragione del ripristino dello stato dei luoghi è inammissibile perché basato su una premessa di fatto che non trova fondamento, anzi è stata esclusa.
12. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
13. L’imputato deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Comune di Napoli nel presente giudizio che si liquida come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Comune di Napoli nel presente giudizio che liquida in € 3.686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 07/03/2025