Consiglio di Stato Sez. VI n. 3575 del 28 aprile 2025
Beni culturali.Prescrizioni di tutela indiretta
Negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i 'diritti' (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli 'interessi' di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere "sistemica" e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca. Pertanto, nell’adozione del provvedimento ex art. 45 cit., l’amministrazione preposta alla cura dell’interesse culturale può essere chiamata a prendere in considerazione anche interessi diversi ed ulteriori rispetto a quello culturale (interessi che, secondo la dottrina tradizionale della discrezionalità amministrativa, si sarebbero definiti “secondari”). Tanto emerge dalla lettura della norma attributiva del potere che definisce con formule aperte gli obiettivi da perseguire (ad es. “l’integrità” del bene culturale, da intendersi sia in senso materiale che immateriale, le condizioni di “ambiente e decoro”) e lascia all’amministrazione la “facoltà” di individuare le prescrizioni (“le distanze, le misure e le altre norme”) dirette al raggiungimento di tali obiettivi.
N. 03575/2025REG.PROV.COLL.
N. 00500/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 500 del 2024, proposto da
Associazione Italia Nostra Aps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Rosa Pellerano, Mario Alberto Quaglia e Lorenzo Barabino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Cocchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Genova, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00698/2023, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e dell’Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2025 il Cons. Stefano Lorenzo Vitale e uditi per le parti gli avvocati Mario Alberto Quaglia, Lorenzo Barabino e Luigi Cocchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il presente giudizio ha ad oggetto il Decreto del Presidente della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale della Liguria n. 15 del 1° marzo 2022, con il quale le aree e i fabbricati pertinenziali dell'edificio storico dell'Ospedale Galliera - immobile già dichiarato di interesse culturale ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D.lgs. n. 42/2004, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio - sono stati sottoposti alle norme di tutela cosiddetta indiretta previste dall'art. 45 del medesimo Codice.
2. Detto provvedimento è stato adottato dopo che un precedente analogo provvedimento (D.P.C.R. del 20 luglio 2017) era stato annullato in sede giurisdizionale (con sentenza di questa Sezione del 17 giungo 2021, n. 4685) per difetto di istruttoria.
3. Con il ricorso di primo grado, l’Associazione Italia Nostra Onlus (di seguito “Italia Nostra”), odierna appellante, ha impugnato il menzionato provvedimento del 1° marzo 2022, ed i relativi atti presupposti, articolando cinque motivi con cui ha dedotto, rispettivamente, i seguenti vizi:
- violazione di legge ed eccesso di potere per sviamento;
- irragionevolezza ed illogicità delle prime due misure di tutela indiretta del bene monumentale, asseritamente poste a salvaguardia delle visuali presenti nel paesaggio urbano e dei caratteri stilistici-architettonici del complesso monumentale;
- irragionevolezza ed illogicità delle misure di tutela indiretta del bene monumentale con riferimento alle superfici verdi funzionali ad assicurare condizioni ambientali ottimali e preservare il decoro dell’area;
- difetto di istruttoria e motivazione in sede procedimentale;
- violazione ed elusione del giudicato derivante dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4685 del 2021.
4. Ad esito del relativo giudizio, l’adito T.A.R., con la sentenza ora appellata, ha respinto integralmente il ricorso.
In particolare, il T.A.R., quanto al primo motivo, ha ritenuto che “[p]er pacifico orientamento giurisprudenziale, infatti, la censura di sviamento di potere deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti allegazioni che non raggiungano neppure il livello di supposizione o indizio”. Ha osservato che, nel caso in esame, la dedotta censura è stata sviluppata sulla base di argomenti aventi valenza congetturale e ipotetica, non idonei a dimostrare che le prescrizioni imposte dalla Soprintendenza fossero finalizzate anche alla tutela di interessi diversi da quello attribuito alle cure dello stesso organo.
Con riguardo al secondo motivo, il primo giudice ha affermato che nessun elemento allegato dalla ricorrente ha dimostrato che le prescrizioni di tutela indiretta imposte nel caso di specie siano inficiate da profili di travisamento fattuale o manifesta illogicità, evidenziando che “la discrezionalità tecnica esercitata dalla Soprintendenza è una manifestazione di giudizio che applica concetti non esatti, ma opinabili” e considerando le valutazioni della ricorrente “squisitamente soggettive”.
Con riguardo al terzo motivo, il T.A.R. ha ritenuto che “le prescrizioni di tutela indiretta non equivalgono ad un vincolo paesaggistico, riguardando beni meritevoli di tutela, non per le qualità intrinseche, ma in quanto garantiscono la prospettiva o la luce o le condizioni di decoro di un bene culturale immobile di cui costituiscono una sorta di ‘cornice ambientale’. In tale prospettiva, non può ritenersi irragionevole o sproporzionata la prescrizione che, vietando la diminuzione della superficie verde complessiva, appare in grado di assicurare adeguate condizioni di ambiente e decoro”.
A confutazione del quarto motivo, il Giudice di prime cure ha richiamato la relazione della Soprintendenza che “ricostruisce le fasi di urbanizzazione del quartiere in cui sorge il bene culturale immobile nonché le fasi di sviluppo e trasformazione del complesso ospedaliero, con il corredo di ampia documentazione fotografica relativa alle visuali dall’intorno”, escludendo, pertanto, la sussistenza dei dedotti vizi di carenza di motivazione ed istruttoria.
Infine, quanto al quinto motivo, il primo giudice ha evidenziato che “il potere riesercitato in sede amministrativa si è pienamente conformato alle indicazioni provenienti dal giudice d’appello, sopperendo alle carenze della precedente istruttoria. È irrilevante, del resto, che l’esito della riedizione del potere sia rappresentato da prescrizioni di tutela indiretta simili a quelle già annullate, poiché il tipo di vizio riscontrato non riguardava in alcun modo i contenuti del vincolo indiretto”.
5. Con ricorso notificato il 12 gennaio 2024 e depositato il successivo 22 gennaio 2024, Italia Nostra ha proposto appello avverso la suddetta sentenza, affidato a cinque motivi, chiedendone l’annullamento e/o l’integrale riforma.
6. Il Ministero della Cultura e l’Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova si sono costituiti con atto di stile e, in vista dell’udienza di discussione, hanno depositato memorie con cui hanno dedotto l’infondatezza del gravame, insistendo per il rigetto dello stesso.
7. La causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza pubblica del 27 marzo 2025.
DIRITTO
1. L’appello è parzialmente fondato.
2. Con il primo motivo (Manifesto travisamento degli atti e dei fatti di causa. Difetto di motivazione. Violazione degli artt. 1, 3 e 88 c.p.a. Violazione degli artt. 1, 45, 46 e 47 del D.lgs. n. 42 del 2004. Violazione dell’art. 41 del D.P.C.M. 2 dicembre 2019, n. 169. Eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria e contraddittorietà), l’appellante lamenta che, come emergerebbe da alcuni atti endoprocedimentali, la Soprintendenza ha perseguito finalità pubbliche differenti da quelle di sua competenza “effettuando una conclamata valutazione discrezionale avente ad oggetto il bilanciamento fra l’interesse affidato alla sua tutela (beni culturali) e altri interessi (sanitari, urbanistici ed edilizi), rispetto ai quali non ha alcuna competenza funzionale (e neppure tecnica)”.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Ai sensi dell’art. 45 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, “il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.
Le "prescrizioni di tutela indiretta" - previste dall'art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel quale è rifluita la fattispecie disciplinata dapprima all'art. 21 della legge n. 1089 del 1939 e poi all'art. 49 del decreto legislativo n. 490 del 1999 - hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell'immobile principale (gravato da vincolo "diretto").
L’aspetto caratterizzante l’istituto - definito anche vincolo di completamento - è il carattere di strumentalità o accessorietà delle relative prescrizioni rispetto alla tutela del bene culturale oggetto di protezione diretta; i beni oggetto di tutela indiretta vengono quindi asserviti ai beni culturali al fine di garantire a questi ultimi una “fascia di rispetto”, funzionale alla massima espressione del loro valore culturale.
Il legislatore individua le finalità che il vincolo indiretto deve perseguire (“evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”), mentre lascia non completamente tipizzate le varie prescrizioni (oltre alle “distanze” e alle “luci”, l’autorità può individuare “le altre norme”) che l’amministrazione può di volta in volta apporre al fine del perseguimento di detti obiettivi.
2.3. Limitandoci nella presente sede ad esaminare il momento dell’individuazione delle prescrizioni di utilizzo dei beni sottoposti al vincolo indiretto, il Collegio osserva che il potere amministrativo di cui all’art. 45 cit. presenta profili di discrezionalità mista.
Va innanzitutto ricordato che, a mente dell’art. 1, comma 2, del Codice “la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”.
Pertanto, nell’esercitare la facoltà, riconosciutagli dalla legge, di dettare prescrizioni di utilizzo dei beni sottoposti a vincolo indiretto, il Ministero deve contemperare, da un lato, le esigenze di cura e integrità e, dall’altro, la fruizione e la valorizzazione dinamica del bene culturale (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3669).
2.4. Altresì, non può escludersi che l’amministrazione tenga legittimamente in considerazione anche interessi ulteriori rispetto a quello culturale.
Come già evidenziato dalla Sezione (Cons. St., sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167), negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i 'diritti' (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli 'interessi' di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere "sistemica" e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca.
Pertanto, nell’adozione del provvedimento ex art. 45 cit., l’amministrazione preposta alla cura dell’interesse culturale può essere chiamata a prendere in considerazione anche interessi diversi ed ulteriori rispetto a quello culturale (interessi che, secondo la dottrina tradizionale della discrezionalità amministrativa, si sarebbero definiti “secondari”). Tanto emerge dalla lettura della norma attributiva del potere che definisce con formule aperte gli obiettivi da perseguire (ad es. “l’integrità” del bene culturale, da intendersi sia in senso materiale che immateriale, le condizioni di “ambiente e decoro”) e lascia all’amministrazione la “facoltà” di individuare le prescrizioni (“le distanze, le misure e le altre norme”) dirette al raggiungimento di tali obiettivi.
Del resto, la giurisprudenza ha già evidenziato (Cons. St., n. 8167/2022 cit.) come lo scrutinio del provvedimento di vincolo indiretto debba condursi anche al lume del principio di proporzionalità, non solo con riguardo alle componenti della idoneità (id est raggiungimento dell'obiettivo prefissato) e della necessarietà (ravvisabile quando non sia disponibile nessun altro mezzo egualmente efficace, ma meno incidente nella sfera giuridica del destinatario), ma anche con riguardo al profilo della 'proporzionalità in senso stretto', che implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell'interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile.
Pertanto, l’individuazione delle prescrizioni di tutela ex art. 45 cit. implica, nei sensi esposti, anche profili di discrezionalità amministrativa oltre che tecnica, così come da tempo messo in evidenza da parte della dottrina.
2.5. Pertanto, la circostanza che, nel caso di specie, la Soprintendenza in alcuni atti endoprocedimentali abbia fatto riferimento all’esistenza di un progetto volto alla realizzazione di un nuovo nosocomio sulle aree oggetto del procedimento ex art. 45 cit., non comporta di per sé l’illegittimità del provvedimento vincolistico per sviamento di potere, così come sostenuto dall’appellante.
2.6. Il primo mezzo, pertanto, è infondato e si deve confermare sul punto, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.
3. Può quindi passarsi all’esame del secondo e del quarto motivo che, stante la loro connessione, si prestano ad una trattazione unitaria.
3.1. Con il secondo mezzo (Motivazione erronea ed irragionevole. Erronea valutazione e travisamento degli atti di causa. Violazione degli artt. 1, 45, 46 e 47 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Violazione degli artt. 1 e 3 ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione ed illogicità), l’appellante deduce l’insufficienza e illogicità delle misure di tutela indiretta apposte sull’area ospedaliera.
In particolare, l’appellante lamenta che:
- le prescrizioni consentono la realizzazione di interventi dannosi nella cornice ambientale e paesaggistica del bene monumentale sulla base di un disordinato sviluppo urbanistico dell’area senza considerare che ciò non costituisce una ragione di per sé sufficiente per limitare la tutela del bene culturale oggetto del vincolo diretto;
- l’istruttoria svolta dalla Soprintendenza, e in particolare la documentazione fotografica, è inidonea e, al contrario di quanto affermato dalla Soprintendenza, esistono svariati punti di vista pubblici da cui si possa avere la visione sia ampia sia parziale dell’edificio oggetto di tutela diretta;
- l’unidirezionalità, dall’esterno verso l’interno, degli scatti fotografici posti alla base dell’istruttoria, non consente l’esame dei cosiddetti coni di visuale invertiti, ovvero dei punti di vista dall’interno dell’ospedale monumentale verso l’esterno;
- le visuali, ma soprattutto la luce e le prospettive dell’ospedale monumentale, sono sicuramente pregiudicate dall’inserimento di edifici della stessa altezza a una distanza tra le facciate di soli 10 metri;
- è illogica la previsione di circoscrivere le condizioni di decoro tipologiche e stilistiche solamente “ad eventuali interventi edilizi che comportino variazioni rispetto alla destinazione d’uso storica (sanitaria)”.
3.2. Con il quarto motivo (Motivazione erronea ed irragionevole. Erronea valutazione e travisamento degli atti di causa. Violazione degli artt. 1, 45, 46 e 47 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Violazione degli artt. 1 e 3 ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione ed illogicità. Sotto diverso profilo), l’appellante ribadisce la carenza di istruttoria, in quanto la stessa è fondata sulla antropizzazione dell’area e tale dato non può essere utilizzato per ridurre la tutela del valore culturale della medesima. Altresì, l’appellante reitera le deduzioni circa le carenze della documentazione fotografica su cui si fonda l’istruttoria svolta dall’amministrazione.
3.3. Le censure sono parzialmente fondate nei sensi che di seguito si espongono.
3.4. Il provvedimento impugnato ha dettato una serie di prescrizioni interessanti l’area circostante l’ospedale monumentale oggetto di vincolo diretto.
In particolare, le prescrizioni su cui si appuntano le censure dell’appellante che qui si esaminano sono quelle con cui si è disposto che, “al fine di non compromettere la visione prospettica del bene culturale”, le nuove strutture da realizzare sull’area in esame dovranno “distare almeno 10 m dalle strutture emergenti del bene di interesse culturale e dovranno comunque consentire di mantenere la percezione delle visuali pubbliche preferenziali verso l’edificio storico” e non dovranno superare l’altezza delle strutture di cui si compone l’ospedale monumentale. Altresì, il provvedimento ha disposto che, “a tutela delle condizioni di decoro complessive, eventuali interventi edilizi che comportino variazioni rispetto alla destinazione d’uso storica (sanitaria) dovranno tenere conto delle caratteristiche tipologiche e stilistiche storicizzate dall’attuale contesto”.
La relazione istruttoria, corredata da documentazione fotografica, posta a fondamento del provvedimento impugnato, si incentra principalmente sull’evoluzione storica dell’ospedale e del contesto circostante, cui è dedicata un’ampia esposizione, e si conclude con gli “obiettivi di vincolo” riguardanti l’area. Detta relazione evidenzia che la zona limitrofa all’ospedale è stata progressivamente edificata con nuovi volumi che “vanno ad addossarsi al corpo di fabbrica esistente” e interferiscono con la “leggibilità” dell’edificio. La relazione pone in luce che, invece, si è meglio conservato il contesto antistante il prospetto principale dell’ospedale, adibito a giardino, e che risulta già compreso all’interno del vincolo diretto.
Gli “obiettivi di vincolo” individuati nelle conclusioni della relazione consistono nel “preservare la leggibilità dell’edifico storico tutelato”, “preservare la percezione dello stesso”, “preservare il decoro dell’intorno” e “impedire la perdita di ulteriori spazi verdi”.
Con riferimento a tali obiettivi, nella relazione istruttoria si legge che “le norme appaiono proporzionate al contesto analizzato, tenuto conto che non vi sono punti di vista pubblici nell’intorno da cui si abbia una visione ampia e d’insieme dell’edificio (fatta eccezione per il fronte principale), e che pertanto andranno tutelate le visuali ravvicinate, e tenuto conto inoltre che l’edificio è stato progettato all’interno di un quartiere in realizzazione, per il quale era prevista una densa urbanizzazione. Le prescrizioni relative alle altezze e distanze sono efficaci in modo particolare per preservare le due testate di nord e sud dell’edificio e il retro, e rafforzare le tutele sulle visuali del fronte principale, già tutelato con il vincolo diretto che comprendendo il giardino storico ha già una sua fascia di rispetto che consente la visione d’insieme dell’edificio”.
3.5. Tanto premesso in ordine al contenuto degli atti impugnati, il Collegio ritiene che le prescrizioni relative alla distanza minima dei nuovi edifici dall’ospedale monumentale (10 metri) e all’altezza massima di tali nuove costruzioni, risultano immuni da vizi di manifesta illogicità e irragionevolezza che caratterizzano il sindacato giurisdizionale in materia.
Le valutazioni svolte dall’amministrazione appaiono, difatti, adeguatamente motivate e supportate da un’adeguata istruttoria.
La relazione e la documentazione fotografica prodotta dall’amministrazione evidenziano come il contesto circostante l’ospedale monumentale sia fortemente urbanizzato, anche con la realizzazione di edifici (in particolare, padiglioni C e D) che sovrastano l’edificio storico e hanno caratteristiche architettoniche del tutto differenti.
Le deduzioni dell’appellante e la documentazione, anche fotografica, dal medesimo depositata (v. in particolare la relazione fotografica, allegato e.6.3 depositato in primo grado) non smentiscono l’analisi del contesto urbanistico condotta dall’amministrazione. L’appellante evidenzia, difatti, che vi sono plurimi punti di vista da cui si osservano taluni scorci dell’ospedale monumentale. Tuttavia, rimane confermato quanto si afferma nella relazione per cui “non vi sono punti di vista pubblici nell’intorno da cui si abbia una visione ampia e d’insieme dell’edificio (fatta eccezione per il fronte principale)”.
La scelta della Soprintendenza di prevedere che, sull’area soggetta a vincolo indiretto (che non comprende il giardino antistante la facciata principale dell’edificio storico, che rimane sottoposta al vincolo diretto), i nuovi edifici debbano realizzarsi a distanza non inferiore a 10 metri dall’edifico storico e con altezza non superiore a quella di quest’ultimo non risulta irragionevole, anche in relazione al contesto di riferimento altamente urbanizzato.
Non coglie nel segno la deduzione dell’appellante secondo cui la Soprintendenza non avrebbe preso in considerazione la compromissione della “prospettiva” e delle “luci” dell’edifico storico, che verrebbe causata dalla costruzione di nuovi edifici a distanza di 10 metri. Per le ragioni già sopra esposte, in ordine al contesto in cui si andranno ad inserire eventuali nuovi edifici, la censura non è fondata.
Inoltre, deve al riguardo tenersi presente che il provvedimento impugnato prevede, altresì, che i progetti di intervento edilizio sull’area oggetto di vincolo dovranno essere sottoposti all’esame della competente Soprintendenza per il rilascio del relativo nulla osta e, in tale sede, dovrà valutarsi la complessiva compatibilità dei detti progetti con le prescrizioni di cui al provvedimento. Queste ultime, oltre a prevedere, come detto, la distanza minima di 10 metri, dispongono altresì che i nuovi interventi “dovranno comunque consentire di mantenere la percezione delle visuali pubbliche preferenziali verso l’edificio storico” e che le relative altezze massime “garantiscono il mantenimento dell’attuale percezione del monumento e sono orientate a preservare le attuali e future condizioni di ambiente e di decoro, non consentendo la realizzazione di nuovi blocchi edilizi alti quanto quelli dei limitrofi isolati di via Silvio Pellico e via Mura di Santa Chiara, o dei padiglioni C e D realizzati all’interno dell’area ospedaliera negli anni Settanta del XX secolo”.
3.6. Il Collegio deve giungere a diverse conclusioni con riferimento alla prescrizione, contenuta nel provvedimento, secondo la quale “[a] tutela delle condizioni di decoro complessive, eventuali interventi edilizi che comportino variazioni rispetto alla destinazione d’uso storica (sanitaria) dovranno tenere conto delle caratteristiche tipologiche e stilistiche storicizzate dall’attuale contesto”.
Sul punto, l’appellante deduce che detta previsione “consentirebbe la realizzazione di nuovi edifici totalmente avulsi dal contesto stilistico e tipologico dell’area se destinati a funzione sanitaria, nonostante l’esigenza di preservare la cornice ambientale del bene principale”.
Invero, gli obiettivi di tutela individuati nella relazione sono diretti alla preservazione della “leggibilità” e della “percezione” dell’edificio storico e del “decoro dell’intorno” e nessun discrimine è effettuato tra nuovi edifici aventi vocazione ospedaliera e nuove realizzazioni aventi diversa destinazione. Tale distinzione viene inserita solo nel provvedimento impugnato ed a fondamento della medesima non risulta presente alcuna motivazione.
La Soprintendenza non giustifica il perché ritiene che nuovi edifici possano non rispettare il “contesto stilistico e tipologico” ove destinati alla funzione sanitaria. Una motivazione sul punto risulta vieppiù necessaria una volta che la Soprintendenza abbia ritenuto che i nuovi fabbricati possano essere realizzati ad una distanza minima di 10 metri dall’edificio storico, essendo quindi destinati ad inserirsi in un contesto unitario con i plessi dell’ospedale monumentale e ad essere assieme a quest’ultimo complessivamente visibili dai punti di osservazione “esterni”. Altresì, i nuovi eventuali fabbricati saranno destinati ad essere visibili dall’interno dell’edificio storico e, a tale riguardo, è corretta la deduzione dell’appellante circa la mancata considerazione delle visuali prospettiche dall’interno dell’edificio oggetto di tutela diretta.
Il provvedimento non chiarisce per quali ragioni il rispetto delle “caratteristiche tipologiche e stilistiche storicizzate dall’attuale contesto” debba valere solo per i nuovi edifici che non abbiano una vocazione sanitaria.
La sola circostanza per cui il bene oggetto del vincolo diretto abbia la vocazione storica di ospedale non giustifica di per sé tale scelta, anche considerato che la stessa relazione della Soprintendenza evidenzia come nel tempo il contesto circostante sia stato oggetto di una disordinata e non armonica urbanizzazione anche a causa della realizzazione di nuovi padiglioni dell’ospedale che non rispettano le caratteristiche architettoniche dell’edificio originario.
Laddove la Soprintendenza avesse voluto favorire la costruzione di nuove strutture sanitarie e tenere conto dei progetti al riguardo avanzati, così come prospettato dall’appellante, avrebbe dovuto dare conto di ciò nella propria motivazione, ponendo a fondamento della stessa un’accurata istruttoria idonea ad acquisire e ponderare tra loro tutti gli interessi rilevanti, se del caso attraverso il ricorso al modulo procedimentale della conferenza di servizi.
L’eventuale valutazione di parziale recessività dell’interesse culturale rispetto all’esigenza di realizzare, in prossimità dell’edifico storico, nuove strutture edilizie a vocazione sanitaria avrebbe dovuto essere supportata da un’adeguata e rigorosa motivazione, condotta al lume del principio di proporzionalità, idonea a dare conto, inter alia, delle esigenze di localizzazione delle nuove strutture e delle eventuali ragioni che consentono per le stesse di prescindere dal rispetto delle caratteristiche tipologiche e stilistiche storicizzate del contesto in cui si vanno ad inserire.
3.7. Alla luce di quanto esposto, il secondo e il quarto motivo risultano fondati limitatamente alla censura con cui si lamenta l’illegittimità del provvedimento, per difetto di istruttoria e di motivazione, con riguardo alla clausola che prevede che “[a] tutela delle condizioni di decoro complessive, eventuali interventi edilizi che comportino variazioni rispetto alla destinazione d’uso storica (sanitaria) dovranno tenere conto delle caratteristiche tipologiche e stilistiche storicizzate dall’attuale contesto”.
4. Con il terzo mezzo (Motivazione erronea ed irragionevole. Erronea valutazione e travisamento degli atti di causa. Violazione degli artt. 1, 45, 46 e 47 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Violazione degli artt. 1 e 3 ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione ed illogicità. Sotto diverso profilo), l’appellante censura l’ulteriore previsione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale “[e]ventuali interventi all’interno dell’area ospedaliera non dovranno comportare la perdita di superfici verdi, e dovranno tendere al loro ripristino o riproposizione progettuale. Pertanto qualunque intervento edilizio che comporti il consumo di aree verdi dovrà mettere in atto meccanismi compensativi, affinché il bilancio relativo alla presenza di aree verdi sia in positivo”.
Ad avviso dell’appellante, “l’applicazione meramente quantitativa di meccanismi compensativi risulta inadeguata rispetto allo scopo del vincolo di salvaguardare l’integrità e il decoro del bene culturale, non tanto per la misura della superficie verde da tutelare, quanto piuttosto per la qualità e la posizione della superficie verde”.
4.1. Il motivo è infondato.
La prescrizione apposta dal provvedimento è immune da manifesta illogicità o irragionevolezza. La possibilità di effettuare interventi edilizi sull’area, con eliminazione di talune aree verdi a condizione che le aree verdi complessive aumentino, è compatibile con gli obiettivi di tutela e valorizzazione del valore culturale dell’ospedale monumentale in una prospettiva dinamica e non meramente statica di conservazione dell’esistente.
È appena il caso di precisare che le preoccupazioni dell’appellante non sono fondate posto che il provvedimento, laddove prescrive la necessità che “il bilancio relativo alla presenza di aree verdi sia in positivo”, non può essere inteso come diretto a prevedere un mero calcolo aritmetico tra le superfici verdi che si eliminano e quelle che si introducono.
Vista anche la finalità, espressa dall’amministrazione nella relazione, di impedire la perdita di ulteriori spazi verdi cercando ove possibile di ripristinarne la presenza, i meccanismi “compensativi”, per poter effettivamente essere tali, dovranno tenere in adeguata considerazione anche la tipologia e la qualità delle aree verdi oggetto degli interventi e garantire comunque il rispetto del decoro complessivo dell’area.
Il terzo mezzo, pertanto, è infondato.
5. Con il quinto motivo (Error in iudicando. Motivazione erronea ed irragionevole. Erronea valutazione degli atti di causa. Violazione o elusione del giudicato in ordine ai principi espressi dalla Sentenza del Consiglio di Stato del 17 giugno 2021, n. 4685), l’appellante lamenta la violazione ed elusione del giudicato rappresentato dalla sentenza della Sezione n. 4685/2021 cit. e, al riguardo, reitera le doglianze relative al difetto di istruttoria.
5.1. Il motivo è infondato.
Il giudicato invocato dall’appellante si era limitato ad annullare il precedente provvedimento di vincolo indiretto per difetto di istruttoria, rilevando che “dalla documentazione versata in atti non si rinvengono i documenti che quell’attività [istruttoria] avrebbero dovuto dimostrare”.
La sentenza, pertanto, ha riscontrato un vizio di difetto di istruttoria ma non contiene puntuali prescrizioni, anche in ordine alla tipologia di atti istruttori da adottare, volte a conformare la successiva riedizione del procedimento.
Pertanto, considerato che al fine dell’adozione del provvedimento oggetto dell’odierno giudizio l’amministrazione ha svolto un’istruttoria, anche supportata da un ampio corredo fotografico, non coglie nel segno la censura di violazione o elusione del giudicato.
Il quinto motivo, quindi, è infondato.
6. In conclusione, sono in parte fondati il secondo e il quarto motivo, nei sensi che si sono esposti, mentre sono infondati i restanti motivi.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata e, per l’effetto, in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il provvedimento impugnato deve essere annullato limitatamente alla parte in cui dispone che “[a] tutela delle condizioni di decoro complessive, eventuali interventi edilizi che comportino variazioni rispetto alla destinazione d’uso storica (sanitaria) dovranno tenere conto delle caratteristiche tipologiche e stilistiche storicizzate dall’attuale contesto”. Per il resto, il ricorso di primo grado deve essere rigettato.
La lacuna che si viene a determinare con l’annullamento parziale del provvedimento dovrà essere colmata dalla Soprintendenza in sede di doveroso riesercizio del procedimento diretto ad emendare, sulla scorta del vincolo conformativo discendente dalla presente pronuncia, il vizio di istruttoria e di motivazione riscontrato.
In ragione della soccombenza parziale, le spese del doppio grado di giudizio devono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso di primo grado e annulla in parte qua, nei sensi e nei limiti esposti in motivazione, il provvedimento impugnato.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2025 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Roberto Caponigro, Consigliere
Giovanni Gallone, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere
Stefano Lorenzo Vitale, Consigliere, Estensore