Sez. 3, Sentenza n. 37879 del 24/09/2004 (Ud. 22/06/2004 n.01383 ) Rv. 229474
Presidente: Papadia U. Estensore: De Maio G. Imputato: Frassy. P.M. D'Angelo G. (Conf.)
(Rigetta, App.Torino, 4 luglio 2003).
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Smaltimento di rifiuti - Deposito controllato - Configurabile solo in caso di deposito temporaneo - Difetto di uno dei requisiti previsti dall'art. 6 lett. m) D.Lgs. 22 del 1997 - Configurabilità del reato di cui all'art. 51.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
In materia di deposito di rifiuti, perché un deposito possa dirsi controllato deve essere anche temporaneo, ossia deve rispettare tutte le condizioni imposte dall'art. 6, lett. m.) del
D.Lgs. n. 22 del 1997, che esige il raggruppamento dei rifiuti, prima della raccolta, nel luogo della loro produzione ed il rigoroso controllo dei tempi di giacenza, in ragione della natura e dei quantitativi; in difetto di uno di tali requisiti, il deposito è incontrollato ed il fatto integra il reato di cui all'art. 51 comma secondo del citato decreto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 22/06/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - N. 01383
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 042548/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) FRASSY ANGELO N. IL 15/11/1942;
avverso SENTENZA del 04/07/2003 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. DE MAIO GUIDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. G. D'Angelo, che ha concluso per: rigetto del ricorso;
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 4.7.2003 la Corte d'Appello di Torino, "riqualificato il fatto come violazione del co. 2^ dell'art. 51 D.L.vo 22/97", ha confermato la sentenza 2.3.2001 del Tribunale di Aosta, con la quale Frassy Angelo era stato condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi due e gg. 20 di arresto (sostituita con l'ammenda di lire 600.000) e lire 2.4000.000 di ammenda, perché riconosciuto colpevole del reato originariamente contestato ex art. 51 co. 1^ letto) D.L.vo cit. ("perché, quale legale rappresentante della ITEM srl... effettuava attività di gestione di rifiuti pericolosi senza essere in possesso della prescritta autorizzazione regionale: nella specie, stoccava oli minerali esausti e inchiostri con solventi in assenza dell'autorizzazione di legge", acc. in Donnas il 14.6.2000). La sentenza di appello è stata impugnata con ricorso per Cassazione dal difensore dell'imputato, il quale con motivo unico censura, sotto il profilo dell'erronea applicazione della legge penale, il principio, posto a fondamento della sentenza di condanna, secondo cui un deposito di rifiuti andrebbe ritenuto incontrollato, e si configuri pertanto il reato di cui all'art. 51 co. 2^, per il solo fatto che sia "protratto oltre il termine annuale stabilito dall'art. 6 lett. m) n. 2 D.L.vo 22/97... sebbene risultino rispettate tutte le altre condizioni dettate per il deposito temporaneo dalla norma stessa"; i giudici di merito hanno affermato che "nessun dato normativo e tanto meno la ratio della norma autorizzano una interpretazione dell'aggettivo incontrollato... limitato alle sole connotazioni modali del deposito", ma tale impostazione, secondo il ricorrente, "non appare corretta in relazione alla specificità del caso in esame" e, inoltre, "l'aggettivo incontrollato qualifica il modo in cui deve essere effettuato il deposito e, nella comune accezione, il termine indica ciò che è privo di sorveglianza, che non è dominato. A conferma di tale interpretazione dell'art. 51 co. 2^, il ricorrente adduce "la previsione dell'autonoma figura di reato contemplata dall'art. 51 co. 6^, che sanziona l'effettuazione del deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle prescrizioni di cui all'art. 45" (norma che, tra l'altro, fissa nel co. 1^ i limiti di durata massima del deposito temporaneo). Il raffronto del trattamento sanzionatorio delle due fattispecie indurrebbe all'inaccettabile conclusione che, ove fosse esatta l'interpretazione dei giudici di merito, l'ipotesi in esame avrebbe un trattamento sanzionatorio molto più severo di quello stabilito nel caso in cui la condotta stessa abbia ad oggetto rifiuti sanitari pericolosi".
Il ricorso è infondato. Infatti, la soluzione adottata dal Tribunale è pienamente allineata con l'interpretazione che dottrina e giurisprudenza hanno fornito sul punto specifico. In particolare, questa Corte regolatrice ha già precisato che il sistema impone che ogni deposito controllato non può che essere anche temporaneo, e viceversa; che, di conseguenza, un deposito, perché possa ritenersi controllato ovvero temporaneo, deve essere rispettoso di tutte le condizioni normativamente imposte dall'art. 6 lett. m) D.L.vo 22/97, norma che, segnatamente e tra l'altro, esige il raggruppamento, prima della raccolta, nel luogo della produzione dei rifiuti e il rigoroso controllo dei tempi di giacenza, in ragione della natura e dei quantitativi; che, difettando anche solo tale ultimo requisito, rigidamente imposto dalle disposizioni inequivoche di cui ai nn. 2 e 3 del cit. art. 6 lett. m), non può, con tutta evidenza, parlarsi di deposito controllato o temporaneo, con la conseguenza che il fatto è riconducibile al reato di cui all'art. 51 co. 2^ di abbandono o deposito incontrollato commesso da titolare di impresa (cfr., di recente, Cass. sez. 3^, 11.4.2002 n. 869, Brustia, rv. 221883;
5.3.2002, Pasotti; 10.8.2001 n. 31128, rv. 220104). Nè, in senso contrario, ha rilievo il richiamo fatto dal ricorrente al trattamento sanzionatorio stabilito dall'art. 51 co. 6^ per i rifiuti sanitari, perché, da un lato, il detto diverso trattamento sanzionatorio, come osservato da autorevole dottrina, più che un effetto "voluto (e meditato)" è "solo frutto di uno scoordinamento delle due norme incriminatrici; dall'altro, è evidente che una nozione di deposito temporaneo o controllato, che ponga in secondo piano i limiti temporali stabiliti (come si è visto, con carattere di preminenza e rigidamente) dalla norma contrasterebbe con la definizione stessa dell'istituto stesso, oltre che con una interpretazione teleologia e sistematica della normativa. Dovendo, pertanto, ritenersi infondata l'unica censura mossa, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2004