Cass. Sez. III n. 23457 del 24 giugno 2025 (CC 16 apr 2025)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. PM in proc. B.
Urbanistica.Natura dell'ordine di demolizione
L'ordine di demolizione è disegnato dal Legislatore come assunto in un quadro di garanzie che trovano immediata esplicazione nel contraddittorio del processo e nel contempo, esaurendosi in quella sede la tutela dei contrapposti interessi - privati e pubblici -, la demolizione consegue per scelta Legislativa necessariamente, ossia inevitabilmente, all'accertamento penale della abusività dell'opera, di cui costituisce oggettiva quanto ineliminabile immediata conseguenza: il giudice penale, contestualmente alla condanna, deve adottare l'ordine di demolizione, senza poter esplicare alcuna valutazione e contemperamento tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica e altri interessi. Avendo il Legislatore già operato ogni giudizio di prevalenza dell'interesse pubblico attraverso la previsione dell'ordine di demolizione dell'intervento abusivo, quale strumento di ripristino dell'interesse collettivo tutelato e violato, conseguente all' avvenuto accertamento di responsabilità penale ex art. 44 DPR 380/01.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Napoli veniva adito - quale giudice dell’esecuzione - da parte di B.T., per la revoca dell’ordine di sgombero n. 275/05 emesso dal Pubblico Ministero del tribunale di Napoli in relazione all’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, disposto con sentenza del 4.3.1997 e divenuta irrevocabile il 25.4.1997 nei confronti di A.A.. Il tribunale accoglieva la domanda revocando l’ordine di demolizione sul rilievo della gravissima situazione clinica della figlia della istante B.T., siccome affetta da autismo e per la quale sarebbe stato accertato un peggioramento in correlazione con la paventata possibilità di lasciare l’attuale abitazione.
2. Avverso la predetta ordinanza il Pubblico Ministero del tribunale di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un solo motivo di impugnazione.
3. Deduce vizi di motivazione e di violazione di legge, rappresentando che il giudice non avrebbe seguito i criteri che devono presiedere alla valutazione da svolgere nel dare esecuzione all’ordine di demolizione, evidenziando come le condizioni di salute della figlia dell’interessata non possano assumere di per sé una importanza decisiva, dovendo esse essere valutate congiuntamente con la consapevolezza della illiceità dell’intervento nonché con l’arco di tempo decorso dall’accertamento dell’abuso al fine di verificare se l’interessato abbia avuto la possibilità di legalizzare il manufatto abusivo o di reperire un’altra soluzione abitativa. Il giudice non avrebbe effettuato tale complessiva valutazione, dando esclusiva importanza alle condizioni di salute della figlia dell’istante, laddove la B. sarebbe, da parte sua, consapevole dell’abusività dell’immobile, avendo ella stessa presentato una domanda di condono, rivelatasi meramente dilatoria, in assenza di prova di pagamento di oneri concessori né sarebbero stati dimostrati disagi di ordine economico in grado di rinvenire altra soluzione abitativa. La B. sarebbe altresì terza interessata a fronte di una condanna per il manufatto abusivo intervenuta a carico della madre. Né la B. avrebbe avviato un percorso terapeutico a favore della figlia per rendere meno traumatico il distacco dalla abitazione. Aggiunge la necessità, altresì, di assicurare la permanenza degli individui in ambienti salubri quale condizione non soddisfatta presso manufatti abusivi. La disposta revoca dunque, confliggerebbe con l’interesse pubblico alla rimozione di una lesione a carico di un interesse costituzionalmente tutelato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il potere di ordinare la demolizione attribuito al giudice penale, pur di natura amministrativa, è volto al ripristino del bene tutelato in virtù di un interesse correlato all'esercizio della potestà di giustizia, ed il provvedimento conseguente è assoggettato all'esecuzione nelle forme previste dagli artt. 655 c.p.p. e segg. Si è al riguardo altresì affermato che compete al pubblico ministero, quale organo promotore dell'esecuzione ex art. 655 c.p.p., determinare le modalità esecutive della demolizione disposta ex L. n. 47 del 1985, art. 7 (attualmente art. 31 del DPR 380/01), ed ove sorga una controversia concernente non solo il titolo, ma anche le modalità esecutive, va instaurato dallo stesso P.M., dall'interessato o dal difensore, un procedimento innanzi al giudice dell'esecuzione (cfr. Sez. 3^, n. 1961 del 12/5/2000, dep. 4/7/2000, Masiello, Rv. 216991).
In tale quadro, l’unico reale ordine di demolizione che afferisce ad un’opera abusiva è quello che il giudice che pronunzia la condanna emette contestualmente ex art. 31 del DPR 380/01.
Va altresì precisato che l'ordine di demolizione delle opere abusive, emesso dal giudice penale, ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve, pertanto, essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (La Corte ha precisato in motivazione che, comunque, la mancata condanna del terzo per concorso nell'abuso edilizio non implica necessariamente una posizione di buona fede rispetto ad esso). (Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009 Rv. 245403 – 01).
Va anche osservato che viene in rilievo, nel caso in esame, il tema della esecuzione dell'ordine di demolizione in rapporto alla violazione del diritto all'abitazione ed al rispetto della vita privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU, in ragione del principio di proporzionalità della misura, a fronte, in particolare, delle precarie condizioni di salute della figlia della B..
A tale ultimo riguardo, deve allora evidenziarsi, innanzitutto, come secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il principio di proporzionalità nell'applicazione dell'ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo "procedurale" inevitabilmente connesse al procedimento penale da cui è scaturito l’ordine di demolizione che, per quanto sinora osservato, non ha mai visto come protagonista la B..
Ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha infatti valorizzato essenzialmente (cfr. in proposito, in motivazione, Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022 Rv. 282950 – 01): la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione, nonché alla natura ed al grado della illegalità realizzata.
Appare evidente, da quanto qui sintetizzato, che il rapporto di proporzionalità, valorizzato in sede convenzionale, riguarda la relazione tra l’interesse pubblico alla tutela del territorio e l’interesse all’utilizzo dell’opera abusiva da parte di chi l’abbia realizzata o che comunque dovrebbe subire in via diretta le conseguenze dell’ordine di demolizione in ragione di un diritto reale sull’opera abusiva.
Tale impostazione, volta a vagliare gli interessi dell’autore e/o proprietario dell’abuso rispetto a quelli pubblici sottesi all’ordine di demolizione, trova riscontro anche nelle pronunzie di legittimità con cui questa Suprema Corte si è confrontata rispetto alle pronunce della Corte EDU.
La maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto, invero, che sia stato rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute «solo "cagionevole"») o la gravità delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di più disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, non massimata).
Anche la decisione di cui alla sentenza della sezione terza, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270-01 ha chiesto al giudice del rinvio, al fine dell'assunzione di una corretta decisione sulla legittimità dell'esecuzione dell'ordine di demolizione, di valutare: «se il ricorrente, nel momento in cui ha realizzato abusivamente l'attività edificatoria, avesse consapevolezza di agire illegalmente, ovvero, in caso contrario, quale fosse il grado della sua colpa; quali siano stati i tempi a disposizione del medesimo, dopo la definitività della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile, e comunque per trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative; quali siano le effettive condizioni di salute e socio-economiche del ricorrente e se le stesse, in concreto, esplichino rilevanza sul giudizio concernente il rispetto del principio di proporzionalità, eventualmente anche solo in relazione al profilo della valutazione della congruità del tempo concesso al ricorrente».
Si tratta, invero, di profili di verifica che necessariamente fanno riferimento ai soggetti che risultino direttamente coinvolti nella realizzazione o nella proprietà dell’opera abusiva, con la conseguenza per cui la prospettiva circa la sussistenza, in tema di ordine di demolizione, di un rapporto di proporzionalità, con altrui interessi privati, deve ritenersi ristretta nell’ambito del rapporto tra interesse pubblico alla tutela del territorio e tutela del diritto di proprietà e delle relative forme immediate e dirette di godimento, come riguardanti l’autore e/o proprietario dell’immobile assieme, al più, al suo diretto e formale nucleo familiare. In altri termini, la verifica di un rapporto di proporzionalità, in caso di ordine di demolizione di un’opera abusiva, presuppone innanzitutto che l’ordine di demolizione sia in grado di pregiudicare in via diretta ed immediata diritti e interessi strettamente, direttamente e immediatamente connessi alla proprietà dell’opera da demolire, laddove il pregiudizio all’uso solo occasionale dell’immobile, nel quadro quindi di rapporti di mero godimento da parte di terzi estranei alla proprietà, non può ritenersi in grado di ostacolare in alcun modo la tutela degli interessi pubblici, in tale quadro già di per sé ben più pregnanti, sottesi all’ordine di demolizione.
Va aggiunto che in tema di reati edilizi, la tutela del diritto alla salute di coloro che abitano l'immobile oggetto dell'ordine di demolizione, specie se affetti da patologie gravi o invalidanti, postula che i predetti siano necessariamente posti in un ambiente salubre, edificato e attrezzato nel pieno rispetto della normativa vigente (quale non può essere un immobile abusivo), essendo quest'ultima finalizzata a garantire anche il benessere di coloro che abitano detti luoghi. (Sez. 3, n. 48820 del 02/11/2023 Rv. 285756 – 02).
Nel caso di specie, da una parte emerge l’assenza, come riportato in ricorso, di un effettivo giudizio di comparazione tra i contrapposti interessi, tanto più a fronte della dedotta problematica in tema di condono, che testimonia sia la consapevolezza dell’abusività dell’opera sia la mancata assunzione di iniziative effettive e concrete volte a sanare la stessa. Dall’altra, si trascura, attraverso la revoca dell’ordine di demolizione, come tale definitiva, che si tratta di una misura che per legge si impone al giudice a seguito della intervenuta condanna; infatti, il principio di proporzionalità, è opportuno che tale aspetto sia chiaro, può solo intervenire successivamente alla sentenza di condanna e all'ordine di demolizione, nel delineare la più adeguata esecuzione dell’ordine stesso, non solo in ordine all'oggetto (nel senso di garantire che il relativo perimetro sia necessariamente abusivo) ma anche sotto il profilo temporale (purchè si assicuri comunque, entro un tempo congruo, rispetto al caso concreto e alla situazione ed interessi emersi, la demolizione). In altri termini, la esistenza dell'ordine di demolizione, una volta adottato all'esito del giudizio sfociato con la sentenza di condanna, nella garanzia del contraddittorio tra le parti, non può più essere messa in discussione, pena l’arbitraria e non consentita eliminazione di una sanzione amministrativa rimessa e imposta al giudice, a date condizioni (quale in particolare quella per cui la demolizione non sia stata già effettuata in sede amministrativa o d'iniziativa dell'interessato). Ed invero, i soli casi di interruzione definitiva dell’ordine di demolizione, si ricollegano non già al principio di proporzionalità, quanto piuttosto alla intervenuta adozione di provvedimenti con esso incompatibili, sul piano giuridico, a partire dalle forme di sanatoria e fino alla ipotesi, ex art. 31 DPR 380/01, della corretta ed effettiva destinazione ad uso pubblico dell’opera edilizia abusivamente edificata.
In tale prospettiva occorre allora anche evidenziare che la natura amministrativa, di misura ripristinatoria del bene leso, (v. già Sez. Un., 20.11.1996, Luongo), rivolta al ripristino dell'assetto urbanistico e territoriale violato, in una prospettiva di restaurazione dell'interesse pubblico compromesso dall'abuso, priva di finalità punitive e con carattere reale ed effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, è riconosciuta ormai in maniera consolidata, sia dalla giurisprudenza di legittimità che convenzionale, la quale come tale impedisce ogni possibilità di configurare la demolizione quale pena, così da non essere neppure oggetto di prescrizione (ex plurimis in ordine a tali ultimi profili, Sez. 3, n. 3979 del 21/002018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01).
Ad ulteriore dimostrazione della tendenziale ineliminabilità della misura impartita.
Si vuole dire, in altri termini, che l'ordine di demolizione è disegnato dal Legislatore come assunto in un quadro di garanzie che trovano immediata esplicazione nel contraddittorio del processo e nel contempo, esaurendosi in quella sede la tutela dei contrapposti interessi - privati e pubblici -, la demolizione consegue per scelta Legislativa necessariamente, ossia inevitabilmente, all'accertamento penale della abusività dell'opera, di cui costituisce oggettiva quanto ineliminabile immediata conseguenza: il giudice penale, contestualmente alla condanna, deve adottare l'ordine di demolizione, senza poter esplicare alcuna valutazione e contemperamento tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica e altri interessi. Avendo il Legislatore già operato ogni giudizio di prevalenza dell'interesse pubblico attraverso la previsione dell'ordine di demolizione dell'intervento abusivo, quale strumento di ripristino dell'interesse collettivo tutelato e violato, conseguente all' avvenuto accertamento di responsabilità penale ex art. 44 DPR 380/01.
E del resto, eloquente è in proposito quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 146/2021, laddove, da una parte, si è sottolineato, con riguardo alla confisca - ma in una prospettiva che appare estensibile anche alla misura demolitoria quale forma anch'essa di riaffermazione dell'interesse alla conformità urbanistica violata -, che essa è annoverata tra le misure ricadenti nel perimetro del secondo paragrafo dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, ai sensi del quale resta in capo agli Stati il diritto «di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale » (paragrafo 291), dall'altra, ha altresì concluso in via generale, dopo avere escluso nello specifico che l'Autorità Giudiziaria, come chiedeva il remittente, possa nei casi concreti sostituire la confisca con altra misura più "lieve", non contemplata dal legislatore, che «il giudice penale non ha competenza “istituzionale” per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici», con espressione che può anche intendersi, nel quadro complessivo della sentenza citata, quale riaffermazione di un perimetro ben preciso e vincolante per il giudice penale, quanto alle misure - ripristinatorie - da applicare a fronte di opere abusive penalmente accertate con relativa condanna: si vuole osservare che il Giudice delle Leggi nell'escludere il potere del giudice penale di sostituire deliberatamente una misura legislativamente prevista quale la confisca con altra, sul rilievo dell'assenza di un tale potere la cui disciplina rientra solo nella ragionevole discrezionalità del Legislatore, ha riaffermato la stabilità delle misure ripristinatorie (confisca ma anche demollzione) quale frutto di insindacabili scelte Legislative. Con la conseguenza che ogni intervento sulle stesse può intervenire o in caso di giuridica incompatibilità sopravvenuta (ancora una volta affidata alla disciplina legislativa) oppure solo in termini di riduzione oggettiva o sospensione temporale, nel quadro del principio di proporzionalità.
Da tale impostazione consegue il noto principio per cui l'ordine di demolizione dell'opera abusiva, di carattere reale e a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193 - 01; Sez. 3„ n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, dep. 2011, Giustino, Rv. 249129 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 - 01; Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 2441512 - 01);
Più ampiamente, a fronte di questo evidente quanto tendenzialmente inossidabile rapporto tra ordine di demolizione e res abusiva, deve ribadirsi che la giurisprudenza (cfr. tra le altre anche in motivazione, Sez. 3, Sentenza n. 47281 del 2009 e da ultimo Sez. 3 - n. 16470 del 28/03/2024 Cc. (dep. 19/04/2024 ) Rv. 286151 - 01), con riferimento alla posizione del soggetto proprietario dell'immobile, terzo rispetto al reato, è costantemente orientata, condivisibilmente, nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente eseguite nei confronti degli attuali proprietari dell'immobile, indipendentemente dall'essere stati o meno questi ultimi gli autori dell'abuso, salva la loro facoltà di fare valere sul piano civile la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa (cfr. anche v. Cons. Stato, Sez. 5, 1.3.1993, n. 308; Cass. Sez. 3, 5.11.1998, Frati; Sez. 3, 24.11.1999, Barbadoro; Sez. 3, 24.4.2001, n. 35525, Cunsolo, m. 220191; Sez. 3, 13.10.2005, n. 37120, Morelli; Sez. 3, 10.5.2006, n. 15954, Tumminello; Sez. 3, 29.3.2007, n. 22853, Coluzzi, m. 236880).
L'ordine di demolizione contiene invero una statuizione di natura reale, che, come il corrispondente ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, produce i suoi effetti nei confronti di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, siano o diventino proprietari del bene su cui esso incide (Sez. 3, 5.3.2009, n. 16687, Romano, m. 243405).
L'interesse dell'ordinamento è nel senso che l'immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto e, se si accedesse alla tesi dell'impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria nei confronti del proprietario non responsabile dell'abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l'anzidetta fondamentale funzione (Sez. 3, 13.7.2009, n. 39322, Berardi).
Va anche ricordata la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha escluso - perché in contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost. - la possibilità di disporre l'acquisizione gratuita dell'area di sedime del manufatto abusivo nei confronti del proprietario che sia estraneo all'abuso (cfr. ord. n. 82 del 1991 e sent. n. 345 del 1991). La Corte, infatti, dopo avere rilevato che l'acquisizione rappresenta una sanzione autonoma per l'inottemperanza all'ingiunzione a demolire e si giustifica proprio per la coazione psicologica che è in grado di esercitare al fine di ottenere quel risultato, trovando quindi limiti nei confronti del proprietario estraneo al reato, ha però anche espressamente specificato che "non per questo viene meno la possibilità di ripristino in quanto, in tale ipotesi, la funzione ripristinatoria dell'interesse pubblico violato dall'abuso, sia pure ristretta alla sola possibilità di demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi attuazione di ufficio, in forza del principio di esecutorietà, senza che a tal fine sia necessaria l'acquisizione dell'area che, se di proprietà di soggetto estraneo all'abuso, deve rimanere nella titolarità di questi, anche dopo eseguita d'ufficio la demolizione".
Si è altresì sottolineato che questa Corte ha anche osservato che, a ben vedere, "il proprietario o comproprietario (non committente rispetto all'abuso) non ha interesse giuridicamente protetto ad opporsi all'esecuzione dell'ordine di ripristino. Se l'abuso è avvenuto senza o contro la sua volontà, egli non può che trarre vantaggio dal ripristino della legalità. Se l'abuso è avvenuto con il concorso della sua volontà, il fatto di avere evitato il procedimento penale non costituisce una valida ragione perché egli si arricchisca del frutto di un abuso debitamente accertato" (Sez. 3, 14.5.1999, n. 1879, Ricci, punto 13). La circostanza che l'ordine di demolizione ha carattere reale e ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dalla sua partecipazione all'abuso, poi, manifestamente non si pone in contrasto con i principi costituzionali ed in particolare col principio di responsabilità personale (cfr. Sez. 3, 24.4.2001, n. 35525, Cunsolo).
2. L'esercizio del potere demolitorio a fronte dell'opera abusiva, consacrato in sede penale a seguito del verificarsi del presupposto contestuale della sentenza di condanna, è del resto vincolato anche in sede amministrativa (in ciò rinvenendosi un punto di contatto tra ordine demolitorio giudiziale e amministrativo), come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa, laddove è stato stabilito che "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata), che impongono la rimozione dell'abuso anche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino" (CdS, Ad. Plen., 9/2017 Cons. di St., 5/12/2024 n. 10000).
Nel medesimo senso, lo si ribadisce, quanto alla vincolatività del potere demolitorio, quale che sia l'Autorità a ciò legittimata, si è espressa questa Corte, che ha ribadito più volte che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. Ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/8/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
L'unico profilo in cui sembra venire in rilievo la possibilità che attraverso una valutazione discrezionale, ma non giudiziaria, si escluda, definitivamente, la demolizione dell'opera abusive, appare fornito dalla previsione, già citata, di cui all'art. 31 comma 5 del DPR 380/01 laddove prevede che "L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nei casi in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, il comune, previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all'alienazione del bene e dell'area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione delle opere abusive da parte dell'acquirente……."
Trattasi di ipotesi eccezionale, di stretta interpretazione, che comunque conferma la assoluta vincolatività dell'ordine di demolizione per il giudice penale.
Altri casi sono pur previsti, come prima anticipato, quali circostanze ostative alla demolizione contestuale a condanna, ma sottratti ad ogni valutazione e potere del giudice penale (a conferma della vincolatività del suo ordine demolitorio) e, piuttosto, affidati all’ente pubblico competente - seppur comunque mediante esercizio di discrezionalità tecnica, come tale sottratta ad ogni libera valutazione della Pubblica Amministrazione -, oltre che evidentemente rilevanti nella fase giudiziaria della esecuzione (altrimenti la portata estintiva del reato di queste fattispecie, appresso indicate, escluderebbe in origine la condanna): si tratta del condono e della rilascio di permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/01.
In tal senso si è espressa la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall'autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività (Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 Cc. (dep. 23/01/2013 ) Rv. 254426 – 01), e può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione, non essendo invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile ed in particolare la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente la valutazione prognostica (ex plurimis, Sez. 3, 17 ottobre 2007, n. 42978, Parisi, m. 238145; Sez. 3, 5.3.2009, n. 16686, Marano, m. 243463; Sez. 3, 30 marzo 2000, Ciconte, m. 216.071; Sez. 3, 30 gennaio 2003, Ciavarella, m. 224.347; Sez. 3, 16 aprile 2004, Cena, m. 228.691; Sez. 3, 30 settembre 2004, Cacciatore, m. 230.308). Ancora, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014 Cc. (dep. 18/11/2014 ) Rv. 260972 – 01).
Tali approdi interpretativi non risultano incompatibili con la sentenza della Corte costituzionale (n. 160 del 3/10/2024) che ha a oggetto la confisca e l’esigenza di salvaguardia del creditore ipotecario nei confronti del Comune divenuto titolare dell’area di sedime a seguito dell’omessa demolizione del manufatto abusivo, i cui interessi, tuttavia, secondo la Corte, non possono mettere in discussione il “potere -dovere” degli organi comunali di dare esecuzione d’ufficio all’ordine di demolizione, benché l’abbattimento comporti un evidente pregiudizio al creditore in buona fede.
4. Dunque, in estrema sintesi, l’ordine di demolizione impartito dal giudice a seguito di sentenza di condanna è: doveroso, incide, quale misura amministrativa ripristinatoria, sulla res abusiva e che sia ancora tale, senza che alcun rilievo possa assumere la posizione di terzi non responsabili dell’abuso, ed in fase di esecuzione esso è passibile di revoca solo quando risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività. L'insuperabilità dell'ordine di demolizione quale scelta necessaria del Legislatore, a fronte di taluni tipi di abuso edilizio, trova ulteriore recente conferma nella attuale disciplina di cui all'art. 31 comma 3 del DPR 380/01 come novellato dal D.L. 69/2024, convertito con legge 105/2024, che ha solo introdotto, a certe condizioni, un possibile, più ampio intervallo di tempo entro cui deve procedersi alla demolizione ordinata dal Comune. Infatti, ai sensi del predetto articolo, se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. Il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con atto motivato del comune fino a un massimo di duecentoquaranta giorni nei casi di serie e comprovate esigenze di salute dei soggetti residenti nell'immobile all'epoca di adozione dell'ingiunzione o di assoluto bisogno o di gravi situazioni di disagio socio-economico, che rendano inesigibile il rispetto di tale termine.
5. Ed invero anche gli indirizzi di legittimità, al riguardo, nel prospettare la sua valutazione in rapporto al diritto all’abitazione, da una parte non ne prospettano una revoca definitiva (incompatibile con il quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato) bensì al più una sospensione, e dall’altra non definiscono diritti, tantomeno alla abitazione, di assoluta prevalenza rispetto alla demolizione.
In proposito (cfr. Sez. 3, n. 48021 dell'11/09/2019, Rv. 277994 – 01) questa Corte ha precisato che il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all'art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio. Va precisato al riguardo che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 Conv. EDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368 - 01; Sez. 3, n. 18949 del 10/0372016, Contadini, 267024; Sez. 3, n. 3704 del 09/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez 3, n. 1668 del 29/09/2022, n.m.).
Si è in proposito anche osservato che in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della Convenzione EDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 – 01).
6. Le linea guida individuate dalla giurisprudenza di legittimità e da quella convenzionale che debbono orientare il test di proporzionalità devoluto al giudice al fine di valutare se il provvedimento di demolizione, alla luce delle peculiarità del singolo caso, che è onere di chi intende avvelarsene allegare in modo puntuale, sia eseguito in maniera adeguata ( posto che lo si ripete, sono per così dire tassativi i casi di definitiva revoca), possono essere sintetizzate nei termini di seguito indicati:
- è necessario che l’esecuzione dell’ordine di demolizione incida sul diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona tutelato dall’art. 8 della CEDU, per cui l’esigenza di procedere al bilanciamento dei contrapposti interessi sussiste solo nel caso di demolizione di un manufatto adibito ad abituale residenza mentre non si pone nel caso venga opposto il diritto alla tutela della proprietà ( Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021), Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 47693 del 4/10/2023, Russo);
- assumono rilevo la consapevolezza da parte dell’interessato dell’illiceità dell’intervento edilizio che ha originato l’ordine di demolizione, la gravità dell’illecito, da valutarsi anche in considerazione delle disposizioni normative violate, e la tipologia dell’abuso, se di dimensioni tali da farlo ritenere di necessità (Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021) Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria; Sez. 3, n. 7412 del 10/11/2020 (dep. 2021), Vitale; Sez. 3, 47693 del 4/10/2023, Russo);
- è necessario che sia trascorso un arco temporale ragionevole fra l’accertamento del reato e l’attivazione del procedura esecutiva, così da consentire al destinatario dell’ordine di demolizione di “legalizzare” l’immobile, se possibile, o di esperire i mezzi di tutela dei propri interessi offerti dall’ordinamento e di reperire nuove soluzioni abitative ( Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021) Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 869 del 14/12/2023 n. 869, Cutolo, Rv. 285733; Sez. 4, n. 2770 del 5/10/2023 (dep. 2024), Chisari; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv 282950);
- assumono rilievo le condizioni personali dell’interessato, quali l’età avanzata, le condizioni di salute e il basso reddito con la precisazione però che tali condizioni, di per sé sole, non posso assumere importanza decisiva dovendo essere valutate congiuntamente con la consapevolezza dell’illiceità dell’intervento edilizio e con l’arco temporale decorso dall’accertamento dell’abuso al fine di verificare se l’interessato abbia avuto la posizione di legalizzare il manufatto e di reperire un alloggio alternativo (Sez. 3, n. 7127 del 19/1/2022, Palamaro; Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono; Sez. 3, n. 48934 del 15/12/2022, Mastrodonato; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv. 282950 );
- assume rilevo che vi sia stata per l’interessato la possibilità di poter far valere le sue ragioni davanti a un organo indipendente (Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv. 282950);
- è necessario che non sussistano ragioni particolari che impongano di differire temporaneamente la demolizione per limitarne l’impatto nella sfera del privato (Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv 282950).
- è necessario che i fatti allegati dall’autore dell’abuso per contrastare l’esecuzione dell’ordine di demolizione non siano dipendenti dalla sua inerzia o, comunque, dalla sua volontà, non potendo il condannato lucrare sulle conseguenze derivate dal suo inadempimento a un dovere imposto da una sentenza divenuta irrevocabile (Sez. 3, n. 21198 del 15/2/2023, Esposito; Sez. 3, n. 48820 del 2/11/2023, F.; Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono).
7. Il principio di proporzionalità, dunque, presuppone la cogenza dell'ordine di demolizione dell'opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un "ordine urbanistico" tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare 'ex post', nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto. Esso si frappone all'esecuzione dell'ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell'ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell'ordine, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell'allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare (per vero comunque temporaneamente dovendosi escludere una revoca definitiva per quanto sinora osservato) il ripristino di un ordine violato. In altri termini (cfr. Sez. 3, n. 48021 dell'11/09/2019, Rv. 277994 – 01 cit.) il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell'ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio.
8. Sulla base delle considerazioni che precedono, si deve rilevare che, da una parte, il provvedimento di revoca adottato si pone al di fuori del sistema normativo in cui si inserisce l'ordine di demolizione; dall'altra, che sono del tutto assenti tutti i profili di valutazione - sopra sintetizzati - che devono connotare l'esame di richieste relative al tema della esecuzione dell'ordine predetto, con esclusione di ogni possibilità di assicurare aprioristica prevalenza a lamentate esigenze abitative, in quanto tali.
9. Non da ultimo, il caso di specie rende opportuno sottolineare come, a ben vedere, in caso di emersione, a fronte dell'esecuzione di un ordine di demolizione, di esigenze abitative, tanto più se legate al bene della salute, è solo apparente il contrasto tra l'interesse collettivo al ripristino della legalità urbanistica violata e quello alla abitazione e alla salute. Evitandosi ogni considerazione che non sia strettamente giuridica, deve tenersi presente che la disciplina della pianificazione urbanistica, dell'edilizia e delle regole in tema di normativa antisismica, risponde non semplicemente ad una mera esigenza di prevalenza statale nella gestione del territorio, bensì ad un interesse pubblico all'organizzazione del territorio intesa non in sé bensì quale strumento per assicurare la migliore crescita e sviluppo dei consociati, in termini sia economici, sub specie del migliore sviluppo delle infrastrutture e delle aree destinate ad attività produttive, sia sociali, nel senso della migliore creazione e promozione di centri funzionali di aggregazione, studio, crescita, cura, e formazione della persona quale singolo e membro di compagini collettive. In tale quadro, la tutela di autonomi diritti personali, quale quello della abitazione o della salute non può ricercarsi in contrapposizione e in violazione di quegli strumenti normativi (id est la disciplina dell'urbanistica, dell'edilizia e più in generale dell'ambiente) che rispetto ai primi sono, piuttosto, serventi, nel senso della loro strumentale necessità per lo sviluppo migliore degli altri, ma va piuttosto rinvenuta in distinti e separati ambiti, a partire dalle funzioni di tutela sociale diretta della persona, affidata ai vari livelli della organizzazione della Pubblica amministrazione, che non possono esser trascurate se non dimenticate, dietro la creazione di un artificioso contrasto tra beni di per sé non in contrapposizione. Cosicchè, in ultima analisi, la tutela di esigenze abitative e di salute non si rimette alla autorità giurisdizionale mediante una illegale eliminazione di un ordine di demolizione in assenza dei casi, pochi, in cui ciò è possibile, ma si affida al complessivo sistema statale di tutela delle persone, ancor più se disagiate, in uno con gli oneri che eventualmente, se espletati correttamente dagli interessati, possano condurre anche essi a soluzioni definitive e necessariamente comunque legali.
9. La Corte ritiene pertanto che l’ordinanza vada annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Napoli
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Napoli.
Così deciso, il 16/04/2024.